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Autore: Saeka    24/03/2020    12 recensioni
INTERATTIVA | Iscrizioni chiuse
Il mondo magico ha una storia oscura alle spalle. La nuova generazione di Auror sarà pronta ad affrontarla?
Proprio quando Hamilcar Wodnes, Auror ormai disilluso, pensa di godersi la tanto meritata tranquillità, una nuova minaccia incombe sulla società dei maghi, che iniziano a sparire nel nulla: bambini, guaritori, membri del Ministero della Magia. Il mistero non sembra avere spiegazione. Hamilcar e le sue nuove reclute dovranno calarsi nella mente del loro nemico per poterlo stanare e scoprire una verità che farà accapponare loro la pelle. Perché quello che succede nell'oscurità della mente umana valica ogni confine etico della storia.
E questa è una storia così orrenda che verrà sepolta insieme ai suoi protagonisti nei meandri del Ministero.
Nessuno lo deve sapere.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1

Day after day

Hamilcar Wodnes



 
 
Una volta smaterializzato non ebbe nemmeno il tempo di aprire gli occhi che finì steso sul pavimento. Dalla pila di libri che erano caduti con lui si levò un gran polverone, e Hamilcar cominciò a tossire sonoramente. Il volume di erbologia che aveva aperto sulla testa pesava parecchio, doveva essere uno di quei tomi dalle mille pagine che sua sorella Tabitha amava sfogliare in tranquillità seduta sul sofà. Hamilcar non aveva mai letto molto nella sua vita se non si contavano i manuali teorici che aveva dovuto studiare in facoltà quando ancora aveva vent’anni. Senza scomporsi più di tanto allontanò il volume da sé e fece leva sulle braccia per rimettersi in piedi. Stava per appoggiarsi a un’altra pila di libri ma una vocina gli sussurrò di tenersene ben alla larga.
La stanza era sottosopra: i mobili di legno vecchi e consumati davano un’immagine di sé davvero pietosa; il tappeto persiano aveva perso colore e vivacità; il quadro del pescatore appeso alla parete era storto, e il pescatore sembrava più annoiato del solito; qua e là pile di vecchi libri, cartacce e strane boccette di pozioni; il divano aveva un’aria vissuta; e l’aria sapeva di chiuso.
Esattamente come ricordava.
Fece scrocchiare la schiena prima di lasciarsi cadere sul divano. Aveva fatto togliere lo specchio dal salotto non appena si era trasferito: non sopportava il suo riflesso scolorito, stanco, sconosciuto. Quello non era lui. Per un po’ aveva anche pensato a uno scherzo. Ma sì, Tabitha doveva aver stregato lo specchio affinché riflettesse un’immagine distorta della realtà. Non c’erano altre spiegazioni. Ma la verità era che il lavoro lo massacrava notte e giorno; passava la maggior parte del suo tempo in ufficio o in giro con la sua squadra e quando tornava finalmente a casa era costretto a sorbirsi le farneticazioni della sorella.
Non avrebbe mai pensato di finire in quella situazione. Lì, alla soglia dei quarant’anni, a fissare il camino spento e respirare aria stantia. Non aveva voglia nemmeno di musica, erano anni che non seguiva più Lorcan d’Eath nel suo tour di concerti in giro per il Paese, e la cosa non sembrava neanche pesargli troppo. Se ne restava lì, esausto, a scrutare chissà quale pensiero e concedersi un breve ma meritato riposo. Quella settimana in particolar modo era stata davvero pesante. Hamilcar era certo di non aver mai passato tanto tempo dietro la scrivania. Di solito si presentava sulla scena del crimine o esaminava le prove cercando di trovare un collegamento o, se era più fortunato, partecipava attivamente a un inseguimento o a uno scontro diretto col ricercato. Questa volta invece il suo capo gli aveva affibbiato uno di quei lavori scomodi che non vuole fare mai nessuno. “Faccende burocratiche” aveva detto e gli aveva fatto recapitare interi plichi di fogli da leggere, controllare, firmare e riconsegnare entro la fine della settimana.
