Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato
Ricorda la storia  |      
Autore: crazy lion    24/03/2020    2 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Madison sta per raggiungere uno dei traguardi dei bambini: il primo dentino. La sua famiglia aspetta quel momento ma l'attesa non sarà priva di qualche difficoltà. Ma Nel frattempo i problemi non mancano. Demi e Dallas sono ancora terrorizzate nel pensare a ciò che Patrick, pochi anni prima, faceva quando beveva o si drogava. Dianna nasconde i suoi demoni, che sono sempre più forti di lei. E per Demetria vale lo stesso. Eddie non si accorge di niente perché tutte nascondono troppo bene ogni cosa rifugiandosi nel silenzio, nei pianti, nei comportamenti sbagliati e nella sofferenza. Ma forse, nonostante tutto, una semplice quanto meravigliosa conquista di una bambina come l'eruzione di un dentino potrà portare un po' di serenità, quella che tutti meritano.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia nasce da un’idea di Emmastory che, in una recensione a quella precedente, mi aveva scritto che avrebbe voluto vedere una fanfiction che parlava del primo dentino di Madison e mi ha dato anche altre idee sulle quali potrei scrivere in futuro. Grazie, tesoro! Ci ho pensato ed è nata questa che ti dedico.
 
Ora, prima della storia un attimo di serietà. Non stiamo attraversando un periodo facile, ma nonostante le difficoltà legate al COVID-19 spero che ne potremo uscire, anche se non so quando. Intanto ringrazio con il cuore in mano i medici, gli infermieri e quanti si occupano di chi sta male, nonché tutti coloro che fanno donazioni. Continuerò a pregare perché il mondo intero sconfigga questo virus e affinché si trovi un vaccino.
 
Il momento difficile che tutti stiamo vivendo mi ha agitata molto e con esso altri miei problemi personali, per cui non sono purtroppo ancora riuscita a riprendere la long. Spero di farlo al massimo la prossima settimana, mi prendo ancora qualche giorno per cercare di calmare un po’ la mia continua ansia.
Intanto buona lettura!
 
 
 
 
 
 
IL PRIMO DENTINO
 
Alla fine del mese di giugno, ancor più che nei precedenti, anche una città trafficata come Los Angeles era da tempo rifiorita dopo un lungo inverno. L’estate era appena iniziata e nei parchi, sui tetti delle case o dovunque trovassero posto, gli uccellini cinguettavano allegri e, grazie a loro, la gente udiva una musica più bella e melodiosa di quella monotona delle macchine che non facevano che andare o degli assordanti clacson che suonavano troppo spesso. Molte donne, nonostante lavorassero, trovavano tempo per piantare fiori nuovi nel proprio giardino e quelli già presenti si mostravano in tutta la loro bellezza multicolore assieme alle piante. Nell’aria si spandevano alcuni profumi decisi e altri più delicati che stampavano sui volti della gente sorrisi genuini.
Dianna non faceva eccezione. Passava molto tempo a casa dato che Madison era ancora piccola e, inoltre, si occupava di portare le figlie più grandi alle audizioni e Demi agli studi di “Barney And Friends”, a cui lavorava da gennaio. La donna aveva dedicato una piccola parte del giardino alle margherite, che aveva piantato ad aprile e che si mostravano in tutta la loro bellezza e semplicità. Ma non solo. C’erano anche alcuni vari tipi di viole e un paio di roseti con rose rosse e bianche, sicché l’intero ambiente era un trionfo di colori diversi che si armonizzavano alla perfezione. 
Mentre la donna si concedeva una pausa e restava fuori a respirare un po’ d’aria, dentro casa l’atmosfera era un po’ diversa.
Eddie, davanti al box nell’ingresso, guardava Madison giocare. La bambina si stava divertendo con una pallina che passava da una mano all’altra e poi faceva rotolare avanti e indietro. Rideva e gorgogliava felice e sembrava molto presa da quel semplice divertimento.
“Eddie, non è bellissima quando sorride?” chiese Demi.
Aveva appena finito i compiti che, dato il silenzio, aveva svolto in cucina. La tutor che le faceva lezione era andata via da un’oretta e quel giorno non le aveva assegnato molto da fare. Gracelyn Porter sapeva benissimo che la mattina e a volte anche il pomeriggio la bambina recitava e non voleva farla lavorare troppo, fino a sera tardi, anche se a volte capitava in quanto Demetria non poteva certo trascurare lo studio.
“Sì, è stupenda” assentì. “Ma lo è sempre.”
Demi annuì.
In quel momento si sentiva bene. Spesso le capitava di pensare che i genitori dessero più attenzioni a Madison che a lei, il che era normale, però la piccola ci soffriva tantissimo. Si sentiva lasciata da parte anche se sapeva che Dianna e Eddie la amavano con tutto il cuore. E poi lavorare alla Disney non era semplice. Dopo soli sei mesi, aveva già iniziato a capire che quel mondo all’apparenza tanto allegro e pieno di felicità e risate era in realtà difficile. Un mondo dove c’era bisogno di apparire in un certo modo, di essere sempre bella, perfetta, felice. Nessuno le aveva mai imposto nulla, né l’aveva costretta a fare ciò che non voleva, era lei ad aver capito che le cose andavano così. Però nessuno, a parte il suo migliore amico Andrew, sembrava capire quanto fosse dura. Il cuore iniziò a batterle forte mentre un sudore freddo le colava con lentezza lungo la fronte, le guance e la schiena. Si aggrappò al bordo del box. Non voleva essere presa dall’ansia, non anche quel giorno. Era a casa, lo sarebbe stata per un po’ e Dio, desiderava solo sentirsi bene, senza pensieri né casini.
Accarezzò la testolina di Madison, immergendo le mani nei suoi capelli setosi e morbidi. La piccola sembrò deliziata da quel tocco, sorrise e iniziò a mormorare dolci vocalizzi in risposta.
“Andate molto d’accordo, eh?”
“Beh, direi di sì. Sembro piacerle” sussurrò Demi.
Arrossì e le guance le andarono in fiamme, ma non riuscì a capire perché.
“Con i bambini ci sai fare, e sono sicuro che quando lei crescerà il vostro legame si rafforzerà sempre di più.”
“Sarebbe bellissimo!” esclamò la ragazzina con voce sognante.
In quel momento Dianna rientrò.
“Già finito di studiare?” domandò alla figlia.
Supervisionava sempre con grande attenzione ciò che la tutor le insegnava e i progressi di Demi, ci teneva che avesse un’educazione al pari dei bambini che andavano a scuola.
“Sì, non c’era molto lavoro.”
“Posso vedere?”
Demetria stava per sbuffare, odiava quando la mamma la controllava in quel modo. Era come se non si fidasse di lei, o almeno questa era la sensazione che ciò le trasmetteva. Dianna però le aveva spiegato che lo faceva per accertarsi che tutto fosse a posto e, comunque, era un comportamento che aveva utilizzato anche quando Demi andava a scuola. Le mostrò il quaderno con gli esercizi di grammatica inglese, quello con delle domande di geografia, sull’Europa, alle quali aveva risposto in maniera corretta e un terzo con due problemi di matematica che aveva risolto bene.
“Tutto giusto anche in aritmetica, brava!! Si congratulò. “La signorina Porter sarà contenta.”
“Ci ho messo un po’ a svolgerli, un paio di volte ho sbagliato qualcosa e il risultato mi veniva errato.”
“L’importante è capire i propri errori, ricordalo” intervenne Eddie.
Demi sorrise: la mamma le aveva detto che era stata brava facendole i complimenti, quindi era fiera di lei e ciò la faceva sentire più leggera.
“Ti ha dato i compiti per le vacanze?”
“Sì, oggi. Ho una lista con tutti gli esercizi che devo fare per ogni materia. Non c’è da comprare nessun libro, userò quelli che ho già.”
La donna prese in braccio Madison e la bambina si aggrappò a lei stringendole le braccia intorno alle spalle e al collo.
“Ciao, scimmietta” mormorò con dolcezza.
Scimmietta? Ma che razza di nomignolo era? A Demi non piacque un granché, anche se era ovvio che non fosse offensivo. Ma ciò che la colpì fu la sensazione di vuoto allo stomaco che provò nel vedere quella scena. Era molto tenera, però avrebbe voluto qualche coccola in più da parte di Dianna. Era una mamma molto amorevole, tuttavia poche volte parlavano di cose profonde. Demi non le aveva mai confessato come si sentiva nell’essere così piccola e lavorare alla Disney, non l’aveva mai resa partecipe delle emozioni contrastanti che provava e i “Come stai?” della mamma sembravano sempre sì interessati, ma in parte superficiali, come se non volesse mai andare a fondo delle questioni. Aveva cresciuto lei e Dallas così e le due ragazzine erano molto chiuse sotto questo punto di vista.
Perché mi sembra di essere trattata come se fossi più grande di quello che sono? Pensò, poi disse: “Vado un po’ su.”
Prima di ritirarsi in camera propria, però, bussò a quella della sorella.
La ragazza era china su un libro e stava leggendo un testo in spagnolo. Lo studiava a scuola dall’anno precedente e lo adorava. Anche a Demi sarebbe piaciuto impararlo, ma non aveva mai tempo. In compenso, dalla prima elementare aveva iniziato il francese che continuava ancora adesso e lo adorava. Restò lì ad ascoltarla parlare. La musicalità di quella lingua, molto più poetica dell’inglese a suo parere, la colpiva sempre. Fece un passo in avanti e il legno scricchiolò, così la ragazza più grande tremò appena e si girò.
“Oh, sei tu. Vieni, siediti qui, tanto ho quasi finito.”
Terminò di leggere e poi chiuse il libro rimettendolo nello zaino.
“Che cos’era?”
“Un testo di uno che si presentava e faceva lo stesso con la sua famiglia.”
“E potresti descriverci un po’ in spagnolo? Così lo sento ancora, mi piace tanto.”
L’altra sorrise ed iniziò.
“Hola, me llamo Dallas y tengo quatorce años. Mis hermanas menores son Demi y Madison y las quiero.
Hablo mucho con Demetria y me gusta cantar junto a ella, mientras juego demasiado con Madison porque sólo tiene seis meses y me encanta cuando ríe o me observa con su mirada inocente.”
“Ho capito solo Demi e Madison” la interruppe l’altra.
Dallas rise e le tradusse il testo.
“Ciao, mi chiamo Dallas e ho quattordici anni. Le mie sorelle minori si chiamano Demi e Madison e voglio loro bene. Parlo molto con Demetria e mi piace cantare insieme a lei, mentre gioco tanto con Madison perché ha solo sei mesi e mi fa piacere quando ride o mi osserva con il suo sguardo innocente.”
“Carino” fu il commento dell’altra.
“Vuoi che continui?”
“No, tranquilla. È molto bella come lingua, ha una musicalità pazzesca!”
“Già, lo penso anch’io. Stavo improvvisando, comunque, per cui avrò fatto alcune ripetizioni.”
“Vabbè, non importa.”
“Tutto bene?”
Dallas divenne seria quando guardò la sorella negli occhi e notò la profonda tristezza che li riempiva.
“Sì, solo un po’ di pensieri.”
“Riguardo a cosa?”
“Niente, non preoccuparti.”
L’altra non replicò: se Demi non voleva parlare non l’avrebbe forzata. Non le venne nemmeno in mente di dirle che loro due avrebbero potuto parlare di qualsiasi cosa, in parte perché anche lei non si sbottonava mai molto e in parte perché pensava che Demetria lo sapesse e non le pareva necessario dirlo. Si sbagliava: a volte alcune persone hanno un disperato bisogno di sapere che altri sono lì per loro, di sentirlo dalla voce di questi ultimi.
Demetria, dal canto suo, tenne quella porta ermeticamente chiusa. Non era abituata a dire ciò che provava se non attraverso le canzoni che scriveva e non ai familiari, perché con Andrew lo faceva sempre. Inoltre, non sapeva come la sorella avrebbe reagito ad un suo sfogo. Le voleva bene, ma forse l’avrebbe offesa sminuendo il suo sentire o prendendola in giro come avevano fatto i bulli in precedenza, benché le offese fossero più che altro rivolte al suo peso. Si sentì uno schifo a pensare quelle cose di Dallas, ma non poté farne a meno. Poco dopo andò nella sua stanza e scrisse alcune idee per un nuovo testo riguardo i sentimenti di quel momento.
Quella sera, Dallas e Demi vollero la pizza con i wurstel e le patatine e le ore seguenti furono tranquille, passate tra giochi e risate anche con Buddy che, un po’ geloso di Madison, chiedeva attenzioni. Portava la pallina ad ognuno dei familiari perché gliela lanciasse, oppure abbaiava correndo attorno a loro in cerca di coccole.
“Buddy, ti vogliamo bene anche se c’è lei” continuavano a dirgli Dallas e Demi ma il Cocker Spaniel bianco, non capendo, seguitava a comportarsi in quel modo.
Una volta a letto, Demetria pensò che quel pomeriggio non si era sentita poi molto male e la sera si era divertita a far ridere Madison con facce buffe.
 
