Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Moriko_    19/03/2020    5 recensioni
"Come ripeteva sempre suo padre, «per essere dei veri calciatori bisogna essere molto forti, avere un pizzico di fortuna… ma, soprattutto, tanta voglia di non arrendersi mai!»"
Un tuffo nei ricordi, accomunati da una grande passione per il calcio.
[Breve raccolta di missing moment su Yuzo Morisaki, scritti sulle note di Everyday life dei Coldplay.]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Everyday life.
「Got to keep dancing when the lights go out.」



"'Cause everyone hurts
Everyone cries
Everyone tells each other all kinds of lies
Everyone falls
Everybody dreams and doubts
Got to keep dancing when the lights go out"




I mesi trascorsero, fino ad arrivare di nuovo all’autunno.
Il monte Fuji spiccava sull’intero territorio e, dal belvedere che si stagliava nei pressi di un sentiero immerso in una piccola foresta, le vaste coltivazioni di riso dominavano i suoi versanti. Da qui iniziava la piccola città di Nankatsu e, tra stradine che dividevano i campi coltivati, qui vi erano alcune villette a schiera intervallate a sugi e alberi di ciliegio.
Un luogo lontano dal centro cittadino, cuore invece di molteplici attività per tutte le età, e sebbene non vi fossero negozi, da lì si potevano raggiungere a piedi il supermercato, il parco cittadino e le varie scuole pubbliche e private.
Questo era il quartiere dove risiedeva la famiglia Morisaki, dove il piccolo Yuzo continuava ad allenarsi con il pallone, nel cortile della sua casa. Lo tirava contro la parete dell’abitazione, facendo in modo che rimbalzasse e gli tornasse indietro all’improvviso, per poi cercare di pararlo.
Era solito trascorrere le giornate in questo modo, quando non si recava al campetto del parco con suo padre nel tardo pomeriggio, mentre la mamma era intenta a preparare la cena per la sua famiglia. Ogni tanto il bambino la sentiva canticchiare una dolce melodia, alternata a momenti in cui si affacciava dalla finestra della cucina, che dava sul cortile, per ammonirlo: aveva il timore che quel pallone rischiasse di mandare in frantumi le finestre della loro casa o, peggio, quelle dei loro vicini.
Per fortuna la casa che si trovava al fianco del piccolo cortile dove giocava Yuzo era ancora vuota; nonostante ciò, sempre meglio evitare di rompere qualcosa prima che arrivino i nuovi vicini - rifletteva sempre la donna mentre, dalla finestra, osservava suo figlio allenarsi.
Anche lei, come suo marito, era contenta che il loro piccolino si fosse appassionato al calcio. Nel vederlo così felice con quel pallone si rallegrò, e in quel momento giurò a se stessa che l’avrebbe sostenuto in questo percorso se, un giorno, avesse deciso di portarlo avanti.


Qualche giorno dopo, mentre come al solito trascorreva il pomeriggio in cortile a giocare col pallone per allenarsi, Yuzo notò l'arrivo di un grande camion nella via di casa sua. Era piuttosto insolita la presenza di un mezzo del genere, dato che il negozio di alimentari più vicino era dalla parte opposta del quartiere, il che poteva significare solo una cosa: un imminente trasloco.
Incuriosito, lasciò il pallone e si avvicinò al cancello che si affacciava sulla via. Da lì fece capolino, e così notò che il mezzo si era fermato proprio di fronte all’abitazione al fianco della loro, la stessa sulla quale la madre gli aveva raccomandato di cercare di non distruggere qualcosa.
Una coppia di trasportatori scese dal camion, aprendo gli sportelli e iniziando a scaricare di tutto e di più: mobili, valigie e scatole varie.
«Hai visto? Da oggi avremo dei nuovi vicini!»
Alle spalle del bambino era giunta sua madre, anche lei incuriosita da quel viavai. Dato che quella casa era vuota da mesi, anche per lei era una novità ritrovarsi con dei vicini e sperava che essi fossero cordiali e gentili.
«Non vedo l’ora di conoscerli!»
Di fronte all’entusiasmo di suo figlio, lei sorrise.
«Anch’io, ma prima...»
Appoggiò la mano sulla sua spalla e gli fece cenno di seguirla. «… hai proprio bisogno di fare una bella doccia! Ti sei allenato molto anche oggi, vero?»
Con occhi pieni di entusiasmo, Yuzo le rispose: «Sì, devo essere molto forte se voglio essere un bravo giocatore! Papà me lo dice sempre!»
Mentre rientrarono, sua madre si lasciò sfuggire una leggera risata. Il suo bambino era decisamente cambiato da quel giorno, lo stesso in cui con suo padre aveva, per la prima volta, provato a difendere i pali.
Era come se, dal giorno di quella scoperta, la sua passione per il calcio fosse aumentata a dismisura!


Il mattino seguente il bambino andò all'asilo accompagnato da sua madre; al suo ritorno, come era solito fare, dopo essersi cambiato uscì nel cortile per giocare con il suo amato pallone.
Intorno, si sentivano gli uccelli cinguettare e rumori di altri bambini che stavano passando per le strade di quel quartiere, passeggiando tranquillamente oppure giocando a loro volta.
Ma Yuzo non ci fece caso: concentrato solo sul proprio pallone, continuava i suoi allenamenti incurante di tutto ciò che accadeva intorno a lui. Tuttavia, ogni tanto si voltava verso la casa dei nuovi vicini, curioso di saperne di più anche se non li aveva ancora incontrati.
Chissà chi sono… pensò. Ma… cos’è questo rumore?
Proprio in quella direzione, ogni tanto da lontano avvertiva un suono particolare e, allo stesso tempo, familiare… come se, dall’altra parte di quella casa, qualcun altro stesse giocando con una palla.
Ma, era anche vero che sentiva quegli stessi rumori ogni volta che un gruppo di ragazzini passeggiava per quella via, palleggiando o rincorrendo proprio un pallone. Nella cittadina, infatti, il calcio era molto amato, e non di rado si vedevano bambini di tutte le età esercitarsi in questo sport anche per le strade, mentre chiacchieravano tra loro o ritornavano da scuola. Con molta probabilità, stava succedendo la stessa cosa anche quel giorno.
Yuzo posò il pallone che in quel momento aveva tra le mani, pronto a tirare verso il muro di casa sua. Ad un tratto, però, una voce molto acuta - che non aveva mai sentito - attirò la sua attenzione.

