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Autore: Moonfire2394    20/03/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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Capitolo 12.1 – Al cinema

La sala era piena di ricche famiglie londinesi dell’alta borghesia. Il fascio luminoso sprizzato dalla cinepresa, proiettava un fotogramma dopo l’altro ticchettando allo scorrere veloce della pellicola. Non era affatto come guardare un programma alla televisione. L’immagine era grande quanto tutta la parete, era come se potessi entrarci dentro e ballare insieme ai protagonisti, come se potessi toccarli allungando una mano. La scena aveva monopolizzato il mio interesse e così mi accomodai nelle ultime file, vicino a un uomo solitario, col cappello, che profumava disgustosamente di acqua di colonia. Solo dopo notai Lui, il vampiro. Sedeva nella poltrona davanti alla mia. Da lì avrei potuto tenere sott’occhio la mia preda.
Era molto furbo, circondandosi di tutta quella gente, non sarebbe stato facile coglierlo di sorpresa. A giudicare dall’aspetto, doveva essere un osso duro, uno di quei vampiri di marmo. Forse non avevo abbastanza verbena con me da poterlo rendere vulnerabile ma non me lo sarei lasciata scappare. Era molto carino, mi dispiaceva decapitargli quel bel faccino. Niente di personale, avrebbe trovato posto in uno dei miei gloriosi piedistalli.
Rise sommessamente. Che cosa c’era di così divertente?
Avvicinai la mia bocca al suo orecchio e gli domandai: “Perché non mi hai attaccato prima? Cosa vuoi da me?”.
“Niente” – rispose infastidito.
“Come hai fatto a resistere al richiamo del sangue?”
“Il tuo sangue non ha alcun odore e probabilmente non avrà nemmeno un buon sapore”.
Quelle parole mi offesero e m’innervosirono più del dovuto. Edna squittì rabbiosa come me.
“Non piaccio alla tua amichetta”
Poteva sentire Edna? Pensavo che io e Gab fossimo gli unici in grado di farlo.
“Ma come…”.
Il giovane sibilò, con le labbra a beccuccio e poggiandovi l’indice sopra.
“Sta a guardare. Questa è una delle scene più importanti del musical”.
Guardai lo schermo. Don Lockwood, il protagonista, uscì fuori sotto la pioggia, assaporando le gocce d’acqua sul palmo della sua mano, l’ombrello era diventato soltanto un insulso oggetto di scena. Non gli importava di rovinare i suoi vestiti eleganti, sorrideva estasiato al cielo grigio di Hollywood.
Inizialmente pensai che fosse stupido, poi lo invidiai. Era un uomo innamorato e sorrideva all’idea dell’amore. Era libero di scegliere di farsi una passeggiata e beccarsi un bel raffreddore piuttosto che viaggiare comodamente nel caldo abitacolo di un’auto. Libero dagli sguardi della gente che lo osservava esterrefatta cantare nel bel mezzo di un temporale.
« What a glorious feeling, I’m happy again. I'm laughing at clouds so dark up above.The sun's in my heart and I'm ready for love » - canticchiava allegro mentre con uno slancio aggraziato si arrampicava sul lampione.   
Il vampiro faceva il coro all’attore.
Rimasi confusa dal suo entusiasmo. Mi aveva contagiato con la sua stravagante interpretazione della canzone, avevo quasi dimenticato che ero lì per ucciderlo.
“E’ una delle performance più strabilianti di Gene Kelly, non trovi anche tu? Che ballerino eccelso, la sua energia è impareggiabile. Questo é soltanto uno dei suoi più fenomenali capolavori. Hai già visto Un americano a Parigi?”.
“Perché hai comprato quel biglietto?” – gli chiesi diretta.
“Perché, mi chiedi, eh ragazzina? E’ il minimo che possa fare per te”.
