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Autore: Wings_of_Mercurio    23/03/2020    1 recensioni
Stan sta tentando di rimettersi insieme dopo la rottura con Wendy.
Craig di combattere la sua solitudine.
Tweek di ricostruire la sua vita.
[Staig] [Creek] [Stendy]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Craig, Kyle Broflovski, Stan Marsh, Tweek, Wendy Testaburger
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Sono passati secoli, ere, lo so, lo so benissimo. Ma ci stavo lavorando sopra. Ho dovuto dedicare tempo alla laurea, poi al lavoro, e non riuscivo a trovare la concentrazione necessaria. Diciamo che non tutte le quarantene vengono per nuocere. Essere costretti a casa, anche se non a lungo nel mio caso, mi ha dato la possibilità di pensare meglio a questa storia e perfezionare questo capitolo. Come promesso è un capitolo su Stan e Wendy. Scrivere dal punto di vista di Wendy per me è stato complicatissimo, e nell'ultima revisione ho cancellato tutte le parti inutili. Spero che il capitolo risulti abbastanza leggero. Credo che dopo questo ce ne sarà un altro ancora, e poi l'epilogo.
Sono contenta di essere ritornata e spero mi lascerete qualche recensione. Vedo anche con piacere che sul fandom ci sono nuove storie, questo mi rende felicissima e spero di riuscire a leggerne qualcuna nei prossimi giorni, anche se per adesso la priorotà è far fruttare questi giorni in casa per scrivere il prossimo capitolo, ora che ne ho il tempo e la voglia.
Vi lascio alla lettura!

 

39. 00:09

 

L’attenzione di Wendy vacillava. Era seduta sul divano del salotto di Gregory, con la sua testa appoggiata su una gamba e uno di quegli stupidi film storici che gli piaceva tanto guardare sullo schermo della tv. Wendy era aperta a tutto, davvero, ma dopo un po’ anche lei ne aveva abbastanza di storia e film d’autore. A volte avrebbe voluto semplicemente andare al cinema, come facevano tutte le sue amiche coi loro fidanzati, e guardare un ignorantissimo film sui supereroi. Insomma, qualcosa che le ricordasse di avere ancora diciassette anni. E invece Gregory no, perché a lui non interessavano. A lui piaceva il cinema straniero e la letteratura impegnata, gli spettacoli teatrali e l’opera. Tutte cose che a Wendy piaceva fare solo quando si sentiva particolarmente elevata di spirito, il che non capitava molto spesso. Specialmente perché le sue amiche erano tutte magazine e gossip, e be’, a Wendy piaceva condividere anche quel tipo di interessi, così come le piaceva anche discutere di football e film d’azione con il resto dei suoi amici maschi. Non che Gregory non l’avrebbe volentieri accompagnata a vedere film di supereroi, se Wendy gliel’avesse chiesto, ma dove sarebbe stata la parte divertente? Con chi avrebbe discusso il film, poi, dal momento che lui non conosceva nessun personaggio Marvel? Certi momenti sono spassosi solo se li condividi con le persone giuste.

Non voleva dire che Gregory non fosse giusto per lei, perché Wendy lo ammirava davvero, per i suoi ideali e per il modo in cui si impegnava a perseguirli. Gregory era bello, intelligente e raffinato, e Wendy con lui aveva un sacco di conversazioni interessanti. Era senza dubbio una presenza positiva nella sua vita, perché la spronava a dare sempre il meglio, ad essere sempre la versione migliore di sé, e Wendy riusciva ad amarsi davvero tanto, quando era con lui.
Eppure, se da un lato rispettava e stimava i suoi ideali, dall’altro le sembravano troppo asfissianti. Come il fatto che non volesse mai andare da Starbucks o al Walmart, perché a detta sua queste multinazionali rovinavano i piccoli commercianti; o peggio ancora: il fatto che odiasse con tutto il suo cuore il McDonald’s, tanto da non volervisi neanche avvicinare. Ecco, Wendy adorava gli hamburger. Lei capiva benissimo l'amore per gli animali, le lotte per dare loro delle condizioni dignitose e la rabbia contro i venditori spietati, ma per lei il McDonald’s era sempre stato un luogo di ritrovo tra amici, e vi teneva legati un sacco di bei ricordi. Gregory non vi si voleva accostare neanche per prendere l’insalata. Senza contare che fosse vegano, e ciò voleva dire niente gelati e milkshake, niente sushi e cucina orientale, niente di niente. E questo era il motivo per cui, a parte delle passeggiate noiose e al freddo che Wendy desiderava con tutto il cuore risparmiarsi, erano sempre chiusi in casa con dei film che le facevano davvero bramare di mettersi a sniffare la colla dalle proprie scarpe.