 
 
“Ti amo” mormorò Eddie all’orecchio della moglie facendole il solletico.
Lei rise piano e rispose con altrettanto sentimento, poi lo strinse forte. Si addormentarono così, abbracciati e uniti nel loro profondo amore.
Erano circa le undici di sera quando Dianna, che si svegliava di frequente, si rese conto che Madison respirava in modo strano. Non pareva affaticata, ma il suo respiro era più lento del normale. Forse era solo una sua fissazione, ma lei sapeva benissimo che le mamme si rendono sempre conto se qualcosa non va nei loro figli. Si alzò, si avvicinò al lettino in punta di piedi per non svegliare il marito e in quel momento la bambina cominciò a strepitare.
“Piccolina, cosa succede?” chiese la donna a voce bassissima.
Lei mosse manine e piedini, per quanto le coperte glielo permettevano e toccandola Dianna sentì che la fronte era fresca.
Grazie al cielo!
Accese la lampada sul comodino e notò che Madison aveva una gengiva arrossata e si metteva spesso il dito in bocca in quel punto: le stava spuntando un dentino, un incisivo. Non si vedeva ancora, ci sarebbe voluto un po’. Non avendo ancora a disposizione un anello da dentizione, la donna andò a bagnare una piccola pezza e gliela appoggiò sulla gengiva massaggiando piano per darle sollievo. Eddie si svegliò e diede il cambio alla moglie restando accanto alla figlia e massaggiandola con un fazzoletto di stoffa imbevuto di altra acqua fresca.
“Tranquilla amore, ora passa tutto.”
Continuò a parlarle con dolcezza, usando un tono basso e calmo che, secondo Dianna, aveva qualcosa che conciliava il sonno. Le palpebre si stavano chiudendo a lei più che alla bambina, che ancora si lamentava, ma udire suo marito che parlava alla piccola in quel modo tanto affettuoso la riempì di gioia e le fece spuntare un sorriso enorme. Lo faceva anche con Dallas e Demi, perfino nei momenti in cui avrebbe dovuto arrabbiarsi cercava di essere paziente anche quando lei non ne poteva proprio più. Dopo un tempo che non riuscì a quantificare, Eddie le si sdraiò di nuovo accanto e sussurrò:
“Si è addormentata.”
“Sì, ma si sveglierà di nuovo tra qualche ora.”
Quand’era più piccola Madison aveva avuto un disturbo molto comune nei neonati: le coliche, che avevano tenuto sveglia Dianna anche fino alle due del mattino. Se Lisa, una sua amica, non fosse venuta a dar loro una mano la sera e la notte, non ce l’avrebbero fatta. Adesso però era andata in ferie con il marito e sarebbe stato così fino alla fine di luglio. In agosto poi avrebbe cominciato a lavorare dato che aveva trovato un impiego, ma aveva promesso di aiutare quando avrebbe potuto. Tutti si erano affezionati ancora di più a lei e per le bambine era come una zia.
Ce la stiamo facendo anche da soli pensò Dianna. Andrà tutto bene.
In fondo era lei la mamma e anche se aveva deciso di farsi aiutare pensava di dover gestire da sola le figlie. Chiedeva una mano a Eddie, ma non molto perché pensava che se l’avesse fatto troppo l’avrebbe considerata debole e poi ne aveva già avute due, doveva imparare a gestirne tre senza qualcuno sempre accanto. Solo così sarebbe stata una madre perfetta. Tutto doveva esserlo, nella sua vita. Fu con questi pensieri che si addormentò.
 
 
 
Il giorno dopo, quando si svegliò, Dallas sorrise. Buddy era addormentato tra le sue gambe con la testa tra le zampette. Gli fece una piccolissima carezza e poi sistemò il letto alla bell’emmeglio, aprì le imposte e le finestre e, dopo essersi lavata la faccia e infilata una tuta da ginnastica, raggiunse la mamma in cucina. L’aveva sentita alzarsi diverse ore prima, ma non era una novità.
“Buongiorno!” la salutò andandole incontro.
La donna stava mettendo piatti, tovaglioli, tazze e cucchiai per tutti.
“Ciao, amore.”
“Hai già  fatto colazione?” chiese Dallas vedendo che per lei non c’era niente.
“Sì, ho mangiato dei biscotti con un po’ di latte.”
Dallas non commentò, ma sia lei sia Demi sapevano che si nutriva poco e che a volte rimetteva. Era stato così anche quella mattina. Prima la donna si era pesata, poi infilata due dita in gola finché aveva sentito venir su e poi uscire il vomito che le aveva invaso la bocca con il suo sapore nauseabondo, infine era salita di nuovo sulla bilancia e solo allora le voci si erano quietate. Lei doveva essere una moglie, una mamma ed una persona perfetta in ogni campo e anche nel fisico, perché solo così le sembrava di riuscire ad avere un po’ di controllo sulla propria vita. La madre aveva spiegato a Demi e Dallas che mangiava poco in quanto il suo metabolismo era così, che se si nutriva un po’ più del dovuto si sentiva male ma che non era un problema, il dottore le aveva detto che era normale ed era tutto a posto, doveva solo stare attenta. Se la più piccola le credeva, lei a volte si domandava se ci fosse qualcosa che non andava, eppure la mamma era magra, sì, ma non eccessivamente soprattutto dopo la gravidanza. Aveva smesso di allattare pochi giorni prima, perché all’insaputa di tutti aveva ricominciato a mangiare il meno possibile da un po’ e non era più riuscita a dare il latte a Madison, il suo corpo aveva reagito non permettendoglielo. Aveva quindi deciso di darle il biberon, non poteva continuare a preoccuparsi del suo peso e a mangiare, come le dicevano le voci nella sua testa, come un maiale. Soffriva da molti anni di anoressia, malattia mai curata e che lei faceva di tutto per nascondere e che le faceva vedere ogni cosa in maniera distorta.
“Mamma, tutto bene?”
Dianna tremò appena.
“Sì, stavo solo pensando che spero che Madison oggi si senta meglio. Vado un attimo in lavanderia e poi fuori a stendere i panni.”
Brava, sei stata credibile pensò.
Una volta fuori dalla cucina, fu come se una mano più fredda del ghiaccio la afferrasse da dietro e le stringesse forte il collo mozzandole il respiro e provocandole un dolore violento e continuo. Mosse la testa indietro e in avanti, rendendosi conto solo in quel momento che niente e nessuno la tratteneva. Eppure, per quei pochi secondi che erano sembrati una tremenda eternità, era parso tutto anche troppo reale. Ansimò, mentre un sudore freddo le colava giù per il viso. Non si era mai sentita così quando aveva provato quell’odioso senso di colpa, ma a quanto pareva adesso era stato più terribile del solito. Aveva mentito per la… non lo sapeva, aveva perso il conto ormai. Nessuno doveva scoprire quello che faceva quando si trattava di cibo, o l’avrebbero considerato un problema e non lo era, lei stava benissimo. Eppure dire bugie al marito, alle figlie, agli amici pesava sempre di più. Si piegò in avanti, quasi si fosse trattato di un peso fisico e poi cominciò a scendere le scale. Dallas non si era accorta di niente, se fosse stato così le avrebbe detto qualcosa.
Una volta di sotto si chiuse in lavanderia e scoppiò a piangere. Le capitava sempre più spesso di farlo da dopo la nascita di Madison, anche senza un motivo preciso ma sempre e solo di nascosto. Aveva smesso di allattarla un mese prima e pochi giorni addietro si era diretta dal medico, l’unico con il quale poteva essere sincera riguardo ciò che provava. L’uomo l’aveva ascoltata con attenzione e alla fine era giunto alla conclusione che, anche stavolta com’era stato per Demi, Dianna si sentiva così a causa della depressione post partum, solo che adesso era più intensa.
Lì non andava mai nessuno tranne lei. A volte le figlie la seguivano per farle compagnia, ma non si mettevano a curiosare in giro anche perché non c’era niente da vedere tranne una lavatrice, detersivi e altri prodotti e panni vari. Dianna mise da una parte un pesante contenitore con dei panni che aveva tirato fuori dalla lavatrice la sera prima e che, a causa della troppa stanchezza, non aveva ancora steso. Aprì un cassetto di un mobile accanto al lavandino e, sotto mille cianfrusaglie, trovò quel che cercava: una scatola di farmaci antidepressivi. Ne prese una e bevve un po’ d’acqua dal lavandino per mandare giù la pastiglia, poi nascose di nuovo tutto mettendo qualche altra cianfrusaglia. Avrebbe dovuto trovare un nascondiglio migliore, forse, magari uno con una chiave, ma questo era il massimo per il momento. Dallas, Demi ed Eddie giravano per tutta la casa a parte in quel luogo, prima o poi l’avrebbero scoperta. Si sentiva quasi in colpa a prenderli come se farlo l’avrebbe condannata a chissà cosa. La verità era che quelle pastiglie le facevano capire sul serio di avere un problema, mentre prima era stato più facile non solo nasconderlo ma anche negarlo a se stessa o, quantomeno, non pensarci o cercare il più possibile di farlo. Non era la prima volta che prendeva qualcosa per quella malattia, ma anche in passato si era sentita allo stesso modo. Se qualcuno avesse saputo si sarebbe vergognata desiderando solo scomparire. Avrebbe dovuto dare spiegazioni ed era proprio ciò che non desiderava: mettersi del tutto a nudo, rendere partecipe la propria famiglia delle sue difficoltà. Il suo intero essere tremava di terrore al solo pensiero. Fu solo dopo che il suo corpo fu scosso da un vero, forte tremore che si accorse di essere rimasta lì in piedi, immobile e con la bocca aperta per chissà quanto, forse pochi minuti che però le erano parsi eterni. Inspirò ed espirò piano per calmarsi, poi piano piano andò a stendere e tornò di sopra.
 
 
 