“Non ha alcun senso ciò che dici”
“Volevo che anche tu sapessi cosa si provasse. Lo desideravi. E’ già molto grave che tu non abbia mai messo piede dentro a un cinema e ancor di più che non tu abbia mai visto un musical di Kelly”.
“E tu cosa ne sai?”
Si limitò a fare spallucce.
Ormai non avevo più alcun dubbio: era un anomalo, dovevo prestare molta attenzione. Vuoi giocare a fare l’umano? Lo sfidai nella mia testa. Giochiamo.
“La trama non ha molto senso ma…Credo che questo spettacolo sia la forma più espressiva della gioia di vivere che abbia mai visto”.
“Non potrei essere più d’accordo con te, eppure non riesco a comprendere a pieno la sua felicità. Kelly é un rivoluzionario, un luminare di questo genere. Evade dagli schemi di una società ingessata, impiantata al solo scopo di far carriera e soffocata dallo stereotipato attore del cinema muto che non conosce nemmeno lontanamente cos’é l’umorismo. Ci insegna a trovare la felicità anche nei più piccoli gesti della vita quotidiana, riesce a sorridere anche sotto la pioggia. Ma cosa lo spinge?”.
Lasciai che la sua mente vagasse alla ricerca di una risposta che lo soddisfacesse e ci godemmo il resto del film ridendo sporadicamente a qualche battuta o qualche episodio esilarante.
Poi, improvvisamente, il suo umore si fece nero. Non aveva più voglia di commentare il film con me. Mi guardai attorno senza riuscire a capire cosa lo avesse impensierito. Lo sentì ringhiare cupamente quando una bella donna, involtata in una pelliccia rosa, si avviò concitata verso l’uscita del cinema. Infilai presto la mano dentro lo stivale, tirai fuori il pugnale avvelenato con la verbena liquida e glielo puntai alla gola bloccandolo da dietro. Edna diventò ancora più nervosa e cominciò a rosicarmi la tasca.
“Non muovere un muscolo o ti decapito qui seduta stante”.
“I suoi pensieri sono disgustosi” – sputò impetuoso.
“Di cosa stai parlando?”
“Non è ancora giunto il momento, non è qui che mi ucciderai. Tu non capisci, lei è in pericolo”.
“Capisco e come. Non ti azzardare a fare un altro passo falso”.
“Guarda quell’uomo laggiù” – disse con la voce strozzata.
L’urgenza nel suo tono mi costrinse a voltarmi. L’uomo che aveva notato prima, seduto nella mia stessa fila qualche poltrona più avanti, armeggiava sbrigativo con la cintura del suo pantalone.
Si coprì col cappotto, guardò a destra e a sinistra circospetto e si alzò dalla poltrona in tutta fretta, abbandonando anche lui la sala.
“Ti prego lasciami, prima che sia troppo tardi”.
“Cos’è? Farai tardi per la cena? E’ maleducato da parte tua non finire il film…”.
“Scusami, non mi lasci altra scelta. Mi troverai nel vicolo più buio di King’s road, sotto l’insegna lampeggiante sul retro di un vecchio bar”.
“Come scusa?”
“Aiutatemi vi prego! Aiuto, aiuto! Ha un coltello” – disse ad alta voce. Rimasi sbigottita e non feci in tempo a nasconderlo.
Tutte le teste presenti in sala scattarono in direzione della disperata richiesta d’aiuto di quel vampiro.
Si accesero le luci e cominciarono le urla di terrore alla vista del mio pugnale puntato sulla gola del ragazzo.
Il vampiro si allontanò da me in soffio, dietro di sé la scia del suo dolce profumo tracciò la mappa per raggiungerlo ma non ebbi il tempo per seguirla. Fuggì in mezzo alla folla inferocita che mi additava come assassina. Quando seminai i due uomini della polizia, avevo perso di vista il ragazzo dalla bronzea chioma setosa.
Ero nel panico, non sapevo se avere fede nelle sue parole, ma era la mia unica pista. Scaraventai per aria quella cricetina bisbetica di Edna dalla mia tasca mentre le spuntavano le piume sul dorso dal cinereo manto e andai a cercarlo.
