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Autore: RedeNetele    24/03/2020    2 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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La pioggia non le era mai piaciuta. Anna si rigirò nel letto, allontanando con un calcio le coperte sudate e facendo sussultare Cassandra che si era rannicchiata ai suoi piedi, sonnecchiando come suo solito sul copriletto. Eppure non è così caldo… anzi! Notò la ragazza, scostandosi dal busto la maglia del pigiama. Era di cotone, ma in quel momento le sembrava pesante come piombo.

Sono meteoropatica, si disse, ascoltando lo scroscio leggero della pioggia di fine ottobre. Lentamente, Anna si mise a sedere e sospirò controllando l’ora sul suo cellulare: il problema non era solo la scarsa tolleranza nei confronti del maltempo. Il display dello smartphone la informava che erano le due e cinque, il che significava che erano passate tre ore e cinque minuti dal momento in cui era andata a letto.

Maledetta insonnia, pensò la giovane, stringendo tra le mani il lenzuolo. Si sarebbe dovuta alzare per andare al lavoro dopo meno di cinque ore e, se si conosceva, non sarebbe riuscita a prendere sonno prima di un’ora. Non senza aiuti, per lo meno.

Si alzò controvoglia e raggiunse il bagno senza nemmeno calzare le ciabatte, stringendo i denti quando la superficie fredda delle piastrelle le aderì alla pianta dei piedi. Eccoci qui, pensò, afferrando la confezione di benzodiazepine che il suo medico di base le aveva prescritto più di un anno prima. Non mi eravate affatto mancate, pastiglie.

Anna manovrò brevemente con il blister e poi si rigirò nel palmo della mano la piccola compressa bianca. Prenderla tutta o solo metà? Questo è il dilemma. La ragazza chiuse gli occhi per un istante e poi si guardò allo specchio. Si sentiva stanca. Sembrava anche stanca. Erano già un paio di notti che non dormiva bene, che sentiva un filo di ansia serpeggiare attorno a lei quando la sera si alzava dal divano e si apprestava a compiere la routine per andare a letto. È tutta colpa della pioggia, si disse ancora, cercando di trovare una spiegazione al malessere che, dopo un lungo periodo di tregua, sembrava essere tornato a tormentarla. Della pioggia e della solitudine.

Erano passati ormai più di sette giorni dalla prima e unica volta che aveva incontrato Sabrina ed Esther. Avevano avuto intenzione di incontrarsi più spesso, ma il mal tempo aveva fatto naufragare i loro piani: Sabrina odiava muoversi di casa quando pioveva e Frida aveva accusato un principio di raffreddore che aveva fatto precipitare nel panico Esther. Di conseguenza, niente uscite in compagnia. Non che quando fosse a Villanuova Anna avesse chissà quale vita sociale, ma la nuova routine fatta di casa, lavoro, supermercato e ancora casa stava iniziando a lasciare il suo segno nefasto nella psiche della giovane.

E poi, quando stavo a Villanuova avevo Lorenzo. Il pensiero del suo ex ragazzo e, di conseguenza, di ciò che aveva perso aprì una voragine di malinconia nel suo petto. Non le mancava Lorenzo, no: le mancava il fatto di stare con Lorenzo, di scherzare con lui, di preparare una torta insieme, di farsi un giro in bici in compagnia e di farsi coccolare acciambellata sul divano. Mi sento tanto sola, riconobbe, mentre lacrime trattenute a stento le inumidivano gli occhi. Mi manca la mamma, e Paolo e Francesco e Giulio ed Enea…

Inspirando a fondo per reprimere un singhiozzo, Anna si gettò in bocca la pastiglia di sonnifero e si chinò per bere un sorso d’acqua direttamente dal rubinetto. È roba leggera, questa, si consolò. Il dottore mi aveva detto di prenderla ogni volta che ne avessi avuto bisogno. Non da dipendenza, a queste dosi.

