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Autore: ShanaStoryteller    23/03/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note della traduttrice: Dato che il periodo che noi italiani dovremo passare in casa è ancora lungo, abbiamo pensato di postare un capitolo nuovo ogni lunedì per potervi tenere compagnia <3
Speriamo che questa storia vi piaccia! Buona lettura! - DanceLikeAnHippogriff


 
Pandora e Ermes

 
Pandora fu fatta con la terra, plasmata dalle mani di Efesto a immagine della sua amata moglie. Afrodite le donò la grazia e il carisma. Atena le insegnò a tessere e la benedisse con l’intelligenza.

Stava di fronte a Ermes, e il dio aggrottò la fronte, poggiandole la punta di un dito sul mento, girandole la testa da un lato all’altro. “Ti faranno a pezzi.” Disse, e lei non comprese.

Inclinò la testa di lato e sorrise un sorriso vacuo. Tutta l’intelligenza del mondo non le avrebbe mai giovato senza un contesto. “Siamo uguali.” Disse lei, premendo una mano sul petto di Ermes. Era stata fatta con la terra, e la sua pelle ne portava il segno nel suo colore. Lui era un dio celeste, e la sua pelle era delle stesse sfumature vivide del bronzo.

Non aveva chiesto di essere messo al mondo e sua madre non aveva mai chiesto di concepirlo. La sua creazione, tanto quanto quella di lei, era stata frutto di un capriccio di Zeus. Tutto per un fuocherello perduto, tutto perché Prometeo voleva che la sua gente si potesse scaldare e, beh, era il dio dei ladri, dopotutto.

Dunque, le donò la capacità di raggirare, di provare egoismo, l’astuzia. Il sorriso le scomparve dal volto nel momento in cui venne riempita di consapevolezza di sé. “Si adirerà con te,” disse, “non sono colei che avresti dovuto rendermi.”

“Gli dei hanno una memoria breve.” Disse, e non si curò di nascondere il disprezzo nella voce. “Non curarti di me, bambina prodigio. Hai problemi più grandi del mio destino.”

Da pura che era, l’aveva resa molto più simile a lui. Il volto di lei si rabbuiò ancora di più mentre la sua mente perfetta univa tutti i pezzi, e non poté fare a meno di trovarla adorabile. Era stata fatta a quel modo, dopotutto. “Non posso fermarla, vero? Qualunque cosa abbiano pianificato di farmi fare.”

“No,” disse Ermes, “ma ora forse potrai sopravvivervi.”

“Vorrò farlo?” Chiese, e lui non rispose. Non si aspettava che lo facesse.

 
~


Si nascose da tutti e andò a vivere in una grotta ai confini della città. Gli dèi l’avevano chiamata la prima donna, ma non era vero, lo poteva vedere.

C’erano delle donne. Sorridevano e ridevano, avevano le mani ruvide per il lavoro. Desiderava fortemente di potersi unire a loro, ma aveva la bellezza di una dea. Lo avrebbero capito. Se si fosse unita a loro, avrebbero capito che non era una di loro, azionando così qualunque cosa fosse la trappola che Zeus aveva architettato.

Non era umana, non allo stesso modo, plasmata dall’argilla dalle mani di un dio. Ma apparteneva agli umani, e non desiderava infliggergli il male che era destinata a portare loro. Si lavava nei ruscelli dove solo le ninfe avevano dimora, entrava in città avvolta dal manto della notte e rubava dalla spazzatura del panettiere.

“Quando mi avevano detto che avevano mandato una moglie a mio fratello,” disse una voce bassa e divertita, fin troppo vicina, dietro di lei una notte, “non mi sarei aspettato un’accattona.”

Si girò di scatto, stringendo del pane raffermo davanti a sé, uno scudo del tutto inutile. Le si mozzò il respiro in gola quando lo vide, alto e scuro, con occhi di cielo stellato. Assomigliava a Ermes. A lei. “Chi sei?” Domandò. Si trovavano all’angolo di un vicolo e, tra i suoi doni, non aveva ricevuto quello di poter volare. Avrebbe dovuto combatterlo per scappare.