«Oh, no! Il mio pallone!»

Attirato da quel grido, alzò gli occhi al cielo e così vide, all’improvviso, un altro pallone colpire il suo, finendogli accanto.
… cosa? Un altro pallone… è caduto dal cielo? - pensò. Era molto strano; eppure gli sembrava essere proprio così.

Da dove sarà caduto? Dalla casa dei vicini?

A quell’ultimo pensiero, Yuzo ebbe un’illuminazione. A giudicare dalla direzione dalla quale era caduto, sicuramente quel pallone non poteva provenire dalla strada.
Così voltò lo sguardo e osservò l’alto muretto di conci che separava entrambe le abitazioni.

I nuovi vicini…

Non li aveva ancora incontrati e di loro, appunto, non sapeva nulla; né tantomeno se ci fossero stati dei bambini con loro. Poteva anche trattarsi di chiunque: uno studente delle scuole medie o superiori, o anche una persona più grande d’età.
Eppure, Yuzo ne era sicuro. Tutto poteva essere possibile, ma la voce che aveva appena sentito non sembrava affatto quella di un adulto!
Così, un po' incerto sul da farsi - chiamare la mamma? Lanciare il pallone dall'altra parte? - prese l’oggetto che era caduto nel cortile e restò in trepidante attesa. Se il “proprietario” ci teneva a quel pallone, presto avrebbe suonato il campanello per reclamarlo.
I dialoghi che, nel frattempo, si udivano all'esterno dell'altra abitazione fugarono ogni dubbio.

«Torno subito, mamma!»
«Aspetta, dove vai? Stai attento: non uscire di casa senza di me!»


Allora… c’è davvero un altro bambino!
Yuzo strinse a sé il pallone che aveva tra le mani e, a lenti passi, si avvicinò al cancello calciando il suo. Lì, udì dei passi veloci e sempre più vicini finché, all’improvviso, tra le inferriate sbucò un altro bambino.
«Ciao!»
A prima vista quel piccino sembrava essere della sua età, ma ciò che colpì di più Yuzo non era l’aspetto fisico… ma il fatto che stesse sorridendo.
Forse vuole giocare!
Yuzo gli si avvicinò ulteriormente e lo salutò, con un po’ di timidezza. Poi aggiunse, porgendogli il pallone che gli era finito in cortile: «Penso che questo sia tuo… è appena caduto qui, e ha colpito il mio pallone...»
«Wow, anche tu giochi a calcio?»
«Beh, ecco...»
L’altro bambino posò lo sguardo sul pallone di Yuzo. «Lo sapevo che eri tu! Ieri ti ho sentito per tutto il pomeriggio, prima che arrivasse il camion a portare le nostre cose!»
«Mi hai… sentito?»
«Sì! Sentivo il rumore di una palla che ha sempre colpito il muro di questa casa… e non finiva mai!»
Yuzo ne fu sempre più sorpreso. Quel bambino era per lui una continua sorpresa: sembrava molto cordiale e gentile con lui, pur non conoscendolo ancora.
«A proposito: mi dai il pallone, per favore?»
«Ah… aspettami!» chiese. «Vado a chiamare mamma e torno, così ti apre il cancello!»
«Va bene, ti aspetto!»
Yuzo sorrise e, con il pallone ancora in mano, corse verso casa per avvisare sua madre che, proprio in quel momento, aprì la porta di casa.
«Con chi stai parlando?» chiese lei, incuriosita dal fatto che suo figlio stesse chiacchierando con qualcuno.
«Con un altro bambino… il vicino!»
«Il vicino?»
«Sì, mamma! Il suo pallone è caduto qui...»
La donna prese per mano Yuzo e si avvicinò alle inferriate; poi, con tono gentile, si rivolse all’altro bambino.
«Ciao, piacere di conoscerti! Sei il figlio dei vicini?»
«Sì,» rispose l’altro, «vi chiedo scusa: stavo giocando con la mia palla, e ho tirato un calcio molto forte… così è finita nel vostro cortile. Posso riprenderla, per favore?»
«Certo!» rispose lei e aprì il cancello e lasciando entrare l’altro bambino. A quel punto Yuzo fu felice di restituirgli il pallone tanto desiderato.
«Ecco qui!» disse con un sorriso.
«Grazie mille!»
Contento di riavere la sua amata palla il piccolo vicino iniziò a palleggiare, muovendosi lentamente verso l’uscita. «Evviva! Grazie ancora!»
Yuzo e sua madre restarono fissi ad ammirarlo. Quel piccino non smetteva mai di far rimbalzare il pallone, cambiando di tanto in tanto il piede, e sembrava non stancarsi mai.
«Sei proprio bravo!» commentò la donna, per poi aggiungere: «Anche a te piace molto giocare a calcio?»
«Sì!» rispose lui. «Ci siamo trasferiti qui perché...»
«Ah, monellino! Sei qui!»
Una voce improvvisa fece sobbalzare il bambino che, distraendosi, fece cadere il pallone di nuovo a terra, rischiando questa volta di finire per strada. Per sua fortuna venne preso da sua madre che in quel momento era comparsa alle sue spalle.
«Mi hai fatto preoccupare!» esclamò, arruffandogli i capelli. «Ti avevo detto di aspettarmi, e di non uscire da solo in mezzo alla strada!»
Il fanciullo mise il broncio. «Ma non sono andato in mezzo alla strada, mamma! Stavo giocando, ma la palla è finita qui...»
Lei diede un leggero sospiro; dopodiché si rivolse a Yuzo e sua madre. «Vi chiedo scusa per il disturbo. Quando c’è un pallone di mezzo, mio figlio è piuttosto irrequieto.»
«Ah, non dirlo a me!» rispose la madre di Yuzo. «Danne uno anche al mio, e apriti cielo! Non lo lascia mai di vista: se fosse per lui, lo porterebbe anche a letto e ci dormirebbe insieme tutte le notti...»
«Mamma!» gridarono in coro i due bambini.
Entrambe sorrisero e pensarono che, forse, i loro figli avevano finalmente trovato qualcuno con cui giocare. E, forse, un giorno non molto lontano i due bambini sarebbero finiti nella stessa scuola e avrebbero giocato una partita di calcio insieme nella stessa squadra scolastica.
Ad ogni modo, quello era un ottimo punto di partenza per presentarsi a vicenda: forse un po’ improvviso, ma era pur sempre un modo per iniziare a conoscersi.
Le due donne si diedero la mano e strinsero amicizia.
«Comunque, piacere di conoscerla!»
«Il piacere è tutto mio!»
La madre del bambino che aveva lanciato il pallone fece cenno all’altra, invitandola a seguirla verso casa sua. «Dato che siamo vicine di casa… le andrebbe di entrare un secondo? Le offro volentieri qualcosa per il disturbo!»