Madison era sul divano, circondata dai cuscini e sorvegliata dal papà e dalle sorelle. Era giovedì. Il giorno prima erano cominciate le vacanze estive e, per fortuna, “Barney And Friends” in cui Demetria recitava non sarebbe ricominciato prima dell’inizio di agosto. La bambina mise sulle gambe della sorellina, che intanto si mordeva le manine, una pallina di gomma con la quale di solito amava giocare.
“Non se le tiene in bocca un po’ troppo?” chiese rivolta a quello che considerava suo padre.
Aveva letto un libro sui bambini, ma non ricordava ci fosse scritto questo aspetto e, inoltre, era una cosa che Madison aveva iniziato a fare solo da un paio di settimane.
“È normale, sono i dentini che stanno uscendo. Lo fa per massaggiarsi le gengive e sentire meno dolore.”
Come se avesse capito, la piccola tirò fuori le mani e prese la palla, che cercò di mettere in bocca. Non ci riuscì del tutto, ma comunque i tre non si preoccuparono. Dianna disinfettava spesso i giocattoli della piccola, sapendo che a quest’età e anche prima i bambini amano toccarli e anche assaggiarli.
“È il loro modo di scoprire il mondo” diceva spesso.
“È più buona questa delle mani, vero?”
Dallas rise divertita dopo aver posto quella domanda contagiando gli altri.
"Di che cosa parlate?"
Dianna rientrò in salotto trascinando appena i piedi.
"Del fatto che Madison morde i giocattoli per sentire meno male." Fu Demi a parlare e poi aggiunse: "Mamma, sei pallida. Stai bene?"
"Esatto, che ti è successo? Sembra che qualcuno ti abbia appena terrorizzata. Magari un fantasma?"
Dallas ridacchiò alla sua stessa battuta sperando di aver provocato ilarità anche negli altri, ma così non fu. Tutti, eccezion fatta per Madison, che se si era accorta del cambiamento dei suoi familiari non lo dava a vedere, osservavano Dianna con sguardo preoccupato. In realtà, la ragazza si pentì quasi subito di aver pronunciato quelle parole. Aveva riconosciuto il pallore e lo sguardo un po' smarrito della mamma. Erano gli stessi che aveva avuto, in passato, quando Patrick l'aveva insultata, ridicolizzata o le aveva fatto del male, con la differenza che ora i suoi occhi non erano iniettati di paura, di quel terrore che solo a pensarci ti si mozza il respiro mentre un brivido freddo ti attraversa il corpo e arriva a toccare i recessi più profondi della tua anima, anche se non sei tu la persona che vive quell'emozione. Perché a volte per capire bastano un'espressione e uno sguardo, Dallas l'aveva imparato fin da bambina quando, dopo le loro litigate e che il padre se ne andava o fuori o in camera, tornava da lei e la osservava in silenzio. Non sapeva tutto di sua madre nemmeno ora, ma una cosa era certa: non avrebbe mai dimenticato i suoi occhi in quei momenti. Erano gli occhi di chi aveva visto e sofferto troppo, si era resa conto crescendo e ragionandoci. Di chi è terrorizzato ma va avanti per le persone che ama, in quel caso lei e Demi e vorrebbe fuggire ma non può, o non vuole e nutre false speranze di cambiare l'uomo che crede ancora di amare, quello che la colpisce, la tormenta senza sosta e poi si scusa con false promesse. Erano gli occhi di chi lotta anche quando, nei momenti peggiori, forse preferirebbe morire, morire davvero, perché - almeno così pensava - quando chi dice di amarti di colpisce o ti ridicolizza, è come se ogni volta ti togliesse un po' di vita. Ma quella è una morte lenta, interiore, scacciata a volte dalla speranza che tutto andrà meglio. Non sapeva se la mamma avesse avuto o no pensieri suicidi nella sua vita, sperava di no ma aveva i suoi dubbi, e quando ci pensava la cosa la inquietava ancora adesso per giorni non dandole la possibilità di dormire quasi per nulla.
"Scusate, ho detto una stupidaggine."
Riuscì a parlare e a riprendersi, per fortuna, o qualcuno avrebbe fatto domande anche a lei. Non voleva dire la verità e ricordare cose brutte a Demi e alla mamma, non adesso che quella casa una volta piena di dolore era più allegra e felice.
"Non ti preoccupare, tesoro. In realtà non ho visto nessun fantasma, sono solo un po' stanca, tutto qui."
Dianna alzò la mano e la mosse in avanti come per far capire che non era niente, sminuendo i suoi problemi come sempre. Andò in cucina e tornò poco dopo con un tovagliolo con il quale pulì la bocca e il mento di Madison, pieni di bava a causa della salivazione abbondante, un altro segno che indicava che il primo dentino stava per spuntare, poi le asciugò le mani con uno strofinaccio consapevole, però, che ben presto avrebbe dovuto rifarlo. Passò un po’ di tempo e la donna si sentì sempre più stanca. Era uno degli effetti scritti nel bugiardino, di quelli che solo a leggerli le si era accapponata la pelle. Aveva la bocca secca ma il dottore le aveva detto che l’effetto sarebbe passato nel giro di poco. Iniziava a sentirsi meglio, ma il mese precedente era stata dura. Gli antidepressivi spesso possono far stare molto peggio nel primo periodo e non vedeva l’ora di uscire da quella fase. Andò a bere dell’acqua e poi tornò dalla sua famiglia.
Poco dopo, seduta stavolta sul tappeto ma sostenuta sempre dai cuscini, Madison si divertiva a prendere in mano alcuni giocattoli che le sorelle le avevano messo davanti. Iniziava a capire che uno faceva un rumore particolare se preso in mano, un suono che le piaceva molto. Si trattava infatti di un sonaglio, non troppo piccolo in modo che non potesse metterlo in bocca e rischiare di farsi male, bensì della giusta misura affinché riuscisse a prenderlo in mano e rimetterlo giù, un buonissimo allenamento per la sua coordinazione motoria. C'era anche un orsetto di peluche, nero e con il pelo corto, che la bambina adorava passare da una mano all'altra e poi sollevare vicino alle guance e sulla bocca. Lo batté a terra qualche volta rendendosi conto che il suono che produceva era diverso.
"Però, è brava con i movimenti delle mani e delle braccia" osservò Dallas, poi dato che la piccola si era stancata dei giocattoli precedenti Demi le fece rotolare davanti una pallina un po' più grande di quella che prima aveva messo in bocca.
Madison provò a prenderla ma non ci riuscì bene, così le cadde di mano.
"Riesci a fare così?" Demetria la riprese e le mostrò di nuovo il gesto che aveva appena fatto per passargliela. "Ecco che rotola verso di te, rotola" ripeté, perché anche se la piccola non riusciva ancora a parlare era importante farlo con lei e dirle alcuni vocaboli che prima o poi avrebbe imparato, per esempio riferiti ad alcune azioni durante il gioco.
Bloccandola con la manina, dopo qualche sforzo Maddie riuscì a rifare il gesto.
"Bravissima!" esclamò Demi e tutti applaudirono.
"Andiamo a fare una passeggiata?" propose Eddie, ma guardando fuori dalla finestra vide che il cielo si era annuvolato e che stava piovigginando. "Ah. No, direi di no."
"Uffa."
Le due sorelle parlarono all'unisono, quasi fossero state gemelle. Passare un giorno in casa era noioso, sia per loro ma soprattutto per Madison, anche se forse avrebbe smesso di piovere presto e poteva trattarsi di un semplice temporale estivo.
Eddie nascose il peluche di una paperella sotto un contenitore di plastica, poi guardò la figlia e le chiese:
"Dov'è?"
Madison rimase ferma per qualche momento. Il gioco era sparito, non lo vedeva da nessuna parte. Guardò ad uno ad uno i suoi familiari, ma nessuno le disse nulla. Dopo aver esplorato con lo sguardo il tappeto notò una scatola che prima non c'era, la sollevò ed emise un gridolino di gioia.
"L'hai trovata, visto?"
Il padre, fiero di lei, la prese in braccio.
E così la giornata passò tranquillamente. Demi e Dallas fecero un po' di compiti e, a volte, la maggiore aiutò l'altra, Madison si divertì e fece qualche riposino e Dianna riuscì a mangiare poco a pranzo dando la colpa al fatto che non si sentiva molto bene e aveva mal di testa. Non era vero, ma almeno nessuno le domandò niente né si insospettì. L’inappetenza era data sia dalla sua malattia sia da un altro effetto collaterale del farmaco, anche se stava passando. Piovve da mattina a sera smettendo solo per brevi momenti. Eddie diceva che ce n'era bisogno, che il caldo quell'anno era ancora più secco dei precedenti e aveva ragione, ma a volte tutti si annoiarono a rimanere dentro. Madison, però, si lamentò poco del dolore alla gengiva, solo un paio di volte la mamma la massaggiò con uno straccio bagnato e più spesso fu la bambina ad arrangiarsi grazie ai giocattoli o alle dita.
Quella sera tutti andarono a letto abbastanza sereni, anche Demi alla quale la cosa non pareva possibile. Non aveva avuto nessun pensiero negativo, né ansie o altro, di conseguenza non era stato necessario fare ciò che di solito faceva per allontanare tutto ciò. Si addormentò quasi subito come non accadeva da tempo.
 
  
 
Madison si svegliò di nuovo verso mezzanotte. Dianna fu la prima ad alzarsi. Si sentiva sempre stanca, era vero, ma dormiva comunque poche ore ed aveva il sonno leggero, per cui non fu poi così difficile prenderla in braccio.
“Ti serve una mano?”
Senza aspettare una sua risposta, Eddie si alzò un po’ a fatica stiracchiandosi e sbadigliando e le fu subito accanto.
“È bollente” furono le uniche parole della donna.
Aveva le guance sudate e tremava, così le misurarono la temperatura nel modo che si usa con i bambini piccoli e scoprirono che era a trentotto gradi e mezzo.
“Dobbiamo portarla in pronto soccorso?” domandò Eddie.
“Proviamo ad abbassargliela e vediamo cosa succede nelle prossime ore. Se si alzerà lo faremo, altrimenti domani contatterò il pediatra.”
“D’accordo.”
Dianna sembrava abbastanza tranquilla, come se sapesse cosa fare. Lui invece si sentiva spaesato. Demi e Dallas avevano avuto la febbre in passato, ma erano più grandi di Madison quando lui le aveva conosciute e non aveva la benché minima idea di come si affrontasse quel problema con un bambino tanto piccolo.
La donna la prese in braccio e la portò nel bagno del piano di sotto dove la distese sul fasciatoio e la spogliò. Nel frattempo, chiese a Eddie di mettere dell’acqua nella vaschetta che usavano per farle il bagnetto.
“Tiepida, mi raccomando, non calda.”
Le fecero il bagno e la piccola si lamentò piangendo forte e senza sosta per minuti interi. Nulla sembrava consolarla. Dianna le cantò varie ninnananne, Eddie le raccontò delle favole e tutti e due cercarono di essere pazienti e dolci. Sapevano che la bambina non stava facendo i capricci ma che si lamentava perché aveva freddo - lo si vedeva da come tremava - e forse anche male alle ossa o alla testa.
“Da cosa pensi che dipenda?” chiese Eddie a voce piuttosto alta per farsi sentire sopra quegli strilli.
“Non saprei. O da un virus o dai dentini che stanno spuntando. È l’età giusta. Il pediatra saprà dirci di più.”
“Non ne so quanto te, se continua a piangere in questo modo sarà meglio portarcela, non chiamarlo.”
“Hai ragione. Povera piccola mia” sospirò la donna.
La asciugò tremando, con l’aiuto del marito, mentre i suoi occhi sempre fissi sulla piccina erano pieni di lacrime. Non sapeva perché faceva così, certo era preoccupata ma era consapevole del fatto che non si trattasse di niente di grave, o almeno ci sperava. La verità era che la depressione e, in parte, l’agitazione che ogni tanto provava aumentavano la sua preoccupazione.
 
 
 
