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Autore: _Bri_    25/03/2020    10 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO XIV
La Piramide

 
 
Il gin scivolava rapido lungo il collo della bottiglia quasi finita. Le pupille allacciate nel mare cristallino delle iridi lo guardavano con distrazione e con altrettanta disattenzione, la mano recuperò il bicchiere colmo, fino a portarlo alle labbra abbondanti. La gola non pizzicava più, anestetizzata dall’alcolico  ingurgitato a più riprese, durante l’arco della serata. Il rintocco del bicchiere poggiato sulla scrivania collimò con un bussare perentorio alla porta del suo studio e su di essa, lo sguardo di Louis ricadde, prima di incitare l’uomo a farsi avanti.
Loby varcò la soglia con aria stanca. La serata era stata agitata all’interno del locale ed il mago aveva dovuto sfoderare la bacchetta in più di un’occasione, per scacciare alcuni rumorosi avventori con le tasche ormai vuote.
 
- Capo… la rossa è di nuovo qui. Dammi l’ok e la sbatto fuori a calci in culo. Non ne posso più questa notte, ho proprio bisogno di andare a dormire. -
 
Louis Murray accennò un sorriso e con un movimento meccanico portò una sigaretta alla bocca. Anche lui si sarebbe dovuto sentire a pezzi, ma la stanchezza raramente arrivava a sollecitargli il sonno.
 
- Falla entrare. Tu e Joan occupatevi degli incantesimi di protezione, alla chiusura ci penso io. -
 
Loby schiaffò una mano sulla pancia abbondante con soddisfazione, - Sicuro? –
 
- Buonanotte Loby. -
 
La laconica risposta scacciò il briciolo di senso di responsabilità rimasto allacciato al mago più anziano: - Va bene, buonanotte a te, capo. –
 
Attraverso il fumo che scivolava via dalla bocca, Louis vide la figura della giovane auror sostituirsi a quella di Loby; la strega allargò un sorriso divertito sul viso, dopodiché chiuse la porta dello studio alle sue spalle. Con passo pesante (come era possibile che una figura tanto minuta facesse tutto quel trambusto, Louis Murray non sapeva spiegarselo) Hestia si avvicinò alla scrivania e prese posto sulla sedia di larice collocata dinanzi ad essa.
 
- Prego, accomodati pure. – Disse con ironia Louis, accompagnando le parole con un vago gesto della mano che tratteneva la sigaretta. – Ti offrirei da bere, ma immagino che tu sia in servizio, come tutte le volte che ti presenti a scombinare le mie serate, del resto. -
 
Hestia tirò i lunghi capelli rossi dietro le orecchie e sorrise di nuovo. – Veramente per sua fortuna, signor Murray, sono qui in veste ufficiosa. Ergo: accetto volentieri qualsiasi schifezza tu stia bevendo, anche se vedo che le scorte scarseggiano. –
 
Louis appellò un bicchiere, lo colmò e lo passò ad Hestia, la quale buttò giù una lunga sorsata senza battere ciglio. Il mago scosse appena la testa e trattenne un sorriso; mai aveva conosciuto una donna meno elegante di Hestia Jones e di donne, lui, ne aveva incontrare molte durante i suoi trent’anni di vita. Sistemò gli straccali e dopo aver buttato giù un altro sorso di gin, tornò ad incastrare gli occhi in quelli di lei:
 
- Deduco che non sia comunque venuta per farmi compagnia; avrai di meglio da fare alle tre del mattino. Dunque dimmi… cosa posso fare per te, signorina Jones? -
 
Hestia non si diede la briga di chiedere a Louis Murray di versarle un altro bicchiere. Ci pensò da sé, facendo scuotere ancora una volta il capo corvino del mago: - Perspicace anche a quest’ora della notte. Colpita e affondata. Siamo soli? –
 
- Sentiti libera di far straparlare la tua bella bocca rossa. -
 
- Ebbene… - Hestia si piegò in avanti, incrociando le braccia sulla scrivania e riducendo la distanza con il mago: - Immagino che tu sia al corrente delle sparizioni avvenute in Inghilterra. Persone più o meno conosciute a noi auror sono iniziate a sparire intorno allo scorso luglio. -
 
- Leggo anche io i giornali. Victor Selwyn era il direttore della Gazzetta del Profeta, la sua scomparsa non è rimasta inosservata. -
 
- Selwyn è solo uno di loro. Io parlo anche di… -
 
- La figlia di Trevor Montague, o quella di quel brav’uomo di Aleister Dagenhart. – Louis accese un’altra sigaretta, prima di continuare a parlare, non curandosi del fumo gettato sul viso di Hestia: - O della ex compagnia di Fenrir Greyback, la Yaxley. -
 