Nel frattempo i due bambini avevano deciso di restare fuori dall’abitazione, e avevano subito ripreso a giocare a pallone. Si passarono vicendevolmente la palla e, di tanto in tanto, si scambiavano qualche parola.
«Così anche a te piace il calcio?»
«Sì, molto!» rispose Yuzo, prendendo il pallone con le mani e rilanciandolo all’altro che lo fermò con il piede.
«Io sono qui da poco…» riprese l’altro, dopo aver tirato di nuovo, «… ma ho già capito una cosa: che qui tutti amano il calcio! Ho visto altri bambini giocare a pallone per strada e diversi campetti di calcio. Penso che qui mi divertirò un sacco... E, sai una cosa? Dall’anno prossimo andrò proprio qui a scuola, perciò se vuoi possiamo andarci insieme!»
«Mi piacerebbe molto!» rispose Yuzo, parando il tiro e passando la palla al compagno. «Sarebbe bello andare a scuola insieme!»
Questa volta anche l’altro bambino bloccò la palla con le mani, e esclamò di gioia: «Che bello! Mamma e papà mi hanno detto che in ogni scuola c’è un club di calcio… e un giorno voglio entrarci!»
«Wow!»
Lo sguardo di Yuzo era colmo di gioia per quella notizia. Entrambi avrebbero frequentato la stessa scuola e, forse, un giorno sarebbero entrati nella stessa squadra di calcio. E lui era molto contento all’idea di iniziare l’anno scolastico già con un amico.
«Sai...» sussurrò, avvicinandosi al vicino, «… anche a me piacerebbe molto far parte di una squadra di calcio, un giorno...»
Gli occhi dell’altro bambino si illuminarono di felicità a quella notizia.
«Anche tu?!»
Yuzo annuì. «Voglio essere un bravo calciatore… e mi piacerebbe essere un bravo portiere!»
«Evviva!»
Il bambino corse verso di lui e gli diede un buffetto. «L’ho pensato subito quando ti ho visto!»
«Hai pensato… cosa?» chiese l’altro con sorpresa.
«Che vorresti essere un portiere!»
«Sì, ho detto proprio così...»
«No! Cioè… sì, l’hai detto, però tu indossi un paio di guanti. Lo sai: mica tutti i giocatori di calcio portano i guanti! Io, per esempio, non ce li ho… ma tu sì! Perciò, quando ti ho visto, ho subito pensato che volessi diventare un portiere!»
Così Yuzo guardò le mani. Le sue portavano un paio di piccoli guanti neri, dono dei suoi genitori per il suo ultimo compleanno. Non ci aveva fatto troppo caso perché era sua abitudine indossarli non appena tornava a casa a giocare, ed erano così comodi che, se fosse stato per lui, li avrebbe portati per tutta la giornata, anche quando dormiva.
Si portò una mano dietro la nuca e si lasciò sfuggire una candida risata. «Eheheh, hai proprio ragione!»
«E, dimmi un po’!» proseguì l’altro, rivolgendogli un sorriso di sfida. «Scommetto che anche tu hai un sogno nel cassetto, non è vero?»
«Certo! Quello di giocare a calcio nella scuola delle elementari…»
«No, no, no!»
Il bambino scosse la testa. «Se entriamo entrambi nella squadra della nostra scuola e saremo sempre più bravi, magari giocheremo a calcio anche quando saremo grandi... e sarebbe fantastico se riusciamo ad entrare nella Nazionale! Pensa che bello!»
Per un attimo Yuzo restò in silenzio.
Anche suo padre aveva detto la stessa cosa, qualche mese prima. Tuttavia, il suo papà aveva sempre avuto fiducia in lui e lo conosceva più di chiunque altro; viceversa, quel bambino lo conosceva da nemmeno un giorno, dunque non poteva ancora sapere quali fossero le sue vere capacità sul campo.
Nonostante ciò, proprio quel bambino gli aveva appena detto che voleva entrare nella Nazionale… con lui. Ovvero, con un vicino che aveva appena incontrato.
Yuzo rivolse gli occhi verso la punta delle sue scarpette, non sapendo bene come rispondergli. Dopodiché lo guardò negli occhi e disse:
«Sì… dobbiamo impegnarci molto per farlo. Bisogna essere molto bravi...»
«Appunto! Non sarebbe bello? Voglio essere come i più forti calciatori che si vedono in televisione, o quelli dei cartoni animati… e so che anche tu lo vorresti!»
Di fronte al silenzio attonito di Yuzo, il piccolo vicino riprese il pallone e proseguì: «Sai… sarebbe fantastico: io e te, una coppia invincibile! Pensa: tu come portiere, e io come attaccante… saremo forti e nessuno ci farà gol!»
Gli occhi di Yuzo si spalancarono. «Dici sul serio?»
«Certo! Dobbiamo allenarci molto, se vogliamo diventare sempre più bravi!»
Yuzo posò lo sguardo verso il pallone che il suo vicino aveva ancora in mano. Proprio come il suo sembrava essere molto rovinato, come se anche lui lo avesse usato giorno e notte per allenarsi con il tiro.
E, proprio come lui, anche quel bambino si stava esercitando per diventare sempre più forte.
«Vuoi… che io giochi insieme a te?» gli chiese speranzoso. «Nella stessa squadra?»
«Esatto!»
«E… vuoi che diventi il tuo portiere? Proprio io?»
«Sì!»
«Ma sei… sei davvero sicuro?»
«Sì, sì e sì!» rispose di nuovo l’altro bambino, lasciando cadere il suo pallone a terra e spalancando le braccia con gioia. «Alleniamoci insieme, e vedrai che io e te saremo sempre più bravi! Me lo prometti? Prometti che giocheremo sempre insieme?»
«Insieme? Per sempre?»
«Dai, dai! Ti prego!»
Yuzo lo guardò negli occhi e gli sorrise. «Va bene… te lo prometto!»
«Evviva!»
Il bambino corse da Yuzo e gli prese le mani, muovendole con euforia. «Vuoi sapere una cosa?»
«Dimmi.»
«Sai, avevo disegnato col gessetto una porta sul muro di casa mia, e mi stavo allenando lì… solo che non sono molto bravo, e ho fatto addirittura volare il pallone nel tuo cortile!»
Il bambino indicò un punto sul muro che circondava il cortile, e Yuzo allora notò il rettangolo disegnato col gesso bianco.
Yuzo si rasserenò. Anche quel bambino, proprio come lui, non era un fenomeno nato; eppure si ostinava ad allenarsi per essere, un giorno, tra i più forti giocatori. In un attimo, capì che anche quel bambino condivideva con lui lo stesso amore per quello sport.
Così, dopo aver preso un respiro profondo, a sorpresa decise di prendergli la palla e correre verso la porta disegnata col gesso.
«Dai, torniamo a giocare adesso!»
«Ehi, aspetta!» rispose l’altro, rincorrendolo per riprendere il pallone.
Yuzo rise, continuando a correre nel cortile.
Il suo piccolo vicino di casa aveva ragione: se, un giorno, entrambi volevano diventare dei campioni, dovevano iniziare ad allenarsi fin da subito. Come ripeteva sempre suo padre, «per essere dei veri calciatori bisogna essere molto forti, avere un pizzico di fortuna… ma, soprattutto, tanta voglia di non arrendersi mai!»