Semplicemente straziante.
C’erano maghi al ministero che vivevano per queste cose, ma Hamilcar non era uno di questi.
I suoi occhi grigi  vagarono per la stanza fino a posarsi sulla soglia della cucina. Era troppo stanco per alzarsi e ancora di più per smaterializzarsi così alzò la bacchetta di corniolo e mugugnò un: «Accio Whisky Incendiario». La bottiglia di vetro gli arrivò in mano in meno di un secondo e guardandola Hamilcar si chiese se non fosse più consono bere da un bicchiere. Ma poi scrollò le spalle e portò il becco della bottiglia alla bocca. Non voleva scolarsela tutta, o l’indomani non si sarebbe retto in piedi, ma aveva bisogno di un po’ di alcol in circolo prima di buttarsi sul letto. Era tardi e non era raro che saltasse la cena, soprattutto negli ultimi mesi. Non aveva ricevuto nessuna promozione, ma il suo capo gli aveva allungato i turni e spesso e volentieri tornava a casa quando ormai era buio da un pezzo.
Quando la gola cominciò a bruciare l’Auror allontanò  il Whisky e fece per alzarsi dal divano. Le gambe tremarono un poco per la sbronza. Non aveva mai sopportato l’alcol, da giovane gli bastava un bicchiere per singhiozzare già brillo mentre i suoi amici vuotavano bottiglie su bottiglie. Pensava che fosse una questione di abitudine, ma gli anni erano passati e il suo corpo rigettava il Whisky tanto ora come allora.
Si lasciò il salotto buio alle spalle e raggiunse la sua camera. Era molto più piccola del salotto, già piccino di suo, e le pareti erano di un orrendo color borgogna. Il letto aveva una sessantina d’anni e le molle scricchiolavano ogni volta che Hamilcar rigirava la sua carcassa. Le lenzuola color senape erano penose così come i mucchi di vestiti abbandonati sul pavimento, ma l’uomo sembrava non farci caso. Si buttò sul materasso senza pensarci due volte mettendo a dura prova le molle, che cigolarono in modo disperato sotto il suo peso. Si svestì di malavoglia e si infilò sotto le coperte senza neanche mettersi il pigiama. Il ruvido della stoffa gli sembrò quasi freddo al contatto, come fosse metallo. Ma chi voleva prendere in giro? Tutta la sua vita era fatta di metallo ormai: metallo, polvere e marciume. E dire che era diventato Auror pensando d’arricchirsi. Certo, non era l’unica ragione, quella, ma non poteva negare di essere rimasto deluso alla prima paga. Pensava … a qualcosa di più. Non che fosse messo male, ma qualche galeone in tasca non è mai troppo.
Cercò di non pensarci più o non avrebbe chiuso occhio. Si concentrò su qualcosa di bello: due settimane e avrebbe avuto il suo giorno libero. Ne aveva uno ogni sei settimane a meno che non saltasse per un’emergenza, cosa che talvolta capitava. Era di mercoledì, il suo capo aveva asserito che fosse il giorno perfetto per Hamilcar visto come faceva di cognome.
«Wodnes, eh?», si era schiarito la voce Bedwyn Ilar Siors Sr, «Dev’essere confortante avere il nome di un dio vicino al proprio.»
Hamilcar non aveva fatto commenti. Non era mai stato realmente legato alla religione, all’esoterismo o alle tradizioni della sua gente. Era un uomo concreto, poco avvezzo alla fede e ai misteri. Ma da quanto aveva potuto capire del suo capo il signor Siors sembrava, al contrario, vedere di buon occhio quelle cose, e Hamilcar aveva fatto bene a stare zitto.
Wodnes. Di Woden. Odino.
A lui non sembrava chissà che cosa, ma certamente qualcun altro avrebbe dato un braccio per un cognome come quello.
Si rigirò nel letto più e più volte prima di trovare la tanto agognata comodità, e quando lo fece gli occhi gli si appesantirono di colpo e in un batter d’ali s’era già addormentato.
 