Ma non era tanto quello, il problema. Estraendo tutto il contenuto della confezione di cartone, contò il numero delle pillole residue: quindici, un blister e mezzo. Ne ho per quindici giorni o, se sono brava, per un mese. Se fosse ricaduta nel circolo vizioso dell’insonnia, dove la paura di non dormire generava una tensione che rendeva effettivamente impossibile prendere sonno, quelle poche compresse sarebbero sparite rapidamente, e allora le sarebbe toccato recarsi dal suo nuovo medico di base per chiederne delle altre. Che bella presentazione: non mi ha mai vista e la prima volta che gli arrivo in studio è per chiedergli dei sonniferi. Mi prenderà per una depressa o una drogata.

Riponendo risolutamente i blister nella loro confezione, la ragazza si costrinse a respirare profondamente, concentrandosi solo sul flusso dell’aria che le entrava e usciva dai polmoni. Con gli occhi chiusi si portò una mano all’altezza dello sterno, alla ricerca della riprova tattile del fatto che il ritmo del suo respiro si stava facendo più lento e profondo. Nella piega del collo, appena al di sopra della clavicola sinistra, avvertiva il battito concitato del cuore. Calmati, si impose, svuotando completamente i polmoni e poi lasciando che l’aria tornasse lentamente a riempirli.

Quando il calore che le aveva invaso il corpo iniziò a scemare, la ragazza riaprì gli occhi e fissò il proprio volto pallido riflesso nello specchio del bagno. Si sentiva già un po’ meglio, ma sapeva per esperienza che se fosse tornata subito a letto avrebbe vanificato tutti gli sforzi compiuti per riprendere il controllo sulla propria psiche.

Venti minuti, pensò, abbassando lo sguardo sull’orologio: tanto ci voleva perché la pillola che aveva ingerito facesse effetto. Nel mentre, non poteva guardare la tv o intrattenersi con il cellulare perché, stando a quanto le aveva detto una volta il suo medico, quelle attività non le avrebbero permesso di rilassarsi. Lasciando il bagno a passi lenti, Anna si diresse verso il salotto. Acciambellata su uno dei cuscini del divano, Calliope dormiva tranquilla. La ragazza le si sedette accanto con uno sbadiglio, sentendo già una piacevole sonnolenza premerle sugli occhi. Probabilmente mi sto autoconvincendo che la pastiglia stia già facendo effetto, ma chi se ne frega.

Distrattamente, la giovane allungò una mano verso la gatta e con la punta di due dita disegnò il contorno di una macchia nera così ben definita da essere riconoscibile anche nel buio della notte. Calliope la lasciò fare per qualche secondo e poi emise un miagolio soffocato, acciambellandosi in un gomitolo felino ancora più compatto di prima. Messaggio ricevuto, pensò Anna, rimettendosi in piedi con un gemito. Vuoi essere lasciata in pace.

Fuori, lo scroscio della pioggia sembrava essere scomparso. Che abbia finalmente smesso di piovere? Si chiese occhieggiando in direzione della portafinestra. Afferrando la coperta di plaid drappeggiata sullo schienale del divano, Anna se la gettò attorno alle spalle e se la strinse addosso, raggiungendo la porta che dava sul giardino. Non appena ebbe messo piede fuori dall’uscio, la ragazza si rese conto di aver commesso un errore: la coperta le teneva al caldo busto e gambe, ma non faceva nulla per i suoi poveri piedi a contatto con la fredda lastra di marmo posizionata appena oltre la portafinestra. Dondolando da un piede all’altro e tentando di scaldarseli un poco alla volta appoggiandone la pianta sugli stinchi coperti dal pigiama, la giovane annusò l’aria: anche se le nuvole basse che ancora ingombravano il cielo avevano smesso di scaricare a terra il loro contenuto, c’era odore di pioggia, di terra, di foglie morte e di fumo di sigaretta.

Fumo di sigaretta? Anna arricciò il naso e si guardò attorno, cercando di identificare la fonte di quell’odore molesto. Non fu sorpresa di scoprire che veniva dal giardino alla sua sinistra. Eh! Pensò con un mezzo sorriso sarcastico. Certo che ce li ha proprio tutti, i difetti, quello lì! La cosa che più la incuriosiva, però, era capire che cosa ci facesse Oleksander in piedi a quell’ora: che soffrisse anche lui d’insonnia? Sulle prime non ci aveva fatto caso, assonnata com’era, ma ora vedeva che nell’appartamento del suo vicino di casa c’era una luce accesa.