Non aveva paura di lui. Forse un’altra mortale ne avrebbe avuta, messa con le spalle al muro da uno sconosciuto nel bel mezzo della notte. Ma lei non era una comune donna mortale e, dopotutto, la sua presenza aveva un che di rassicurante, come il focolare domestico custodito da Estia. Caldo.

“Sono Prometeo.” Disse l’uomo, e non si stupì del fatto che gli ricordasse il fuoco. “Tu come ti fai chiamare?”

“Dovresti trovarti nelle fosse più profonde del regno di Ade.” Scattò, afferrando meglio il pane raffermo per poterlo lanciare. Era lui il motivo per cui si trovava lì, tanto per cominciare; lui e quello che aveva rubato.

Prometeo alzò le spalle e le si avvicinò, studiandola come si guarderebbe un animale selvatico. Bene. Lì, in quel vicolo buio nessuno avrebbe trovato un freddo cadavere fino al mattino seguente; era lui che doveva avere paura. “Gli dèi dimenticano,” disse, “e Ade aveva freddo in quel suo posto sottoterra.”

Lei si fermò, analizzò le sue parole. “Hai rubato il fuoco per Ade?”

“No,” la corresse, “ho rubato il fuoco per l’umanità. Ma Ade ne ha tratto beneficio a sua volta. Abbastanza da acconsentire a dimenticarsi i termini della mia punizione.”

“Cosa vuoi?” Gli chiese per la seconda volta. “Perché sei qui?”

Lui si fermò, troppo vicino: “La domanda è perché tu sei qui.”

Fu lei ad andargli vicino quella volta, incalzandolo quando lui arretrò. “Sono qui a causa tua, ladro del fuoco, perché gli dèi dimenticano ma non perdonano, e io sono la punizione che hanno scatenato su questo mondo.”

“Che punizione terribile.” Disse, guardando le sue labbra, e lei si dimenticò di odiarlo il tempo necessario per poterlo baciare.

 
~


Ermes la guardò, li guardò. Non era a conoscenza del piano di Zeus, se prevedesse quella parte oppure no, ma la guardò e si preoccupò. Pensò che prevedesse anche quello, poteva vedere la magia di Afrodite aggrappata a Pandora, ma non ne capiva il motivo.

Sarebbe andato da sua madre, ma era sempre difficile da trovare; Maia preferiva dimorare in fiumi e ruscelli al posto di vedere il volto dell’uomo che le aveva fatto generare un figlio. Ma il padre di sua madre, invece, si trovava sempre nello stesso luogo.

“Nonno,” lo salutò Ermes, posandosi delicatamente a terra, “Come stai?”

“Come dovrei stare, ragazzo?” Grugnì Atlantide, le braccia e le gambe tese nello sforzo di sostenere il cielo sopra la terra. “Stanco.”

Gli angoli delle labbra di Ermes si sollevarono. A volte, credeva di essere più il nipote di Atlantide che il figlio di Zeus. “Ho bisogno di un consiglio, nonno.”

Atlantide inarcò un sopracciglio: “Ti ascolto.”

Così, Ermes gli raccontò tutto, dall’inizio alla fine, perché non riusciva a comprendere quale fosse il piano di suo padre, ma forse Atlantide ci sarebbe riuscito. Lo conosceva da molto più tempo, perlomeno.

Atlantide annuì lentamente e disse: “Una sposa degli dèi, una bambina prodigio. Mi viene in mente una sola ragione per creare una simile donna.” Ermes aspettò. Atlantide sospirò nuovamente e disse: “Esiste un vaso, all’interno dell’Olimpo, che si sigilla quando lascia il regno degli dèi. Solo un essere né mortale né celeste lo può aprire.”

“Cosa vogliono metterci dentro?” Domandò Ermes, il cuore che batteva all’impazzata. Cosa pianificavano di sguinzagliare sulla terra ignara?

Suo nonno gli rivolse un ghigno: “Non ha importanza. Quello che conta è: che cosa ci metterai tu dentro.”

 
~

Prometeo si faceva chiamare Epimeteo, facendosi passare per il suo stesso fratello.