Si risvegliò l’indomani all’alba con un gran mal di testa.
«Per tutte le polisucco!»
Non avrebbe dovuto bere quel goccio di Whisky, lo sapeva. Trentasei anni e ancora non aveva imparato a contenersi come si deve. Patetico. Se Tab l’avesse visto in quel momento non si sarebbe risparmiata uno dei suoi commenti inopportuni che gli facevano saltare i nervi, ma per fortuna sua sorella a quell’ora dormiva profondamente nell’altra stanza, su un’amaca bella ma apparentemente scomoda che si era costruita da sola. Era una donna piuttosto strana e non c’era da stupirsi che fosse zitella. La loro nonna si era sempre preoccupata che trovasse marito, ma Tabitha non era mai riuscita a portare a casa un uomo disposto a chiederla in sposa. Così gli anni erano passati e la povera ragazza era rimasta nel suo mondo spaesato a spazzolarsi i capelli ormai crespi e a riempire l’appartamento di cianfrusaglie inutili comprate al mercato o in qualche negozio dell’usato. Il problema era che era ingenua perciò i venditori spesso se ne approfittavano e le rifilavano gli oggetti più improbabili. Hamilcar aveva provato una volta e sbarazzarsi di tutto quel ciarpame ma non c’era stato verso di ripulire la casa. Per ogni carabattola che veniva buttata Tabitha accorreva a comprarne altre due, e presto il fratello si era arreso alla mania di accumulo della donna. Se gli faceva pena? Non molto a dire il vero. Hamilcar era sempre stato un tipo piuttosto freddo. Se c’era una cosa che gli era costata cara nella vita era proprio la sua negligenza empatica. La sua incapacità di preoccuparsi per gli altri e prendersene cura lo aveva portato a vivere in quel sudicio appartamento da due soldi insieme a una squilibrata con cui condivideva solo il sangue.
Senza indugiare oltre si alzò dal materasso, raccattò le sue vesti e andò in cucina a prepararsi una tazza di caffè. Si prese il suo tempo per berlo, assorto nei suoi pensieri. Non aveva voglia di ributtarsi a capofitto nella monotonia del Ministero. Quando ancora frequentava Hogwarts credeva che il mestiere di Auror fosse il più fico, il più attivo, il più adrenalinico, e da una parte non aveva torto. C’erano stati parecchi scontri durante la sua carriera –qualcuno dei suoi compagni era finito al San Mungo e ci aveva rimesso le gambe. Ma Hamilcar si annoiava. Era diventato un Auror grazie alle sue abilità in combattimento e ai suoi voti eccellenti in Difesa contro le Arti Oscure, ma una volta arruolato aveva dovuto fare i conti con la realtà: un Auror non era solo un combattente, era anche un investigatore e Hamilcar non era portato per mettere insieme gli indizi. Non era munito di arguzia o di sagacità, era un uomo d’azione e tutte quelle trippe mentali che si facevano al Ministero per poter risolvere i casi erano ben lontane dal suo campo. E poi le questioni burocratiche sembravano non finire più. Per ogni malvivente arrestato bisognava compilare un’infinità di moduli da spedire in Tribunale prima della data d’udienza, poi bisognava scortare il criminale fino ad Azkaban e ogni volta che Hamilcar metteva piede in quel posto gli venivano i brividi. Non era mai stato un fan dei Dissennatori, creature meschine, raccapriccianti e aborrite che scivolavano per i corridoi angusti della prigione ad ascoltare i lamenti di quei figli di puttana. Se Hamilcar non avesse saputo che si trattava di assassini, fuorilegge, depravati, fanatici, probabilmente avrebbe provato pena per loro.
Guardò l’interno sporco della tazza prima di posarla nel lavello. C’erano streghe in grado di scrutare il futuro in quei disegni senza senso, anche se Hamilcar non ci credeva più di tanto. Si trattava generalmente di ciarlatane con l’obiettivo di racimolare un po’ di galeoni con l’inganno, e Morgana se Hamilcar non le odiava.
Lanciò un rapido sguardo fuori dalla finestruccia dal vetro rigato della cucina. Il cielo era fosco e caliginoso, grigio scuro, e l’aria ventilata. Anche se fosse rimasto in ufficio tutto il giorno non si sarebbe perso niente. Cominciava a odiare il clima britannico, c’erano mattine in cui si svegliava con la voglia di mollare tutto e prendersi una vacanza, magari in Egitto o in qualche Paese assolato in cui avrebbe potuto rilassarsi al caldo, lontano dalle pressioni del suo lavoro. Erano semplici fantasie, sapeva di non poterselo permettere, ma era sempre bello poter fuggire con la mente ogni tanto.
Tornò in soggiorno abbottonandosi la cappa, allungò una mano verso un vaso d’ottone sopra il camino e ne estrasse una strana polvere scintillante che buttò subito ai suoi piedi. Una fiammata verde smeraldo inghiottì tutta la sua figura, ma Hamilcar era abituato al fumo della Metropolvere perciò non si scompose. Mantenne quell’aria assonnata che ormai lo contraddistingueva a lavoro e strinse i gomiti.
«Ministero!»
Un attimo dopo era dove doveva essere. Non era messo per niente male fisicamente e anche se ormai evitava di guardarsi allo specchio, era certo di non aver perso il suo fascino.
Raggiunse a grandi falcate Yorath Customs, che sedeva all’altro lato dell’atrio, e gli porse la bacchetta come di consueto. Il mago la posò su una bilancia a piatto unico senza neanche guardare, tossicchiò per quasi un minuto e poi sfilò un pezzo di carta che lesse con voce svogliata.
«Dodici pollici, legno di corniolo, corda di cuore di drago, rigida, in uso da venticinque anni. Corretto?»
«Corretto.» tagliò corto Hamilcar riprendendosi la bacchetta e affrettandosi a superare i cancelli dorati
All’inizio della sua carriera si perdeva ad ammirare le grosse statue, il soffitto blu pavone e la grande fontana traboccante di monete, ma con l’avanzare del tempo tutto lo spettacolo aveva perso ogni attrattiva. Scivolò nel primo ascensore disponibile e rimase ad ascoltare le chiacchiere di due vecchie streghe che parlottavano dei fiori da esibire al matrimonio del nipote. Poi le porte si aprirono, e Hamilcar non le rivide più.
Fanculo i fiori, Hamilcar aveva bisogno di una missione.