“Che sta succedendo?”
Demi si era svegliata da un po’ a causa del forte e continuo pianto di Madison. Sembrava disperata, non la sentiva strepitare così nemmeno quando aveva fame. Che cos’aveva? Si lasciò andare ad una lunga esclamazione di chi non ne può più, ma allo stesso tempo era preoccupata. Una morsa all’altezza del cuore sembrò stringerglielo con forza inaudita e la lasciò senza fiato. Ma come poteva pensare al suo fastidio quando forse Madison non stava bene? Era solo un’egoista, pensò. E se si fosse trattato di qualcosa di grave? Forse era stata male e la mamma e Eddie avrebbero chiamato l’ambulanza. Senza aspettare un attimo in più lanciò via le coperte e saltò giù dal letto, uscendo poco dopo dalla stanza. In corridoio incontrò Dallas, assonnata e con i capelli scarmigliati.
“Che facciamo?” chiese la più piccola.
“Non saprei.”
Non erano sicure che scendere sarebbe stata una buona idea. Certo avrebbero potuto chiedere se serviva aiuto, ma in che cosa sarebbero state capaci di dare una mano in quella situazione?
“Forse è meglio provare” tentò Demi, che non ce la faceva a restare lì con le mani in mano mentre il pianto della sorellina era tanto forte che avrebbe lasciato un segno anche nel più freddo dei cuori.
Dallas annuì e insieme scesero le scale, piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Buddy, sveglio come loro, guardava verso il bagno ma restava immobile, seduto sul tappeto. Come le due ragazzine, pareva che anche lui temesse che producendo il minimo suono avrebbe fatto arrabbiare Eddie e Dianna.
“Sei anche tu preoccupato per Madison, eh?” Demi gli si avvicinò e lo accarezzò sulla testa. “Non preoccuparti, starà bene.”
Il cane le leccò la mano.
Le due sorelle si scambiarono uno sguardo d’intesa e fu la più grande ad avvicinarsi ai genitori, ma sempre in punta di piedi. Solo quando fu loro abbastanza vicina si fece udire per non spaventarli e Dianna si voltò verso di lei.
“Che c’è?” domandò, muovendo una mano verso di lei con un gesto secco.
Sembrava che volesse mandarla via e anche il suo tono l’aveva fatto capire.
Dallas trasse un profondo respiro: nonostante fosse ormai grande, vedere la mamma perdere la pazienza la faceva ancora sentire in soggezione e credeva che sarebbe sempre stato così.
“Io e Demi abbiamo sentito M…” Non era il modo migliore di cominciare, si disse. Se le cose stavano così doveva essere concisa. “Volevamo sapere se avete bisogno di una mano con lei, ci siamo preoccupate.”
Ecco, meglio pensò.
Demi, a poca distanza, era stata colpita con più violenza dal modo di fare della mamma. Le era capitato di vederla mentre perdeva la pazienza e non era mai bello. A volte avevano litigato e poi sofferto per questo. Ma ora era diverso. Il fatto che se la fosse presa con loro quando volevano solo aiutare, scacciandole con quel gesto nemmeno fossero state un fastidioso insetto, le fece tornare per un momento alla mente quei pensieri legati al suo funerale. Spesso la assalivano anche nei momenti più impensabili, quando era sul set o stava facendo altro. Se davvero la mamma non voleva il suo aiuto, ma soprattutto se l’aveva scacciata così quando lei voleva solo fare del bene, allora forse non le sarebbe importato se lei fosse morta oppure no.
“Ma che stai dicendo?” le disse una voce nella sua testa. “Lei ti ama, entrambi lo fanno.”
Era buona, quella voce, sempre gentile e la risollevava ogni volta. Peccato che non venisse quasi mai e che la sentisse debole, come se si trovasse in un luogo lontano. Era sicura dell’amore della mamma e di Eddie per lei, ma nonostante tutto era affascinata dalla morte, non le faceva paura e si immaginava il suo funerale con minuzia di particolari. Il sacerdote non aveva nulla di interessante da dire su una bambina come lei e i genitori e le sorelle non sembravano addolorati.
Fu scossa da un forte tremore che la riportò alla realtà.
Smettila! Smettila di pensare a queste cose.
Non comprendeva nemmeno perché lo facesse, non ne aveva motivo. Aveva tutto quello di cui necessitava, eppure sentiva sempre un vuoto dentro di sé, un senso di incompletezza, di tristezza e al contempo di pressione che la faceva stare male.
La mamma era ancora intenta a parlare con Dallas.
“Ti ho detto che non ci serve niente, ora andate.”
Anche Eddie parlò, ma fu più delicato.
“Grazie, ragazze, ma risolviamo noi. Siete state molto gentili, adesso però tornate a letto e non preoccupatevi, non è nulla di grave.”
Fu Allora che, mentre andavano di sopra, Demi e la sorella si resero conto che la mamma non le aveva nemmeno rassicurate sulle condizioni della sorella trattandole come delle bambine. Ai bambini di solito si dice poco o niente per proteggerli da preoccupazioni o problemi più o meno grandi, benché questa non sia sempre una scelta saggia.
“Non merito un simile trattamento! Ho quattordici anni cazzo, non cinque” sbottò Dallas prima di chiudersi la porta alle spalle.
“Ed io ne ho quasi dieci. Sono grande e poi ne ho viste già tante.”
Nessuna delle due aveva urlato, ma alzato la voce sì anche se non erano sicure che i genitori le avessero sentite. Le avrebbero sgridate? Messe in castigo? Non importava, avevano il diritto di dire la loro anche se forse non li avevano rispettati, violando uno dei Dieci Comandamenti che avevano imparato:
Onora il padre e la madre.
Nessuna delle due ricordava qual era e, benché - anche vista l’età - non ritenessero la loro fede forte come quella dei genitori, sapevano di credere in Dio e che ciò dava loro conforto e speranza. Demi, Dianna e Dallas si erano battezzate quando la prima aveva cinque anni e il battesimo di Madison sarebbe stato celebrato a settembre. Sentendosi in colpa per aver urlato contro la mamma e Eddie, Demetria decise di dire un “Atto Di Dolore”. Quando si rendeva conto di aver commesso un grosso errore lo faceva sempre, non perché era ossessionata o altro, ma per il semplice fatto che dopo si sentiva sempre meglio. Era una preghiera difficile, ci aveva messo settimane ad impararla, ma ora la sapeva a memoria come tutte le altre e, una volta finito, fu più tranquilla. Tuttavia le parole della mamma ancora bruciavano nel suo cuore come fuoco vivo, l’avevano fatta sentire inutile e stupida. O forse era sciocco anche solo  provare tutto ciò, magari era lei ad aver commesso un errore e non avrebbe dovuto intromettersi assieme alla sorella. Forse quella era una cosa da grandi, ma da grandi veri, adulti, che non le riguardava.
“Avrei dovuto dire a Dallas di non insistere, invece mi sono persa nei miei pensieri.”
Da tempo l’autostima di Demi era molto bassa, come dimostravano i suoi comportamenti. Di sicuro, se fosse stata meglio e non avesse avuto tanti problemi nemmeno in passato, adesso non si sarebbe sentita così male per una piccola litigata in cui lei, tra l’altro, non aveva nemmeno proferito parola. Aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori alcune merendine. Le aveva quasi finite, accidenti, e non le sembravano abbastanza ma avrebbe dovuto accontentarsi. Spesso mangiava quando stava male o si sentiva tesa, soprattutto dolci. Sospirò pensando che nessuno l’avrebbe vista e cominciò ad aprire e ingurgitare quegli snack al cioccolato e burro d’arachidi. All’inizio ne morse solo un pezzettino e lo lasciò sciogliere in bocca per un po’ prima di ingoiarlo, poi fece lo stesso con un secondo e un terzo, infine iniziò a mandare giù a grandi morsi, masticando poco. Il suo unico obiettivo era riempirsi il più possibile lo stomaco per non pensare al senso di inutilità che la pervadeva e alla tristezza che le rendeva gli occhi pieni di lacrime e il respiro ed il corpo pesanti. A volte lo faceva anche quando era al lavoro, nascondendosi nel bagno, per diminuire la propria ansia. Aveva nove anni e lavorava per uno show che sarebbe stato visto da tutta la nazione. E le piaceva farlo, non aveva mai detto il contrario. La mamma ripeteva a lei e a Dallas che avrebbero potuto smettere in ogni momento di lavorare, ma loro desideravano continuare. Solo che, ora Demi se ne rendeva conto, non era tutto rose e fiori e per una bambina quel mondo era anche molto duro. Sentiva di essere cresciuta troppo in fretta, sia a causa di quel lavoro sia del proprio passato. In parte avrebbe solo voluto essere normale, come tutti gli altri, ma d’altro canto non voleva smettere perciò continuava, solo che poi stava male, non riusciva a parlarne con nessuno e si trovava in un circolo vizioso senza fine. Mangiò tutte le merendine nel giro di un paio di minuti mentre lacrime salate le correvano veloci giù per le guance, gocce che racchiudevano tutte le sue emozioni ma in particolare una. Trovò un’altra merendina sotto altre cianfrusaglie e, quando questa sembrò non volersi aprire, Demi la scagliò dall’altra parte della stanza con così tanta veemenza che sfiorò il vetro della finestra e cadde a terra. La raccolse e la mangiò in due bocconi.
“Perché non posso fare niente per lei?” chiese guardando in alto.
Il senso di impotenza era perfino peggiore della rabbia o della tristezza.
Le sarebbe anche solo bastato portare ai genitori un termometro, un biberon pieno d’acqua o una pezza con cui bagnare la fronte della sorella, qualsiasi cosa, perché le spezzava il cuore sentirla piangere in quel modo. Madison sembrava inconsolabile. Una volta, Dallas le aveva detto:
“Quand’eri piccola e papà tornava a casa ubriaco o drogato, iniziava ad urlare e a lanciare cose. A volte gridava contro la mamma e tu, in camera, ti svegliavi e cominciavi a gridare come se sentissi che qualcosa non andava. Quando mamma non poteva, ero io a venire da te.”
Forse, si disse, Madison stava urlando meno di quanto aveva fatto lei, perché almeno quella piccolina era nata in una famiglia senza violenza né paura.
Sospirò e gettò con rabbia le cartacce nel cestino, poi aspettò che in casa ci fosse silenzio restando seduta sul letto. Non aveva più sonno, era del tutto sveglia e vigile. Quando la mamma e Eddie salirono le scale rimase immobile e, nel momento in cui entrarono in camera loro, si alzò. Avrebbe dovuto aspettare ancora, ma non ne poteva più. Uscì in punta di piedi, senza ciabatte. Andò di sotto e bevve, quasi tutta d’un fiato, una  bottiglietta di succo all’arancia, dopodiché tornò di sopra e si distese sul letto. Un forte senso di nausea le partì dallo stomaco e salì fino alla gola. Non vomitò, ma un sapore amaro le riempì la bocca e dovette andare in bagno a sputare nel lavandino. Bevve alcuni sorsi d’acqua e prese diversi respiri profondi, poi si mise a letto e si addormentò dopo poco. Si sentiva appagata, le pareva che la litigata con la mamma non le pesasse più così tanto e si disse che, forse, non aveva fatto nulla di male scendendo con Dallas. Sapeva che, il giorno seguente, sarebbe stata di nuovo male se la situazione non si fosse risolta, ma per il momento desiderava godersi quella sensazione di liberazione che provava ogni volta che mangiava tanto e senza controllo, rendendosi conto solo alla fine di quanto cibo avesse messo nello stomaco. Ma non era un problema, si trattava del suo modo di affrontare le situazioni difficili e andava bene così.
 
 
 
"Ti rendi conto che hai risposto male ad entrambe, vero?"
Eddie pose quella domanda alla moglie in tono gentile anche se, in realtà, ci era rimasto piuttosto da schifo: Demi e Dallas non meritavano un simile trattamento. Madison si era riaddormentata e adesso erano entrambi a letto.
Dianna sospirò.
"Sì, lo so e mi vergogno." Si portò le mani davanti al volto e continuò: "Dovrei scusarmi."
Eddie le sorrise, felice che volesse chiarire subito.
Ma magari stanno dormendo e sarebbe meglio farlo domani mattina.
"Tutte scuse" le disse la sua coscienza. "Vuoi solo ritardare il momento perché hai paura. Sai benissimo che molto probabilmente non staranno dormendo perché pensano a quello che è successo."
Dopo aver preso un altro gran sospiro la donna si alzò e si diresse in camera di Dallas. La trovò ancora sveglia, seduta alla scrivania a leggere e le chiese, con dolcezza, di andare con lei da Demi. Anche lei non dormiva e, sdraiata sul letto, le guardò entrare sorpresa.
"Perché ci hai fatte venire qui?" domandò Dallas un po' stizzita.
Demi sbuffò ed aggiunse:
"Esatto, vorrei saperlo anch'io."
La donna si sedette sulla scrivania della figlia, mentre la più grande si accomodò sul letto. Dianna pensò che in condizioni normali, ad una risposta del genere avrebbe messo in punizione entrambe, o quantomeno la prima, ma che era stata lei a sbagliare e, anche se con i genitori bisogna essere sempre rispettosi, stavolta erano loro ad avere ragione.
"Voglio scusarmi con voi" iniziò. "Vi ho trattate malissimo.”
“Io direi proprio di merda” la interruppe Dallas.
Dianna si prese qualche secondo di pausa; era inutile dirle di non usare parolacce, almeno quella volta.
Ah, gli adolescenti! pensò.
“Va bene, di merda. Mi sono comportata da insensibile e non c'è alcuna giustificazione per questo. Voi volevate aiutarci e vi ringrazio, siete state gentili. Io non ve l'ho permesso, ma non per maleducazione. Sapete che apprezzo sempre quando mi date una mano, che sia in casa o con Madison. Il fatto è che vostra sorella piangeva, sembrava stare parecchio male ed io non ne capivo il motivo, dato che non aveva febbre. Mi sono agitata, molto a dire il vero." Non si sbottonava mai così con le sue figlie, quasi con nessuno in realtà. Solo al marito, ogni tanto, diceva ciò che provava nascondendo però i suoi pensieri e comportamenti più segreti, quelli che nessuno doveva scoprire. E poi dicono che in un matrimonio non ce ne dovrebbero essere e hanno pure ragione, sono io a fare schifo. Scosse la testa e riprese: "L'ansia mi ha fatto rispondere in un modo orribile, tesori miei. Mi dispiace." La sua voce si addolcì ancora. "Il lavoro delle mamme non è affatto facile, sapete?” Si alzò e prese loro le mani. “È bellissimo, il migliore del mondo, ma stanca e stressa molto. Vi prometto che da ora in avanti starò più attenta alle mie reazioni."
Dallas e Demi rimasero un po' in silenzio, mentre Dianna tamburellava le dita sulle gambe e poi intrecciava le mani non sapendo cosa aspettarsi. Non riusciva a capire se fossero ancora arrabbiate o meno. Le aveva davvero ferite così tanto solo per quello? Le due ragazzine si dissero che non potevano immaginare quanto fosse faticoso il lavoro di una mamma, ma che ricordavano i mesi passati con Madison e quanto la donna avesse dovuto faticare tra pianti e poppate frequenti, notti passate quasi in bianco e giornate altrettanto difficili, nelle quali aveva cercato di dormire nei momenti in cui le figlie più grandi erano via e la più piccola riposava, o altre volte dedicandosi ai lavori di casa. Tra le due, Demi era la più ferita. Ad un occhio esterno poteva sembrare che ingigantisse il problema e forse in parte era così, ma la bassa autostima può giocare pessimi scherzi alla mente, soprattutto se questa è ancora un po' fragile. Se ripensava al tono duro della mamma stava ancora male e il nodo in gola non voleva saperne di andare via, ma Dianna si era comunque spiegata e le aveva fatto capire che non era inutile come aveva pensato. Dallas, dal canto suo, forse anche perché era più grande o dato che non aveva gli stessi problemi di autostima della sorella, fu la prima a sorridere alla madre e ad ad abbracciarla. Poco dopo, comunque, tutte e tre si unirono in un forte abbraccio di gruppo e anche Demetria riuscì a rilassarsi. Fare pace è sempre bello e gli abbracci della mamma sono i migliori, in essi si trovano sempre il calore e l'affetto di cui si ha bisogno.
"Vi voglio bene, non dimenticatelo mai" sussurrò Dianna nei loro capelli, solleticandole. “Voi e Madison siete quanto ho di più prezioso nella vita, il più bel regalo che Dio potesse farmi.”
"Anche noi te ne vogliamo, tantissimo" risposero le due quasi all'unisono, mentre i loro cuori battevano forte e gli occhi si riempivano loro di lacrime per le bellissime parole che avevano appena sentito.
"Madison come sta?" si informò Demi,
"Ora dorme, per fortuna, ma la febbre non si è abbassata per il momento e domani contatterò il pediatra. Non è molto alta e forse sono solo i dentini, però per sicurezza preferisco fare un controllo."
Rassicurate dal fatto che la sorellina si fosse tranquillizzata e dopo essersi chiarite con la mamma, le due sorelle caddero in un sonno profondo.
Il giorno dopo, Madison si svegliò con la guancia destra gonfia all'esterno ed arrossata all'interno. Il gonfiore e il rossore si vedevano anche sulla gengiva. Toccandola Dianna poté sentire che c'era qualcosa al di sotto, una punta che voleva uscire, ma ancora non era successo niente e, per esperienza, sapeva ci sarebbe voluto un po' anche se ogni bambino è diverso. Madison si lamentò per quel tocco, il dolore lì doveva essere molto forte.
“Scusami, cucciola.”
La mamma la massaggiò con dell’acqua fredda e la bimba si calmò.
La febbre non si era abbassata ma nemmeno alzata e la bambina non aveva né vomito né altro. L'unica cosa negativa, a parte la febbre ed il dolore alla gengiva, fu che non aveva molta fame.
"È normale" spiegò la donna alle figlie che guardavano preoccupate la sorella, "sia a causa della febbre che del dente che sta uscendo."
La bambina finì a fatica il biberon di latte. Il calore di quella bevanda la infastidiva, lo si notava perché dopo ogni sorso si staccava dalla tettarella e si lamentava.
"Chiamo il pediatra una volta finito" disse Dianna ma Eddie, che era in ferie per una settimana, si propose di farlo al suo posto. Prese quindi un appuntamento e gli fu detto di portare lì la piccola per un controllo.
"Possiamo venire anche noi?" chiese subito Demi.
Desiderava stare vicino alla sorella in quel momento, benché avesse capito che la situazione non era grave.
"Meglio di no, tesoro. Dovrà visitarla, ci saranno già altri bambini nell'ambulatorio ed è meglio non andare in tanti. Torneremo presto e ti prometto che potrai aiutarmi con lei, va bene?"
La bambina annuì, poi Dianna chiamò Lisa perché non se la sentiva di lasciare da sole le sue figlie. Dallas aveva quattordici anni ed avrebbe dovuto cominciare a rimanerci senza un adulto, ma la donna e Eddie avevano deciso di abituarla a ciò un po' gradualmente. Quando la donna arrivò, i genitori misero Madison nel seggiolino e partirono.
 