Anna represse un brivido. Faceva freddo lì fuori e l’umidità che permeava l’aria stava iniziando a superare lo scudo della coperta di plaid. Presto le sarebbe penetrata fin nelle ossa, e allora sarebbe stato difficile scaldarsi quel tanto che bastava per prendere sonno. Proprio mentre stava valutando se potesse tornare a coricarsi anche se non erano ancora passati i venti minuti raccomandati dal bugiardino del farmaco che aveva assunto, un baluginio arancione attirò la sua attenzione. Oddio! Pensò la ragazza, con un sussulto. Ma è in giardino anche lui? Non me n’ero accorta!

Il primo istinto fu quello di balzare indietro e di nascondersi nella sicurezza del suo appartamento, ma si trattenne. Se l’idea era ridicola ai suoi stessi occhi, figurarsi a quelli di Oleksander, se si fosse accorto della sua fuga scompagnata. Muovendo appena il capo per evitare di attirare l’attenzione, Anna sbirciò verso il giardino alla sua sinistra. Riusciva a intravvedere la sagoma dell’uomo attraverso la cortina formata dalla rete metallica e dai rami del gelsomino che vi crescevano sopra: era immobile, esattamente come lei, e solo il suo braccio destro si alzava e abbassava di tanto in tanto, portando alle labbra la sigaretta accesa.

Non si è accorto che sono qui, pensò, oppure se n’è accorto benissimo e ha deciso di ignorarmi. Anna si abbracciò per tenersi un po’ al caldo e si chiese se fosse il caso di dire qualcosa, magari di rivolgergli anche solo un saluto di circostanza per conservare una parvenza di buone maniere. Ma ho davvero voglia di mettermi a fare conversazione? Si chiese, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla sagoma scura dell’uomo. E che cosa dovrei dirgli? “Ehi, ciao, questa è davvero una bella nottata per trovarsi in giardino vero? Sai com’è, di solito a quest’ora dormo, ma questa notte non riesco a chiudere occhio perché mi sento sola e ho paura di essermi infilata in un vicolo cieco e mi sento completamente persa e spaesata. E tu, invece? Qual è il tuo problema? Cos’è che ti spinge a fumare in giardino in piena notte?”

Le parole erano lì, sulla punta della lingua, ma Anna sentì il fiato morirle in gola. Lasciamo perdere, si disse. Considerata la sua disarmante simpatia, come minimo mi ride in faccia e mi dice di farmi i fatti miei. La giovane sospirò. L’idea di parlare con qualcuno che non fossero le sue gatte era allettante, ma sentiva di non avere la forza di intrattenere una conversazione notturna con il suo irritante vicino di casa.

Con un’ultima occhiata fugace in direzione dell’uomo, la ragazza si voltò per tornare in casa. Con estrema attenzione, si chiuse la portafinestra alle spalle, evitando di fare rumore: chissà perché, improvvisamente le pareva di vitale importanza che Oleksander non si accorgesse che c’era anche lei, appostata nella notte umida di pioggia. Non voglio che mi faccia qualche battutina stupida, la prossima volta che ci vediamo, si disse. Non voglio trovarmi costretta a spiegargli cosa c’è che non va nella mia vita.

Muovendosi quasi in punta di piedi tornò in camera da letto e si infilò sotto le coperte. Il lenzuolo ancora caldo la avvolse come in un abbraccio e Anna si scoprì a chiudere gli occhi, compiaciuta e in un certo modo confortata da quel tepore morbido. Pochi istanti più tardi piombò in un sonno improvviso e non del tutto naturale.

♥♥♥

«Sei sveglia o cosa?»