 
 
Capì che qualcosa non andava non appena posò gli occhi sull’espressione agitata di Idris Maeglywell, un giovane Auror che lo accompagnava ormai da qualche anno. Avrebbe raggiunto la trentina l’anno a venire, ma non aveva ancora abbandonato le fattezze giovanili. Aveva un’aria malaticcia, gli occhi infossati, blu opaco, che guizzavano da una parte all’altra del locale come se temesse l’attacco di un mago oscuro: un ragazzo piuttosto stressato, ma incredibilmente portato per esaminare ogni tipo di prova. Doveva aver passato tutta la sua gioventù sui libri in biblioteca perché aveva una conoscenza generale davvero impressionante e Hamilcar si riteneva fortunato ad averlo in squadra.
«Signor Wodnes, è arrivato. Il Signor Siors la cerca.»
«Dov’è?» chiese.
Maeglywell indicò un punto impreciso dall’altro lato della sala. «Da quella parte.»
«Bene, io andrò dall’altra.»
Non aveva voglia di discutere col grande Capo. Di certo gli avrebbe rifilato qualche altro lavoretto e non voleva rischiare. Aveva passato l’intera settimana a compilare quei cazzo di fogli.
Stava quasi per farla franca, così pensava, quando la voce di Siors lo richiamò all’ordine.
«Woden! Sei sempre ritardo, eh, patetico bastardo?»
«Faccio il possibile per non venire, Bed, odio questo schifo.»
Hamilcar era l’unico a rispondere a tono al Capo Auror e lo faceva urlando davanti a tutta la sala. Poteva percepire l’imbarazzo di Maeglywell alle sue spalle. Era nuovo di lì, si sarebbe abituato presto. Gli altri Auror ormai non si giravano più a guardarli sconcertati.
Bedwyn Ilar Siors Sr cominciò a venirgli incontro. Era un uomo robusto, corpulento quasi, con una folta barba viola, per sembrare più giovane, e occhi rotondi e luminosi. Aveva servito durante la guerra, si era occupato dei processi, aveva seguito le indagini sui mangiamorte ancora latitanti ed era cliente fisso del pub Testa di Porco, forse l’unica cosa per cui Hamilcar lo stimava davvero.
«Non mi starai evitando, spero.»
«Certo che no, Bed. Siamo amici da quanto? Quindici anni?»
«Tredici.» lo interruppe Siors. «I primi due mi stavi sulle palle: strafottente e presuntuoso, un ragazzino megalomane che puzzava ancora del seno di sua madre.»
«E ora sono un uomo di trentasei anni strafottente e presuntuoso e … cosa hai detto? Megalomane? Megalomane! Vedi, non sono cambiato. Sono i tuoi occhi ad essere cambiati, mi guardano in modo diverso. Il problema era tuo, io ero perfetto così come ero.»
«Ah sì! E-Ecco! Questo è l’atteggiamento di cui parlavo, sei insopportabile. Non riesco a credere che Ingrid ti abbia sposato.»
«E infatti poi mi ha lasciato.»
Ingrid lo aveva lasciato. Erano passati cinque da quel giorno. A volte si diceva che si erano separati di comune accordo, che lo volevano entrambi, ma la verità era un’altra. Si era trasferito da sua sorella Tabitha dopo il divorzio. Condividere casa con quella svampita non era facile, ma almeno aveva un tetto. Ingrid non era cattiva, non l’aveva costretto ad andarsene. L’aveva fatto da solo, per orgoglio personale. Ma sua moglie non era sparita dalla sua vita; condividevano due bellissimi figli che Hamilcar vedeva tutte le volte che poteva, ma quelle volte non erano mai abbastanza. Faceva un lavoro complesso, lungo, senza pause né vacanze. D’altronde, era meglio così.
«Senti, sei lucido? Lucido abbastanza per lavorare? Ti vedo spento, Hamilcar, da quando tua moglie …»