 
 
Demi e Dallas avevano sempre pensato che Lisa Morris fosse una donna fantastica. La mamma l'aveva conosciuta da molto giovane.
A diciassette anni Dianna aveva iniziato a lavorare per lo show “Six Flags”, quando ancora stava con i suoi, ma nel momento in cui le era stato proposto di cantare sette giorni a settimana i genitori si erano arrabbiati, in quanto lei era la pianista della chiesa e ne avevano bisogno. Ancora giovane e piena di sogni, pensando che mamma e papà sottovalutassero la sua passione e non avendo idea che quella decisione avrebbe cambiato in modo drastico la relazione con la propria famiglia, Dianna non solo aveva accettato il lavoro ma se n’era anche andata di casa.
In seguito aveva lasciato lo show ma un giorno, dopo qualche anno, aveva incontrato Lisa che a quel tempo lavorava proprio per “Six Flags”. L’amicizia tra loro era continuata negli anni e la donna l'aveva sempre aiutata con le bambine quando poteva.
Spero che io e Selena saremo amiche per tantissimo tempo, magari per sempre, come lei e la mamma rifletteva spesso Demi.
"A che pensi, piccola?"
Lo sguardo di Lisa era talmente dolce che Demetria non si arrabbiava mai quando la chiamava così, non ce la faceva proprio ed era l'unica oltre alla mamma a cui ancora lo permetteva.
La bambina diede voce ai suoi pensieri.
"Un giorno mi dovrai presentare questa Selena. Ne parli tantissimo."
"È una forte!"
Lisa rise di cuore per quell'espressione.
"Forte, eh? Ora sono ancora più curiosa. Che volete fare, ragazze?"
Se avessero voluto guardare la televisione, sperava di riuscire a dissuaderle. Lo facevano di certo abbastanza con i genitori e non voleva che stessero incollate ad uno schermo mentre lei era lì. Il giardino era bagnato a causa della pioggia del giorno prima, che non aveva smesso fino all'alba, quindi non era il caso di uscire anche perché il cielo era ancora nuvoloso.
"Ci leggi una storia?"
"Va bene Demi, portatemi un libro e lo leggeremo tutte insieme."
"So già quale sceglierà" mormorò Dallas.
Infatti, dopo poco la sorella tornò con "Harry Potter e la pietra filosofale". Era stato regalato alla maggiore anni prima ma da pochi mesi aveva cominciato a leggerlo anche lei, visto che adesso era grande. Anzi, in realtà l'aveva già terminato e più di una volta.
"Questo" disse, decisa.
Lisa lo prese in mano e trovò un segnalibro.
"L'hai già iniziato, vedo."
"In realtà è la terza volta che lo leggo, ma mi piace troppo. Il secondo uscirà a dicembre e non vedo l'ora! Conosci la storia?"
"Sì, anch'io l'ho letto perciò non sarà un problema seguirla."
E così Lisa riprese a leggere. Dallas si annoiò un po', ma pur di far felice la sorella non disse niente e, mentre ascoltava, per ingannare il tempo si mise a fare un disegno. Osservò le foglie degli alberi bagnate dall'acqua che gocciolava giù. Sembrava piangessero e ciò la colpì tanto che disegnò delle foglie che piangevano.
"Ma è un capolavoro!" esclamò Demi quando lo vide.
Le foglie erano perfette, con le loro venature e il colore verde intenso, e le gocce d'acqua - per le quali Dallas aveva scelto un delicato azzurro - che scendevano fino a depositarsi sull'erba.
"È bellissimo, Dallas. Non sapevo fossi tanto brava a disegnare."
"Me la cavo."
Sorrise, felice di aver fatto un così bel lavoro e aiutata dalla sorella appese quel foglio ad una delle pareti del salotto.
 
 
 
Nell'ambulatorio c'erano diversi bambini accompagnati da qualche mamma o, per la maggioranza, dai nonni. Uno sembrava avere la stessa età di Madison, qualcun altro era più piccolo mentre gli altri più grandi. La piccola cominciò quasi subito a piangere muovendo avanti e indietro le manine chiuse a pugno. Avere la febbre non è bello per nessuno, in più lei era troppo piccola per capire cosa le stesse succedendo e il dente e tutto il resto la facevano agitare ed innervosire.
"Prima visita" annunciò il pediatra uscendo. Aveva una voce grave e dal tono gentile, però parlava piano ed era difficile udirlo sopra il chiacchiericcio. Il suo ufficio si trovava alla fine di un piccolo corridoio, dalla parte opposta della sala d'attesa. "Madison De La Garza" annunciò poi.
Dianna si ritenne fortunata: Eddie aveva preso un appuntamento pochi minuti prima e gli era stato dato per quel giorno quando entrambi avevano pensato di dover aspettare il lunedì seguente. Si alzò e, con il marito, entrò nella grande stanza dove il dottore si sedette davanti ad una scrivania sulla quale si trovavano un computer ed un telefono, mentre loro si accomodarono di fronte a lui.
"Allora, mi dicevate che ha la febbre."
"Proprio così dottor Browne" rispose Eddie spiegandogli la situazione.
Jim Browne era sulla quarantina ma sembrava più giovane e, una volta ascoltato con attenzione, si passò una mano tra i capelli neri e corti come per riflettere e poi sorrise ai due genitori.
"Ha altri sintomi? Vomito o diarrea per esempio? O pensate che possa avere qualche dolore allo stomaco?"
Fu Dianna a parlare.
"Nulla di tutto questo. Ha dormito un sonno agitato, ha una salivazione molto abbondante e una gengiva arrossata e gonfia. In più… vede?" Puntò il dito verso la sua guancia. "Non ha molto appetito e brividi di freddo, ma per il resto sembra star bene. Non mi pare di averle fatto prendere freddo in questi giorni, cerco sempre di coprirla a dovere se serve. E non siamo stati a contatto con persone che avevano il raffreddore o che potessero trasmetterle qualcosa, almeno non che io sappia."
Il dottore disse ai genitori di spogliare la bambina, che si lamentò per il freddo e fu subito calmata da tutti e tre con alcune parole dolci e rassicurazioni. Il medico la visitò, le auscultò il cuore, poi controllò i bronchi e i polmoni, le guardò la bocca e la gola e, siccome Madison tendeva a chiuderla quando Dianna e Eddie gliela aprivano, dovette usare un bastoncino per tenerle giù la lingua. Ciò la fece piangere ancora più forte.
"Shhh" prese a dire Dianna. "Va tutto bene. Tra poco è finita, promesso."
Poverina, chissà cosa pensa. Secondo me non vede l'ora che termini questa tortura.
Il pediatra chiese anche di toglierle il pannolino per controllare com'era la pelle intorno alle parti intime e per misurarle di nuovo la febbre.
"Trentotto e tre, si è abbassata. È leggera. Come sapete per via rettale si ha dai trentotto in su, mentre ascellare dai trentasette. Bronchi e polmoni sono liberi, la pelle è a posto e in gola non ci sono placche né arrossamenti il che è positivo." Sorrise per rassicurarli ancora di più: stava andando tutto bene. "Non sempre c'è correlazione tra febbre e denti che spuntano, anche se sono stati fatti molti studi a riguardo. Credo però che non sia una credenza popolare e che in questo caso sia venuta proprio ora e in forma leggera per tale motivo. Datele della Tachipirina in sciroppo o in gocce nelle dosi che vi dirò e ogni sei ore. Nel giro di uno o due giorni dovrebbe stare bene. Se non fosse così richiamatemi."
Consigliò ai due di prendere un anello da dentizione in farmacia, o alcuni giocattoli fatti apposta per essere morsi dai bambini in modo da alleviare il dolore, o ancora di massaggiare le gengive con una pezza bagnata e, infine, rinfrescare il ciuccio più volte al giorno.
"In quanto crede spunterà il dente?" domandò Eddie, che sull'argomento non sapeva nulla.
Il pediatra diede la risposta che, invece, Dianna si aspettava.
"Dipende, alcuni giorni o anche un mese. È lì sotto, lo sento, ma deve iniziare a tagliare la gengiva. L'ha fatto leggermente, vedete? C'è un piccolissimo foro." Si notava appena e in quel punto il rossore aumentava. "Ma potrebbe volerci tempo. In ogni caso i disturbi spariranno piano piano. Il sonno agitato, la salivazione abbondante, l'inappetenza e l'arrossamento sono dovuti a questo, è normalissimo anche se molto fastidioso per lei."
Disse ai genitori quanta Tachipirina somministrare, poi domandò se stava seduta da sola per un po' e Dianna gli disse che sì, ci riusciva per alcuni secondi.
"Benissimo!" esclamò l'uomo mentre i genitori la rivestivano.
"Per quanto riguarda lo svezzamento, quando posso iniziare dottore? Lei è molto attirata dallla tavola, allunga le mani quando mangiamo come se volesse afferrare il cibo, a volte ci prova anche."
"Quindi mostra interesse, buon segno. Lo svezzamento deve avvenire in modo tranquillo e non forzato, per cui provate ad iniziare con la pappa sia a pranzo che a cena e fate caso alle sue reazioni. Può essere che la accetti a pranzo e che le piaccia anche la frutta omogeneizzata per merenda, ma che la rifiuti a cena, per cui dovrete ricorrere al latte ancora per un po'. Se non è pronta a nulla lo capirete, in questo caso aspettate un paio di settimane."
Cercò di far capire loro che ogni bambino è diverso e, se alcuni accettano questo cambiamento in modo tranquillo, altri preferiscono andare più piano.
Eddie e Dianna uscirono dallo studio del pediatra più tranquilli e rilassati. Andarono subito a comprare la frutta omogeneizzata, e della pastina minuscola che avrebbero messo in una minestra di brodo che Dianna aveva intenzione di preparare. Avrebbe iniziato anche con quella di verdura frullando tutto al massimo, ma con un po' di calma. Si diressero anche in farmacia a prendere la Tachipirina e degli anelli da dentizione da tenere in frigo. Intanto, Madison si era addormentata a causa della stanchezza. La mattina faceva un paio di pisolini, questo era il primo e sembrava che fosse più tranquilla rispetto agli ultimi giorni.
“Ci hanno dato un anello già freddo, proviamo a metterglielo in bocca” suggerì Eddie.
La bambina, in macchina nel seggiolino, lo accolse con piacere, spingendoselo di più dentro la bocca con le manine.
 
