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Autore: Fire Gloove    19/03/2020    6 recensioni
Sabbia di ferro. Un materiale grezzo, scuro, amaro, volatile. Il rapporto tra i due migliori portieri che la Generazione d’Oro del calcio giapponese abbia da offrire, un po’ ci somiglia. Sono separati da dissapori alimentati da anni di competizione senza esclusione di colpi. Distanti e disinteressati, come granelli di sabbia.
Poi però qualcosa cambia d’improvviso: il ritorno di Genzo in Giappone potrebbe mettere in discussione un sacco di cose.
Perché, in fondo, è proprio dalla sabbia di ferro che si parte per creare un acciaio meraviglioso come quello della lama di una katana.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Iron Sand & co'
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What you like

Notine notose: Una cosa che molti di voi probabilmente non sanno di me è che il mio personaggio preferito DELLA VITAH è Ken. Nutro un'adorazione, proprio. E mi sembrava che ultimamente il fandom gli stesse dando un po' poco amore. Da lì, è partito lo sclero. Unite questo al mio essere yaoista per natura e... il resto è storia. Questa storia, per essere precisi xD 

Questa long fa parte dello stesso universo in cui sono ambientate le due one-shot "What you like" e "Caught in the storm", che non sono fontamentali per la comprensione degli eventi, ma danno un minimo di background, specie sulla situazione Mamoru/Yuzo.

Ci rivediamo nelle note finali, buona lettura!

 

 

Iron Sand

 

 

A volte ritornano

 

 

 

 

Il vento gli accarezzava la pelle, invadendogli le narici con l’odore del sale. Sul lungomare di Yokohama, con il rumore della modernità cittadina alle spalle e la calma antica dell’oceano di fronte, il ragazzo era praticamente immobile: le mani poggiate sulla balaustra di metallo, la schiena dritta, la postura rilassata. C’era una sorta di eleganza felina in lui. Indossava un paio di jeans neri che fasciavano gambe lunghe e muscolose, e sopra di essi una maglietta larga, che lasciava circolare l’aria e gli permetteva di sentirsi libero anche nella calura soffocante di agosto. I capelli neri, che sciolti gli sarebbero arrivati ben oltre metà schiena, erano raccolti in una stretta treccia, la cui estremità spariva sotto un cappellino con la visiera. Il viso era parzialmente nascosto da grandi occhiali scuri. Sebbene Ken amasse quella città, che gli aveva dato il primo assaggio di libertà, odiava essere riconosciuto e fermato dai tifosi dei Flügels. Non era mai stato il tipo di giocatore che amasse rapportarsi con la tifoseria. Di natura era una persona schiva, e se avesse dovuto cambiare un aspetto dell’essere un calciatore professionista, sarebbe stato sicuramente la fama. A lui interessava giocare, gli interessava che venisse riconosciuto il suo talento, sì, ma delle folle schiamazzanti avrebbe fatto tranquillamente a meno.

Con un ultimo sguardo alla tavola piatta del mare, si voltò verso il caos alle sue spalle. Era tornato a Yokohama per sistemare alcune cose relative al suo trasloco: anche se ormai viveva a Nagoya da più di un anno, trovare l’appartamento perfetto, che ben potesse contenere tutti i mobili che gli erano stati regalati da sua madre – ferma sostenitrice dei principi del Ka-So, secondo le quali la disposizione e la qualità degli arredi di una casa erano fondamentali per il benessere di chi ci abitava – non era stato facile. Quindi aveva lasciato buona parte del mobilio in un magazzino, in attesa del momento giusto per spostarlo. Momento che finalmente era arrivato. 

Si infilò nel dedalo di strade del centro, fino ad arrivare alla porta del deposito. 

“Wakashimazu-sama, che piacere!”, lo salutò il proprietario con un inchino, che Ken ricambiò con scioltezza. 

“Ha finalmente trovato il posto giusto in cui trasferirsi?”

“Sì, sono qui proprio per questo. Vorrei organizzare il trasferimento di tutti i mobili che le avevo lasciato, Yamashita-san.”