“Non dovremmo farlo.” Disse Pandora, anche mentre mise piede nella sua casa, anche mentre si lasciava scivolare di dosso le vesti. Le mani di lui erano coperte di lucide cicatrici di bruciature, e si chiese se custodisse ancora quel fuoco. Ogni parte di lei che toccava era incandescente, ogni lembo di pelle come marchiato a fuoco.

Avrebbe dovuto andarsene. Sarebbe stato saggio e grazie a Ermes lei era una donna saggia. Ma era stata creata per lui, ora lo sapeva, creata per completarlo e sentiva una spinta verso di lui che non poteva sopprimere.

Era una donna saggia e avrebbe dovuto andarsene. Lo completava, ma lui non l’avrebbe completata perché lei non aveva vuoti che lui potesse riempire.

“Sei destinata a diventare mia moglie.” Le ricordò con occhi bramosi e mani bramose che esploravano il corpo di lei, ed era quello il motivo per cui Efesto l’aveva plasmata, il motivo per cui Afrodite l’aveva istruita.

Prometeo non era un uomo sciocco. Sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lei, che non era un dono disinteressato. Ma rimaneva un uomo e lei aveva la bellezza di una dea e non l’avrebbe rifiutata e lei non aveva la forza di farsi rifiutare.

Era dolce e forte e meraviglioso, e Pandora maledisse entrambi per il loro egoismo anche mentre lo tirava a sé.

~

Ermes andò da Nyx, dalla giovane donna che si nascondeva dietro le vesti della dea dell’oscurità, e disse: “Per favore. Ho bisogno di lei.”

“È mia figlia,” disse Nyx, aprendo le braccia e posizionandosi di fronte a lui, inamovibile, gli occhi spalancati e supplicanti, “Io ho bisogno di lei.”

Nyx non poteva fermarlo, ne era consapevole, ma Ermes si limitò a sorridere per poi volare via.

Quella notte la rapì, e Elpis si aggrappò alle sue spalle ma non pianse né urlò. Tenerla tra le sue braccia gli dava la sensazione di reggere la luce del sole, di sentire il vento sul volto quando volava, ed era proprio quello di cui aveva bisogno. “Mi dispiace.” Disse, perché era il dio dei ladri, ma lei non era qualcosa che avrebbe voluto rubare.

Non era né una bambina né una donna, con la pelle e i capelli color del miele. “Non importa.” Disse, la voce più matura del suo aspetto, “mia madre si è comportata da egoista. Ho un compito importante da svolgere.”

Sbatté le palpebre, aprì la bocca, poi la richiuse. “Sai cosa devi fare?”

“No,” disse lei, “ma so cosa sono. E questo mi basta.”

~


Festeggiarono il matrimonio. Pandora tentò di dissuaderlo, dicendogli che non importava quello che diceva la gente, quello che faceva, che non importava quanti uomini venissero a chiedere di lei perché era sua e solo sua.

Prometeo non la voleva ascoltare, insisteva che era il suo amore e la sua vita e che meritava di essere chiamata moglie. Ne sarebbe stata onorata, se non fosse stata furente. Lui la amava ma non la ascoltava, e ciò la infastidiva.

Fu un bel matrimonio. Era la più bella delle spose, perché era la donna più bella, e Prometeo la guardava come se fosse il fuoco che aveva rubato tempo fa. La preoccupava, perché quel fuoco lo aveva bruciato e lei non voleva bruciarlo. La preoccupava, perché lei non era un fuoco, era una donna, la sua attuale sposa.

A volte si domandava che cosa ci facesse lì con quell’uomo. Lo amava, pensava, e lui amava lei, pensava, ma non sembrava giusto, non del tutto.

Ricevettero molti doni. Il più peculiare tra questi fu un grande vaso di marmo bordato d’oro. Prometeo tentò di aprirlo e fallì, i muscoli tesi e le dita che perdevano la presa. “Tieni.” Disse, frustrato, e le mise il vaso tra le mani.

Lei sospirò: “Se non sei riuscito ad aprirlo, come pensi che ci possa riuscire io.” Lo rimbrottò, ma con sua sorpresa il coperchio si sollevò al suo tocco più lieve.

La sua sorpresa mutò in orrore.