 
 
Nonostante fosse grandicella, a Demi era venuta voglia di giocare a nascondino. Dallas lo reputava un gioco un po' stupido, ormai, ma aveva accettato per vederla felice. Lisa era contro un muro, con gli occhi chiusi e stava contando da venti fino a zero, mentre le due sorelle correvano a nascondersi. Dallas scelse un piccolo studio dove il padre ogni tanto andava a gestire questioni lavorative anche da casa, se poteva. Si trovava vicino alla lavanderia. La ragazza si mise sotto la scrivania e aspettò. Demi, invece, corse di sopra con l'intenzione di infilarsi in un armadio. E all'improvviso ricordò una di quelle cose che avrebbe tanto voluto dimenticare. Tremò con violenza e stava per urlare quando qualcuno entrò nella sua stanza.
"Non ti sei nascosta?" le chiese Dallas. "Lisa mi ha già trovata e pensando che fossi qui sono venuta io."
Demi non ribatté che il gioco non funzionava così, non era importante al momento.
"Ho ricordato una cosa."
Dallas notò il suo viso pallido come quello di un cadavere e gli occhi persi nel vuoto, come se non fosse stata del tutto presente ed ebbe paura non di lei, ma per lei, perché in quel momento doveva soffrire molto.
"Ne vuoi parlare?"
Si sedettero entrambe sul letto e, anche se non lo faceva spesso, Demi annuì. Le gambe e le braccia erano deboli, le forze le stavano venendo a mancare. Fu così che lei e la sorella cominciarono a parlare e a rammentare insieme.


 
Aveva quasi quattro anni e mezzo quando, quel giorno di gennaio, Eddie e Dianna decisero di andare fuori a cena loro due soli. Vivevano tutti e quattro insieme da ottobre. Dallas non riusciva a capire come la mamma avesse potuto mettersi assieme a Eddie dopo poco più di un anno dalla fine del matrimonio. Forse aveva capito che lui era diverso, che non le avrebbe mai fatto del male e che avrebbe accettato lei e Demi come fossero state sue figlie. In ogni caso le era andata bene. Non doveva essere stato affatto semplice stare con Eddie dopo che il papà si era comportato in modo così cattivo. Ma la mamma diceva sempre che Eddie era un principe, un cavaliere dall’armatura splendente. Era un secondo padre meraviglioso e, da quello che la bambina vedeva, i due si amavano moltissimo e la mamma sembrava stare meglio. Non piangeva più e sembrava più serena.
Quella sera con loro c'era Jenna, una ragazza che abitava vicino a loro e che, per Dallas e Demi, era come una sorella. Stavano giocando tutte e tre a fare un puzzle sedute sul tappeto. Dovevano ricopiare la figura riportata sulla scatola: una foto di un lago con dei cigni e alcune piante e insetti.
"È bellissimo!" esclamò Demi. "Ma riusciremo a farlo?"
"Ci proveremo" rispose Jenna con un gran sorriso.
Si tirò una ciocca di capelli rossi sempre ribelli dietro l'orecchio e poi aiutò Dallas a trovare un pezzo tra i tanti che c'erano, perché la bambina non aveva proprio idea di dove fosse e stava perdendo la pazienza.
"Uffa! Questo puzzle è troppo difficile" si lamentò.
"Li troveremo tutti, con calma."
Jenna aveva una voce molto dolce e delicata ed il suo tono trasmetteva sempre tanta allegria. Era una di quelle persone che non sembrano mai tristi, che sorridono per davvero e non fingono.
Non fa come la mamma pensò Dallas. Lei ha continuato a fingere per tanti anni.
Se c'era una cosa che aveva capito era proprio questa, e anche che il papà spesso era cattivo mentre altre volte dolcissimo, solo che non riusciva a comprenderne il motivo. In quel momento suonò il telefono e Jenna si precipitò a rispondere. Le bambine continuarono il puzzle, ma poco dopo si fermarono vedendo che lo sguardo della ragazza prima si incupiva e si faceva serio e poi si riempiva di paura, mentre la ragazza sbarrava gli occhi. D'istinto, Demi si alzò in piedi di scatto mentre Dallas aveva tutti i sensi in allerta e cercava di carpire qualcosa di quella conversazione. Chi c'era dall'altra parte? Che cosa stava dicendo?
Non sarà…
Jenna lasciò quasi cadere il telefono prima di metterlo al suo posto con mani tremanti. Poi lo riprese e compose un altro numero.
"Dianna, ciao. Sì, cioè no, adesso no. Ho risposto al telefono, ed era Pat. Ci ha urlato contro e ha detto che sarebbe passato a trovarci per prendere le sue bambine. Non so cosa fare!" esclamò, mentre il respiro le si faceva pesante e anche le gambe prendevano a tremare.
Le ginocchia rischiavano di cederle e dovette mettersi seduta per terra, mentre anche Dallas si alzava e prendeva la mano della sorellina stringendola forte per proteggerla.
Se verrà non potrò fare niente, invece. Sono ancora troppo piccola.
Le due bambine avrebbero voluto scappare come facevano quando papà era ancora lì e litigava con la mamma, ma non riuscivano a muoversi e i loro cuoricini battevano tanto che forse sarebbero scoppiati.
"Non finché non siamo lì!" esclamò Dianna, le figlie la sentirono distintamente perché quasi lo urlò. Disse a Jenna di portare le bimbe in una camera al piano superiore. "Fingete di non essere lì - chiudi a chiave ogni porta, ogni finestra, e spegni le luci."
La telefonata finì pochi secondi dopo.
"Forza bambine, di sopra, presto!"
Jenna gridò, ogni traccia della ragazza solare ora era sparita. Scosse da quell'ordine, le due cominciarono a correre in fila, mentre la ragazza chiudeva tutto.
"T-ti aiuto" si offrì Dallas.
"No, vai con tua sorella. Sotto il letto, mettetevi sotto il letto, presto!"
Quelle piccole erano sotto la sua responsabilità, se fosse successo loro qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
Dio, ti prego, proteggici e fa' che non accada nulla di grave alle bambine. Con me puoi fare ciò che vuoi, ma lascia in pace loro, per favore. Patrick non può portarle via.
Mentre si sbrigava a terminare il lavoro - ma quante porte e finestre aveva quella casa, dannazione? - le due sorelle erano corse in camera della più grande.
"Demi, non stare lì ferma, dobbiamo andare sotto, hai sentito Jenna."
Ma la bambina rimaneva in piedi vicino al comodino di Dallas e non muoveva un muscolo.
"Ci porterà via?" domandò, con la voce rotta e le lacrime agli occhi.
Anche l'altra avrebbe voluto piangere, ma si disse che ancora una volta doveva comportarsi come ciò che era: una sorella maggiore.
"No, vedrai che andrà tutto bene. Verrà, vedrà che non ci siamo e andrà via."
"Io non voglio andare con lui!" gridò la più piccola.
Ognuna delle due aveva negli occhi, nelle orecchie e nel cuore immagini e suoni orribili di insulti, botte, grida, oggetti lanciati, il padre ubriaco o drogato, tutte cose che due bambine di quattro e quasi nove anni non dovrebbero nemmeno conoscere.
Dallas chiuse le imposte e le finestre della stanza, nella quale Jenna non era ancora arrivata.
"Lo so, neanch'io. Ora facciamo le brave e andiamo sotto. E silenzio, okay? Shhh."
Demi si mise accanto alla sorella e rimasero lì, nel buio, con la porta chiusa, per quella che ad entrambe parve un'eternità. Non si muovevano nonostante le fitte alla schiena e al resto del corpo vista la posizione scomoda. Qualcuno bussò ed entrò e le due si irrigidirono. Non poteva essere lui, non avevano sentito la porta aprirsi e poi era chiusa a chiave, e la mamma aveva cambiato la serratura tempo prima, e…
"Sono Jenna, tranquille" mormorò la ragazza mettendosi accanto a loro. "Ho chiuso la porta a chiave, ora stiamo ferme e zitte."
Nessuna risposta, ma le piccole avevano capito.
Non seppero quanto tempo passò, ma non ci volle molto per sentire una frenata terribile davanti a casa.
"È lui" mormorò Dallas non riuscendo a trattenersi.
Demi cercò la sua mano e prese quella di Jenna con l'altra.
"Ho paura!"
Iniziò a piangere dicendolo e Jenna le lasciò la mano per accarezzarle la schiena.
"Shhh, non gli permetterò di farvi del male. Ci sono io qui, non siete sole."
"Demi, Dallas, dove siete?" chiese l'uomo battendo pugni e calci sulla porta. Era chiaro da come parlava in modo strascicato che era ubriaco, o forse peggio. "Venite fuori, c'è papà. Vi ho portato caramelle e cioccolata."
"Ferme. Ferme qui" disse Jenna a voce un po' più alta.
Anche fosse stato vero, quell'uomo non era stabile. Non dovevano entrare in contatto con lui per nessun motivo al mondo.
Dopo averle chiamate per un po', Patrick passò agli insulti.
"Dianna, brutta troia, dimmi subito dove cazzo sono le mie figlie! Dimmelo, voglio vederle, ne ho il diritto." Sì, ce l'aveva, ma solo se fosse stato pulito, questi erano gli accordi. Cosa che a quanto pare non era, e difatti fino a quel momento si erano incontrati poche volte. "Hai paura di me, puttana? Portamele qui e sarà tutto finito. Ho detto fallo, maledetta cogliona incapace!"
Se Demi soffriva nel sentire la propria madre essere chiamata in questo modo, in Dallas e Jenna stava montando la rabbia. Una rabbia feroce che la minore non aveva mai provato prima. Se fosse stata più grande sarebbe uscita a dirgliene quattro, ad urlargli di lasciarle in pace e come si permetteva di parlare così della mamma. Era lui in quel momento lo stronzo, il cattivo, e lo era stato tante altre volte. Non riuscendo più a controllarsi, Dallas sgusciò fuori dal letto con una tale rapidità che Jenna non riuscì a fermarla.
"No! Che fai?" le chiese, in allarme.
Parlò in tono concitato e per Demi fu difficile capire anche solo quelle poche parole.
"Voglio almeno vederlo. Starò attenta, promesso."
"Oddio, Dallas la mamma non vuole, torna qui!"
Jenna stava per andare a riprenderla ma Demi artigliò il suo braccio con entrambe le mani.
"No, no non mi lasciare."
La ragazza rimase dov'era, pregando Dallas di stare attenta.
Quest'ultima aprì una finestra e socchiuse le imposte, poi sbirciò.
"So che siete lì dentro. Ho diritto di vedervi" stava urlando Patrick, sempre più furioso.
Entrò nel giardino di quella che era stata anche la sua casa e continuò ad insultare Dianna ancora per un po', lo fece anche con Eddie utilizzando parole molto pesanti. Poi la sua rabbia divenne incontrollabile e si scatenò. Patrick strappò con violenza la ghirlanda natalizia che era appesa alla porta e la lanciò in giardino, dopodiché fece avanti e indietro nella proprietà pestando i piedi e sollevando nugoli di polvere. Urlò, insultò ancora gli adulti, bestemmiò e disse un mucchio di parolacce, poi alla fine tornò nella sua Trans Am e se ne andò, lasciando sulla strada dei segni che sarebbero stati visibili forse per sempre.
 
 
Di sicuro c'erano ancora in quel momento, ogni volta che uscivano di casa li vedevano e ricordavano, pensarono le bambine.
"E quindi quando sei venuta qui ti è tornato in mente tutto questo?"
"Sì, e la paura che ho avuto dopo, per giorni. Non riuscivamo più a dormire, ti ricordi? E non è stata nemmeno l'ultima volta che è successo."
"No, infatti."
Signore, fa’ che non capiti ancora pensò Dallas.
Non sapevano bene cosa dire a parte che erano state terrorizzate. E dal loro padre, poi, da colui che avrebbe dovuto proteggerle e amarle nel modo giusto, era questa la cosa sconvolgente. Non essendo state abituate ad aprirsi riguardo argomenti profondi, veniva loro difficile sfogarsi a riguardo anche se erano da sole, benché a volte si sbottonassero. Dianna era stata cresciuta in una famiglia in cui di certo non ci si sfogava con i propri genitori, perciò lei stessa non lo faceva con nessuno e le figlie avevano preso dalla mamma.
"Adesso va tutto bene" cercò di rassicurarla Dallas. "La mamma sta per tornare con Eddie e Madison e passeremo la giornata insieme, okay?"
Sorrise, ma il ricordo era stato particolarmente duro e vivido per tutte e due. Erano stanche.
Ancora non lo sapevano, nessuno l'aveva capito, nemmeno Lisa che poco dopo venne a dire ad entrambe che aveva preparato una cioccolata, ma Dallas e Demi erano state traumatizzate da ciò che era successo non solo quella sera, ma anche negli anni precedenti. E Dianna non era da meno. Purtroppo, però, avrebbero cominciato ad affrontare quel problema in terapia molti anni dopo.