Anna sussultò, rendendosi conto solo in quell’istante che erano ormai diversi minuti che stava fissando lo schermo del computer con aria vacua, gli occhi persi tra le righe regolari di Outlook. Giulia, seduta nella scrivania di fronte alla sua, si stava sporgendo dalla sedia per guardarla meglio. Sembra una volpe, pensò inconsciamente la ragazza. Le era sempre sembrata una volpe, col viso pallido e appuntito, il naso all’insù, i grandi occhi verdi segnati dalle rughe d’espressione e i capelli rossi – palesemente tinti – corti e folti come la pelliccia dell’animale selvatico.

La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre nel tentativo di riprendersi. «Ehm… sì. Scusa, sono solo un po’ stanca.»

La sua responsabile si diede una spintarella all’indietro e, comodamente seduta sulla sua sedia da ufficio, scivolò verso il muro alle sue spalle. «Infatti hai l’aria sbattuta» decretò, studiando la collega più giovane con aria critica.

Anna sospirò e si tolse gli occhiali, posandoli accanto alla tastiera del computer. Si strofinò gli occhi per qualche istante, ricordandosi solo quando era troppo tardi che quella mattina aveva deciso di mettere sia il mascara che l’eyeliner. Perfetto, pensò demoralizzata, adesso sembrerò un panda. «Si nota tanto?» chiese, inforcando nuovamente la montatura metallica. «Questa notte ho dormito male.»

Gli occhi chiari di Giulia si assottigliarono pensosi. «Ti capita spesso di dormire male?»

Nervosamente Anna ricordò che la collega aveva intrapreso degli studi di psicologia e che, anche se non li aveva mai portati a termine, amava definirsi un’esperta della psiche umana. «Non spesso» replicò la ragazza: solo una mezza bugia, dal momento che l’insonnia l’aveva lasciata in pace per parecchi mesi, prima dell’episodio di quella notte. «Forse sono solo un po’ stressata.»

«È il lavoro che ti stressa?» la interrogò la donna.

La ragazza si maledisse mentalmente per quell’uscita poco fortunata: lavorava in ospedale da troppo poco tempo per potersi permettere di far credere al suo capo che si stesse lamentando e che fosse meno che entusiasta della sua mansione. «No, no» si affrettò a dire. «Il lavoro mi piace, lo sai. È tutto l’insieme che mi mette un po’ in difficoltà. Forse ho un po’ sottovalutato tutti i cambiamenti che sto affrontando in questo periodo.»

Giulia annuì saggiamente. «Ti sei trasferita a Lanzate da sola, vero? Abiti per conto tuo.»

«Già» confermò Anna. «Sono contenta di essermi trasferita, eh, non fraintendermi. Sentivo di aver bisogno della mia indipendenza e il fatto di avere finalmente un buon lavoro mi da molta fiducia in me stessa, però…»

«Però?» la incalzò Giulia.

«Be’, è stato un bel cambiamento. Portare avanti una casa da sola è meno facile di quello che credessi, ma il punto non è nemmeno quello. Prima ero abituata a vivere con mia madre e il suo compagno, e avevamo anche una sorta di famiglia allargata, visto che eravamo sempre a stretto contatto anche con il mio fratellastro e i suoi bambini. Ero abituata a vivere nel rumore e nella confusione e il silenzio che trovo adesso quando rientro a casa è… strano.»

«Un po’ alienante» suggerì comprensiva l’altra donna.

«A volte sì» confessò la giovane. «A volte lo trovo anche rilassante e non mi dispiace non avere nessuno che mi dice cosa fare e come farlo, ma credo che mi ci vorrà un po’ di tempo per abituarmi a questa novità.»

«E quindi è stato il silenzio a non farti dormire questa notte?» le chiese ancora Giulia.

Anna esitò. «Più che il silenzio, la solitudine» ammise con un sospiro.

Sul volto della sua collega passò un sorrisetto rapido e malizioso. «Oh… quindi prima non eri abituata a dormire da sola, eh?»

La ragazza inorridì nel sentirsi arrossire a quella frecciatina. «No!» sbottò. «Cioè, sì! Voglio dire… avevo un ragazzo, ma non convivevamo, quindi ero abituata a dormire da sola. Non è quello il problema.»