C’era poi un altro aspetto che Wendy cercava di ignorare, ma tornava a pungolarla a tradimento sempre: era il fatto che Gregory, seppure in modo alquanto velato, le facesse pesare di essere onnivora. A detta sua, rispettava le sue scelte e tutte quelle del resto del genere umano, ma c’era sempre un sentore di superiorità nei suoi discorsi in merito. Wendy cercava di minimizzare il fastidio che provava per la cosa, evidentemente senza successo.

Si stava scavando un buco nella guancia da sola, con il pugno della mano, appoggiata al bracciolo del divano. Non sapeva perché pensasse a queste cose; ultimamente, più del solito.

Grazie…” il volto di Stan che pronunciava queste parole, reggendo la catenina che lei gli aveva regalato, le apparve a tradimento nella mente, con i suoi occhi brucianti e tristi e speranzosi allo stesso tempo, e si ritrovò a trattenere il fiato. Non avrebbe dovuto provare queste cose, non era legittimo. Specialmente adesso che Stan stava cercando di rifarsi una vita, con Red o chicchessia. Sospirò internamente, con amarezza. Avrebbe dovuto essere sempre più facile, con il tempo, no? E allora perché faceva sempre più male?

Fu forse per una sorta di repulsione energetica che Gregory scelse proprio quel momento per alzarsi a sedere e sistemarsi dall’altra parte del divano. Si allungò verso i popcorn sul tavolino lì vicino e glieli porse.

<< Vuoi? >>

Wendy annuì, e si allungò a prenderne una manciata, poi entrambi si riconcentrarono sul film, mangiucchiando.

Aveva quasi dimenticato i suoi pensieri, quando il cellulare le vibrò nella tasca. Lo prese per dare una rapida occhiata, sicura che fosse Bebe, solo per controllare se si trattasse di una cosa che meritava davvero la sua attenzione e non semplicemente uno dei messaggi annoiati dell’amica.

Il nome che lesse, invece, la portò a fissare il cellulare per più di dieci secondi, incredula, e le provocò un vuoto allo stomaco.

Stan.

Era un SMS.

Sentì il cuore iniziare a batterle forte in petto, e lanciò una rapida occhiata a Gregory, come una ladra. Gregory non la stava guardando, e con dita tremanti aprì il messaggio.

 

Sono al parchetto della scuola elementare. Sarò qui per un’ora, ad aspettarti. Se non verrai considererò questa storia davvero chiusa, e ti prometto che non ti cercherò più.

 

Rilesse il messaggio una, due, tre volte. Sentì il cuore iniziare a battere ancora più forte, tanto che sentiva calore sulle guance e sulle orecchie. Uscì dal messaggio e cercò di non pensarci, di guardare il film, ma si sentiva agitata.

Lei già aveva preso una decisione. L’aveva presa ed era stato doloroso, e adesso Stan non poteva metterla di nuovo davanti alla stessa scelta.

Questa storia… come se tra loro ci fosse ancora qualcosa. Perché non c’era, era già tutto finito, giusto? Cosa c’era da delineare?

La testa le girava. Si sentiva ansiosa, si ritrovò a fissare l’orologio sulla parete dietro la tv, tra la paura e la speranza che quell’ora passasse presto.

