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Autore: BabaYagaIsBack    20/03/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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5. Subverting this World

A strappare i due fratelli da quel momento di inopportuna intimità fu Killian che, bussando sulla porta già spalancata, fece notare la sua presenza lì.
Aralyn si sentì impietrire quando i suoi occhi nero pece le calarono addosso, avvertì il cuore bloccarlesi in gola e il sangue ghiacciare nelle vene. Riuscì senza fatica a scorgere nell'espressione di lui severità e dissenso per ciò che doveva aver visto, ma non parve voler esprimersi sulla questione - o quantomeno non ne ebbe tempo.
L'albino gli saltò al collo, compiendo un gesto così spontaneo che la sorella non riuscì a credere si trattasse dello stesso licantropo con cui aveva convissuto per quasi ventitré anni. Dove era tutta la sua compostezza? E quel distacco con cui si era sempre approcciato a qualsiasi persona che non fosse lei o Garrel?

L'incredulità la lasciò priva di pensieri logici con cui spiegare quella reazione, abbandonandola in un semplice stato di contemplazione. Persino il bruno parve non essere preparato a una simile evenienza, infatti la sua espressione cambiò totalmente e, con una certa preoccupazione, si rivolse a lei in ovvia ricerca d'aiuto.

«L'hai salvata!» sentì dire a suo fratello a ridosso della spalla dell'altro: «Grazie ad Arianrhod hai le mani d'oro!» continuò.

Allora era per merito suo se non era morta e si trovava lì, constatò Aralyn. Era stato lui a impedirle, seppur in parte, di raggiungere le Lande Selvagge. Beh, dopotutto a chi si sarebbe potuto rivolgere, Arwen, se non a lui? Era stato al loro fianco in qualsiasi momento tragico e, a quanto pareva, anche la sua quasi dipartita era stata abbastanza reale e terribile da convincere suo fratello a chiamare quel numero che, sin dall'infanzia, le era stato detto di non contattare mai - se non in caso di estrema necessità.

Killian, visibilmente a disagio, picchiettò una delle mani sulla schiena dell'albino e, poi, cercò di divincolarsi: «Ringrazio la Madre Luna di tante cose, ma più che per le mie mani, per non avermi portato via anche voi». Finalmente riuscì a sfuggire alla presa dell'Alpha, scivolando silenzioso verso il letto - e più si avvicinava, più Aralyn si sentiva mancare l'aria nei polmoni. Qualcuno avrebbe potuto dire che fosse bello, anzi, quasi certamente al di fuori di lei le donne lo avrebbero pensato, ma sin da quando ne aveva memoria, la ragazza ricordava di averlo temuto. La sua presenza la metteva in soggezione, così austera, oscura e... stanca, eppure non si poteva dire che ora lo temesse come allora.

Sapeva che era buono, leale e loro amico - se non l'unica sottospecie di figura familiare che era loro rimasta -, ma nonostante ciò non era mai riuscita a dargli la confidenza che invece gli riservava il fratello. Arwen lo aveva conosciuto più di quanto avesse mai fatto lei e nei suoi racconti, quel tipo, era dipinto quasi al pari di uno zio; cosa che la giovane non seppe dire se condividesse o meno.

Le dita di lui le si premettero con dolcezza sulla fronte, controllandone la temperatura. I lunghissimi capelli scuri le sfiorarono le braccia, solleticandole la pelle e, inevitabilmente, facendola sussultare.

Il licantropo le sorrise, forse per la prima volta, cercando di rassicurarla: «Hai fame?» le chiese, senza staccare lo sguardo dal suo viso.

Aralyn si sentiva imbarazzata, ma più che per il fatto che avesse visto lei e il fratello baciarsi, per la vicinanza tra i loro corpi e quel contatto. Killian era concreto, reale, non lo spirito che aveva sempre creduto essere.

Annuì mestamente: «Poco, però».
«Quanto non m'importa, il semplice fatto che il tuo stomaco reclami cibo è positivo» i polpastrelli di lui si staccarono e con un lieve movimento del capo si volse verso l'altro uomo: «Prepareresti del tè al bergamotto? Due tazze, grazie. Inoltre, nella mensola accanto alla cappa trovi dei biscotti. Prendi anche quelli».