- Sei più informato di quanto sospettassi, Murray. Di un po’… sei immischiato anche in questa faccenda? -
 
 Il bel volto dell’uomo si arricciò, per qualche istante, in un’espressione disgustata: - Con chi pensi di avere a che fare? –
 
Hestia alzò le mani in segno di resa, per poi tornare nella sua posizione tanto ambigua. Louis notò che la strega si era avvicinata a lui ancor più: - No… non è roba per te questa qui, so bene che in un modo tutto personale anche tu hai un codice d’onore. –
 
- Bene. Se ti stavi chiedendo questo, hai avuto la tua risposta. – Stizzito, Louis indicò la porta: - Ora puoi andare a dormire e lasciar stare anche me; ne ho sentite abbastanza di stronzate, questa sera. -
 
Hestia ignorò il gesto di Louis: - Salazar ballerino, quanto siamo permalosi! Rimetti a cuccia l’orgoglio e stammi a sentire: dobbiamo venire a capo di questa storia… pensiamo che gli scomparsi siano ancora in vita e sospettiamo di sapere chi ci sia dietro all’intera faccenda. – Hestia rabbonì lo sguardo e con un lieve scatto si sporse ancor più verso Louis che di contro aveva rilassato la propria espressione: - Ma non abbiamo alcuna prova, né abbiamo idea di dove tenga i prigionieri. Ora… dato che il tuo bel faccino mi è sembrato alquanto risentito poco fa, immagino che tu ne sappia abbastanza di questa storia, altrimenti non ti saresti inalberato in quel modo. –
 
Louis spense la sigaretta, prima di incrociare le mani davanti al viso ed inarcare notevolmente un sopracciglio: -E se anche fosse così, cosa ti lascia credere che rilascerei informazioni al Ministero? –
 
Hestia spianò le mani sulla scrivania e con un movimento agile, che fece scivolare le ciocche vermiglie davanti al volto, accostò il viso al suo:
 
- Ho ragione di credere, signor Murray, che saresti più che felice se la sottoscritta chiudesse un occhio rispetto a qualche prova che ho ottenuto a tuo sfavore. Roba che potrebbe causarti qualche problemino indesiderato. -
 
Louis mantenne la neutralità del viso, anche se la mano sinistra, istintivamente, prese a giocherellare con una ciocca dell’Auror: - Sono certo che tutto si potrebbe risolvere con l’aiuto delle giuste persone, ma chère. Mi spiace molto, ma i tuoi timidi tentativi di mettermi all’angolo non sono sufficienti. –
 
-…e poi sono davvero convinta che tu non condivida affatto il modus operandi del nostro ricercato. Abbiamo bisogno di te per salvare quelle persone, Louis. –
 
- Oppure ho solo voglia di farti un favore; chissà che non venga ripagato, prima o poi. -
 
La ciocca vermiglia si incastrò intorno all’indice del mago; su di essa era posato lo sguardo, mentre la voce profonda si rivolse di nuovo ad Hestia: - Prova pure a chiedere, signorina Jones. Se sarai abbastanza fortunata sarò in grado di risponderti. –
 
L’Auror percepì il cuore aumentare i battiti, ma non seppe dire se il motivo fosse sentirsi di un passo più vicina alla verità, oppure se fosse colpa delle dita di Louis Murray, che non la smettevano di giocare con i suoi capelli. Decise di non pensarci oltre e domandò, con voce ferma:
 
- Cosa ne sai di Robert Malus Stainer e del luogo in cui si nasconde? -
 
*
 
Accarezzò il braccio, laddove le linee infuocate di rosso antico, blu oltremare e spesso nero invecchiato, andavano ad intrecciarsi in un faro bidimensionale. Quando decise di rendersi tela per quel primo tatuaggio, il primo di molti, Victor non aveva ancora compiuto i diciotto anni. “Perché proprio il faro?”, si ritrovò a chiedergli Evangeline molti mesi prima, in un tempo in cui il loro amore strano, faticoso e fuori luogo non era che polline nascosto gelosamente fra i petali della loro prigione. Victor non seppe dare una risposta concreta. I fari lo avevano sempre richiamato con vigore; costringeva i suoi genitori a visitarli, durante le loro vacanze passate nei paesi scandinavi. La Norvegia ne era costellata e ogni qualvolta ne scorgeva uno, il giovane mago si lasciava andare ad uno dei suoi rari sospiri. Quale fosse il richiamo dell’ancestrale ed evocativa immagine, poteva solo supporlo. Sentiva, difatti, di necessitare costantemente di una guida che illuminasse per lui il percorso più adatto, nella burrasca della sua vita.
Fu proprio all’interno di un faro, che si ritrovò catapultato durante l’adolescenza, quando era certo di trovarsi nell’accogliente dormitorio che condivideva con i compagni serpeverde. Il buio in cui doveva trovarsi immerso era rischiarato da quel bagliore baluginante che sciabordava da un lato all’altro del mare, prestando soccorso ai naviganti e segnalando che lì si trovava un attracco sicuro.
Non seppe mai darsi spiegazioni in merito a quell’episodio, fino ad allora. Victor aveva aperto gli occhi su molte, moltissime questioni oramai di vitale importanza.
 