Incapace di calmarsi, aprì Facebook, e cercò il profilo di Stan, sempre facendo attenzione a non allarmare Gregory. Non sapeva cosa cercasse; Stan neanche lo usava tanto, Facebook, ma lei aveva bisogno di qualche conferma o qualche smentita, qualcosa che le facesse capire se fosse uno scherzo o meno, anche se la risposta già la sapeva. Quando vide che aveva pubblicato un video, il suo stomaco si strinse di nuovo. Era un video musicale da Youtube. Somewhere only we know, dei Keane. Conosceva la canzone. Sapeva di cosa parlava. Ma adesso si chiedeva se in quelle frasi ci potesse essere qualcosa che si potesse relazionare a loro due, alla loro storia. Si chiese se Stan l’avesse pubblicata pensando a lei.

Voleva ascoltarla.

<< Vado un attimo in bagno >> annunciò, alzandosi dal divano senza guardare Gregory. Sentì i suoi occhi grigi su di lei, seguirla.

<< Ok, va bene >> le disse poi.

Wendy si avvicinò di soppiatto alla borsa che aveva lasciato appesa ad una sedia del tavolo in fondo alla stanza, e senza fare rumore la aprì e recuperò le cuffiette. Dando un’ultima occhiata a Gregory, si diresse rapida in corridoio e poi in bagno, dove si rinchiuse.

Infilò rapida il jack delle cuffie nel cellulare e si sedette, tremante, sulla vasca. Poi mise in riproduzione la canzone.

L’intro cominciò pacato ed idilliaco; sembrava uno di quei video in cui compariva solo il testo della canzone insieme all’accompagnamento musicale, il che faceva pensare ancor di più che Stan l’avesse scelta per le parole.

 

Ho camminato attraverso

una terra desolata

 

Lo stomaco di Wendy si strinse, non sapeva perché, ma ora immaginava Stan vagare per un luogo che non esisteva, in solitudine.

 

Conoscevo il sentiero come il palmo della mia mano

 

Adesso la scena rimandava un’immagine serena, rassicurante, di Stan che camminava tra i viali di South Park, magari innevati, senza paura di perdersi. Di Stan bambino, e tutte le cose, le persone e le amicizie che avevano da sempre definito la sua vita. E un po’ anche quella di Wendy.

 

Sentivo la terra

Sotto i miei piedi

 

Di Stan appena adolescente; di Stan sobrio; di Stan membro della squadra di football; di Stan che aveva ancora delle speranze, delle idee, delle certezze.

 

Seduto sulla riva

E mi faceva sentire completo

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

 

Questo verso la fece tremare, il tono diventava più malinconico e il sapore di qualcosa che era andato a male iniziò ad insidiarsi nella melodia spensierata.

 

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

 

Ora sembrava quasi disperato, supplicante, rassegnato. Erano le parole di qualcuno che aveva perso la fede in qualcosa in cui prima credeva, o la fiducia in tutti. Qualcuno che a un certo punto doveva essersi guardato intorno senza essere in grado di vedere più niente che avrebbe dovuto essere importante, che non si era più trovato la terra sotto i piedi. Un truce urlo di solitudine.

 

Perciò dimmi

quando mi lascerai entrare?

 

Questa era rivolta a lei. La sentì quasi come una coltellata nel petto.

 

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

Ricominciare, le suggerì la testa. E Dio solo sapeva se Stan avesse bisogno di ricominciare, buttarsi indietro lo schifo che stava attraversando, mettere di nuovo radici per tornare ad essere forte. Solo adesso era così chiaro che era lei che lui stava aspettando, per poterlo fare.

 

Mi sono imbattuto in un albero caduto

Una nuova immagine: Stan che scavalcava i rami di un albero abbattutosi al suolo. Era la loro storia. Una quercia secolare crollata. Le vennero le lacrime agli occhi.