Il buonumore di Arwen si dissolse un poco, mostrando la confusione che lo colse alla fine di quella richiesta del tutto denigrante e inaspettata - poi mosse qualche passo in avanti con un'autorevolezza inappropriata: «Vorrei restare». Il suo tono deciso vibrò nell'aria, ma l'altro parve non venir affatto turbato da quella specie di velata imperiosità. Il bruno non era al servizio dell'albino, così come aveva rifiutato qualsiasi altro Signore e, da Solitario quale era, non avrebbe lasciato che l'influsso di un Alpha lo mettesse in ginocchio, soprattutto in casa propria. Così strinse le braccia al petto, guardando il ragazzo di fronte a sé dritto negli occhi.

«Ciò che vuoi tu, ora, non è ciò di cui ha bisogno lei, mac» sibilò.
«L'ho quasi persa, Kil! Lasciami starle accanto almeno qualche ora» e nuovamente Aralyn si ritrovò sorpresa: aveva udito bene? Suo fratello si stava davvero lamentando come un bambino capriccioso?
Al cospetto di quello scambio alquanto surreale, la lupa non riuscì a trattenere le risa, anche se presto la gioia si trasformò in colpi di tosse e guaiti doloranti - persino contrarre quelle sottospecie di addominali che si ritrovava era fonte di dolore!

Entrambi i licantropi presenti con lei si volsero nella sua direzione, piegandosi poi sull'alcova di lana e piuma d'oca in cui era costretta.
Il padrone di casa non fece alcun tipo di complimento e, con un gesto brusco, le tolse di dosso parte delle coperte che le celavano le gambe, svelando un corpo che nemmeno lei si sarebbe aspettata di trovare nudo. Fu un momento, un brevissimo lasso in cui Aralyn credette che il tempo si fermasse. L'imbarazzo fu totale, sentì persino la punta delle proprie orecchie diventare rosse e bollenti, così, in un gesto istintivo e senza rendersi conto di quali sarebbero potute essere le conseguenze, tirò la maglia che aveva indosso quanto più possibile.

Doveva assolutamente coprirsi - e non perché nessuno doveva vederla svestita, dopotutto essere un lupo mannaro voleva dire girare nudi per buona parte della propria esistenza, quanto più perché improvvisamente si sentì gelosa del proprio corpo. Gli occhi di quei due le parvero voler violare qualcosa che non gli era concesso - anche perché l'ultimo sguardo che aveva sentito su di sé, giusto prima della perdita di conoscenza, era anche l'unico a cui si sentiva appartenere.

E poi c'era Arwen. Suo fratello, l'Alpha, l'uomo di cui era stata innamorata per anni, che aveva tradito e che ora avrebbe dovuto nuovamente ingraziarsi per riuscire a sopravvivere a Joseph.

Era a lui che non voleva mostrarsi, a lui che voleva nascondersi ancora per un po', almeno fino al momento in cui la carne non avesse dimenticato le sensazioni datale da quel Puro.

Così la giovane strinse i denti e versò lacrime tanto amare da sembrar veleno, ma non mollò la presa, anche se il dolore tentò di strapparla nuovamente dal mondo della veglia.

Killian agitò le mani, tentando di farle riprendere una postura più consona, ma al secondo tentativo fallito, si protese verso l'altro: «Niente tè, prendi le cose che ho lasciato in fondo al corridoio» ordinò poi, forse intuendo qualcosa.
L'albino non se lo fece ripetere due volte. Sgattaiolò fuori dalla camera quanto più velocemente gli riuscì e, appena fu fuori, Aralyn lanciò un'occhiata di gratitudine verso il suo salvatore - ora, anche se non lo avesse capito prima, sarebbe stato impossibile non ricollegare la presenza dell'Alpha a quella reazione sconsiderata. Così, quando si iniziarono a sentire i passi di ritorno dell'uomo, il padrone di casa si fece trovare sulla soglia della camera da letto e, lì, lo placcò. Gli tolse di mano tutto ciò che stava reggendo e, forse con un lieve sorriso, inviò Arwen a non entrare: «Ora, la tisana al bergamotto» disse, quasi a mo di saluto.

«Come?»
«Se prima dubitavo che la ferita si fosse aperta, adesso ne ho quasi la certezza, quindi mi serve poter visitare tua sorella in santa pace, okay? Nel mentre, aspetto due tazze fumanti e i biscotti, così potrete prendervi un po' di tempo per voi» continuò l'uomo imperterrito e, quando l'altro provò a ribattere, lo bloccò ancor prima che la voce potesse uscirgli dalle labbra. «Non sei nella posizione per obbiettare, quindi ubbidisci don uncail» e così dicendo, gli chiuse la porta in faccia, dividendolo da loro.