-Sento il fruscío dei tuoi pensieri. –
 
Victor virò lo sguardo; gli occhi incisi nel buio incontrarono quelli dell’incantatrice al suo fianco, brillanti come il mare abbracciato dal bagliore del faro. Le labbra di Evie, sempre generose nell’elargirgli sorrisi, si piegarono verso l’alto mentre la sua mano, piccola e fragile, andava a ricercare quella di lui.
Non amava il contatto fisico, Victor Selwyn, ma di Evangeline non avrebbe mai fatto a meno. Desiderava di affondare in lei, dopo averle sottratto ogni singolo pezzo di stoffa. Voleva spostarle i capelli da un lato, baciarle e succhiare quel suo collo tanto candido, agguantare il seno che sospettava perfetto. Avrebbe desiderato contarle ogni singolo neo presente sulla schiena, stringerle le cosce, morderle, se ne avesse sentito l’esigenza. L’avrebbe fatta morire, morire di piacere e le avrebbe permesso di sovrastarlo con la carica che sentiva presente nella graziosa studentessa.
Invece, Il magigiornalista, era costretto a limitarsi a scambiare con lei lunghi baci affannosi, o a stringerle le mani, come stava facendo lei in quel momento, neanche fosse un adolescente in preda agli ormoni.
Avrebbe voluto dirle che quel faro, che si era fatto tatuare anni fa, stava attendendo la sua venuta.
Sei tu il mio faro, ora l’ho capito. Sono le tue labbra mai stanche e i tuoi occhi vigili, il tuo carattere forte, che mai si fa piegare da questo luogo corrotto. È la tua voce chiara, che incanta chiunque la ascolti.
Avrebbe voluto dire tutte quelle cose, Victor, ma si limitò a sbuffare e tirarla a sé, in una stretta goffa: - Non stai mai zitta, ragazzina. Goditi il silenzio per una volta. –
 
Evie liberò una risata graziosa e si aggrappò alle sue spalle. Sarebbe rimasta così, in eterno, con le narici infilate nell’incasso del suo collo ad aspirarne quel profumo oramai tanto familiare. Probabilmente suo fratello Graham, nello scorgerla in quell’atteggiamento, sarebbe corso a fare la spia ai genitori e suo padre si sarebbe indignato e l’avrebbe rimproverata. Ma lei avrebbe risposto a tono, perché Evangeline non era più una bambina da proteggere, sempre che lo fosse mai stata. Da che ne aveva memoria, aveva sempre pensato lei a difendere se stessa e il suo potere ne era la prova tangibile; se avesse voluto, avrebbe potuto piegare chiunque alle sue volontà e se avesse avuto il vago sentore della sua imminente cattura, in quel triste giorno d’agosto, non avrebbe di certo permesso al dottore di portarla via e rinchiuderla lì. Un solo sguardo e quell’uomo si sarebbe assoggettato a lei. Il turbinio dei pensieri di Evangeline, sempre più tristi e consumati dai rimpianti, fu interrotto dal fruscío delle parole di Victor: - Lo so con certezza, , - Lei adorava quel vezzeggiativo che Vicky aveva preso ad utilizzare, - il motivo per cui il dottore ci ha portati qui. Noi siamo speciali, sai, e no, non c’entrano queste strane capacità che possediamo, o almeno credo con fermezza che queste siano la conseguenza di un’altra incredibile dote che ci appartiene. –
 
Fu in quel momento che Evangeline si scostò piano da lui, per avere la possibilità di guardarlo dritto negli occhi. La cella di Victor era silenziosa, accompagnata solo dal delicato mormorio degli insetti i quali, placidi, svolazzavano da un fiore all’altro.
- Parla allora, aiutami a capire. – Lo incitò. Victor tirò indietro i capelli in un gesto automatico, prima di tornare a parlare con il suo tono profondo e lievemente sporcato di raucedine. Negli ultimi tempi, nonostante le medicine, la sua situazione fisica sembrava peggiorata.
 
