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Autore: Arpiria    24/03/2020    3 recensioni
Bellatrix Black fissa da quella ferita sul muro del carcere affacciata sul cielo e sul mare quella nube stazionaria sopra le loro teste. Ha imparato che dentro Azkaban il tempo e lo spazio perdono d'importanza; la vita stessa si riduce ad un pratico e spietato istinto di sopravvivenza. Non sa quanto tempo sia trascorso da quando la porta della cella si è chiusa dietro le sue spalle e lei, ancora dritta e fiera, ha preso posto in quel buco di muffa e niente con l'altezzosità d'una novella Maria Antonietta.
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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La grande fame



 
 
"Quante gocce può piovere una singola nuvola?"
Bellatrix Black fissa da quella ferita sul muro del carcere affacciata sul cielo e sul mare quella nube stazionaria sopra le loro teste. Ha imparato che dentro Azkaban il tempo e lo spazio perdono d'importanza; la vita stessa si riduce ad un pratico e spietato istinto di sopravvivenza. Non sa quanto tempo sia trascorso da quando la porta della cella si è chiusa dietro le sue spalle e lei, ancora dritta e fiera, ha preso posto in quel buco di muffa e niente con l'altezzosità d'una novella Maria Antonietta. 
Quel particolare piano della prigione di massima sicurezza conserva gli angoli spigolosi dell'edificio e non ha via d'accesso,  non ha vie d'uscita. Solo sporadici auror hanno la possibilità di materializzarsi all'interno per trasportare detenuti che urlano, imprecano e poi si guardano intorno e svengono dall'angoscia; allora dentro la cella ce li devono trascinare. Non si trattengono oltre il tempo strettamente necessario e non si danno pena di pulire il letamaio di escrementi e piscio e liquidi di putrefazione dei corpi riversi sulle brande, cadaveri o forse solo liberi. 
Bellatrix è stata data per morta nel momento in cui ha indossato quell'anonima vestaglia a righe: una giovane di nobili origini, cresciuta nei vizi e nella bambagia, non avrebbe resistito per più di un anno agli orrori gli Azkaban.
Glielo ha detto il vecchio della cella numero 9, quella esattamente di fronte alla sua, il giorno stesso in cui è cominciata la sua lunga esistenza di carcere e salsedine e onde impetuose contro le mure e contro il cervello. Quel maledetto vecchio che ha potuto osservarla mentre pisciava, accovacciata come una bestia sopra la fossa destinata ai bisogni, le ginocchia contratte e stanche a sostenere il peso del corpo.
- Quando non ne puoi più, l'uscita è proprio dietro di te.-
Così le ha detto e Bellatrix si è girata con scatto morboso e il respiro spezzato a metà tra la gola e i polmoni, ma di fronte a lei non c'era che quel buco insignificante di finestra a picco sugli sulla scogliera aspra.
- Sei rimbambito, vecchio? Questo è un suicidio. E comunque non ci passo -.
- Tutti all'inizio lo chiamano suicidio,poi incomincia a diventare l'uscita. E comunque adesso no, non ci passi. Tra due anni, ci passi -.
Bellatrix non ha colto il significato nascosto nelle parole dell'anziato carcerato senza volto né nome finché non ha incontrato per la prima volta la sua grande compagna di cella: la grande fame. E' un'inquilina invadente, la grande fame, a cui piace sedersi sullo stomaco anche se c'è la branda libera, che senza avvisare comincia a battere colpi e strillare nelle orecchie e non se ne va mai; casomai si placa per qualche ora, quasi sempre durante il sonno. La giovane Mangiamorte ha incominciato ad accusarla davvero circa un mese dopo il suo arrivo: allora le magre porzioni che venivano fatte comparire una volta al giorno dentro la cella le mangiava con le mani sudice di polvere, si cacciava in bocca tutto il cibo che riusciva ad impugnare e certe volte vomitava per lo sforzo e allora via, a cercare rimasugli di cibo deglutito intero in quella poltiglia di dolore e liquidi gastrici, perché niente andasse sprecato. 
Bellatrix non ha idea di dove siano stati rinchiusi Rodolphus e Rabastan e il ragazzino dai capelli di paglia e gli occhi spauriti, perché tutto ciò che si ripete è che il suo Signore non può essere morto, e che ha fame, e che se continua a ingozzarsi molto presto morirà eppure non riesce a controllare le preghiere del suo corpo. Il cibo che le concedono ha smesso di bastarle man mano che le ossa hanno preso a ritagliarsi il loro spazio contro la pelle sottile, modellando il suo corpo come una brutta opera d'arte scheletrica e accartocciata. E poi ci sono i Dissennatori che pattugliano le carceri e staccano a morsi la felicità di Bellatrix, ma lei gli è quasi grata perché quando è mezza svenuta almeno non ci pensa, alla grande fame. 
 