***

«Posso farti una domanda?»
Aralyn alzò lo sguardo dai punti di sutura, spostandolo in direzione di Killian. L'uomo se ne stava rivolto verso la finestra e la luce pallida di una giornata uggiosa gli accarezzava il viso, mettendo ancor più in evidenza il suo pallore. A tratti, più che un licantropo, quel tizio sembrava un vampiro, un'entità oscura e malevola a cui pochi avrebbero voluto avvicinarsi - ma era buono, in fin dei conti, solo più schivo di molte altre persone.

Lo vide rimettersi la moltitudine di anelli in acciaio, senza però ricambiare le sue attenzioni.
«Perché hai seguito Arwen in questa follia?» le domandò a bruciapelo, senza lasciarle modo di rispondere al quesito precedente. La sua espressione era seria, non lasciava trapelare nulla; eppure fino a qualche minuto prima, mentre le disinfettava le varie ferite, aveva riso a ogni sua smorfia di dolore, ai guaiti e alle suppliche di far piano: cosa era cambiato, tutto d'un tratto?

La ragazza sentì la bocca riempirsi d'amaro. Conosceva bene la risposta a quella domanda, ma sapeva che non avrebbe potuto svelarla a nessuno per adesso, nemmeno a lui.

Per saldare un debito.
Ma soprattutto per rivederlo. Per proteggerlo. 
Per Joseph.

«E' l'unica famiglia che ho, Killian, farei qualsiasi cosa per lui» nel dirlo si ritrovò a stringere i pugni sull'orlo della maglia. Già, qualsiasi cosa: anche fingere di provare per lui un sentimento ormai morto pur di costringerlo vicino a sé, abbastanza d'aiutarla a tenere insieme i bordi ai lati del vuoto.

Il padrone di casa, sistemandosi una ciocca scura dietro l'orecchio, sospirò: «Arwen ti ama, Aralyn. E' palese, ma tu lo chiami famiglia» i suoi occhi calarono sul letto, colpendola come schiaffi in pieno viso: «Dubito che avrebbe rischiato la tua vita a quel modo solo per un Pugnale, quindi perché lo ha fatto? E perché tu non sei riuscita a farlo rinsavire?»

Lei si morse la lingua. Davvero aveva creduto di fregare un uomo con il triplo dei suoi anni? Anche se l'aspetto lo faceva apparire quasi come un coetaneo di suo fratello, quel licantropo aveva alle spalle più esperienza degli eredi Calhum messi insieme, non doveva pensare di poter sbeffeggiare uno come lui.

«Eppure lo aveva già fatto, in passato» provò a difendersi, sapendo però di aver già perso.

Killian le si mise accanto, stravaccandosi sull'unica sedia nella stanza. L'angolo della sua bocca si alzò: «Potrebbe sembrarlo, non lo nego» disse, mentre i suoi occhi scuri le passavano addosso con un certo divertimento: «Ma se non erro ti ha sempre circondata con i migliori sealgairean  del Clan. Sapeva che saresti tornata, ogni volta» la corsa delle sue pupille su di lei si interruppe una volta giunti al volto, rimanendo così fermi a fissarla.
Un brivido le corse lungo la schiena, riportando alla memoria qualcosa. Si sentì penetrare la carne, oltrepassare le ossa e accarezzare i pensieri, come se quel mannaro potesse leggerle dentro - e per quello che ricordava, solo in un'altra occasione si era sentita tanto vulnerabile.

Quel tizio aveva ragione. Seppur le azioni di Arwen potessero sembrare irresponsabili e stupide di primo acchito, non aveva mai lasciato nulla al caso. C'era sempre un piano b, un perché, un modo per riportarla da a casa - non era diventato Alpha solo per il sangue che gli scorreva nelle vene, la fiducia dei suoi sottoposti se l'era guadagnata.

La ragazza prese a torturarsi il labbro. Gli incisivi premettero sulla carne, senza però affondare mai veramente. Voleva davvero provare a resistergli? Voleva davvero sfidarlo?

Così, ingoiando quel boccone amaro che difficilmente sarebbe riuscita a digerire, sospirò rassegnata: «Vendetta».
«Su chi?»

Aralyn aprì bocca, poi la richiuse. Provò nuovamente a rispondere, ma si scoprì incerta.

Su chi?