Il vicolo era deserto. Le lampade dell’insegna lampeggiavano pietosamente a intermittenza, indicando che, oltre quella porta, vi era l’ingresso per il paese dei balocchi degli alcolici scadenti, pronto ad accogliere i più patetici beoni della città.
Cosa mi aspettavo? Mi sentì così stupida e ingenua, come avevo potuto lasciarmelo scappare da sotto il naso.
Se non fosse stato per quel lesto trapestio di tacchi, non sarei rimasta un minuto di più in quell’angusto e lugubre angiporto da incubo.
Riconobbi subito quella pacchiana pelliccia rosa, i suoi lunghi guanti a gomito bianchi, la sua acconciatura fresca di parrucchiere. Mi mimetizzai fra le ombre degli edifici e divenni l’apatica spettatrice di quella scena da film dell’orrore.
Il mascara le era colato sulle guance, i gemiti soffocati e inconsolabili della donna le impedivano di gridare aiuto. Riuscivo a sentire quella zaffata insopportabile di acqua di colonia anche da quella distanza. L’uomo del cinema l’aveva presa per il collo e aveva cominciato a denudarla, strappandole il vestito. Alcune perle della sua collana avevano saltellato giocosamente fino ai miei stivali. Conobbi solo allora quanto putrida poteva diventare l’anima di un uomo. Desiderai fortemente la sua morte ma il mio codice morale da protettore me lo impediva. Avremmo protetto indistintamente tutti gli umani da esseri sovrannaturali, senza mai interferire nelle loro faccende, imparziali e impassibili, perché la nostra forza era superiore alla loro. Quello però, non era affatto un uomo: era una bestia, della più brutta specie, ancor più di qualsiasi lupo mannaro o vampiro. Non potevo lasciare che quelle sordide e ipocrite leggi del mio popolo avessero la meglio sul mio senso dell’onore, su ciò che il mio spirito ritenesse giusto. Nel momento in cui decisi che le sue ceneri avrebbero insozzato l’aria che respirava quella povera donna, come giusta punizione per le azioni di quel mostro, il vampiro comparve dal nulla alle sue spalle, con sguardo folle e tempestoso. Gli spezzò le gambe e lo lasciò in ginocchio, boccheggiante per il dolore.
“Corri via di qui, non ti farà più del male” - ringhiò alla ragazza mezza nuda e impaurita.
Le sue parole mi colpirono come una frusta, anche se non erano rivolte a me. Quanta violenza e ingiustificata crudeltà stava infierendo alla sua vera natura? Non aveva senso: perché stava rinnegando se stesso per una semplice umana? Quanto gli era costato pronunciare quella frase in preda all'inestinguibile sete che gli ardeva dentro gola?Non hanno un’anima, sono le creature più spietate della terra e bramano una sola cosa e farebbero di tutto per ottenerla: il sangue. Era questo il caposaldo del mio credo; ma non era ciò che vedevo.
Per quale motivo il mio castello di certezze stava crollando, pezzo dopo pezzo, ed io rimanevo schiacciata dalle sue macerie?
“Grazie” – continuava a ripetere la donna al suo eroe, fra le lacrime, mentre si lasciava alle spalle il brutto ricordo di quelle luride mani empie.
Un eroe. Stavo davvero delirando.
Il vampiro la seguì con lo sguardo finché non voltò l’angolo, poi si abbandonò ai suoi istinti e squarciò la pelle dell’uomo che aveva in pugno, dissetandosi col suo sangue.
“Lascialo andare, ripugnante creatura”.
Il vampiro trangugiò l’ultimo sorso di plasma e mollò la presa sulla sua giacca. Il suo cappello cavalcò un refolo di vento, abbandonando il suo proprietario che stramazzò sul marciapiede con un tonfo sordo, come se fosse una scatola vuota.