- Vì… sono sicuro che siamo in grado di viaggiare nel tempo. Pensaci bene: ognuno di noi ha subìto episodi di sbalzi temporali e poi quello che è successo in seguito alla morte di Maze… il tempo si è congelato, eppure noi non ne abbiamo risentito. Solo Adrian Reed e il licantropo… solo loro. – Victor si zittì. Sapeva che non ci sarebbe stato bisogno di dire altro, in quanto a quel punto Evie doveva già aver compreso tutto. La conferma arrivò tramite gli occhi sgranati di lei la quale, concitata, gli strinse entrambi i polsi: - Merda! Quindi gli esperimenti che il dottore ha condotto su di noi… gli incontri non sono mai stati casuali. – La strega si prese qualche secondo per riflettere, prima di tornare a parlare: - Il dottor Steiner deve aver capito che c’è qualcosa che ci permette di piegare il tempo. Ma certo… -
 
- Sospetto siano le forti emozioni. Ragiona: perché terrorizzare Lucas, perché scatenare l’odio di Elyon o di Alistair… e perché fare avvicinare… -
 
- Noi due. – Concluse, sgomenta, Evie.
 
- Ci hanno osservati, spiati… hanno messo alla prova le nostre emozioni. – Victor risultò chirurgico, nella sua spiegazione: - E nessuno dei nostri legami è nato casualmente. Siamo stati delle cavie, un po’ come Pavlov fece con gli esperimenti sui cani. Conosci un po’ di psicologia babbana? –
 
- Mi stupisce che la conosca tu, bel purosangue. – Scherzò Evangeline, invitandolo comunque a proseguire.
 
- Il riflesso condizionato, questo il nome dato dallo scienziato. Una reazione che viene scaturita da un elemento esterno verso un animale costretto in cattività. L’animale si abitua a questo elemento esterno e lo associa ad un preciso stimolo. Questo ha fatto con noi il dottore. –
 
- Stimolarci… per produrre una reazione! – Completò Evangeline, sconvolta da tale verità. Le cose dovevano stare così; se era vero che su un piano latente, i reclusi erano soggetti portati alla modifica del piano temporale, con i giusti stimoli avrebbero potuto sviluppare tale capacità.
 
- Vicky… credi saremmo in grado di… muoverci nell’arco temporale?-
 
A questa domanda, Victor non ebbe il tempo di rispondere: dei passi pesanti e un rumore assordante preannunciarono l’arrivo di due figure, mascherati come ogni Mangiamorte che si rispetti. Il più minuto dei due aprì la cella di Victor e parlò nascosto dalla maschera, rivolgendosi poi ad Evangeline: - Devi venire con noi, Montague. – Sentenziò. La strega sussultò ed istintivamente strinse la mano di Victor: - Cosa volete da me? Non ho nessuna intenzione di seguirvi! –
 
- Non fare queste scene e muoviti, non sono così magnanimo come quel coglione di Reed, sai? –
 
- Avete sentito la signorina o avete le orecchie intasate? Lei non va da nessuna parte. – Victor accennò un sorriso storto, si alzò dalla branda e si pose davanti Evangeline con le braccia incrociate.
 
- Spostati Selwyn, immediatamente! – ringhiò l’altro, sguainando la bacchetta nella sua direzione. In un’altra situazione Evangeline si sarebbe opposta, ma sapeva che per colpa  della salute cagionevole, Victor non avrebbe resistito ad un attacco da parte dei due. Fu irrazionale e istintivo e presto si sarebbe pentita della sua avventatezza; perché Evie non ci pensò due volte a scavallare Victor e puntare lo sguardo sul Mangiamorte che puntava il legno nella sua direzione. Gli occhi si assottigliarono e la voce si fece d’un tratto melliflua: - Farai come ti dico… -
 
Ma il mago più alto ci mise un attimo a sfoderare la propria bacchetta e incarcerare Evangeline, la quale crollò a terra, soffocata da corde invisibili. Victor si lanciò sconvolto contro i due, nel tentativo di apporre il proprio scudo che riuscì, ma solo in parte. L’incanto riuscì a scarcerare Evie, ma lasciò libertà di manovra al Mangiamorte appena stordito dal potere di Evangeline.
 
- Te la sei cercata, razza di idiota… -
 
Il mago trascinò rapidamente il compagno Mangiamorte fuori dalla cella, che richiuse subito dopo. Mentre Victor tentava di dare sostegno ad Evie, l’uomo sferzò la bacchetta ed un lampo di luce punto contro la punta della piramide di Victor. Anche l’ultima tacca si colmò.
La cella si sigillò e, come la teca di un acquario, si riempì di liquido verdognolo ed oleoso. Evangeline si tappò d’istinto il naso ma poco dopo si rese conto di riuscire a respirare liberamente. Chi sembrava invece subire l’effetto dell’inondazione fu Victor, che strinse le mani intorno alla gola e annaspò, fino a perdere i sensi nel momento esatto in cui la cella parve svuotarsi e tornare alla propria normalità.
 