Da quel giorno in poi i due bambini furono molto legati.
Non mancava occasione nella quale stavano sempre insieme: per strada, quando andavano e tornavano dalla scuola materna con le loro mamme; all’asilo, dove si divertivano anche con gli altri compagni; al campetto o in cortile, dove spesso giocavano e si allenavano a modo loro sotto l’occhio vigile dei loro genitori.
Non si separavano mai, nemmeno quando al mattino si affacciavano dalle finestre delle loro camere da letto poste l’una di fronte all’altra, e si salutavano, prima che le loro mamme li invitassero a cambiarsi per iniziare la giornata.
Ed era proprio da questo loro “piccolo rito mattutino” che, un giorno, Yuzo si accorse che era successo qualcosa di strano al suo nuovo amico.
Un evento inaspettato che, nel giro di poco tempo, trasformò completamente la sua vita e il suo modo di vedere ciò che più amava al mondo.

La sera precedente, Yuzo aveva salutato il suo piccolo vicino prima di tornare a casa, ma aveva subito notato che l'altro bambino non sembrava essere in forma come al solito. Per tutto il pomeriggio aveva continuato a tossire e, ogni tanto, si sentiva molto stanco.
Così, preoccupato, chiese a sua madre se potesse telefonare alla sua vicina dopo la cena, per vedere come stava il suo amichetto. Al termine della conversazione, la donna disse a suo figlio di non allarmarsi.
«Tranquillo: ha solo qualche linea di febbre. Il dottore ha detto che per qualche giorno dovrà restare a casa e non alzarsi dal letto, perciò… mi sa che domani andrai da solo all’asilo.»
Yuzo si rattristò per la notizia. «Da solo, uffa...»
La madre gli accarezzò la testa e lo rassicurò. «Su. Ora andiamo a letto, e domani… quando tornerai a casa, ti permetterò di scatenarti con il pallone: così anche lui, quando dalla sua cameretta sentirà il rumore del tuo pallone contro il muro, avrà più voglia di riprendersi e di tornare presto a giocare con te!»
Suo figlio sorrise e corse verso la sua stanza per prepararsi per la notte.
«Grazie, mamma!»

Il mattino dopo Yuzo si affacciò dalla finestra, come era solito fare. Non diede molto peso al fatto che, al contrario, il suo amichetto non lo avesse fatto: probabilmente si stava ancora riposando a causa dell’influenza.
«A più tardi!» urlò con gioia, chiudendo la finestra e raggiungendo sua madre per andare all’asilo. Era certo che, anche se non si erano ancora visti, il suo vicino di casa lo aveva sentito e, se così non fosse stato, di sicuro la sua mamma l’aveva sentito forte e chiaro.
In classe giocò con gli altri bambini e si divertì come sempre anche se, di tanto in tanto, pensava all’amico malato.
Mi manca così tanto… senza di lui non è la stessa cosa!
Per questo motivo, quando lo venne a prendere sua madre all’asilo, le chiese: «Oggi possiamo andare da lui?»
«Va bene.»
Tuttavia, giunti presso la casa dei vicini, accadde qualcosa di particolare: la donna suonò al citofono ma nessuno rispose, né aprì loro la porta.
«Che strano...» si limitò a commentare la mamma e, in silenzio, prese per mano Yuzo e fecero ritorno a casa.