 
 
Quando Demi e Dallas sentirono la macchina dei genitori fermarsi davanti a casa, corsero alla porta per aspettarli. Non uscirono, però, sapendo che Lisa si sarebbe potuta preoccupare. Se fossero andate in strada sarebbe stato pericoloso, dato che abitavano nel centro di Los Angeles che, come c'era da aspettarsi, era molto trafficato. La più grande delle sorelle cominciò a battere un piede a terra, mentre l'altra strinse così forte i pugni che le nocche sbiancarono.
"State tranquille, vedrete che sarà tutto a post" cercò di rassicurarle l'amica della mamma.
Le due erano consapevoli che non si trattasse di nulla di grave, ma la preoccupazione restava. Quando scattò la serratura della porta si spostarono indietro per lasciarli passare.
"Cos'ha detto il pediatra?" si informò subito Demi, senza nemmeno salutarli.
I genitori le sorrisero.
Era quasi commovente il modo in cui sia lei sia Dallas si preoccupavano per Madison, un segno ulteriore della forza del loro legame.
"Non ha nulla di grave" rispose Eddie e raccontò ogni cosa. "Dovremmo darle la Tachipirina, che ne dici, Dianna? Non vorrei che la febbre si alzasse nelle prossime ore e il pomeriggio e la sera tende a farlo."
"Sì, iniziamo subito."
La donna domandò a Lisa se avrebbe voluto fermarsi a pranzo, ma questa le disse di no. Maddie non stava bene e non avrebbe mai voluto essere motivo di stress o fastidio per lei. Tutti la ringraziarono per il suo aiuto.
"L'ho fatto volentieri. Rimanere con le vostre figlie è sempre divertente e bellissimo. Dianna, sai che quando hai bisogno io ci sono. Torno comunque domani sera, se ti fa piacere, per darti una mano con Madison come al solito."
"D'accordo, grazie. Sei molto gentile."
“Ciao, zia Lisa.”
Demi la salutò con quel nome, zia, che la donna adorava e la abbracciò forte.
Quando questa uscì, la donna andò in cucina con tutte le figlie.
“Dallas, terresti Madison un momento?”
La ragazza la prese in braccio senza difficoltà.
“Ha gli occhi pieni di sonno.”
“Si è svegliata da poco.”
Nel frattempo, Dianna aprì la borsa di nilon che conteneva ciò che avevano preso in farmacia.
“Questa è la bottiglia di Tachipirina e qui c’è il misurino” spiegò. “Bisogna versarne esattamente…” Controllò la tabella sul retro della confezione che riportava il dosaggio corrispondente al peso del bambino e disse quanti millilitri erano necessari nel caso di Madison.
Se Dallas fissava la madre cercando di ricordare la quantità, Demi era forse più concentrata di lei. Se le fosse capitato di farlo voleva essere brava e non sbagliare.
“E se adesso non le piace e la sputa?” domandò Demetria.
Quando le serviva quel farmaco lei ora prendeva la pastiglia, ma ricordava bene che da piccola lo sciroppo non le era piaciuto un granché. Forse però a sei mesi l’aveva apprezzato.
“Proverò in un altro modo. Dammela pure, Dallas.”
Dianna si sedette e avvicinò il misurino alla bocca della bimba che, pur non capendo di cosa si trattasse, la aprì subito. La donna, allora, versò il contenuto leggermente denso all’interno. Non fu facile e ci mise un po’ a fare in modo che entrasse tutto, fino all’ultima goccia. Madison si lamentò per l’impazienza, scoppiò quasi a piangere, ma il padre la distrasse con una canzoncina e qualche faccia buffa che la fecero sorridere. Fu così che la piccola ingoiò e non sputò nulla, senza quasi rendersene conto e pur facendo una leggera smorfia.
“Wow! Io non sarei così brava” fu il commento di Dallas.
“Una fatta. Vedremo come andrà la febbre nelle prossime ore” sospirò Dianna.
Madison mangiò poco a pranzo,, fece un sonnellino nel pomeriggio e, dato che la febbre salì un po' prima di cena, iniziò a stancarsi dei giocattoli. Prese una pallina, cercò di farla rotolare ma, riuscendoci con scarsi risultati, la allontanò con uno scatto della mano e tornò a divertirsi con un orsetto di peluche che, però, poco dopo mise da parte. Andava avanti così da un po' e non c'era modo di farla concentrare su qualcosa per più di due minuti. In parte era snervante, d'altro canto però dispiaceva a tutti che la piccola si sentisse così anche perché, vista la giovanissima età, non poteva dire dove sentiva dolore o come stava. Buddy le si avvicinò, la guardò ed abbaiò piano, come per farle coraggio. Dianna prese una mano della figlia e le fece accarezzare il cane, ma anche in quel caso la piccola non sembrava interessata.
"Cosa possiamo fare, mamma?" domandò Dallas.
"Lasciamola stare. L'importante è che non continui a piangere perché significa che non sta poi così male."
La cena trascorse tranquilla come il pranzo. Non solo Madison, ma anche Dianna non finì il suo piatto. Era un po' in ansia e ciò le chiudeva lo stomaco e le voci dell'anoressia si facevano di nuovo sentire. Cercò di ignorarle, di concentrarsi sulla conversazione della sua famiglia provando a parteciparvi, ma queste - o questa, non capiva mai esattamente se fossero più di una o no, forse dipendeva dal momento - seguitava a sussurrare. Sembrava un serpente che si insinuava in lei promettendole che non le avrebbe fatto del male con il proprio veleno e che, anzi, quello per lei non era qualcosa di dannoso ma che se avesse continuato a seguire ciò che le diceva sarebbe stata meglio presto.
"Devi sfruttare la malattia di tua figlia a tuo vantaggio" le mormorava. "Cerca di mangiare il meno possibile. Del resto sei preoccupata, no? Hai detto che non le hai fatto prendere freddo, ma ne sei proprio sicura? Magari sei una madre orribile e fai schifo. Perciò, se essere in pensiero ti fa mangiare di meno, approfittane ma non farti scoprire."
La voce interna che le faceva capire troppo spesso che era un fallimento come mamma pareva essersi mescolata a quella dell'anoressia creando in lei una confusione non da poco. Stanca per il poco sonno, l'ansia e, in aggiunta, le vertigini che quelle voci le provocavano, Dianna non poté far altro che prendere una pastiglia per il mal di testa.
"Hai l'emicrania, amore?"
Eddie le fu subito accanto. In una situazione normale non si sarebbe preoccupato per un semplice mal di testa, ma il pallore della moglie lo metteva in agitazione.
"Sì, ma adesso mi passa."
La voce le uscì e Dianna se ne stupì, non credeva di avere nemmeno la forza di parlare e sperava davvero che presto avrebbe avuto sollievo. Doveva occuparsi della sua piccola, della casa, delle altre figlie, non poteva permettersi il lusso di stare male, riposare e non fare niente.
Quella notte, quando Madison si svegliò per la terza volta, fu Eddie ad alzarsi e prenderla.
"Me ne occupo io, riposati."
La moglie provò a protestare, ma tutto fu vano e l'uomo si diresse di sotto con la piccola. Le misurò la febbre, le preparò un latte caldo e si sedette sul divano con lei.
Demi si era svegliata ogni volta che aveva sentito la sorellina piangere. Quello non era un pianto normale, per capriccio, bisogno di coccole o fame, si capiva che soffriva.
"Forse stavolta potrei fare qualcosa" si disse.
Sperando che la mamma non l'avrebbe sgridata scese a passo leggero e, quando la vide, Eddie le sorrise.
"Scusa se ti abbiamo svegliata."
"Non fa niente. La mamma?"
"L'ho lasciata riposare, era stanca."
"Posso aiutarti?" domandò, in tono quasi supplicante.
"Vuoi provare a darle il biberon?"
Demi annuì, non era la prima volta che lo faceva e ormai si sentiva abbastanza sicura.
Eddie gliela passò e, sentendo che si trovava tra le braccia di una persona diversa, la bambina cominciò a calmarsi. Aprì la bocca ed iniziò a succhiare con avidità.
"Perlomeno ha dormito qualche ora. L'anello da dentizione che le ha messo in bocca la mamma le ha dato un po' di sollievo, ma adesso era caldo, gliel'ho tolto."
"La febbre si è alzata?"
Sperò con tutto il cuore di no e, ricevendo proprio quella risposta, sorrise e trasse un sospiro di sollievo.
"È sempre a trentotto gradi e tre, ma prevedo miglioramenti nelle prossime ore."
"Sembri il tipo che parla del meteo in televisione" scherzò la bambina ed entrambi risero di cuore, fermandosi poco dopo per non disturbare Dallas e la mamma.
"Sei proprio forte, Demi."
"Modestamente."
Altra risata da parte di lui, che poi la guardò più serio.
"Grazie per tutto quello che stai facendo. Altri bambini della tua età non si comporterebbero in modo così maturo."
"Altri bambini della mia età non hanno vissuto quello che ho passato io" rifletté la piccola, mentre il suo sguardo si puntava verso terra.
"Non volevo ricordarti brutte cose." La voce di Eddie aveva un tono carezzevole che parve sfiorarle il cuore con un tocco gentile che quasi la commosse. "E poi penso sia anche una questione di carattere. Tu sei così: ti piacciono i bambini, vuoi aiutare e ami tua sorella."
"Non l'hai fatto e sì, mi sa che hai ragione."
"Sai che per me tu e Dallas siete come delle figlie, vero?” La voce gli si spezzò per l’emozione. “E che non farei mai del male a nessuna di voi e nemmeno a Madison?"
Demi annuì e per qualche secondo non fu in grado di proferire parola, il nodo alla gola era troppo stretto.
"Grazie per essere un secondo papà per me e mia sorella, Eddie” mormorò. “E sei fantastico!"
Si dissero insieme un "Ti voglio bene" pieno di calore e affetto, che fece vibrare in loro corde nascoste che non sapevano nemmeno di avere. Per il resto del tempo rimasero in silenzio. Non c'era altro da dire e si rilassarono ascoltando Madison che succhiava, adesso più piano, il suo latte. Si stava rilassando ed ogni tanto chiudeva gli occhietti. Demi si sentiva più grande, quasi adulta, quando la teneva in braccio. Per un po' era come se non fosse più una sorella ma una "mammina", come le diceva Dallas per prenderla in giro. Ma a lei non dispiaceva quel nomignolo, non era certo brutto come quelli che le avevano affibbiato i bulletti della sua scuola. Anzi, era carino e poi raccontava la verità, in un certo senso. Madison era entrata nella vita sua e di Dallas quando erano già grandicelle e vedendola crescere cambiavano e maturavano anche loro giorno per giorno. Di certo non avevano tutte le responsabilità o la maturità della loro mamma, però sapevano una cosa: essere sorelle maggiori comportava responsabilità, attenzione e tanta dedizione, era difficile a volte ma soprattutto meraviglioso.
Quando Maddie si fu addormentata, Eddie salì di nuovo in camera con lei ringraziando un’altra volta Demi e raccomandandole di tornare a dormire, dato che era tardi. La piccola ubbidì e prese sonno con un sorriso sereno sul volto e nessun pensiero negativo ad offuscarle la mente.
Il suo secondo papà aveva avuto ragione, si disse la bambina il giorno seguente: la febbre di Madison si era abbassata. La bambina era più attiva, giocava più volentieri e sembrava molto più tranquilla. La gengiva era gonfia e rossa, ma grazie agli anelli da dentizione che ogni tanto la mamma le dava le faceva meno male. Il giorno dopo la febbre era scomparsa.
Ci volle però un mese prima che il grande giorno arrivasse. Un mese in cui la gengiva si gonfiava e poi si spaccava sempre un po' di più, arrossandosi molto.
"È normale, mamma?" chiedeva Dallas a Dianna e anche Demi le poneva la stessa domanda.
"Tranquille, è normalissimo. Il dente la sta tagliando per uscire. Se ci sarà qualcosa che non va torneremo dal pediatra e vi prometto che ve lo dirò."
Maddie sembrò accettare fin da subito la pappa, sia a pranzo che a cena e la gradì moltissimo. A colazione beveva ancora il latte e a merenda Dianna provò ad introdurre la frutta omogeneizzata. Madison mangiava con gusto la mela e la pera e un giorno Demi chiese se avrebbe potuto provarla. Era molto curiosa a riguardo, anche se poteva sembrare stupido.
"Da piccola non ti piaceva" le disse la mamma, ma lei aprì comunque una scatoletta alla mela.
Prese un cucchiaino, lo riempì e se lo portò alla bocca.
"Oddio." Una smorfia di puro disgusto si dipinse sul suo volto. "Madison," continuò cercando di finire tutto in velocità, "ma come fai a mangiare questa roba? È qualcosa di orribile. Non tanto per la consistenza, ma proprio per il sapore. È troppo dolce." Dolce e tante altre cose, ma non avrebbe saputo come descriverlo altrimenti. "Niente più cose del genere per me" decretò, mentre Dianna e Dallas ridevano.
Rise anche lei, ormai aveva fatto la sua figuraccia, prima era stata sicura di sé e adesso si ritrovava con un sapore schifoso in bocca, tanto che dovette mangiare un po' di cioccolato per mandarlo via.
Quella sera, tutti stavano cenando e chiacchierando. Eddie si lamentava di quanto fosse stato stressante il lavoro alla Ford - era il leader di una concessionaria -, Demi e Dallas dei compiti delle vacanze che, a loro dire, erano sempre troppi.
"Ogni bambino lo pensa, è normale. Anch'io alla vostra età ero così, ma più avanti ho capito che studiare mi piaceva abbastanza" rispose l'uomo.
"Anche a me, a parte con matematica" puntualizzò Demetria.
"A me con storia."
"Dallas, sapere cos'è successo in passato è molto importante. Non dobbiamo dimenticare per cercare di non commettere gli stessi errori" provò a farle capire la mamma.
"Lo so, ma fatico a ricordarmi le date. Sono troppe."
"Proverò ad aiutarti io nello studio, allora."
"Grazie, mami."
Fu proprio in quel momento che la donna, mettendo in bocca della figlia un cucchiaio di pappa, sentì un rumore. Piccolo, appena udibile, ma c'era. Tic. Sapeva cosa poteva essere, ma non credendoci e dato che nessun altro se n'era accorto, riprovò una seconda volta. Tic. Sorrise, lasciò che la bambina mandasse giù e poi le fece aprire la bocca.
"Che succede, cara?"
"Devo controllare una cosa."
Proprio come sospettava, c'era un incisivo inferiore che stava spuntando. Aveva tagliato la gengiva e adesso stava uscendo. Si vedeva appena, ma eccolo lì che cresceva. Dianna guardò la sua famiglia e il suo sorriso si allargò a dismisura, tanto che parve illuminare tutta la casa con la sua luce. Non sorrideva così da una vita, pensò.
"Il primo dentino di Madison è spuntato."
Demi e Dallas cacciarono subito un urlo, si alzarono in piedi, iniziarono a battere le mani e a ballare e a cantare. La reazione di Eddie fu più composta, come quella della moglie, ma anche lui era felicissimo. Era pur sempre una tappa importante nella crescita della loro bambina.
"Brava, Madison!" si complimentarono i genitori dandole un bacio.
Il forte dolore che aveva provato era durato pochi giorni, anche se il fastidio era continuato alleviato però dall'anello da dentizione e da alcuni massaggi con acqua fredda fatti dai genitori e dalle sorelle.
Le due vollero vedere il dente.
"Eccolo lì!" lo indicò Dallas con un dito tirando un piccolo urletto eccitato.
Maddie rideva, alzava le manine in aria e si lasciava andare a gridolini di gioia, contagiata dall'atmosfera festosa intorno a sé.
"Dobbiamo festeggiare."
"Hai ragione, Dallas. Eddie, tira fuori il vino per noi e qualcosa per le bambine."
"Anch'io voglio il vino" si lamentò la più grande.
"Va bene, ad entrambe allora. Ma solo un goccio, d'accordo? E solo in occasioni importanti, che non diventi un'abitudine."
Dianna le guardò serissima per qualche secondo. Non avrebbe mai voluto che, per qualunque motivo, le figlie crescendo si fossero date all'alcol in maniera preoccupante, finendo come il loro padre biologico. Ma forse si stava facendo troppi problemi. Scosse con vigore la testa e cercò di non pensarci.
"Promesso" risposero le due in coro.
Poco dopo fecero un brindisi con un fresco vino frizzante.
"A Madison e alla tappa importante che ha raggiunto oggi" dichiarò Eddie e tutti alzarono il bicchiere.
Ma non era stata l'unica. Poco dopo, seduta sul tappeto, Maddie diede di nuovo prova del fatto - come accadeva da qualche giorno - che sapeva stare seduta da sola, ormai, non più per alcuni secondi come prima e senza alcun sostegno. Non era ancora in grado di gattonare, ma allungava le braccia in avanti o sollevava il corpo, quindi presto forse ci sarebbe riuscita. O magari avrebbe saltato il gattonamento ed iniziato a camminare, preferendo prima rotolarsi e strisciare e non andare a quattro zampe, o forse si sarebbe messa carponi un po' più tardi, verso gli undici mesi. Chi poteva saperlo? Una cosa era certa, però: stava bene, era felice e quel giorno, per lei e la sua famiglia, era stato molto bello ed importante. Un giorno in cui tutti avevano sorriso per davvero, grazie ad una figlia e una sorella che amavano più della loro stessa vita.
 