*
 
Erano stati due giorni terribili, per Alon. Due giorni passati sotto uno stato di continua tortura. Aveva capito troppo tardi dove i Mangiamorte volessero arrivare, mettendolo così a dura prova. Quella che aveva creduto essere sua sorella (un molliccio sfruttato per l’occasione) si era poi trasformata nell’immagine che la sua mente traduceva con Lord Voldemort e durante un momento di puro terrore, trovatosi al cospetto del Mago Oscuro, il tempo si era cristallizzato. Era successo davvero, anche se l’atipico evento era durato non più di qualche secondo; purtroppo per Alon, gli esperimenti su di lui non erano finiti lì. Per due giorni, appunto, era stato costantemente posto sotto tortura e l’apice arrivò quando a lui fu avvicinata Jules. Quando la vide arrivare, inizialmente il mago-tritone provò una gioia istintiva, che gli fece esplodere il petto. La osservò camminare leggerissima nella sua direzione, con il lieve sorriso che osservò spuntarle sul volto non appena lo riconobbe. Eppure l’istante dopo Alon vibrò di rabbia. Era davvero ingiusto che facessero questo a loro, ma ancora di più era insopportabile che ci andasse di mezzo anche la Tassorosso. Temette che avrebbero usato la sua persona per fargli provare dolore e per scatenare, ancora una volta, l’arresto del tempo e dovette reprimere il tremore quando il pensiero della tortura di Jules arrivò alla mente.
Ma una gioia estatica, probabilmente sintomo ormai della follia dilagata nella testa, lo colpì violentissima, non appena percepì che Jules non era stata portata lì in qualità di vittima sacrificale, bensì per osservare lui. I Mangiamorte lo colpirono duramente, con più maledizioni cruciatus e le urla di Jules non placarono quell’atto drammatico.
Giunti a quel punto volevano stimolare la stessa reazione da parte di Jules, era ovvio. La ragazza scatenò tempeste e tornado, ma fu colpita solo quel tanto che bastasse per non farle prendere il totale controllo delle avverse condizioni climatiche.
Puntavano all’arresto temporale.
Sfortunatamente, quello non avvenne. Ormai privo di sensi, Alon fu ricondotto nella propria cella e per molti giorni non rivide più Jules. Incontrò Martha, passò molto tempo con William, ma di Jules nemmeno l’ombra.
Che fosse risultata inutile per quegli esperimenti? Avevano deciso di disfarsi di lei?
Il terrore di quel pensiero lo accompagnò per giorni interi e gestire il dolore era diventato ormai insopportabile. Lui doveva proteggerla, ma non ci era riuscito. Arrivato ad un totale stato confusionale, per Alon era quasi impossibile riprendersi.
Non mangiava quasi più ed i suoi lunghi capelli chiari erano diventati opachi, come il suo sguardo che aveva perso la limpidezza del mare. Fu in quella condizione penosa che lo trovò Yann, nel bel mezzo di una piccola radura. Il magifabbro accelerò il passo nella sua direzione, fino a fermarsi in piedi davanti ad Alon, seduto a terra e con le mani fra i capelli. Il giovane non lo guardò; si limitò a sussurrare qualche parola:
 
- Non ce la faccio più. -
 
Alla luce di quanto successo con Roxanne, delle rivelazioni legate alla strega, Yann aveva trovato una nuova carica. Indiscutibilmente da un lato sentiva crescere la preoccupazione nei confronti di quella (ormai ex) Mangiamorte. Temeva difatti che il dottore avrebbe scoperto tutto, nonostante Roxanne lo avesse rassicurato, giorni prima, dicendogli che era andato tutto bene: tornata alla stanza di Robert, aveva riposizionato la sua bacchetta nell’esatto punto in cui l’aveva prelevata, mentre quel bastardo continuava a dormire sotto l’effetto della pozione somministrata da lei. Yann temeva l’arguzia del dottor Steiner, ma ormai conosceva Roxanne Borgin ed aveva capito quanto quella fosse intelligente; non si sarebbe fatta fregare, lei. Avrebbero trovato insieme un modo per distruggere la trappola costruita da Robert Steiner, ma avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile e della piena lucidità degli ospiti del Giardino. Per questo motivo non poteva accettare che Alon o chiunque altro riversasse in una condizione simile.
 
- Certo che ce la fai, ragazzo. – Masticò Yann in risposta a quel disperato farfuglio.
 