Strano che non ci sia nessuno. Con un figlio con la febbre… forse saranno andati all’ospedale?

La madre di Yuzo tentò più volte di rintracciarla anche telefonandole da casa sua, ma senza alcun risultato. Il cellulare dell’altra donna risultava sempre libero, ma anche lì non vi era stata risposta.
Durante la cena, però, ad un tratto squillò il telefono di casa. La donna si alzò da tavola per rispondere e, con grande sorpresa, si trattava proprio della vicina.
Yuzo sentì sua madre farfugliare qualche parola e, all’improvviso, rivolgersi proprio a lui.
«C’è il tuo amico a telefono, vieni a salutarlo!»
Il piccolo ne fu felice: finalmente, era riuscito a mettersi di nuovo in contatto con il suo amato compagno di allenamenti! Senza pensarci troppo si precipitò e prese di colpo la cornetta dalla mano della madre, che lo guardò sorpreso. Che velocità!
«Ciao, come stai?» chiese con allegria.
Dall’altra parte della conversazione l’amico lo salutò con spensieratezza sebbene, dalla sua voce, sembrava essere ancora malato. Ogni tanto dava ancora qualche colpo di tosse ma, tutto sommato, si stava riprendendo.
«Un po’ meglio, grazie!» rispose lui.
«Ma dove sei finito?» chiese Yuzo incuriosito, mentre rivolgeva lo sguardo verso la finestra del soggiorno. Quella stanza, infatti, affacciava proprio sulla casa dei vicini, che in quel momento non aveva alcuna luce accesa.
Come se non ci fosse stato nessuno, appunto.
«Non sei a casa, vero?»
«Eheheh… no! E penso non tornerò per un bel po’!»
Ci fu un attimo di silenzio e mille furono i pensieri che in quel momento attraversarono la mente del piccolo Yuzo. Si rattristò, pensando che quella famiglia si fosse nuovamente trasferita senza dire loro nulla… anche se ciò che lo insospettiva in quella strana situazione era proprio il fatto che il suo vicino di casa fosse malato. Probabilmente, se i suoi genitori avevano deciso di andarsene e avevano deciso di portarsi dietro anche lui nonostante l’influenza, doveva esserci un motivo molto più grave della salute: qualche lutto di parenti stretti, o qualche urgenza che dovevano sbrigare in breve tempo.
All’idea che il suo amichetto non avrebbe fatto presto ritorno, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Perciò… quando tornerai?» piagnucolò. «Mi manchi molto, e non vedo l’ora di rivederti!»
L’altro bambino soffocò una sincera risata, nascondendola tra i colpi di tosse. Da quelle poche parole, capì che il suo amico ci teneva molto a lui… e, in fondo, anche lui voleva riabbracciarlo presto. Altrimenti, come sarebbero diventati dei futuri campioni?
«Stai tranquillo,» disse, «tornerò presto! Forse già domani!»
«Domani?!»
Ancora colpi di tosse. «Magari, scherzo! Vedi… siamo andati a trovare mio nonno, che abita in un piccolo villaggio fuori città, però non sta molto bene e… mamma e papà mi hanno trascinato anche con la febbre! Uffa, sono così stanco e rivoglio il mio pallone per giocare… ma per il mio nonnino questo e altro!»
Yuzo sorrise, pregando in cuor suo di avere da lui buone notizie nei giorni successivi.
«Spero che tu e tuo nonno guarite presto, così lui sarà felice… e anche tu! Così puoi tornare a giocare!»
«Te lo prometto! Tornerò presto!»
Prima di restituire la cornetta a sua madre - che già iniziava a chiedergli di ridargliela per parlare con la vicina di casa - disse al suo amichetto:
«Ti aspetto! Abbi cura di te, e guarisci presto!»

Nei giorni successivi la madre continuava a tenersi in contatto con la vicina e, nelle prime telefonate, i due bambini chiacchieravano tra loro come se la lontananza non fosse stata di peso. Dalle parole del suo piccolo vicino di casa, Yuzo capì che si stava riprendendo e che, come aveva promesso, ben presto sarebbe tornato nel suo quartiere.
Per non farlo annoiare, Yuzo gli parlava di ogni cosa: le giornate trascorse all’asilo, i suoi allenamenti nel cortile, e gli confessava anche che tutte le mattine, ogni volta che si svegliava, continuava ad affacciarsi sempre dalla finestra. Anche se il suo amichetto non era in casa, per lui quell’azione era un modo per sentirlo vicino.
E l’altro, intanto, gli raccontava delle giornate trascorse a casa del nonno: che quest’ultimo si stava riprendendo e che lui era completamente guarito dalla febbre alta, anche se aveva ancora un po’ di tosse; che gli mancava tanto il pallone, ma si esercitava con il guscio di una piccola noce di cocco che aveva trovato per strada.
«Così, quando tornerò, giocheremo ancora insieme!» ripeteva sempre.
Yuzo era felice di tutto ciò: le cose stavano per volgersi al meglio e presto avrebbe riabbracciato il suo amico.
Tuttavia, qualche sera dopo, mentre il vento forte iniziava a sferzare sul quartiere, sua madre non riuscì a rintracciare la vicina di casa. E, caso strano, nemmeno lei lo aveva fatto. Di solito, infatti, le due erano sempre in contatto - anche a causa delle loro piccole pesti che lo richiedevano a gran voce… anzi: se fosse stato solo per i loro figli, i due bambini sarebbero stati in grado di non lasciare mai il telefono.
Quella sera, invece, così non fu.
Il cellulare della vicina risultava sempre non raggiungibile, e la madre di Yuzo iniziò a preoccuparsi.
«Forse è per il brutto tempo, mamma!»
«Come?»
Suo marito indicò la televisione. «Yuzo ha ragione, tutta la zona è attraversata da una forte tempesta… forse, dove si trovano loro, i cellulari sono momentaneamente fuori uso!»
«Il… maltempo...»
«Sì, mamma! Non preoccuparti, staranno tutti bene!»
Di fronte alla spensieratezza di suo figlio, ella guardò negli occhi il suo amato. «Va… bene,» disse con voce flebile, mentre iniziò a sparecchiare la tavola. «Sì, anch’io sono sicura… che stanno bene...»
Quando lei andò in cucina il bambino si rivolse a suo padre, incuriosito dallo strano comportamento della madre. Di solito era la persona che si preoccupava meno nella loro famiglia e, non appena vedeva lui e il suo papà giù di morale, era sempre pronta a rassicurarli con qualche parola di incoraggiamento, sempre con un sorriso.
Quella sera, invece, era proprio lei a sembrare molto più triste del solito.
«Mamma non si sente bene?»
Il padre gli si sedette accanto e gli sorrise. «Tranquillo, piccolino. È solo in pensiero per i vicini… ha paura che la tempesta possa fare qualche danno. Ma io ne sono certo: loro stanno bene!»
Si avvicinò al tavolo per aiutare a sparecchiare, e proseguì: «Non è vero, tesoro?»
«Sì...»
Mentre stava riponendo i piatti che il marito le passava, la donna restò in silenzio.
Dai suoi occhi iniziò a scendere qualche lacrima, che nessuno dei suoi familiari notò perché era di spalle.