Giulia scrollò il capo. «Ma sì, scherzavo. Ho capito benissimo qual è il problema: ti mancano la tua famiglia e i tuoi amici e tu ti senti sola e lontana da casa. Il ragazzo c’è ancora?»

Anna sbuffò e afferrò istintivamente il mouse, sentendo l’improvviso bisogno di stringere tra le dita qualcosa di concreto. «No, non c’è più» mugugnò. «Ci siamo lasciati. Anzi, l’ho lasciato io. Lui non voleva che io tornassi a Lanzate e mi ha fatto una mezza scenata che mi ha fatto capire che tra noi due non poteva andare avanti.»

«Mh.» Giulia appariva dubbiosa. «Stavate insieme da molto?»

Anna scrollò le spalle. «Sì: da parecchi anni» mormorò. Poi si riscosse. «Però non mi sono pentita di averlo lasciato. È stata come una rivelazione. Come si dice? Un’epifania, ecco: all’improvviso ho aperto gli occhi e mi sono accorta che noi due non volevamo veramente le stesse cose. E a quasi trent’anni non è una cosa da poco, questa. Siamo adulti, ormai: non possiamo più giocare a fare i fidanzatini, è ora di iniziare a pensare seriamente al futuro. O no?»

L’altra donna sgranò gli occhi. «Oddio, ti ricordo che stai parlando con una divorziata: per quanto mi riguarda, i piani per il futuro valgono quello che valgono. Però, se ne sei convinta tu, allora hai fatto bene a lasciarlo.»

C’era qualcosa nel suo tono che fece storcere il naso ad Anna. «Tu pensi che non abbia fatto bene a lasciare Lorenzo? Il mio ragazzo, intendo?»

Giulia sollevò cautamente le spalle. «Non lo so, non posso giudicare senza conoscere la situazione. Però io mi fido poco delle illuminazioni improvvise: ritengo che spesso siano influenzate da umori del momento che di profetico hanno poco o niente. Detta in altre parole: Lorenzo ti ha fatto girare i coglioni e tu hai deciso che era un verme e che non volevi più avere nulla a che fare con lui. Magari, se aveste ragionato a mente fredda, avreste potuto vedere le cose in modo diverso.»

Era davvero così? Anna rifletté attentamente su quello che provava e aveva provato per Lorenzo e rivisse la serata in cui tutto era finito. Poi scosse il capo. «No, io non credo che si sia trattato di una decisione così impulsiva. C’erano già delle cose che non mi piacevano di lui, solo che le ignoravo per comodità. Poi è saltato fuori questo lavoro, c’è stata la necessità di trasferirsi e abbiamo dovuto affrontare la faccenda: però sono convinta che abbiamo solo accelerato le cose. Non credo che sarebbe andata diversamente, alla lunga.»

«Quand’è così…»

«Non mi manca» continuò Anna. «O meglio, sì, mi manca, ma solo perché ero abituata alla sua presenza. Se domani mi comparisse davanti e mi chiedesse di tornare insieme, lo caccerei via. Non vorrei tornare insieme a lui.»

Giulia annuì e le rivolse un sorriso incoraggiante. «Ti vedo decisa, il che è un bene. Però cosa pensi di fare per questo senso di solitudine? Se ti impedisce di dormire bene, è una cosa che va affrontata.»

Anna allargò le braccia, sentendosi impotente. «Ho ripreso i contatti con due ragazze che conoscevo alle elementari. Siamo uscite solo una volta, ma ci siamo trovate benissimo: eravamo molto amiche, da bambine, e anche se sono passati un mucchio di anni credo che potremmo tornare a esserlo.»

Il sorriso di Giulia si fece più pronunciato. «Bene! Questo è un bene.»

La ragazza si mordicchiò inconsciamente le labbra. «Sì, però il problema è che ci vediamo troppo poco, per i miei gusti. Posso uscire con loro due o tre volte al mese, ma poi? Tutti gli altri giorni cosa faccio? Mi piacerebbe conoscere altra gente, ma non so come fare…»

La donna seduta di fronte a lei rifletté per qualche istante, poi parve illuminarsi. Puntando le punte dei piedi sul pavimento, si spinse in avanti e arrivò ad appoggiare i gomiti sulla scrivania. «Ti serve un hobby» sentenziò. «Un passatempo.»