- Non posso farcela, la paura mi sta divorando. – Con inesorabile lentezza, Alon abbandonò la presa dai capelli ed alzò lentamente il viso, puntando gli occhi verdi in quelli scuri di Yann. Preso un minimo di coraggio, il più giovane raccontò all’altro delle sue preoccupazioni riguardanti Jules.
 
- La piccoletta sta bene, l’ho incontrata un paio di giorni fa. -
 
Solo a quel punto Alon sembrò riprendere colorito. Scattò in piedi e afferrò le spalle di Yann con vigore; nonostante lo staccasse di molto in altezza, Yann accennò un sorriso, perché la giovane età dell’altro emergeva da ogni suo movimento.
 
- Davvero sta bene?! Ne sei certo?! Oh, Tosca sia lodata! -
 
Alon si lanciò ad abbracciare Yann il quale, rigido come sempre, si limitò a concedergli qualche colpetto sulla schiena.
 
- Sta bene, ma è molto arrabbiata. Mi ha raccontato cosa vi hanno fatto gli sgherri di Steiner, non deve essere stato facile, per te. -
 
- Non mi importa, io sto bene. Ma come… come hanno potuto fare questo a lei? È solo una ragazzina, ha quattordici anni, non dovrebbe trovarsi qui, non dovrebbe subire tutto questo... è inaccettabile. -
 
- Nessuno di noi dovrebbe trovarsi qui. – Yann si guardò intorno, prima di stringere una spalla di Alon: - Però tu non devi buttarti così giù, devi ritrovare la grinta; con questo atteggiamento non aiuterai proprio nessuno, tantomeno Jules. -
 
Il viso particolarmente pallido di Alon assunse una sfumatura rossa di vergogna e un lieve broncio ne scurì i tratti.
 
- Hai ragione, sono davvero uno stupido. Un inutile stupido. -
 
Yann roteò gli occhi al cielo. – Non sei stupido, tantomeno inutile. Solo un po’ troppo emotivo, forse. Ora ascoltami, ho bisogno di darti un po’ di novità. Grosse, grossissime novità, dopodiché dobbiamo iniziare a mettere su un piano. –
 
- E queste novità da dove spuntano fuori? – Tutta la tristezza di Alon era improvvisamente evaporata. Rimase invece altamente stupito, quando Yann gli raccontò non solo di Roxanne e di come Steiner era riuscito a raggirare anche lei: Alon dovette sedersi di nuovo, non appena Yann gli riferì le poche, sebbene fondamentali, informazioni, di cui Roxanne era a conoscenza a proposito del malefico piano di Robert Steiner.
 
*
 
Cora si massaggiava la fronte, mentre il racconto di Odette scivolava dalle labbra con una velocità con la quale era ben difficile stare al passo. Mettere insieme i pezzi non era affatto semplice, ma Odette si dimostrò un’ottima oratrice; d’altronde con il suo lavoro, che la portava a dover fornire spiegazioni ai propri pazienti, doveva aver sviluppato una capacità notevole.
Martha, di contro, teneva le braccia incrociate e puntava lo sguardo vagamente stralunato sulla figura della dottoressa e appena quest’ultima prese una pausa, fu pronta ad intervenire:
 
- Odette… ma tu sei proprio sicura di quello che hai sentito? -
 
- Io non l’ho solo sentito, Martha… io ho letto i suoi ricordi, mentre questi venivano a galla grazie al controincantesimo di Yann per l’oblivion al quale, a quanto pare, è stata sottoposta a più riprese dal dottor Steiner! – Odette intrecciò i lunghi capelli scuri in una cipolla, nel tentativo di contrastare l’agitazione. Erano passati molti giorni dall’ultimo contatto umano che aveva avuto ( per altro avvenuto sempre con Yann) e quasi aveva perso le speranze di poter incontrare di nuovo qualcuno. L’esigenza quindi di raccontare i fatti alle due streghe era diventata tanto impellente che, quando aveva visto Cora e Martha sotto le fronde di un melo in fioritura, aveva dovuto trattenersi per non urlare. Era quindi giunto il momento di parlare di tutto ciò che sapeva, senza tralasciare nessun tipo di particolare.
Non appena Odette concluse il racconto, premurandosi di tenere per sé i dettagli più dolorosi della vita di Roxanne (che sarebbero ad ogni modo risultati irrilevanti per le due), Martha spostò la propria attenzione su Cora.
 
- Tu ne sapevi qualcosa? -
 
- E perché dovrei sapere qualcosa proprio io? – Chiese con lieve stizza Cora, non riuscendo però a nascondere un lieve rossore del volto.
 