La tempesta della sera prima fu solo un'avvisaglia di ciò che accadde il giorno dopo.
La via sulla quale si affacciavano le abitazioni era attraversata da un veloce viavai di persone, intente a tirare fuori gli ombrelli: infatti dal cielo iniziava a cadere qualche goccia di pioggia, che ben presto si trasformò in un vero e proprio diluvio.
Per fortuna, almeno il vento si era placato.
Dopo aver accompagnato Yuzo all’asilo sua madre andò a casa e, finché non tornò a riprenderlo, cercò di rimettersi in contatto con i vicini. Invano, dato che il cellulare risultava sempre non raggiungibile.
«Mamma...» sussurrò suo figlio, mentre tornavano alla loro abitazione. Nel frattempo aveva smesso di piovere e il cielo si era schiarito, segno che quella tempesta era ormai andata via.
«Sai qualcosa dei vicini?» le chiese.
«No, piccolo mio...»
«Uffa…»
Lei si sforzò di sorridere, nascondendo tutta la sua giusta preoccupazione che si stava accumulando ogni ora che passava. Aveva ragione suo marito: nella loro famiglia era lei quella che di solito dava coraggio a tutti, perciò anche in quel frangente doveva impegnarsi a farlo.
«Wow… hai visto, Yuzo?»
Lei indicò il paesaggio che si stagliava di fronte a loro. Il sole stava tramontando tra le montagne, lasciando dietro di sé una scia di raggi che, con il loro brillare, sembravano quasi far risplendere più vividamente ogni cosa.
«Dopo la pioggia c’è sempre il sereno… e questo è un segno!» disse con un sorriso sempre più colmo di serenità. «Non ci sarà ancora campo, ma forse hai ragione: tutti loro staranno bene! Anche se la prossima volta dovrò denunciare quelli della telefonia per il disservizio: ma guarda un po’ che tipi! Lasciare le linee in questo stato… così mettono in agitazione mezza regione, si rendono conto?!»
Dalle labbra del piccolo sfuggì un piccolo riso.
Aveva ragione suo padre, era bastato davvero poco: la mamma era tornata ad essere quella di sempre!

E, il mattino successivo, accadde un fatto insolito.
Yuzo si affacciò dalla finestra della sua camera, per iniziare una nuova giornata. In cuor suo sperava che, nel frattempo, la mamma fosse riuscita a rimettersi in contatto con la vicina e, così, avere finalmente notizie del suo amichetto.
Ormai era impaziente: due giorni di attesa per lui sembravano essere durati mesi interi.
Facendo capolino dalla finestra, notò la presenza di un altro furgone bianco all’ingresso dell’abitazione dei loro vicini. Sembrava essere più piccolo di quello del trasloco: da esso scesero due giovanotti che, aperto lo sportello posteriore, portarono nel cortile un tavolino e dei fiori.
Solo allora notò che il cancello dei vicini era aperto. Quello, per Yuzo, fu un chiaro segnale: finalmente erano tornati tutti a casa!
Chiuse la finestra, uscì dalla stanza e corse da sua madre, abbracciandola per la gioia. «Mamma, mamma: è tornato!»
La madre era ancora di spalle, ancora fissa a guardare lo schermo del suo cellulare, quasi incurante del fatto che il figlio abbia buttato le braccia intorno a lei.

Come… come glielo dico adesso? Non ce la faccio!

«Mamma… stai bene?»
Anche Yuzo notò il suo stato d’animo. Lei, di solito euforica e raggiante già di prima mattina, non si era mossa dalla sua posizione, continuando a stringere tra le mani il suo cellulare.
«Non… non stai bene?» chiese il piccolino, preoccupato nel vederla in quello stato.
«No, piccolino...»
Solo allora lei si voltò e, di colpo, lo strinse forte a sé. Yuzo fece in tempo a vedere che sua madre aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate, come se avesse pianto per molto tempo.
«Mamma… ho combinato qualche guaio?» chiese, pensando che fosse lui il motivo della sua tristezza. «Sei arrabbiata con me? Mi dispiace tanto, mamma...»
«Tranquillo, piccolo mio… non è colpa tua...»
Dagli occhi di sua madre tornarono a scorrere le lacrime. Singhiozzò e continuò ad abbracciarlo, sussurrandogli:
«Non so proprio come dirtelo… ma mi dispiace così tanto!»

Quando udì quella notizia, a Yuzo mancò l’aria.
In quel momento, sembrò che il mondo intero gli stesse crollando addosso.