«Sto bene.» Perché tutti si preoccupavano per lui? «Sono solo stufo, dei documenti, della burocrazia, dei soliti lavoretti di routine. Amico, il mio cervello si sta atrofizzando qui dentro. Ho bisogno di sgranchire la bacchetta, capisci?»
Siors lo guardò con fermezza. Per un attimo Hamilcar non riuscì a capire cosa gli passasse nella testa, forse neanche lo voleva scoprire.
«Prima ti cercavo, si tratta di una questione un po’ spinosa. Ricordi Herbert?» Herbert lavorava insieme ad Hamilcar, era finito al San Mungo durante una delle ultime missioni. «Pare che le sue ferite siano più gravi del previsto. Starà via per qualche mese e ho bisogno che qualcuno lo sostituisca per seguire le reclute.»
«Le reclute? Stai scherzando? No no, non sono fatto per fare il babysitter.»
«Ho controllato la tua cartella, Woden: l’ultima volta che hai guidato una squadra di reclute eri sobrio, impulsivo e ancora celibe. Non puoi andare avanti a rifiutare tutti gli incarichi che reputi poco interessanti.»
«Ma ci vuole responsabilità per quello che mi chiedi di fare. Non penso di essere la persona giusta.»
«Allora vedi di diventarlo.» disse Siors. Capì che il discorso si era concluso.
L’ultima squadra di reclute che aveva avuto, come il capo aveva detto, risaliva ad anni e anni addietro e non era finita molto bene. C’erano stati alcuni incidenti di percorso, nulla di grave che non si sia potuto risolvere con un colpo di bacchetta. E qualche richiamo dall’allora Capo Auror Alius Wicklez.
«Cominci questa mattina. Maeglywell ti fornirà tutte le informazioni. Oh! Sappi che qualunque cosa accadrà a quei ragazzi, ti riterrò direttamente responsabile. Hai capito?»
«Sì, Signore.»
«Molto bene. Ci sono personalità interessanti tra di loro, Woden, mi auguro che tu riesca a tirarne fuori il meglio. Il Ministero ha sempre bisogno di buoni Auror.»
Prima che potesse ribattere, il Capo Auror gli voltò le spalle e filò via. L’aveva incastrato un’altra volta.
Era stato di pessimo umore sin da quando si era alzato dal letto quella mattina, ma mentre guardava Maeglywell cercò di trucidarlo nel modo più crudo e violento che poteva, tentando di trasmettergli tutta la sua rabbia.
«TU lo sapevi.» disse solo questo e bastò perché Maeglywell si fece tutto rosso in viso e si sistemò gli occhiali sul naso nel tentativo di nascondersi dietro le lenti.
«S-Sì, Signore. Il Signor Siors mi ha lasciato tutte le cartelle delle nuove reclute. Dovrebbero arrivare per le otto, se vuole leg–»
«Per le otto è tardi. Quei pelandroni faranno meglio a svegliarsi prima d’ora in avanti. Se proprio devo fare da balia, preferisco mocciosi svegli e attivi.»
«Certo, Signore.»
Aveva tentato più volte di dirgli che non serviva che lo chiamasse signore ogni volta, bastava il cognome. Ma Maeglywell aveva continuato a riservargli quel titolo, cosa che a lungo andare aveva nutrito il suo già enorme Ego.
Lo aspettava una giornata più lunga del previsto. Se non altro, avrebbe potuto sfogare le proprie frustrazioni su qualcun altro oltre a Maeglywell e a Tab.
«Dove sono gli altri della squadra? Wellnot? Hymdor?»
«A consegnare i resoconti del caso Wirestead, Signore. Il Signor Siors li ha già informati riguardo alle reclute.»
«Quei mangiadocumenti del servizio amministrativo li terranno impegnati a lungo. Pare che dovremo guardarli da soli, i fascicoli di quei pisciasotto, eh, Maeglywell? Su, passamene uno.»