Orridi e terribili esseri uscirono dal vaso. Mostruosi, orripilanti esseri che la scavalcarono e partirono per infettare qualunque cosa o essere trovassero sul loro cammino.

Era troppo tardi, lo sapeva che era troppo tardi, ma richiuse di scatto il vaso. Sentì qualcosa colpire il coperchio, cercando di uscire, ma qualunque cosa fosse, rimase lì ferma sul fondo del vaso.

Si voltò verso suo marito, fredda e spaventata, desiderosa di sentire quel fuoco che sembrava portare sempre dentro di sé.

Prometeo era magro e debole e un rivolo di sangue gli colava dagli angoli della bocca. La malattia lo aveva consumato; essendo lei un essere plasmato da mani divine si era salvata dagli orrori del vaso, ma non lui.

Sollevò una mano, tendendola verso di lei. Pandora scattò verso di lui, ma era troppo tardi.

Era morto, e il suo corpo colpì il suolo con un suono tremendo, sbriciolandosi e divenendo polvere.

~

Quando Ermes raggiunse la loro casa, Pandora se n’era andata da tempo. Il vaso era ancora lì, l’aveva chiuso troppo presto. Tirò e strattonò il coperchiò, e tentò perfino di rompere il vaso, ma fu tutto inutile. Era un essere celeste e la sua mano non poteva aprirlo.

Doveva trovarla. Ermes sfrecciò nel cielo, determinato a ritracciarla, ma c’era così tanta sofferenza, così tanta morte e disperazione. Doveva trovare Pandora, ma le persone soffrivano. Lanciò il suo caduceo al suolo, animando i suoi famigli, due enormi serpenti sibilanti. “Aiutateli!” Ordinò prima di riprendere la sua ricerca.

Non era un dio guaritore, ma a quanto pare lo sarebbe diventato.
~


Pandora stava in piedi sul ciglio di una scogliera, il volto bellissimo contorto dal lutto. Le persone soffrivano, morivano, il mondo era diventato orrido e brutto, suo marito era morto, e tutto per colpa sua.

Lasciarsi cadere dalla scogliera fu la cosa più semplice che avesse mai fatto.

Poi Hermes planò sotto di lei, prendendole tra le braccia e portandola in salvo.

“Lasciami andare!” Ululò, le lacrime agli occhi. “Lasciami andare! Voglio stare con Prometeo!” C’era qualcosa di diverso, il suo amore per lui sembrava più un sogno che la sua realtà, ma lo voleva comunque indietro.

Ermes la lasciò cadere a terra, e non aveva mai visto un dio arrabbiato prima d’ora. Se voleva vivere abbastanza da sognare incubi, era sicura che vi avrebbe rivisto quel volto. “Se proprio devi,” sibilò, “allora lo potrai fare. Ma non prima che tu abbia aperto questo.”

Lasciò cadere il vaso ai suoi piedi, e lei arretrò scompostamente. “No! No, ti prego, non farmelo fare ancora, ho già causato abbastanza rovina-”

“Non hai rovinato niente.” Disse con fermezza. “Apri il vaso.”

“Mi rifiuto.” Disse, sollevando il mento e incontrando il suo sguardo, anche se il suo corpo era squassato dai singhiozzi. “Non sono una di loro, non sono umana, ma li amo. Non gli farò del male.”

Ermes ringhiò e la spinse a terra, imprigionandola sotto il suo corpo. “Fidati di me.”

“Fidarmi di te?” Sputò, e ribaltò le loro posizioni cosicché fu lei che lo teneva fermo a terra. “Tu mi hai maledetto più degli altri, dovrei ucciderti!”

“Non sei così forte.” Disse, arido. “Pandora, ti prego. Apri il vaso e, se ancora lo vorrai, ti porterò io stesso da Ade e Prometeo. Te lo prometto, bambina prodigio. Ma apri quel vaso.”

Pandora esitò, studiandolo per trovare segni di un inganno, ma non ne trovò. Prese il vaso.

 
~


Elpis graffiò il coperchio, questo non era quello che sarebbe dovuto succedere, non poteva aiutare nessuno da lì dentro, senza di lei l’umanità era perduta.