«Non vuole entrare, vero?»
«Sì. Da quando siamo tornati, si è seduto di fronte al suo pallone. È rimasto lì a fissarlo, senza prenderlo in mano: è come se avesse perso tutte le sue energie...»
Il dialogo tra i genitori di Yuzo, solitamente allegro e quasi interminabile, quel giorno si ridusse a quelle poche frasi.
Il padre era rientrato da poco dal lavoro, ma aveva subito avvertito la triste atmosfera che c’era in quella casa. D’altronde, anche la sua adorata moglie era distrutta: andare ad un funerale e vedere la sua vicina, una persona anche lei cordiale e solare, piangere disperata per la prematura scomparsa dell'unico figlio, di certo non era stato piacevole.
E, il pensiero che una tragedia del genere sarebbe potuta accadere anche a loro, gli raggelò il sangue. Anche il bambino dei vicini sembrava essere in perfetta salute, proprio come il loro Yuzo; tuttavia, la situazione era precipitata nel giro di così poco tempo e, in un attimo, i suoi genitori lo avevano portato urgentemente all'ospedale, pensando inizialmente che si trattasse solo di una forte influenza.
La sera della prima telefonata, infatti, mentre la loro vicina aveva raccontato a sua moglie tutta la verità, viceversa quel bambino aveva mentito al loro figlio. Nonostante la sua giovane età, fino alla fine era riuscito a nascondere tutto al suo amichetto, per evitare che - almeno lui - soffrisse per la sua terribile situazione.
E anche sua moglie aveva compiuto uno sforzo quasi titanico, fingendo che tutto andasse bene. Un po’ perché anche lei, proprio come Yuzo, non si arrendeva mai e sperava in un miracolo; un po’ perché non voleva che suo figlio si rattristasse fin da subito.
Purtroppo, però, alla fine nessuno di loro era riuscito ad evitare che suo figlio venisse ben presto a conoscenza di tutta la verità… con la stessa notizia della scomparsa di quel bambino.
L'uomo si affacciò dalla finestra del soggiorno e diede un’occhiata al cortile: il loro piccolo, proprio come aveva detto sua moglie, sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi ancora gonfi per il pianto; non si muoveva per niente, tranne quando si asciugava le lacrime che non smettevano di scendere lungo le sue guance rosse.
Era pur sempre vero che, in un’atmosfera del genere, loro gli avevano insegnato a non fare mai baccano nel rispetto di chi non c’era più e dei suoi familiari; tuttavia...
… non è da lui!
«Vado fuori,» disse, appoggiando la borsa da lavoro su una delle sedie del soggiorno.
«Caro!»
Sua moglie gli si avvicinò e, asciugandosi le lacrime, gli disse: «Per favore, solo tu puoi convincerlo...»
«A fare cosa?» le chiese. «A rientrare in casa? Tranquilla, non penso che nostro figlio avrà voglia di restare fuori tutta la notte; vedrai che rientrerà non appena inizierà a sentire freddo.»
Lei scosse la testa. «Vedi, so che è un brutto momento per lui, e forse parla di cose che non pensa davvero, però quando gli ho chiesto se volesse andare al campetto per sfogarsi, mi ha risposto… mi ha risposto che non vuole più giocare a calcio… perché non vuole più continuare senza il suo amico!»
Suo marito le poggiò le mani sulle spalle e, cercando di restare sereno, le disse:
«Ci penso io, non ti preoccupare. Vedrai, è solo un momento.»

Così egli raggiunse suo figlio, che in quel momento continuava a fissare il pallone che era di fronte a lui. In quel momento non stava più piangendo, né singhiozzando: era come se avesse perso le energie per farlo.
«Yuzo...»
Nel vedere che il piccolo non reagiva nemmeno al suo dolce richiamo, il suo papà decise di sedersi al suo fianco, cercando di consolarlo in qualche modo: all’inizio lo fece in modo silenzioso, solo con la sua presenza. Poi lo strinse a sé e, solo allora, il piccino ebbe un sussulto; Yuzo si voltò verso suo padre e lo abbracciò forte.
«Papà… perché...» sussurrò, mentre dai suoi occhi tornò a scendere qualche lacrima.
«Non lo so...» rispose lui, guardando il pallone che giaceva abbandonato. «Però… però noi siamo ancora qui, e dobbiamo farci forza...»
Entrambi restarono in silenzio, e si lasciarono cullare dal calore di quell’abbraccio. Poi, ad un tratto, suo padre riprese a parlare.
«Ti prego...» gli sussurrò, stringendolo di più a sé. «Prendi quel pallone, e torniamo dentro. La mamma ci sta aspettando...»
«No, papà...»
La risposta di suo figlio lo colse di sorpresa.
«Non lo voglio prendere...» aggiunse il piccolo, per poi esplodere di rabbia tra le lacrime. «E non voglio più giocare a pallone! Lui me l’aveva promesso: mi aveva promesso che sarebbe tornato a casa e che avremmo continuato a giocare, insieme! Però… però mi ha detto una bugia… e alla fine mi ha lasciato da solo!»
L’altro sgranò gli occhi, e cercò di far ragionare suo figlio.
«Ascoltami, Yuzo...»
Ma il piccolo scosse la testa e, continuando a singhiozzare, si scostò. Il genitore non si perse d’animo, si avvicinò a suo figlio e lo prese per le spalle con delicatezza.
«So come ti senti… ma adesso ascoltami.»
E, alzandogli il mento, aggiunse: «Non è così, piccolo mio… lui non ti ha mai detto una bugia. Voleva davvero diventare un grande campione, insieme a te… e so per certo che non voleva mentirti, nemmeno quando ti ha detto che presto sarebbe tornato per allenarsi con te...»
«Non è vero...» rispose il piccino. «Non è vero, mi ha detto una bugia… perché sapeva che non sarebbe più tornato!»
«Ascoltami… per favore.»
Suo padre rivolse lo sguardo verso il cielo, che in quel momento stava riflettendo i colori del tramonto.
«Ieri sera, dopo che ti sei addormentato, la mamma mi ha raccontato tutto. Fin da quando sono andati via, i nostri vicini le hanno sempre detto che il tuo amichetto non vedeva l’ora di tornare qui, in questo quartiere, per giocare con il suo adorato pallone… ancora una volta insieme a te. Ti era molto legato e, anche quando non stava molto bene, ha chiesto sempre alla mamma come stavi. Non voleva rompere la promessa che ti aveva fatto: anche lui, proprio come te, voleva continuare ad allenarsi per diventare un campione nel calcio. Ed è proprio per questo che non devi arrenderti...»
Si interruppe, per poi tornare a guardare il suo amato figliolo negli occhi. «… perché anche lui non l’avrebbe mai fatto. Avete fatto una promessa, e ora tocca a te mantenerla. Non smettere mai di giocare: continua ad allenarti… e diventa un bravo calciatore!»
«Ma io...»
Suo padre prese il pallone e lo porse a suo figlio.
«Ascoltami, Yuzo: tu non sarai mai solo. Ti è sempre piaciuto giocare a pallone, e questo ti ha portato ad avere un amico che lo ha amato come tu hai sempre fatto. Tra poco andrai a scuola… e anche lì sarà lo stesso: avrai nuovi amici, e nuovi compagni con i quali giocherai tutti i giorni. Perciò… perciò non smettere mai di giocare a calcio, se lo vorrai ancora. Io e la mamma faremo sempre il tifo per te, e così… e così anche il tuo amichetto, ne sono certo!»
Yuzo fissò il pallone che il papà aveva ancora tra le mani. All'inizio non rispose nulla; poi, in silenzio, lo prese e lo lanciò con tutte le sue forze verso l’alto.
«Va bene, papà. Lo prometto: mi impegnerò tanto e un giorno… sarò un bravo calciatore…»
Il piccino non distolse mai lo sguardo dal pallone che, arrivato molto in alto, velocemente ricadde al suolo con un sonoro tonfo. Mentre qualche lacrima continuava a rigare le sue guance, rivolse gli occhi lucidi verso la casa del suo amico.
In quel momento gli tornò in mente il suo sorriso nel giorno in cui lo aveva conosciuto e di quel grande sogno che gli aveva confidato, che era anche il suo: continuare a giocare a pallone, e diventare un campione come i loro idoli del calcio.
Anche se, da quel giorno, non l’avrebbe più rivisto... quel sorriso così vivace lo avrebbe silenziosamente accompagnato per il resto della sua vita, nei suoi ricordi.