 

Sentivo i suoi rami che mi guardavano

 

Stan doveva essere perseguitato dai ricordi, come lei.

 

È questo il posto che amavamo?

È questo il posto che stavo sognando?

 

Sentì la prima lacrima scivolarle rapida e traditrice lungo la guancia, verso il mento.

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

 

Il ritornello si ripresentò ancora col suo sapore dolce-amaro.

 

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

 

Era come se sentisse Stan ripeterglielo: non hai ancora capito che sto aspettando te?

 

Perciò dimmi

quando mi farai entrare?

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

Esplose nel pianto. Si sentiva improvvisamente colpevole senza che ne conoscesse la ragione, era lei che li stava tenendo lontani, lei che stava permettendo tutto questo, per ragioni che adesso sembravano insulse, di fronte alla prepotenza dei sentimenti. Cercò di contenere i suoi singulti perché non potessero sentirsi da fuori, e come risultato sembravano i mugolii di un animale strozzato.

 

E se hai un minuto perché non ce ne andiamo

 

La canzone qui si apriva.

 

A parlarne da qualche parte

Che conosciamo solo noi?

Questo potrebbe essere la fine di tutto

 

(e le sue viscere si rivoltarono come un calzino al pensiero)

 

Quindi perché non andiamo

Da qualche parte che conosciamo solo noi?

 

Stan le stava chiedendo di andare a parlare con lui.

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

Perciò dimmi quando mi farai entrare?

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

E se hai un minuto perché non ce ne andiamo

A parlarne da qualche parte

Che conosciamo solo noi?

 

Aveva lasciato le lacrime scorrere libere fin qui, e adesso che la canzone stava volgendo al termine provò ad asciugarsi gli occhi con una manica.

 

Questo potrebbe essere la fine di tutto

Quindi perché non andiamo

Da qualche parte che conosciamo solo noi?

 

Da qualche parte che conosciamo solo noi”. Il parchetto della scuola elementare. Dove si erano conosciuti da piccoli. Dove si erano messi insieme la prima volta.

Si cullò nella sua nuova melanconica risolutezza mentre la canzone scemava, ripetendo ancora gli ultimi versi del ritornello.

Prima che potesse risuonare l’ultima nota, tirò via le cuffie e si alzò risoluta, asciugando gli ultimi stillati delle sue lacrime, stringendo il telefono in un pugno e il filo delle cuffie in un altro, e si decise ad uscire dal bagno.

Entrò nel salotto con passo deciso, a recuperare la borsa, lanciando un’occhiata all’orologio sulla parete. Aveva ancora trentacinque minuti, se si sbrigava.
Il rumore dei suoi passi solerti richiamarono l’attenzione di Gregory, che si voltò a guardarla, esterrefatto.

<< Wendy? >>

<< Devo andare >> gli disse lei, affrettandosi verso la porta.

Gregory si alzò dal divano, allibito e vagamente irritato.

<< Dove stai andando? >> chiese spiegazioni. Wendy vide una sorta di consapevolezza dietro quegli occhi, forse lei doveva tener scritto in faccia che le cose stavano andando male.

Lanciò ancora un’occhiata all’orologio a parete. Doveva prendere un pullman.

Qualcosa dentro di lei si ruppe. Sapeva che stava facendo qualcosa di estremamente egoistico e ingiusto, ma la paura di arrivare in ritardo era troppa in lei. Quindi, col cuore che sprofondava, si congedò: << Non posso più restare… Addio, Gregory >>

Vide appena gli occhi dell’altro sgranarsi alla realizzazione, ma non restò per sorbirsene le conseguenze, o per assumersene la responsabilità. Aprì la porta e filò via per le scale ancor prima che Gregory potesse dire qualcosa.