“Certo, certo. Posso avere pronto un camion già per domani. Non in molti traslocano ad agosto, è un periodo tranquillo.”

“Perfetto, allora sarò qui domattina per supervisionare il carico.”

Detto ciò, Ken si inchinò nuovamente e uscì.

Il caldo del pomeriggio era davvero soffocante, e il ragazzo decise di fermarsi in un mini-market sulla via dell’hotel per comprare qualcosa di fresco. Mentre osservava lo scaffale delle bibite, indeciso su cosa acquistare, sentì una voce familiare alle sue spalle.

“Wakashimazu! Sei tu?”

Ken rimase interdetto, chiedendosi chi, a Yokohama, potesse rivolgersi a lui in modo così colloquiale. Con i compagni di squadra dei Flügels non era mai riuscito a entrare davvero in sintonia e, se fosse stato un fan, sicuramente lo avrebbe approcciato in modo più formale. La tensione che gli si era accumulata fra le spalle si sciolse nel momento in cui si girò e riconobbe il volto sorridente che aveva davanti.

“Morisaki! Che ci fai qui?”

La domanda, posta con genuina curiosità, sembrò per un attimo mettere in difficoltà l’altro ragazzo, che però subito si riscosse dall’apparente imbarazzo.

“Sono venuto a trovare Izawa. Sai, si è trasferito qui da poco per giocare nei Marinos. Pensavo tu vivessi a Nagoya, ormai?”

“Sì, in effetti è così. Sono tornato un paio di giorni solo per sbrigare qualche commissione.”

Ken inarcò le labbra in un sorriso discreto. Se c’era un compagno di Nazionale che gli faceva sempre piacere vedere, quello era Yuzo. I loro caratteri erano molto compatibili: erano entrambi introversi, e si erano trovati spesso a condividere la stanza durante i ritiri, preferendo rimanere in camera a leggere o a chiacchierare di strategie di gioco, piuttosto che sgattaiolare di nascosto in città per andare in giro per locali come spesso e volentieri facevano gli altri. Si era creato tra loro un rapporto di profonda stima reciproca, e forse anche di amicizia, per quanto Ken fosse incredibilmente restio a usare quella parola per persone all’infuori di Kojiro e Takeshi.

“Ti fermi molto in città?”

La voce di Morisaki lo strappò alla leggera malinconia che lo attraversava ogni volta che pensava alle migliaia di chilometri che lo dividevano dal suo migliore amico, impegnato a giocare in Italia.

“No, partirò domani nel pomeriggio…”

“Oh. Vuoi venire a cena da Izawa, sta sera? Mi farebbe davvero piacere fare due chiacchiere con te, è quasi un anno che non ci vediamo!”

Ken era già pronto a rifiutare. Lui e il centrocampista non si conoscevano bene, ma gli aveva sempre dato l’impressione di essere una persona un po’ arrogante, decisamente troppo estroversa per i suoi gusti. Però era anche vero che due chiacchiere con Yuzo le avrebbe fatte più che volentieri… 

Pensò alla serata che aveva programmato, solo nella pensione in cui alloggiava, con una tazza di tè e diversi schemi di gioco per le prossime partite di campionato da studiare e decise, per una volta, di fare un microscopico passo al di fuori della propria comfort zone.

“Con piacere, se non sono di troppo disturbo. Dove vive Izawa?”

“Nel quartiere Yamate, poi ti mando un messaggio con l’indirizzo preciso!”

“D’accordo, allora ci vediamo sta sera.”

Salutato Morisaki, Ken si rituffò nel caldo della città, desideroso di tornare in camera per farsi una doccia e poter stare un po’ in tranquillità prima che arrivasse l’ora di cena.

 

***

 

Quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi, Mamoru sorrise. Si alzò dal divano per andare ad aiutare il compagno con le buste della spesa, e ne approfittò per rubargli un rapido bacio.

“Mi sei mancato.”

“Ma se sono stato fuori poco più di un’ora!”

“E quindi?”