 
 
credits:
Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story
 
 
NOTE:
1. questa storia è ambientata a Los Angeles. Demi ha vissuto in Texas per molti anni ma io l’ho scoperto dopo aver iniziato a scrivere, quindi ho tenuto quest’ambientazione.
2. Dianna ha sofferto di depressione, depressione post partum (con Demi e Madison) e anoressia per molti anni. La sua ossessione per il perfezionismo e il fatto che la malattia la aiutasse ad avere controllo sulla sua vita sono cose vere. Tutto è tratto dal suo libro “Falling With Wings: A Mother’s Story”. Non so se vomitasse, non lo scrive ma io l’ho inserito.
3. Nel memoir Dianna spiega che essere stata tolta da scuola e non essere più la piccola di casa a Demi doveva bruciare. Per quanto amasse Madison, sentiva che le mancavano attenzioni. La bambina si è resa presto conto, anche se Demi non ha mai detto quando, che recitare alla Disney non era facile per i motivi che ho  spiegato. Non era di certo un mondo semplice per una bambina di nove anni.
4. Dianna è cresciuta in una famiglia in cui non si facevano discorsi profondi su come si stava o altro e anche con le figlie per molto tempo si è comportata così, in particolare con Dallas e Demi. Ne parla sempre nel libro.
5. Negli Stati Uniti alle elementari si impara una lingua straniera, di solito. Non so se alle due sorelle sia successo e quale conoscano, così ho inventato.
6. Dianna spiega nel memoir che poco prima di “Barney And Friends” Demi veniva offesa, a scuola, soprattutto per il suo peso.
7. Buddy è inventato, anche se si chiama come un cane che Demi ha avuto in seguito. Io e la mia amica Emmastory l’abiamo creato nella storia scritta a quattro mani “Cronaca di un felice Natale” in cui Dianna e Eddie lo regalano a Demi, che in quella fanfiction ha cinque anni, il 25 dicembre. La bambina però al tempo aveva davvero un Cocker Spaniel, lo dice sempre Dianna nel libro anche se io l’ho scoperto dopo. Era nero e si chiamava Trump.
8. I primi denti che spuntano, tra i quattro e gli otto mesi (date indicative, perché possono venire anche un po’ più avanti) sono gli incisivi inferiori e i metodi per far passare il dolore sono quelli di cui ho parlato.
9. Il fatto che nei primi mesi Madison avesse le coliche e  tenesse sveglia Dianna fino alle due di notte è tratto dal memoir, così come il fatto che Lisa è venuta ad aiutarli. Non so però se le bambine la chiamassero zia, né se fisicamente fosse così. Per quanto abbia cercato, non ho trovato nulla su di lei per cui mi sono inventata il fisico ed il carattere del personaggio, così come quelli di Jenna, della quale Dianna scrive solo il nome e che per le figlie era come una sorella maggiore. Le uniche cose che dice su Lisa sono nome, cognome , come si sono incontrate, dove lavorava al tempo e che senza il suo aiuto lei non sarebbe sopravvissuta. Aggiunge anche che quando Maddie era piccola Lisa stava cercando un lavoro, ma che dopo averlo trovato aiutava quando poteva.
10. Dianna scrive, sempre nel memoir, che si è recata dal medico perché non smetteva di piangere e che le è stata diagnosticata la depressione post partum. Non ricorda se il farmaco che le ha dato fosse il Prozac o il Wellbutrin. Non parla degli effetti indesiderati, ma assumendo Prozac si possono avvertire stanchezza ed inappetenza, dei quali ho parlato. Per quanto riguarda il Wellbutrin, anche in questo caso alcuni effetti indesiderati possono essere stanchezza, perdita di appetito e di peso e, in più, bocca secca oltre ad altri. Ho scoperto tutto questo cercando i fogli illustrativi online. Per cui io li ho messi tutti aggiungendo quello della secchezza della bocca, dato che non so quale ha usato Dianna.
11. Da piccola Demi pensava spesso al suo funerale, ne ha parlato nel documentario “Simply Complicated” spiegando che era affascinata dalla morte. Non a detto altro, perciò i suoi pensieri sono inventati.
12. Nel libro Dianna parla del suo battesimo e di quello delle figlie, è vero che Demi si è battezzata a quell’età mentre non so quando sia stato fatto lo stesso con Madison, ma ho immaginato che avesse pochi mesi.
13. Nel memoir Dianna scrive che non ha mai costretto le figlie ad essere delle star, ripetendo loro più volte che avrebbero potuto smettere. Ma loro desideravano continuare. Racconta anche che Demi ha cominciato a mangiare molti dolci dopo la nascita di Madison per far diminuire la sua ansia, che derivava sia dal non essere più la piccola di casa, che dal fatto che era stata ritirata da scuola, che dal lavoro che svolgeva. In questa storia ho approfondito un po’ meno l’argomento, ma in altre ne ho parlato molto di più. Si trattava di binge eating, un disturbo alimentare in cui il soggetto mangia tanto, senza controllo e in fretta per tenere a bada ansia, dolore, bassa autostima o altri problemi e che non coinvolge il vomito. Dopo questi episodi la persona si sente appagata e sollevata. Dianna si rendeva conto che la figlia si riempiva di dolci ma, a causa della sua malattia, non lo considerava un problema pensando che fosse solo una fase della crescita.
14. Il personaggio di Andrew, di cui accenno qui ma molto presente in altre mie storie, è inventato.
15. Tutto ciò che ho scritto su Dianna ed i suoi genitori e l’incontro con Lisa è vero e tratto dal memoir.
16. Tutti i sintomi riportati e dei quali parla il pediatra sono tipici della messa dei denti da latte ed è vero che ci può volere un mese per la loro uscita. Riguardo la febbre, alcuni pediatri dicono che non c’è correlazione tra questa e il fatto che i denti spuntano, altri invece sì, altri che ci può essere solo se la febbre si misura per via rettale, ho letto tutte queste cose su internet da vari articoli nei quali si menzionavano anche diversi studi fatti e venivano riportate le opinioni di diversi dottori. Ad ogni modo, una leggera febbre in questi casi sembra normale.
17. Per quanto riguarda lo svezzamento non si deve iniziare prima dei sei mesi (quattro solo in casi particolari, se lo dice il pediatra e se il bambino è davvero pronto).
18. Ho sempre pensato che fosse stata Dianna a cacciare Patrick e che Demi, per ricordare ciò che accadeva, dovesse avere almeno tre anni, così in alcune storie l’ho scritto. Leggendo il libro ho scoperto che era stata lei ad andarsene e che la bambina era più piccola, aveva un anno e mezzo. In ogni caso, Dianna si è messa con Eddie, facendo due conti, nel 1994 o nel 1995, benché non sia specificato e sia solo una mia supposizione. Nella mia storia l’ha fatto nel 1996, dopo alcuni mesi nei quali è stata da sola ed altri in cui l’ha incontrato e l’ha conosciuto meglio. Forse è un po’ irrealistico ricominciare una relazione dopo quattordici mesi dalla fine di un precedente matrimonio con tutti i problemi che ci sono stati, ma in ogni caso credo che qualsiasi siano state veramente le tempistiche Dianna sia stata molto coraggiosa a rimettersi con qualcuno dopo quanto vissuto. Ovviamente con questa tempistica un po’ sfalsata - e della quale mi sono resa conto solo scrivendo questa storia - non voglio offendere nessuno, né dire che sia facile ricominciare una relazione dopo aver subito violenze fisiche e psicologiche perché non lo è affatto. Anzi, credo sia estremamente difficile.
19. Nel memoir Dianna definisce Eddie knight in shining armor, quindi cavaliere in un’armatura splendente.
20. L’episodio che Demi ricorda, quello con suo padre, è avvenuto veramente. Non è descritto molto nel dettaglio, ma pur avendo inventato sensazioni e alcuni dialoghi sono stata fedele al racconto. Le frasi in corsivo sono tratte dal memoir. Ecco quelle originali (la traduzione è stata fatta da me):
“I answered the phone, and it was

Pat,” […] “He screamed at us and said he’s coming over to get his kids. I don’t know what to do!”
“Not while we’re not there,”
“Pretend like you’re not there— lock every door, every window, and turn off the lights.”
‘I know you’re in there’
‘I have a right to see you.’
(La prima battuta di dialogo è intervallata da una in discorso diretto, per questo ho messo i puntini. E le ultime due sono dentro il discorso diretto di Jenna che racconta).
21. Non so se Dianna sentisse le voci nella sua testa quando era ora di mangiare, ma ad alcune persone succede perciò l’ho inserito. In altre storie ho approfondito ancora di più il suo problema. Nel libro scrive che si sentiva uno schifo di madre e che pensava spesso di fallire, desiderando solo essere, invece, perfetta. E pensava che chiedere aiuto con le bambine o in qualsiasi altro campo fosse da deboli.
22. A sette mesi i bambini, di solito, sanno stare seduti da soli, mentre iniziano a gattonare tra gli otto e i nove anche se alcuni lo fanno verso gli undici e altri saltano questa fase.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato / Vai alla pagina dell'autore: crazy lion