Gli angoli della sua bocca erano ancora sporchi del suo sangue.
“Volevo che le cose andassero esattamente per il verso giusto, senza interferire con il mutevole volere del destino…” – disse sommessamente.
“Allontanati da lui e vieni sotto la luce, lentamente. Sta volta non mi scapperai”.
Ascoltai il suono legnoso delle sue suole calpestare garbatamente il cemento. Rimasi accecata dall’intenso riverbero che la sua pelle diafana generava quando colpita dal fascio luminoso del lampione. Brillava di luce propria, come un diamante dalle mille sfaccettature. Nessun occhio umano avrebbe potuto percepire quell’esplosione di luce. Ad esclusione del mio, io riuscivo a vederlo per ciò che era: la pelle di un bevitore di sangue. Si pulì col pollice osservando con rammarico la macchia scarlatta.
“E così sei tu. Finalmente é arrivata. Colei che mi risparmierà altro dolore, che dissolverà le mie atroci sofferenze, che metterà fine a questa ributtante vita da demone.
Lei sapeva già del tuo arrivo…”.
“Che cosa stai farfugliando? La tua epopea su quanto la tua vita faccia schifo non susciterà pietà in me. Dovresti darci un taglio con questa patetica autocommiserazione”.
“Questa è la mia vita dopo la morte, il mio inferno personale, imprigionato in questo corpo che mi disgusta. Almeno vorrei guardare negli occhi colei che mi elargirà finalmente la pace eterna cui anelo da sempre e ringraziarla”.
“Mi stai prendendo in giro? Avevo intenzione di farla finita in fretta ma sei davvero irritante, credo che ti lascerò morire molto lentamente”.
“Sento bruciare il tuo odio così intensamente. Sento urlare la tua vendetta nella mia testa. Non dovrai più soffrire, io sono la risposta a tutte le tue domande, i nostri bisogni sono corrisposti. Uccidimi e troverai anche tu quello che cerchi” – disse col viso in agonia.
Lo raggiunsi dentro l’abbagliante cerchio che metteva  a nudo la sua beltà e ci guardammo negli occhi. Il mio algido sguardo dentro le sue iridi, non più nere ma calde e rosse come la sabbia del deserto.
“Come osi interpretare i sentimenti di una sconosciuta? Tu non sai nulla di me, non fingere di conoscere ciò che provo. Con me i tuoi giochetti ammaliatori non funzionano. Non tergiversare, stai solo perdendo il tuo tempo”.
Le kopis gli baciarono la gola perlacea senza penetrare la sua pelle tempestata di diamanti.
I suoi occhi scarlatti mi parlavano senza mentirmi. Mi sentii pervadere da un irrazionale timore. Non perché avessi di fronte il predatore più pericoloso del mondo ma per come mi leggesse perfettamente la mente. Temevo che tirasse fuori tutto quello che avevo dentro, che sguinzagliasse i fantasmi del mio passato, che pronunciasse ad alta voce i loro nomi, nomi che sarebbero dovuti restare prigionieri dell’oblio per sempre.
“Non è un favore ciò che ti concederò. Ti scardinerò la testa dal collo perché giustizia sia fatta. Hai ucciso quell’uomo, poco importa se non meritasse un solo respiro di più. E’ sbagliato”.
“Hai ragione, i crimini di un uomo non legittimano la sua condanna a morte” – concordò con me.
“Sono reo tanto quanto lui. Non avevo il diritto di bere il suo putrido sangue da stupratore”.
“Fallo, ti prego. Strappami via da questa inutile esistenza se ne sei capace”- mi supplicò prostrandosi in ginocchio.
“Ti prego uccidimi”
Le sue parole mi raggelarono il sangue. Aleggiavano ridondanti nella mia mente: Uccidimi, Uccidimi – mi pregava la voce di una donna.