Il vecchio della cella numero 9 ha smesso da un paio di settimane anche di muoversi e respirare forte, in quel suo modo quasi bovino di rubare l'aria, ma questa è già viziata di qualsiasi tipo di odore sgradevole da subire da subito il tanfo della nuova putrefazione. Bellatrix è riversa sulla branda e fissa quella patetica sbarra di carcere bianca che è il suo braccio. La magra porzione di cibo è stata fatta comparire all'interno della sua cella, ma quei pochi passi che la dividono dalla scodella di legno putrido sono chilometri che non è in grado di percorrere.
Il sonno profuma di liberazione. Se chiudesse gli occhi, con tutta probabilità dormirebbe per sempre e chi mai la potrebbe imputare di non essere stata una serva fedele? Ha rinunciato a qualsiasi cosa per lui, per lui che di sicuro è vivo e che presto farà ritorno e sarà all'apice della sua potenza e apprezzerà come lei, diversamente da molti altri, non abbia rinnegato il suo nome. 
- In realtà..-
Una voce vellutata, fredda e vagamente distaccata, le carezza il lobo dell'orecchio con dolcezza avvelenata. Socchiude gli occhi, Bellatrix, verso la figura sottile in piedi dentro la sua cella.
- Sarei molto deluso di sapere che la mia guerriera più potente si è lasciata morire come una squallida babbana qualsiasi -.
Quale perverso scherzo la sua mente è decisa a giocarle? Il suo maestro, il suo Signore, il suo mentore è presso il suo capezzale; ha il volto coperto dal cappuccio e neanche le mani sono visibili al di sotto delle ampie maniche nere. Rivoli di muffa gli gocciolano addosso dal soffitto ma non sembrano macchiarlo: s'infrangono come cocci silenziosi sulla pietra nuda, incuranti della sua presenza.
- Ma padrone, sono così stanca...-
Il sonno minaccia di rapirla; le si è appollaiato sulle palpebre arrossate ed è invitante e pare chiamarla per nome e le promette un riposo senza più fame, né freddo, né ossa incartapecorite dal tempo.
- Se ti addormenti ora, non potrai mai più servirmi. Se ti addormenti ora, sarai inutile. E tutti gli sforzi che Lord Voldemort ha impiegato per formarti saranno stati un terribile spreco -.
Lo stomaco è rientrato di diversi centimetri sotto la gabbia toracica, dove le costole spiccano come macabri tasti di un pianoforte dimenticato. 
- Voi non siete neanche qui davvero -.
Una risata bassa, sofferta, strappata fuori dalle viscere dolenti.
- Credevo che vi sareste ricordato della vostra umile serva, credevo che non l'avreste abbandonata, ma passano gli anni e io muoio...dove siete?-
- Pazienta-.
Questa volta la sua voce è un sibilo, un ordine vestito di velluto e di ricordi che la portano a puntellarsi col gomito sulla branda e tirarsi seduta. Gli occhi faticano a mettere a fuoco quell'illusione alta e mortifera che tanto assomiglia al suo Signore disperso, al punto tale che se ne avesse le forze si prostrerebbe fino a baciarle i piedi.
- Pazienta e la tua ricompensa sarà al di sopra della tua immaginazione. Lord Voldemort è buono e misericordioso con chi lo serve bene e tu, Bella, mi hai sempre servito in modo impeccabile -.
Si stritola le rotule con le mani scheletriche, Bellatrix, la bocca socchiusa che ansima di meraviglia e nuova forza a scorrerle poco a poco nelle membra.
- Aiutatemi, padrone, vi imploro. Ho fame. Non posso servirvi bene, se non mangio.-
Una mano pallida e sottile emerge finalmente dalla veste polverosa. Le dita simili a lunghe zampe di ragno bianco s'intrecciano ai suoi capelli crespi, brulicanti di forfora e ragnatele e pidocchi, e scivolano poi ad indicarle la scodella di legno e il poco cibo che ospita.
- Devi razionare il cibo, Bella. Mangia poco, ma fallo ogni giorno. Tuttavia oramai hai saltato molti pasti, non è vero? Hai buttato ciò che avevi dalla finestra come una sciocca -.
L'ha...fatto? Bellatrix non rammenta che ciò sia accaduto ma non osa mettere in dubbio le sue parole. Certe volte è sveglia ma crede di dormire e fa cose folli: butta gli avanzi dalla finestra per sfamare le onde e nutrire la tempesta.