Lo sentì seguirla poco dopo, e chiamarla a gran voce. Non poteva rischiare che la seguisse fin sulla fermata del pullman, perché lei adesso stava pensando a Stan, e doveva agire con ancora l’adrenalina in circolo, quindi si fermò per le scale e disse: << Non seguirmi. Greg, non seguirmi. Ti sto lasciando >>

Un’espressione confusa si dipinse sul bellissimo volto di Gregory. Aggrottò le sopracciglia e chiese: << Cosa…? >>

Wendy non aspettò neanche che il suono della “a” finale la raggiungesse, che era già in fondo alle scale del condominio di lusso dove abitava il suo ormai ex ragazzo.

Un crepitio di eccitazione si diffuse in tutto il suo corpo quando capì che Gregory non la stava seguendo. Allora iniziò a correre, ormai in strada, col cuore agitato da una nuova emozione, che poteva essere aspettativa. Stava facendo una pazzia. Una pazzia assurda che sicuramente doveva essere stupida nel manuale del buonsenso comune. Si rese ebbra di un delirio di onnipotenza e volle concentrarsi sul sentimento ribelle che lo contraddistingueva, timorosa che in quei quindici minuti di corsa che la separavano da casa potessero affiorare mille complessi e scrupoli.

 

 

Nella calma impigrita di quel sabato pomeriggio, finalmente scorse da lontano lo scheletro blu e nero del pullman che procedeva verso di lei producendo uno sfrigolio sull’asfalto. Agitò in alto la mano, e il conducente diede segno di vederla. L’attimo dopo era già salita a bordo, e stava già timbrando il biglietto.

Decise di andare verso la metà del pullman, sedersi e guardare fuori dal finestrino, con la testa incollata al vetro. Stan la stava aspettando? Era lì? A guardarsi intorno? A sperare di scorgere in lontananza i suoi capelli neri? Era anche lui ansioso? Speranzoso? Ad ogni minuto che passava la sua delusione aumentava? O la sua convinzione di vederla si rafforzava? Conoscendo Stan, doveva essere la prima delle due. Sorrise a se stessa. Forse avrebbe dovuto scrivergli. Dirgli di aspettarla lì, di non perdere le speranze, di non andarsene, che lei stava arrivando, di non dubitare mai che ci sarebbe stata per lui. Adesso riusciva ad ammetterlo candidamente: non aveva mai voluto allontanarsi da lui, mai. Rompere quel legame non l’aveva neanche considerato. E forse per questo aveva continuato a cercarlo. Come al suo compleanno.

Decise che non gli avrebbe scritto. Sarebbe arrivata allo scoccare dell’ultimo secondo, quando ormai Stan si fosse deciso ad alzarsi da qualunque posto avesse occupato -magari una vecchia altalena, una giostra girevole, la struttura di ferro a forma di campana su cui si arrampicavano da piccoli, o magari una semplice aiuola, o un gradino, tentando di passare inosservato al custode-, rassegnato a non veder sbucare nessuna testa nera da dietro alla recinzione di ferro che delimitava il cortile, e allora l’avrebbe vista, voltandosi per caso, e sarebbe rimasto lì, con l’espressione fissa e stupita, fissandola a lungo, chiedendosi se gli occhi lo stessero ingannando o meno. E lei gli avrebbe sorriso.

Si concesse di indugiare in questa fantasia così dannatamente romantica che sarebbe risultata sdolcinata persino a Bebe, ma lì, nella sua testa, non c’era nessuno, soltanto lei stessa, a testimoniare quanto dannatamente rosa fossero i suoi pensieri.

Quando vide comparire, nella sua visuale, ai lati della strada grigia il cartello con la scritta “South Park”, lo stomaco le si strinse, di nuovo. Non passò molto prima che le caratteristiche casette dal tetto spiovente comparissero. Riconobbe da lontano la casa di Theresa, il Tweek Bros., e poi l’esterno della villa di Token, prima che il pullman svoltasse. Tutto le sembrava tanto luminoso, così luminoso, anche se non lo era, perché il cielo era tappezzato da nuvoloni grigi.