«Lo so» gemette Anna. «Mi hanno proposto di iscrivermi in palestra, ma non ne ho voglia. Io schifo, odio e aborrisco l’esercizio fisico.»

Giulia la guardò con disapprovazione. «Sì, brava. Ne riparleremo quando ti cambierà il metabolismo e i rotoli di ciccia si accumuleranno su quel bel pancino piatto che hai adesso.»

«Grassa, ma felice» ribatté l’altra, imperturbabile.

Sul volto della collega passò un’espressione scettica, ma la donna lasciò cadere l’argomento. «Comunque, se vuoi la mia opinione, penso che sarebbe una buona idea unire l’utile al dilettevole: ti piace leggere?»

Presa in contropiede da quella domanda, la ragazza si ritrasse leggermente insospettita. «Be’, sì. Perché me lo chiedi.»

«Ma anche ad alta voce?» insistette Giulia. «Del tipo, ti piace leggere le fiabe?»

La mente di Anna corse agli innumerevoli pomeriggi di pioggia passati a leggere fiabe e leggende a Giulio ed Enea. Lei faceva le voci dei diversi personaggi e i due bambini ridevano come matti. «Solo se il pubblico non è troppo esigente. Perché?»

«Lo sai che in ospedale abbiamo una biblioteca, vero?» fece la donna. «I pazienti che hanno il permesso di lasciare il loro reparto possono visitarla in determinati orari, ma di pomeriggio offriamo anche un servizio in più tramite lo Sportello Volontariato: guarda un po’ sullo scaffale dietro di te, dovrebbe anche esserci un volantino.»

Frugando tra le varie brochure sparpagliate alle sue spalle, Anna ne trovò una rosa e verde che titolava “Un Libro per Amico”. «È questo?» chiese, mostrando l’opuscolo alla collega.

«Esatto» annuì lei. «In sostanza, siamo un gruppo di volontari che portiamo avanti una sorta di spazio di lettura. Il servizio è attivo dalle 16:00 alle 18:00, ma i volontari possono mettersi a disposizione anche solo per una mezz’oretta a settimana, se non hanno molto tempo libero. Se ti interessa, potresti andare in biblioteca direttamente dopo il lavoro.»

Anna aggrottò la fronte. «Non ho ben capito di cosa si tratta…»

«Si leggono dei libri ad alta voce a uno o più pazienti» spiegò Giulia con evidente orgoglio. «Ovviamente la cosa è organizzata in base a dei gruppi: per i pazienti pediatrici, per esempio, raduniamo quattro o cinque bambini e gli leggiamo delle fiabe, magari anche interpretandole un po’. Con gli adulti – e parliamo soprattutto di pazienti geriatrici, di vecchietti – facciamo invece delle letture individuali, salvo casi particolari. Insomma, moduliamo il servizio a seconda del tipo di utenza che abbiamo.»

Anna si rigirò il volantino tra le mani. «Sembra una cosa carina» mormorò, osservando le foto che corredavano le didascalie. «Prima di trasferirmi qui leggevo spesso le fiabe ai miei nipotini…»

Giulia sorrise di nuovo. «Oggi pomeriggio hai qualcosa di particolare da fare? Potresti provare a fermarti anche tu: sbrighiamo due formalità burocratiche e poi ti faccio conoscere il resto del gruppo.»

Prima ancora di poter formulare una risposta, Anna sentì un sorriso lento distenderle le labbra. «Mah, perché no? Non ho impegni particolari…»

«Ottimo!» esultò Giulia. «Siamo un bel gruppetto: sono sicura che ti troverai benissimo. Ci sono anche diversi ragazzi giovani, sicuramente riuscirai a farti dei nuovi amici.»

Per tutta risposta, Anna ricambiò il suo sorriso. Farsi dei nuovi amici? Quella sì che era una bella prospettiva.

 

   
 
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