- Hai bisogno di riprenderti. E c'è molto cibo intorno a te, se lo sai cercare -.
Bella non ha bisogno di sforzare il suo cervello atrofizzato per comprendere di quale orrido pasto il suo Signore intende vederla commensale. L'odore della morte ha risvegliato in lei l'appetito primordiale di chi addenterebbe qualsiasi cosa per sopravvivere. Afferra una pietra, l'affila contro la parete di roccia con precisione maniacale mentre lo stomaco si spalanca e ruggisce, pronto a gonfiarsi di forza nuova.
Le celle di Azkaban non sono pensate per trattenere uno scheletro di donna, per questo Bella ci passa in mezzo con qualche vago mugolio di dolore e la pelle graffiata dai profili irti e irregolari delle sbarre (e allora lei si ferma e raccoglie il sangue con il dito e lo succhia, perché nulla deve essere sprecato).
- La tua sopravvivenza è importante per il Signore Oscuro, e quella non è altro che carne-.
Carne che si appresta a marcire, carne nelle cui vene scoppiate banchettano già colonie di larve. La tunica del vecchio della cella numero 9 è un panno lercio di liquidi cadaverici e piscio e qualche lacrima, ma Bellatrix la apre dove crede sia il ventre e poi apre anche quello: cerca la parte più molle, più masticabile, e non gliene servirà molta. Il sangue è già scuro e denso e il lembo di carne gelatinosa che le molleggia tra le dita ne è imbevuto, ma la sopravvivenza di Bella è importante per il Signore Oscuro e quello non è altro che cibo, non è altro che carne. 
Così Bellatrix Black banchetta come una iena col cadavere di quello che la voleva suicida giù dalla finestra e che adesso invece è energia per il suo stomaco, nuova forza per le sue membra esauste. Affonda i denti nella carne tenera e il sapore disgustoso di ferro e di marcio le riempie la bocca; il sangue le cola lungo il mento e vi passa la lingua per trattenerlo, così che nulla vada sprecato. 
In questo modo sarà abbastanza in forze da razionare le porzioni di cibo per i giorni successivi, pensa Bellatrix mentre rimanda giù il conato di vomito che le prende a testate lo stomaco e poi la gola e quasi arriva in bocca, prima che riesca a cacciarlo di nuovo giù.
- Ben fatto, mia coraggiosa Bella. So che non mi deluderai -.
Passa ancora attraverso le sbarre e questa volta il gemito di dolore è autentico, perché la ruggine preme contro le ferite già aperte e ne disegna di nuove: un corpo rovinato dalla devozione e della fame e da un'attesa che si prospetta ancora lunga, ma non certo infinita.
Indugia per qualche istante al centro della stanza ingioiellata di celle, Bellatrix, poi fa ritorno barcollando nella propria (per qualche ragione si sente esposta, là in mezzo, e le sbarre sono una difesa illusoria ma efficace contro i baci mortiferi dei Dissennatori). Puzza di sangue e stanchezza, lecca le mura ingravidate di sale per togliersi il sapore della morte dalle labbra.
- Per oggi sono sazia, padrone. Conserverò il cibo per domani e quello di domani per il giorno dopo e così via, così sarò forte abbastanza per seguirvi quando la vostra potenza sfonderà le mura di Azkaban, quando tornerete per me! Faccio bene...?-
La cella è una fossa umida e vuota e Bellatrix Black realizza che parlare è faticoso, ma non ha mai avuto bisogno di farlo. Ha respirato e grugnito forte ma l'inganno della sua mente ha avuto misericordia e l'ha cibata e l'ha salvata; così lo strumento più eccelso, plasmato dalle mani di Lord Voldemort, ha curato le sue corde dalle tarme. Il suono delle gocce di muffa e salsedine è un tintinnio paranoico e assordante e l'unico che ora Bella sa percepire, ma la grande fame è stata placata e adesso sa come fare per non morire.
- Grazie, mio Signore-.

§§§


NdA: Quell'improvviso amore per il grottesco che ti assale all'una di notte.
 
  
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