Oltrepassarono il parchetto comunale, alcuni negozi; per strada c’erano dei ragazzetti brufolosi delle medie che stavano cercando di fare esplodere un tombino. Persino loro sembravano meno stupidi. Era come se uno schermo azzurro pallido fosse comparso davanti ai suoi occhi, facendole vedere tutto con condiscendenza. La vita era breve, la giovinezza soprattutto, quindi chi poteva permettersi di non far esplodere tombini? O di lasciare andare i sentimenti? Intravide Henrietta e Michael che uscivano da un negozio di sigarette elettroniche, guardandosi attorno con aria circospetta. Avrebbe voluto aprire il finestrino e urlare loro di fregarsene delle apparenze, perché la vita era troppo breve anche per preoccuparsi di cosa pensavano gli altri, anche se ti definivi goth da più di dieci anni e volevi comunque smettere di fumare.

Sorrise all’immagine di sé che effettivamente urlava addosso ai due, dal nulla, facendo prendere loro uno spavento assurdo.

Quando il bus si fermò davanti al comune, Wendy già era in piedi, scattante, e s’infilò attraverso lo spiraglio delle porte prima ancora che potessero aprirsi del tutto.

L’aria fredda e placida di South Park la investì all’istante. Preso un respiro a pieni polmoni, iniziò a correre attraversando la strada, per imboccarne un’altra che portava alla parallela, quella dove c’era la loro scuola elementare. Si sentiva inebetita e piena di adrenalina.

La scuola era chiusa, come ogni sabato, e allora Wendy pensò di aggirarla sul fianco, passando per quello stretto passaggio a ridosso del muro su cui dava una porta laterale dell’istituto. La parte di certo meno colorata dell’intera struttura. Fece una lieve corsetta fin lì, appena uno scatto, arrestandosi alla vista dei due ragazzi sui gradini della porta che si voltarono in contemporanea verso di lei.

Così come otto, nove anni prima, Pete e Firkle stavano fumando dietro la scuola, in quello che, a quanto pare, non aveva mai cessato di essere il loro posto, e che costituiva un quadretto troppo familiare, se siescludeva l'assenza di Henrietta e Michael.

Firkle strinse le labbra viola per reprimere quello che sembrava un sorriso. Wendy non riuscì a decifrare se fosse un sorriso di scherno o compiacimento, perché Pete espirò rumorosamente una boccata di fumo. Quindi, i suoi occhi calamitarono all’istante su di lui, che a sua volta stava sorridendo, tra il condiscendente e l’amaro.

<< Tch… >> esordì, con la sua voce resa roca dal fumo << …sei arrivata troppo tardi, bella >>

Wendy non restò lì a stabilire se credergli o meno, doveva vederlo coi suoi occhi. Corse verso il parchetto posteriore e fece scorrere gli occhi tra le giostrine, su quel cortile che non era mai stato così poco rumoroso e così tanto pulito. Non c’era. Stan non c’era. Se ne era andato.

Fece dietrofront. Non avrebbe permesso che dieci o quindici, stupidi e dementi minuti mettessero fine alla loro storia. Non ci stava più, e al diavolo tutto, l’avrebbe raggiunto.

<< Ah, l’amore… >> sentì commentare Firkle, con tono derisorio, quando tornò indietro, ma non se ne curò; in un attimo li aveva già sorpassati.

Corse a perdifiato per mezza città, gettandosi quasi sotto una macchina che attraversava la strada. Il conducente premette il clacson in frenata, maledicendola con espressioni colorite.

Lei gridò in rimando solo un “mi scusi!” poco sentito e trepidante.

Quando raggiunse la strada dove vivevano Stan, Kyle e Cartman rallentò, col fiato corto e il cuore in gola. Prese un lungo respiro e si avviò composta verso la casa al centro del viale mezzo innevato, quella che conosceva come le sue tasche.

In un attimo si sentì di nuovo bambina e si immaginò a rincorrersi con i ragazzi, a battibeccare con Cartman, a sostenere l'innegabile superiorità femminile quando avevano affrontato, in quella stessa strada, una cruenta battaglia a palle di neve maschi vs femmine.