- Beh, - Martha prese ad incalzarla: - Forse perché sei l’unica, fra noi tre, che abbia mai avuto in precedenza rapporti con Robert Steiner? Forse perché frequentavi i salotti esclusivi delle famiglie purosangue? -
 
- Per quanto ancora verrò condannata per il mio passato, eh?! – Fu impossibile, per Cora, non perdere un minimo le staffe. Era stanca di sentirsi giudicata in continuazione, anche se finalmente le fu chiaro cosa volesse dire trovarsi dall’altra parte ed essere colei verso cui si punta il dito.
Martha non dette peso a quella scintilla che stava per far scoppiare Cora, ma proseguì con pazienza a fornirle spiegazioni: - Vedi di calmarti Cora… qui nessuno ti sta giudicando. Ti sto semplicemente spiegando che le tue frequentazioni passate… -
 
- Non volute da me! Non è colpa mia se… -
 
- Si lo so, non è colpa tua se sei cresciuta in quella famiglia, detto questo i fatti non cambiano: per colpa  dei tuoi genitori sarai pur venuta a contatto con qualche pettegolezzo riguardante Burke, o la relazione di Roxanne con l’erede Black. -
 
- Qualcosa, si… ma ecco, credevo fossero solo pettegolezzi. Del matrimonio sfumato mi era arrivata la voce, ma non avrei mai creduto che sotto si nascondesse una storia così. – Cora si rabbuiò e abbassò lo sguardo. Improvvisamente tutte e tre le streghe, si zittirono. Ognuna di loro pensò a cosa volesse dire trovarsi nella situazione di quella donna e non fu affatto piacevole. Fu Odette la prima a spezzare il silenzio: - Triste… è davvero molto triste. Non voglio assolvere da ogni sua colpa la Borgin, ma è stato davvero straziante leggere i suoi ricordi e penso che, se fossi stata al posto suo, non so quanto sarei riuscita a non sporcarmi le mani. -
 
- Io la capisco. – Si intromise Cora. Ed era vero: lei era forse l’unica che poteva comprendere davvero la posizione di Roxanne e il perché la sua vita aveva preso quella piega. Era difficile vivere in quell’ambiente e riuscire a non venire piegati, corrotti, assoggettati.
 
- Forse, ad oggi, Roxanne Borgin è stata la vittima del dottore che ci ha rimesso di più, – disse Martha – quell’uomo è senza alcun tipo di scrupolo. -
 
 - E ti assicuro che è ben capace di confondere e portare le persone dalla propria parte. Dalla sua ha l’intelligenza, certo, ma anche un fortissimo carisma, motivo per il quale molti… molti di… di noi – La voce di Cora si spezzò per un istante; il suo sguardo era basso, colmo d’imbarazzo – non sono riusciti a resistergli. Io sapete… mi sono sentita lusingata dalle attenzioni che mi riservava, nonostante potesse essere mio padre. -
 
Indebolita dalla tenerezza, Odette carezzò la spalla di Cora- Suvvia cara, non è stata colpa tua. Fortunatamente ora hai capito con chi hai a che fare, meglio tardi che mai, no? –
 
- Tardi lo è sicuramente… - Disse Cora, in un sospiro stanco, - Se avessi aperto prima gli occhi, forse non sarei arrivata a questo punto. Forse non sarei qui dentro… -
 
Anche Martha si dedicò ad un ampio sospiro: - Anche se non ci fossi finita tu qui dentro, sicuro la tua cella sarebbe stata occupata da qualcun altro. Ora dobbiamo smetterla di pensare al passato; dobbiamo piuttosto ragionare su cosa accadrà in futuro e come sarà meglio muoverci. A tal proposito, ho qualcosa da raccontarvi anche io. –
 
Odette e Cora rimasero in silenzio per tutto il tempo che Martha dedicò a raccontare loro di quel suo strano sogno.
 
- Tu, cara mia, hai un dono assai raro. – Odette prese di nuovo a sistemare i capelli, - Sono sicura che quello non è stato solo un sogno! E questo, per quanto mi riguarda, non è che un dato più che positivo. Gli Auror si stanno occupando del caso e se stanno parlando con i nostri familiari, vuol dire che niente è ancora stato archiviato! -
 
- Il tuo entusiasmo mi commuove Odette, ma io non sono affatto sicura che quel sogno voglia dire qualcosa. Forse è stato solo un terribile incubo; - Martha prese ad intrecciare le dita intorno ad una ciocca chiara sfuggita alla coda, - Forse è solo il mio inconscio che lavora con frenesia, perché soffre per la distanza da Phil… -
 
- O forse hai visto oltre il velo della dimensione in cui siamo rinchiusi. – Continuò con vigore Odette, prima di prendere di nuovo le redini del discorso: - Comunque ora che ne abbiamo la possibilità e prima che ci rispediscano nelle nostre celle, è il caso che ci confrontiamo su quel poco che la Borgin ha riferito a Yann e la sottoscritta, riguardo il piano del dottor Steiner. -
 
- Giusto, mi sembra un argomento di non poco conto. – Rispose Martha, mentre Cora si limitò ad annuire.
 