E lo farò anche per te… lo giuro!





[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ben ritrovati a tutti coloro che sono giunti fin qui. E… ebbene sì: qui l’atmosfera è decisamente cambiata rispetto alla storia precedente, già. (E non sono ancora sicura di essere riuscita a renderla alla perfezione… gasp. ^^")
Sul testo faccio subito una precisazione: essendo collegato al capitolo precedente (perché passa solo qualche mese tra le due storie), invece qui siamo agli inizi dell'autunno. Nonostante ciò, nell'immagine di testa ho inserito un'immagine della fioritura dei ciliegi che, come tutti ben sanno, cade invece nel periodo primaverile. L'ho fatto solo perché ho trovato quell'immagine significativa per descrivere l'ambiente nel quale ha luogo questo piccolo gruppo di storie, tutto qui!
Premetto che, nonostante io mi stia appassionando a questa serie, io e il calcio viviamo due mondi diversi, perciò vi chiedo scusa se da qui in poi emergeranno diverse “imprecisioni” relative agli allenamenti e al mondo del calcio in generale.
Mi ricordo che quando ero piccola mi divertivo a lanciare il pallone contro la parete dell’abitazione dei miei nonni (che vivevano in un piccolo paese fuori città), per poi riprenderlo proprio con le mani: la direzione della palla era sempre improvvisa, per cui nel mio caso era un ottimo esercizio per allenare i riflessi. Nel mio caso lo facevo per esercitarmi con il palleggio nella pallavolo - anche se non ho mai giocato a livello agonistico - quindi ho pensato di applicare lo stesso principio in questa storia, anche nel caso di un “aspirante portiere” come il nostro protagonista.
Tornando al contenuto di questa seconda parte - che, come avete notato, è molto lunga - al momento ho preferito non dare un nome e un volto ben definito al coprotagonista della fanfiction, il piccolo vicino di casa di Yuzo. L’ho fatto anche per la sua storia che, come avete visto, purtroppo non finisce bene.
Vi confesso che in realtà questa storia è nata da un analogo episodio di cui ho sentito parlare quando ero piccola… Non ero ancora nata quando è successo, e l’argomento del calcio non c’entrava niente; però tale storia mi è sempre rimasta impressa, e prima o poi volevo farne accenno in qualche mio lavoro.
Dunque, quando ho deciso di mettere mani a questa seconda parte, ci tenevo a partire da qui per sviluppare un rapporto d’amicizia che, purtroppo, si è interrotto in modo tragico. Un rapporto che, però, continuerà ad esistere nel cuore del protagonista e che lo spronerà ancora di più ad allenarsi per diventare sempre più bravo, nel ricordo di chi non c’è più.
“Got to keep dancing when the lights go out”, cioè “Dobbiamo continuare a ballare quando si spengono le luci”. Nonostante tutte le difficoltà che incontriamo ogni giorno bisogna andare avanti sforzandoci di sorridere, sempre.
Detto questo, dalla prossima parte in poi si ritornerà con qualche sorriso in più… e meno da leggere! In effetti questa parte è stata piuttosto lunga e intensa, ma non me la sono sentita di dividerla ulteriormente in due sezioni… ^^”
Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto la precedente storia e lasciato un commento. Essendo questa la mia prima pubblicazione in assoluto a tema Captain Tsubasa, sono contenta che come primo tentativo sia andato bene! Vi ringrazio davvero tanto per il supporto <3
Ci vediamo al prossimo aggiornamento!
--- Moriko
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Moriko_