Sui Menalcan? Solo in minima parte, perché in fin dei conti i mandanti delle torture che lei aveva dovuto subire erano stati loro.
Su di Joseph, che aveva rubato il Pugnale della Luna e si era preso la sua donna? Quasi certamente buona parte del merito gliela si doveva all'erede di Douglas, tanto furbo nella semplicità del suo piano da averli messi in ginocchio, ma soprattutto d'aver tolto dalle mani di Arwen tutto ciò che lo faceva sentire completo.
Su di lei? La fetta di colpe restanti, in effetti, non poteva essere data ad altri. Lo aveva tradito, sia come sorella, sia come braccio destro e, soprattutto, come sua compagna - sempre se così si sarebbe mai potuta definire, visto il contesto.
Insomma, puntare il dito solo in una direzione era impossibile.

Nella sua esitazione, Killian sembrò spazientirsi: «Devo saperlo, Ara» sibilò, protendendosi un poco verso di lei.

«Perché?»

A quella domanda, l'uomo s'infervorò, agitando una mano nell'aria e indicando punti imprecisati dello spazio intorno a loro: «Perché senza nemmeno rendervene conto vi siete cacciati in un guaio che non ho idea di come farvi sistemare. Qui c'è in ballo la vostra vita, lo capisci? Siete scampati alle Lande Selvagge ora per finirci tra...» si interruppe, contraendo la mascella. Il suo sguardo si spostò altrove, forse perché guardarla stava diventando difficile: «Non lo so quando, ma prima di quel che possiamo immaginare» sentenziò poi, lasciandosi andare sullo schienale di legno.

Che voleva dire?

Aralyn corrugò le sopracciglia: «Parli dei Menalcan?»
«Parlo del Concilio, bambina mia» gli occhi del padrone di casa baluginarono verso di lei, severi: «Hai idea di cosa hai fatto?»

Non ci volle molto prima che una risposta riempisse il silenzio. Anche se la giovane non riusciva ancora a mettere insieme i pezzi del suo disastro, lui aveva già concluso tutto il quadro - per questo, forse vedendola confusa, riprese.

«Hai ucciso un Alpha» ricordò.

«Sì, lo so benissimo, ma non -» Killian la interruppe con un gesto, mettendola a tacere.
«Se fosse stato un qualsiasi capoclan, lo sai anche tu, la nostra legge ti avrebbe obbligata a prenderne il posto nel branco, ma Douglas non è un licantropo qualunque» si prese le tempie, concedendosi qualche grosso respiro. 
La lupa rimase immobile, in attesa. Sapeva anche lei che il patriarca dei Menalcan non era certo un licantropo qualunque: oltre che essere un Alpha era a capo del Concilio, in quanto possessore ultimo del Pugnale, ma nessun Impuro poteva anelare a un simile ruolo - inoltre, lei non poteva certo prenderne il posto all'interno del branco: loro erano purosangue, ma soprattutto...! Un lampo le passò nella mente, un dettaglio che non aveva considerato in alcun modo riaffiorò dalla memoria.

Finché si era trattato solo di sogni e minacce urlate ai quattro venti non si era preoccupata di nulla: uccidere quel vecchio altro non era che un'utopia, una possibilità che aveva creduto non sarebbe mai capitata a lei. Così il continuo parlarne, immaginarlo e il fatto che non vi fossero stati casi precedenti da prima della sua nascita, aveva seppellito quel particolare in mezzo a tanti altri pensieri - fino a quel momento.

Sentì il sangue defluire dalle guance: «E' un Nobile...» disse, colta improvvisamente da un tremore.

I Menalcan, così come la famiglia di Ophelia, i Simmons e i vari membri di quel gruppo di mannari altolocati, erano licantropi eletti. Non si trattava solo di Puri, ma di dinastie nate all'alba dei tempi: il loro sangue, agli occhi del mondo di cui facevano parte, era nettamente superiore a quello di chiunque altro.

E lei lo aveva versato, senza però averne alcun diritto.
Una stupida, piccola mezzosangue priva di qualsiasi autorità o riconoscimento, aveva osato andare contro alle regole centenarie dei Figli di Mànagmàr.

Visibilmente turbato, l'uomo con lei annuì: «Sì, credo tu abbia capito. Secondo la legge solo un licantropo Alpha può ucciderne un altro che appartiene a una casta differente, altrimenti, qualsiasi lupo venisse accusato di un simile atto, sarebbe condannato a morte» fece una breve pausa, provando ad afferrarle una mano. Aralyn rimase inerme, ora troppo spaventata di fronte alle conseguenze di ciò che, nel momento in cui lo aveva compiuto, le era parso giusto. «E tu non sei né un capobranco, né un purosangue» concluse, stringendo sulle bende.
 

mac (figliolo)
don uncail (allo zietto)
sealgairean (cacciatori)


 
   
 
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