“Ma prima, tu o Dea della morte che vesti le umili spoglie di una mortale dalla bellezza angelica, rivelami il tuo nome” – recitò delirante i versi di una poesia che non conoscevo.
M’incantò la sua voce sonora e gentile.
 Cosa mi prendeva? Non dovevo perdere di vista il mio obiettivo. Era lui il mio nemico.
Anche sul punto di morire aveva deciso di farmi saltare i nervi a fior di pelle.
“Io non sono una dea, non c’è nulla di divino in me…” – gli risposi adirata.
“Leona…”.
La ferrea impugnatura sulle mie daghe glaciali vacillò e feci un passo indietro. No, scossi la testa, non stava accadendo veramente.
“Come diavolo fai a sapere...?”
“Hai paura” – affermò preoccupato come se si fosse dimenticato di qualcosa di fondamentale importanza.
“Il tuo respiro, i battiti del tuo cuore stanno accelerando, le tue pupille sono dilatate”.
“Sei un mostro” – lo condannai.
“Sì, lo sono” – disse e mi turbò con la sua risata argetina.
“Lo pensi davvero?” – mi chiese nonostante fosse palese che conoscesse già la risposta.
Non potevo ignorare il fatto che fosse venuto in soccorso di quella ragazza, che quell’uomo, giacente esangue ai miei piedi, fosse la feccia più ripugnante sulla faccia della terra e come i suoi pensieri fossero lerci e sacrileghi. Probabilmente desiderava ardentemente il sangue della ragazza con la pelliccia rosa, con tutto se stesso, e anche se colto dalla frenesia, era riuscito a soffocare il suo istinto più primordiale. Più lo guardavo, più mi rendevo conto che fosse molto lontano dall’essere un mostro. Era ammirazione quella che provavo nei suoi confronti?
E se mi stesse solo facendo il lavaggio del cervello per farmi abbassare la guardia? Quel bastardo non l’avrebbe fatta franca.
“Poco importa ciò penso. Non ho altra scelta. E’ il mio destino, uccidere tutti i vampiri che incontrerò sulla mia strada. Ho giurato di difendere gli esseri umani e non mi sottrarrò al mio dovere. Io devo farlo” – dissi provando a intonare tutta la convinzione di cui fossi capace ma mi tremò la voce.
“Chi lo ha stabilito? Il futuro può sempre cambiare” – mi ammonì, severo come un padre.
“Non il mio” – insistetti.
“Hai fatto ciò che dovevi” – disse tutto a un tratto. Fra le sue palpebre non restarono che delle fessure, era come se cercasse di trattenere lacrime che non sarebbero mai arrivate.
“Cosa?” – domandai dubbiosa.
“Tu non hai colpe”
Sollevai lo sguardo su di lui e seppi, non so come, che vedeva le stesse immagini che scorrevano davanti ai miei occhi. Osservava, insieme a me, l’uomo incappucciato fuggire dalla finestra dopo aver bevuto il sangue della mamma, l’inconfondibile elsa di Symphony abbattersi furiosa sulla testa di Sam, gli occhi di ghiaccio di mio padre incupirsi fino all’opacità, il suo corpo accasciarsi fra le braccia della ragazza dai capelli d’argento, le mie mani raccogliere Symphony da terra, mia madre agonizzante su un pavimento ricoperto di sangue. E sussurrava qualcosa…
“Scusa” – alitò distrutto.
“Sta zitto! Esci fuori dalla mia testa!” – strillai con tutto il fiato che avevo in gola.
Non sopportai quell’immorale comprensione, la compassione, la tristezza che lessi dentro i suoi occhi da assassino. Mi stava giustificando? Quel dolore mi apparteneva, era solo mio. Non aveva il diritto di profanare quel vortice maledetto di ricordi che custodivo gelosamente nell’angolo più remoto e protetto della mia mente. Nessuno avrebbe dovuto vedere il vero colore della mia anima.
La mia ira lo travolse come un uragano.
Le mie lame bramavano la sua testa.
 
   
 
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