Yuzo scoppiò a ridere, posando le borse sul pavimento della cucina e girandosi per baciare con più passione il suo ragazzo. Le mani di Mamoru si chiusero immediatamente sui suoi fianchi, e lui si trovò intrappolato tra il bancone e il petto dell’altro. Lasciò scorrere le dita tra i lunghi capelli del centrocampista, mordendogli piano il labbro inferiore per poi sgusciare via dalla sua presa. 

“Tu almeno hai pulito mentre io non c’ero?”

Pronunciando queste parole, fece scorrere lo sguardo sulle superfici della cucina che, a onor del vero, sembravano in condizioni molto migliori di quanto non fossero quando era uscito intimando al compagno di rendere almeno quella stanza presentabile, se voleva che gli cucinasse la cena.

“Certo, Yu. Però anche tu sei un esagerato, non era così sporca.”

Yuzo lo guardò alzando un sopracciglio, ma non fece commenti. Non aveva intenzione di mettersi a discutere con il fidanzato per le condizioni in cui versava casa sua. Non erano fatti suoi, e in più avevano modi ben più piacevoli per spendere il poco tempo che potevano dedicarsi. Il fatto di essere riuscito a ricavarsi ben cinque giorni di vacanza da poter passare a Yokohama era stato un vero miracolo, e nessuno dei due sapeva quando avrebbero avuto di nuovo tanto tempo da trascorrere insieme. Durante le prime ventiquattro ore di quel soggiorno, erano usciti dalla stanza da letto di Mamoru praticamente solo per mangiare. Adesso almeno riuscivano a passare dieci minuti l’uno accanto all’altro senza saltarsi addosso, motivo per cui il portiere si era sentito abbastanza tranquillo a invitare un ospite.

“Non indovinerai mai chi ho incontrato in centro.”

“Chi?”

“Wakashimazu!”

“Wakashimazu? E che ci fa qui? Non vive a Nagoya, ormai?”

“Mi ha detto che è tornato per sbrigare un paio di commissioni, ma riparte domani. L’ho invitato a cena qui, sta sera. Spero non sia un problema.”

“No, tranquillo. Lo sai che mi piace avere gente in giro per casa. Certo, io e Ken avremo scambiato dieci parole, da che ci conosciamo…”

“Lo so, lo so, è molto introverso. Però posso assicurarti che è una persona piacevolissima, una volta che si apre un pochino!”

“Speriamo venga una bella cena allora. Quanto tempo ti serve per cucinare?”

“Non tantissimo, un’oretta direi…”

Negli occhi del centrocampista si accese una luce maliziosa.

“Beh, allora abbiamo ancora un paio d’ore libere.”

Prese Yuzo per un polso e lo tirò in salotto, poi lo spinse sul divano e si sedette a cavalcioni sulle sue gambe, cominciando a baciargli il collo. Le mani del portiere si intrufolarono sotto la sua maglietta, tirandolo più vicino. 

Tra un ansito e l’altro, Morisaki avvicinò le labbra all’orecchio del compagno e gli sussurrò: 

“Quando il Mister mi ha raccomandato di allenarmi anche in vacanza, non credo intendesse questo.”

Mamoru si fermò, si allontanò leggermente, lo guardò negli occhi con aria serissima e… 

“Ok, andiamo a correre.”

Resistette neanche cinque secondi prima di scoppiare a ridere davanti all’espressione sbigottita di Yuzo.

“Scherzo, scemo.”

E ricominciarono a baciarsi, con tutto l’ardore dei loro diciannove anni.

Rimasero impegnati nelle loro piacevoli attività pomeridiane finché le ombre tracciate dal caldo sole del pomeriggio non cominciarono ad allungarsi. Dopo di che, restarono ancora un poco mollemente sdraiati sul divano, un braccio del centrocampista drappeggiato attorno alle ampie spalle del portiere, le dita che accarezzavano delicatamente l’osso sporgente della clavicola, e la testa di quest’ultimo poggiata sulla sua spalla. 

“Yu…?”

“Mh?”

“Per sta sera cosa vogliamo fare?”

“…sotto quale punto di vista?”

“È la prima volta che vediamo qualcuno della Nazionale da quando stiamo insieme. Ci comportiamo come se niente fosse? O facciamo finta di essere solo amici?”