Il coperchio che la imprigionava si sollevò e si fece strada nel mondo.

La prima cosa che vide fu la famigerata Pandora, bella come Ermes gliel’aveva descritta, e miserabile quanto temeva.

“Non piangere.” Disse Elpis che, lontana dall’oscurità di sua madre, era cresciuta più donna che bambina. “Non piangere, bambina prodigio, figlia degli dei. Sono qui.”

Brillava, lì su quella scogliera, potente e abbagliante come mai era potuta essere con la dea dell’oscurità. Era lì, ma ovunque, raggiungendo ogni luogo dove si trovavano quei terribili esseri del vaso, riempiendo il mondo fino a quando non esistette più di loro.

Pandora smise di piangere e disse: “Oh. Oh, mi mancavi tu. Non lo sapevo.”

“Nessuno di noi manca di niente.” Disse Elpis, dea della speranza, e le sarebbe stato così semplice avvicinarsi e premere le labbra su quelle di Pandora, quella donna perfetta plasmata dagli dèi, e non poteva biasimare Prometeo, avrebbe dovuto essere più cauto, ma chi avrebbe potuto guardare quella donna e non desiderarla?

Non Elpis.

 
~


Pandora cercò di non sentirsi una donna disonesta, perché amava suo marito, o perlomeno lo amava prima di aver aperto il vaso, ma Prometeo, per buono che fosse, l’aveva trattata come un oggetto, un premio. Ecco perché aveva insistito per un matrimonio di cui non avevano bisogno.

Guardando Elpis, come se fosse sua, ancora più che sotto le mani di Prometeo.

“Dovrei andare da mio marito.” Disse, perché nonostante la disperazione non minacciasse più di schiacciarla, sarebbe dovuta comunque andare da lui, da Ade, e negoziare e argomentare fino a quando non l’avesse riottenuto. Lo amava. Era stata creata per amarlo.

“La magia di Afrodite non ti lega più.” Disse Ermes. “Sono sicuro che potresti amarlo, è un uomo buono. Ma non sei costretta. Dopotutto, sai dove si trova. Ade non lo lascerà andare questa volta.”

Elpis sorrise, ma non con gli occhi, e disse: “Sono qui per grazia di Ermes, Pandora. Io- vorrei seguire il suo insegnamento, se me lo permetterai.” Pandora sbatté le palpebre, confusa, e la dea continuò: “Ti rapirei per farti mia, se me lo permetterai. Ami l’umanità e potrai aiutarla stando al mio fianco. Se lo vorrai.”

Pandora eliminò la distanza che le separava e baciò Elpis con una gentilezza di cui non sapeva di essere capace, una gentilezza che lei e Prometeo non avevano mai avuto. “Amo mio marito.” Disse, ma suonava sbagliato, falso, e non avrebbe dovuto perché aveva vissuto con lui e lo amava. Non era forse vero?

Ma Elpis era come tornare a casa. Toccarla le dava un senso di sicurezza, e Prometeo le aveva sempre dato una sensazione di pericolo; nel senso migliore, più eccitante, ma non le era mai sembrato un luogo a cui poter ritornare, un luogo a cui appartenere.

“Dammene la possibilità.” Disse Elpis, posando la mano sul fianco di lei. “Potrai andartene e trovare tuo marito quando lo vorrai. Solo… Non ora, non ancora. Concedimi del tempo.”

Pandora esitò, ma… il suo scopo era stato raggiunto, aveva fatto quello per cui era stata creata. Gli dèi dell’Olimpo non avevano più bisogno di lei e la sua vita, da quel momento, era sua. Era stata creata per essere la moglie di Prometeo. Ma non era quello che doveva essere.

“Va bene.” Disse, e non riuscì a pensare a niente che le potesse offrire, non aveva niente da offrirle.

Fortunatamente, sembrava che quelle parole fossero l’unica cosa di cui Elpis avesse bisogno perché la strinse nuovamente a sé. Elpis era morbida e bellissima, e le dava una sensazione completamente diversa da tutte le volte che aveva baciato Prometeo. Era più grande, più spaventosa e più bella.

La pelle di Elpis sulla sua non era un marchio. Sapeva di libertà.
   
 
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