Ogni passo verso casa di Stan le ricordava che era quello il posto a cui apparteneva. Adesso le sembrava assurdo che avesse potuto pensare diversamente.

Avviarsi verso la porta d'ingresso di quella casa che l'aveva ospitata così tante volte la riempì di serenità.

Bussò decisa al campanello.

L'apertura della porta fu immediata, come se l'avessero spiata per tutto il tempo e si fossero acquattati dietro l'uscio pronti ad accoglierla.

<< Wendy? >>

Shelley sembrava stupita di vederla, ma qualcosa nei suoi occhi le diceva che la sorpresa le fosse gradita.

<< Ciao Shelley... >> le sorrise Wendy. Le era mancata quella che per lungo tempo era stata a tutti gli effetti una sorella. Loro due avevano legato quando finalmente Wendy aveva smesso di vedere Shelley attraverso il filtro della visione di Stan. Aveva imparato a commentare con lei i programmi della domenica pomeriggio, se capitava che si fermasse a pranzo dai Marsh, e si erano spesso date man forte quando c'era da tediare Stan per un motivo o per un altro.

<< Che sorpresa! Non sarai mica qui per quel coglione di mio fratello?! Voglio dire: te l'eri scansata! >>

Wendy ridacchiò cristallina, inclinando leggermente la testa all'indietro. Quando riportò lo sguardo su Shelley, si accorse che sorrideva anche lei.

<< È in casa? >>

<< Sì, è appena arrivato >> ruotò gli occhi con un'espressione schifata e fece un cenno al piano di sopra, poi si spostò per farla passare.

Wendy fece per avviarsi verso le scale che portavano al piano di sopra, poi ci pensò su e si voltò a metà strada << Grazie mille, Shelley. Mi sei mancata >> disse, sincera.

Shelley fece una smorfia.

<< Onestamente, Wendy, credo che tu sia sprecata per un fallito come Stan. Ma, se proprio devi, ti prego, portatelo via >> pregò, sorniona.

Wendy allargò il sorriso per una risata che non esplicò. Eppure era convinta che, nonostante le dichiarazioni di odio, Shelley tenesse a Stan e fosse felice di vederla lì per quel motivo.

Salì le scale in fretta e in furia, ma non si premurò di bussare alla porta.

 

 

Stan si rigirò per l'ennesima volta fra le mani la spilletta dei trenta giorni. L'aveva ottenuta solo due giorni prima, tra il plauso degli alcolisti anonimi. E, adesso, raggomitolato sulle ginocchia in un angolo del suo letto, in quel cimitero di ricordi che era la sua stanzetta, desiderava solamente bere. Un desiderio che stava cercano di grattare via disperatamente strofinando i polpastrelli sulla superficie levigata del piccolo oggetto. Era un pensiero stupido quello di riprendere ad ubriacarsi, considerato che ciò che lo feriva, adesso, era solo il risultato di una risoluzione a cui era stato portato proprio da quel primo passo di smettere di farlo. E se adesso stava soffrendo, perché Wendy non si era presentata all'appuntamento, per l'ennesimo due di picche, era perché lui aveva stabilito che questa fosse l'ultima occasione concessale. Questo doveva rappresentare un punto di rinascita, in accordo a quanto detto da Butters. Quindi la malinconia era ammessa, ma non doveva lasciare che la depressione gli strisciasse addosso, accalappiandolo, proprio come le aveva permesso di fare negli ultimi anni della sua vita. Ora quella spilletta rotonda e dal cattivo gusto grafico rappresentava un motivo di orgoglio personale, qualcosa che gli ricordava per cosa stava lottando.

Sapeva però che la guariglione avrebbe richiesto tempo.

Era davvero così che finivano le cose fra lui e Wendy?

È così che finiscono le cose tra me e Wendy, pensò.