“Beh, voglio dire, secondo me non riusciremmo comunque a nasconderlo per un ritiro intero, quindi tanto vale cominciare a dirlo a qualcuno. Anche perché non mi pare che tu sia noto per la tua discrezione, mio caro Izawa. E comunque, non credo che per Ken sia un problema. Per come lo conosco, non mi sembra proprio il tipo. Direi di non dirglielo, ma di comportarci normalmente, e se lo dovesse capire, pace.”

“Ok, lo conosci meglio di me, mi fido.”

Le loro chiacchiere si spostarono poi su argomenti più leggeri, finché Yuzo non si decise ad alzarsi per cominciare a preparare la cena, lasciando sul divano un Mamoru molto contrariato per essere stato privato troppo presto, a dir suo, delle coccole post coito.

 

***

 

Ken fece un respiro profondo e alzò la mano per suonare al citofono dell’elegante palazzina in stile occidentale dove abitava Izawa. Non poté fare a meno di notare che le lunghe dita gli tremavano leggermente. Scosse la testa, chiedendosi se mai gli sarebbe passata quella stupida ansia sociale che lo perseguitava da quando era bambino, e che negli ultimi anni sembrava non fare altro che peggiorare. Riusciva a sentirsi veramente tranquillo solo in due occasioni: quando faceva sport, che esso fosse calcio o karate poco importava, e quando stava solo, o con persone in cui aveva la massima fiducia. Per quanto una parte di lui gli dicesse di girarsi e scappare il più velocemente possibile, un’altra era incredibilmente orgogliosa del fatto che fosse riuscito ad arrivare fino a lì. 

Invece di premere il pulsante del campanello, abbassò la mano, estrasse il cellulare dalla tasca, e digitò un messaggio.

 

– Ansia.

 

La risposta non tardò ad arrivare, e Ken si ritrovò a ringraziare tutte le meraviglie della modernità che l’unica persona che lo faceva stare davvero tranquillo potesse stargli vicino anche se li dividevano migliaia di chilometri.

 

– Dai, Neko, tranquillo. Morisaki ti ha sempre fatto sentire abbastanza a tuo agio, no? E Izawa non può essere così male, se sono tanto amici.

– Hai ragione, lo so che hai ragione. Come faccio a convincere anche la bocca del mio stomaco?

– Respiri profondi, e ricordati che di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, io sono qui.

– Ok, vado. Grazie, Kojiro.

– Ma grazie di che?! Divertiti!

 

Il ragazzo finalmente si decise a suonare quel maledetto campanello. Il portone gli venne aperto, e lui salì con passo agile i due piani di scale che portavano all’ingresso dell’appartamento, dove fu accolto dal padrone di casa, che lo fece entrare con un sorriso rilassato disegnato sul viso.

“Ben arrivato! Sei riuscito a trovare il palazzo facilmente?”

“Sì, grazie. Non abito più qui da un po’, ma la città la conosco ancora abbastanza bene.”

“Ottimo.”

Tra i due calò un silenzio un po’ imbarazzato. Si resero entrambi conto di aver probabilmente scambiato più parole negli ultimi due minuti che nei precedenti sette anni. A salvare la situazione arrivò Yuzo, che uscì dalla cucina con una grossa pirofila quasi straboccante di donburi. 

“Ma buonasera! Come stai?”

Ken sorrise, e si rilassò leggermente nel vedere un volto amico.

“Tutto bene, grazie. Tu? Come hai fatto a cucinare con questo caldo?”

“La forza dell’abitudine! A casa spesso cucinavo con mia mamma, e lei è la classica casalinga, non si fa scoraggiare neanche dall’afa di agosto!”

