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Autore: smalljojo    17/03/2020    0 recensioni
Quali sono gli intricati percorsi del tempo e dello spazio? C'è qualcuno che ne riesce a tracciare una mappa e manovrarli a proprio piacimento? sono domande astruse e capricciose, che però hanno segnato il corso della mia vita. Non so ancora molte cose della mia stessa vicenda, non troppo dissimile a quella del saggio Tiresia, ma essa merita lo stesso di essere raccontata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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Scrivevo, più per farmi presentare come scrittore che per altro, trafiletti in molte riviste come critico teatrale e piccoli racconti alla moda genere feuilleton. Essendo sempre invitato ai salotti delle dame più in vista, e anche ad eventi di stampo epicureo decisamente meno formali, tutte le porte delle testate giornalistiche erano aperte per me. Gli editori, operosi di giorno e compari di baldoria la notte, mi salutavano fraternamente, e i lettori borghesi erano assetati, come i terreni secchi del deserto di pioggia, dei pettegolezzi di quei personaggi in vista, spregiudicati ed eretici, che narravo fin nel dettaglio più scabroso, e che erano l’epicentro dei loro sogni di avventure più sfrenati. Difatti io, come oggetto di quelle fantasie anticonformiste, sempre a teatro e fra le ballerine mi sollazzavo.L’attività, per quanto poco redditizia, mi diede di che sostentarmi nel buio periodo che precedette la morte di mio padre, avvenuta nell’anno del signore 1831, alla veneranda età di settantasei.
In questi ultimi tempi mia sorella maggiore Dauphine, una vecchia zitella acida di trentotto anni che non tollerava si pronunziasse il mio nome, aveva portato in risacca i piccoli assegni che mi giungevano mensilmente dalla provincia e che andavo a ritirare alle poste, come un onesto lavoratore con il suo meritato stipendio.

Dauphine aveva preso il controllo delle economie famigliari a seguito di un colpo apoplettico che aveva immobilizzato Jean su una sedia a dondolo, impossibilitandolo a comunicare in alcun modo con i suoi cari (e con chiunque a dirla tutta). Dell’uomo autoritario che fu non era rimasto che lo sguardo. I suoi due piccoli occhi dalla sclera giallognola, seppelliti fra le palpebre cadenti, avevano assunto una perenne espressione incattivita dall’impossibilità di poter impartire ordini, abitudine di tutta una vita.

Neppure Hélène riuscì a sposarsi dopo essersi compromessa con un giovane universitario di una famiglia benestante del nostro villaggio, che a tutto pensava meno che ad accasarsi. Egli dopo l’estate dell’affaire ritornò a Parigi per non farsi più vedere. La sua natura dolce e remissiva ritrovò nel padre paralitico una conca in cui riversare affetto e cure amorevoli, e per la prima e unica volta uno di noi figli lo amò sinceramente, con tutto il cuore.

Potrei affermare con sicurezza che Hélène è l’unica della mia famiglia che avrebbe meritato la felicità, ma è noto che la vita è ancora più ingiusta con chi possiede un animo incorruttibile. D’altronde io l’ho sempre ammirata senza mai amarla veramente, era di una pasta troppo diversa dalla mia, e la sua sorte, per quanto infelice, non mi intenerì mai più di tanto.

Dauphine, che la solitudine e lo stigma sociale avevano reso più furba e navigata, aveva chiaro che tutti i soldi che ricevevo li utilizzavo non per studi e dottorati. Di punto in bianco quindi, senza nessun avvertimento, mi ritrovai povero. Ma considerato la vita sgangherata che conducevo questa povertà non si esauriva in una semplice rinuncia a qualche frivolezza, bensì nell’essere privo delle necessità primarie, come il cibo e un tetto sotto cui ripararsi. Ovviamente tutto questo tragico susseguirsi di eventi non ha certo mutato le mie idee e la mia quotidianità, se così vogliamo chiamarla, e semplicemente vivevo alla giornata, passando da amico in amico.

Potrei dilungarmi lungamente su come ho passato i miei anni parigini, che vanno dal 1823 al 1839 (anno dell’evento che ha stravolto la mia esistenza) ma poi perderei di vista il mio scopo, ossia raccontarvi la seconda parte della mia vita, la più stravagante.

Quindi, dove ero rimasta: era un pomeriggio inoltrato dell’agosto del 1839, e stavo entrando nell’appartamento del mio caro amico Emanuel Karr.
   
 
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