Il  mio angoletto 

 

Avete presente Assassinio sull’Orient Express, Avengers, Clue, Gotham, NCIS, Lie to me, il documentario su Ted Bundy, le pagine Wikipedia dei più efferati serial killer, il libro di testo di filosofia che raramente aprite, Magician, Hannibal e Sherlock? Bene, metteteli insieme e aggiungetevi un pizzico di Stranger Things, Shadow Hunters, Seven, A.I e qualche libro famoso che non sto qui a nominare.

Questa interattiva è   c r i m e ,  è horror, è cruda e non necessariamente a lieto fine. Se non avete paura di superare l’adesivo giallo e nero della polizia, questo è il posto per voi.

 

Informazioni da tenere in considerazione

La storia è ambientata in un momento impreciso degli anni ‘80, pochi anni dopo la fine della Prima Guerra Magica e ben prima che Harry Potter metta piede a Hogwarts;

Mi serve un numero imprecisato di reclute al servizio di Hamilcar Woden. Gli OCs saranno sottoposti a selezione;

Per partecipare, la procedura è la stessa delle altre interattive: compilate i campi della scheda sotto riportata nel modo più originale e particolareggiato possibile e inviatemela per messaggio privato;

Nell’oggetto del messaggio scrivetemi il nome del personaggio, così poi mi è più facile recuperare la scheda;

 

Regolamento

La scadenza per le iscrizioni e la consegna della scheda è fissata per il 3 aprileProroghe su richiesta.

 

Non si accettano:

Personaggi senza carattere, stereotipati, superficiali o piatti;

 

Gary Stu o Mary Sue: non voglio personaggi perfetti che sanno fare tutto né personaggi che non sanno fare niente e che hanno tutta la sfiga addosso. Devono essere abbastanza intelligenti e abili da aver superato il programma di addestramento per diventare Auror, ma non voglio dei supereroi;

 

Personaggi imparentati con altri personaggi canon;

Personaggi di età inferiore ad anni 22, questo perché gli OCs devono aver concluso il proprio percorso di addestramento all’Accademia Auror (se hanno più di ventidue anni, spiegate perché si sono iscritti in ritardo o si sono diplomati in ritardo);

 

Tutto ciò che viola il regolamento di Efp;

Temi delicati come la violenza sessuale: pedofilia, stupro. (sono accettati invece problemi relativi alla sessualità personale)


 

Le schede superficiali o contenenti parecchi errori grammaticali non verranno prese in considerazione.

Nel corso della storia potrei porvi alcune domande relative al vostro personaggio, sia nell’angolo autrice alla fine del capitolo sia per messaggio privato. Per questo motivo vi chiedo un po’ di disponibilità e partecipazione. Le domande potrebbero vertere su temi particolari a cui il personaggio sarà chiamato a rapportarsi o su decisioni che dovrà prendere.
I prestavolto dei personaggi apparsi in questo primo capitolo verranno mostrati insieme a quelli dei vostri personaggi nella selezione.


Scheda

Nome completo: (eventuale spiegazione)
Stato di sangue:
Casa a Hogwarts:
Bacchetta: legno, pollici, nucleo, flessibilità
Molliccio: (spiegazione)

Patronus: (spiegazione)
Motivazione: (cosa lo ha spinto a diventare Auror?)
Punti di forza e punti deboli:
Età (+22):
Descrizione fisica:
Stato economico: (famigliare e personale)
Luogo abitativo attuale:
Breve storia personale e rapporto con la famiglia:
Personalità e modo di porsi: (tutta la psicologia del personaggio)
Orientamento sessuale/romantico: (e rapporto che ha con la sessualità e con l'amore)
Relazioni: (sì/no, perché? Ne ha già avute? Come si approccia all'amore? Che tipo di partner è?)
Interessi/Hobby:
Prestavolto:

.

La storia si svolge parallelamente alla mia altra interattiva. Nel corso dei capitoli ci saranno dei punti di incontro (una sorta di crossover), ma mai troppo invadenti. Non siete obbligati a seguire entrambe le storie per capire la trama perché, nonostante tutto, le due storie proseguiranno in modo del tutto autonomo.

 

 


   
 
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