I tre si sedettero subito a tavola, Ken di fronte a Morisaki, Mamoru al fianco di quest’ultimo. Se i primi minuti furono passati concentrandosi sul cibo – Yuzo era veramente un ottimo cuoco – dopo un po’ cominciarono a chiacchierare. Ken si ricordò del perché andava tanto d’accordo con l’altro portiere: la conversazione scorreva tranquilla, Yuzo esprimeva le proprie opinioni in modo molto pacato, ma comunque convincente. Si ritrovarono a parlare dei più disparati argomenti, dalla musica, al calcio, ai fumetti, ai film, e la serata scorse più piacevolmente di quanto Ken avrebbe potuto immaginare qualche ora prima. Lui e Izawa non interagirono molto. Mamoru li lasciò chiacchierare, rispettando il loro palese desiderio di mettersi in pari sulle rispettive vite dopo non essersi visti per tanto tempo. Ogni tanto faceva qualche commento, ma principalmente passò la serata a osservarli con un braccio appoggiato allo schienale della sedia di Yuzo e un sorrisetto enigmatico in volto. 

Ken, mentre ascoltava la recensione appassionata che Morisaki faceva di tutto il Marvel Cinematic Universe, lanciandosi anche in teorie su come sarebbe proseguita la storia dopo gli eventi di Avengers: Endgame, non poté fare a meno di notare come le dita del centrocampista ogni tanto lasciassero il legno della sedia per danzare delicate sulla pelle del portiere, facendo scorrere il pollice sulla nuca, o infilandosi curiose sotto il bordo del colletto. Il portiere si chiese se fosse solo segno di un’amicizia davvero molto stretta, o se ci fosse qualcosa di più. Considerata la questione per qualche minuto, decise che in ogni caso non erano fatto suoi. Si vedeva lontano un miglio che quei due erano perfettamente assortiti, e sperava vivamente che, se davvero erano una coppia, si rendessero felici a vicenda.

A spezzare l’atmosfera tranquilla che si era creata fu il cellulare del centrocampista, appoggiato sul bordo del tavolo, che vibrò più volte in rapida successione. Il ragazzo aprì i messaggi e aggrottò le sopracciglia. A nessuno dei due portieri sfuggì l’espressione preoccupata che si disegnò sul suo viso. 

“Che succede?”, chiese Morisaki, cercando di sbirciare lo schermo.

“È Genzo… si è infortunato malamente.”

A quelle parole, Ken sobbalzò. Non era certo un fan di Wakabayashi, anzi, ma tra lui e il rivale di sempre si era costruito un rapporto di rispetto professionale reciproco che lo portò a preoccuparsi per le sorti dell’altro.

“Che è successo?”

“Non lo dice di preciso… dice solo che si è fatto male durante un’amichevole con l’Hannover…”, poi sgranò gli occhi, “e che dovrà stare fermo tutta la stagione!”

Quelle parole rimasero come sospese nell’aria per un istante. Per richiedere un provvedimento simile, il portiere doveva essersi infortunato in maniera davvero seria.

Il cellulare di Mamoru vibrò ancora una volta, e quando lesse il messaggio, l’espressione del centrocampista si fece ancora più tesa.

“Dice che torna in Giappone. Che qui conosce un fisioterapista eccellente, e che se c’è qualcuno in grado di rimetterlo in forma è lui.”

“Dove si stabilirà? A Tokyo? O tornerà a Villa Wakabayashi a Nankatsu?”

Nel tono di Yuzo c’era una punta di preoccupazione. Nella sua testa c’era lo stesso pensiero che preoccupava anche gli altri due: per costringere Genzo Wakabayashi a stare fermo per un’intera stagione, la situazione doveva essere veramente grave.

Mamoru lesse il messaggio che gli era appena arrivato, e immediatamente il suo sguardo andò a fissarsi su Ken, che ricambiò l’occhiata con aria interrogativa.

“A Nagoya. Si trasferirà a Nagoya.”

 

 

 

 

 

 

Notine notose pt.2: ...fischio d'inizio.

Sì, Ken è un micino disagiato (mai soprannome fu più azzeccato, vero Kojiro?)

Per una volta nella mia vita, tenterò di essere costante con gli aggiornamenti. Ho già una manciata di capitoli scritti, che dovrebbero arrivarvi ogni giovedì.

Grazie mille a chi è arrivato fin qui, e a chi avrà voglia di accompagnare me e questa manica di imbecilli fino alla fine di questo viaggio <3

   
 
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