Si accorse che i suoi occhi stavano diventando umidi. Ma per quale motivo doveva piangere? Per capriccio? Per rabbia? Come se fosse mai servito a qualcosa. Si sentiva vuoto. Vuoto come in una mattina domenicale. E dubitava sarebbe riuscito a muoversi da quel letto. Forse poteva... prendere un goccio? Solo per l'ultima volta? Di un bel liquore dolce e ambrato che gli avrebbe riscaldato l'esofago e fatto compagnia. In alternativa gli sarebbe andata bene anche una sigaretta, magari una scroccata da Craig, giusto per il gusto di sentirsi ancora un po' padrone del mondo, ma prima che potesse pensare di mettersi a scavare in cerca di qualche stecca dimenticata nei suoi cassetti, la porta si aprì.

Stan sollevò lo sguardo dalla spilla solo per incontrare gli occhi di Wendy, e il suo sorriso tanto chiaro da creare contrasto con la sua cascata di folti capelli neri. Il suo cuore accelerò, mentre la ragazza si richiudeva la porta alle spalle.

<< Scusa. Lo sai che la puntualità non è mai stata il mio forte >>

Stan era interdetto, ma provò un vago desiderio di prenderla a schiaffi.

Restò a guardarla senza parole per un tempo indefinitamente lungo, poi si diede uno slancio per alzarsi dal letto; la spilla abbandonata a sé.

<< Sei venuta >> appurò, fronteggiandola.

Wendy lo scrutò negli occhi, poi gli sorrise << Ovvio. Dopo un messaggio così patetico non potevo che venire a vedere >>

Stan prese un lungo respiro << Senti, Wendy, vaffan... >> ma non finì la frase, perché Wendy si era lanciata su di lui avvolgendogli le braccia intorno al collo e lo aveva baciato, impellente.

Stan ricambiò da subito, e sentì un fuoco accendersi in corpo, là dove un attimo prima c'era stato solo il vuoto. La incalzò prendendole il viso fra le mani e spingendola all'indietro, contro la porta. I loro corpi aderirono, le mani iniziarono a vagare, le bocche ad esplorarsi.

Stan sollevò Wendy contro l'uscio, e lei mugulò.

Gli si insinuò in testa che questo potesse essere il classico tira e molla, ma non sapeva se voleva fregarsene.

Iniziarono a spingersi l'uno nell'altra, fino a che Wendy non lo spinse via. Aveva uno sguardo sbarazzino e un sorriso malizioso, e Stan ricambiò l'espressione. Le afferrò il polso della mano che ancora teneva premuta sul suo petto.

<< Non mi dire che te ne vuoi andare >> disse, avvicinando il volto a quello di lei cosicché i loro nasi si toccassero << Perché penso che sia troppo tardi per questo >>.

Gli occhi di Wendy erano incollati alle sue labbra; allargò il sorriso << Sono qui per restare. Solo che mi sembra che tu stia prendendo troppo il controllo della situazione >>

Stan si inumidì le labbra, divertito, e lasciò che Wendy lo spingesse all'indietro, sul letto. Ci rimbalzò di schiena, con le mani arrese al di sopra della sua testa.

<< Mi piace essere dominato >> la provocò, malizioso.

<< Lo so >> soffiò Wendy, poi salì a cavalcioni su di lui e si chinò per baciarlo.


Ecco! Somewhere only we know dei Keane mi fa pensare un sacco a  Stan e Wendy, ed inoltre mi fa ridere tantissimo la parte in inglese che dice "I'm getting old" perché voi tutti sapete che è proprio il titolo della puntata di South Park in cui Stan compie dieci anni e diviene depresso. Quindi direi che cade a pennello. 
Spero di riuscire a revisionare questa storia il prima possibile e migliorare tutti gli errori grammaticali e lessicali CHE IO SO CI SONO E ME LI SOGNO DI NOTTE.
Dunque, that's all folks.
Mi raccomando, state chiusi in casa e stay safe.

 

  
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