-Bene. – Odette si fece più vicina a loro, con fare cospiratorio: - Come vi stavo accennando prima, pare che il dottore abbia la convinzione che, insieme, potremmo essere in grado di viaggiare nel tempo… -
 
*
 
Una cosa stava imparando Alistair, all’interno di quella prigione fatta di fiori e foglie: mantenere il controllo di sé. In che mese si trovava? Aprile? Probabilmente. Il che voleva dire che fossero passati circa otto mesi dalla sua reclusione. Otto mesi, nell’arco di una vita, non sono poi molti, ma in un contesto distopico come quello in cui si muoveva il babbano, erano molti. La vita grigia e piatta che aveva condotto fino allo scorso Agosto, aveva assunto una piega totalmente diversa: Alistair aveva scoperto che un intero mondo si nascondeva dietro un muro inconsistente di magia. E non solo aveva appreso dell’esistenza dei maghi e di creature che, fino a quel momento, risiedevano solo nei racconti fantasy: Alistair aveva scoperto di possedere un potere micidiale, terribile e specialmente incontenibile. Aveva dunque imparato, con il passare dei mesi, a provare sempre meno paura; il ricordo dei bulletti sempre pronti a torturarlo per il suo aspetto e la sua indole mansueta lo faceva oramai sorridere. Alistair non avrebbe mai e poi mai utilizzato il proprio potere per nuocere volontariamente a qualcuno, ma si sarebbe rinfrancato se avesse avuto la possibilità di prendersi delle piccole rivincite personali, magari spaventando a morte qualcuno che in passato si era dimostrato per lui una palla al piede. Sarebbe andato dai suoi genitori e, con rinnovato spirito, avrebbe detto loro di non avere un perdente come figlio, bensì un portento naturale.
Purtroppo, tutte quelle considerazioni erano davvero poca cosa al momento. Dopo lo scontro fra licantropi, poche cose avevano importanza ormai. Alistair aveva incominciato a fare suo il valore dell’amicizia prima con Joshua, poi con Yann; infine era arrivata Mazelyn Zabini a stravolgerli la vita. Un vampiro! Pensava, senza capacitarsene ancora. Chi avrebbe mai detto che sarei diventato amico di un vampiro? Ma qualcuno aveva pensato bene di strappargliela via. Alistair era ancora dannatamente scosso e al solo ripensare a quel corpo esanime, gli salivano le lacrime.
Era inoltre accaduto che Yann, giorni e giorni dopo la morte di Maze, gli raccontasse di quanto successo con Roxanne. Nonostante lo sgomento, dentro di sé Al non poté che gioire, in quanto ogni qualvolta che era entrato in contatto con lei, aveva percepito qualcosa difficile da riportare in forma verbale: una vocina piccina, che gli diceva che Roxanne Borgin non fosse quella donna malvagia che sembrava in apparenza. La stessa vocina che scatenava degli ambigui tumulti allo stomaco perché si metteva a gridare, quando lei lo sfiorava per caso o imprimeva gli occhi glaciali in quelli di lui.
In poche parole, Alistair fu grato alle parole di Yann, perché almeno poteva giustificare quella parossistica sindrome di Stoccolma: non si era preso una cotta per un mostro, Alistair, ma per una donna che aveva avuto la sfortuna di camminare lungo il sentiero di una vita terribile e piena di insidie.
Tutto questo tumulto di emozioni, Alistair non lo riversò su Yann, ma si trovò con piacere a confidarsi con William, durante il loro incontro in un angolo di giardino particolarmente florido.
Nel sentire la timida confessione di Alistair, le cui orecchie nel nominare Roxanne erano diventate di un bel rosso ciliegia, William non si risparmiò un sorriso. In primis perché Alistair gli faceva proprio tenerezza; la sua natura di babbano, la sua giovanissima età e su tutto il fatto che si fosse ritrovato prigioniero nel mondo magico, tutto di lui lo inteneriva. Così come la sua cotta per Roxanne Borgin, quella stessa strega che lui conosceva sotto tutt’altra veste. Gli avrebbe risposto di vedere il lato positivo, di confidare in Roxanne e di sperare che, collaborando con la talpa sarebbero presto usciti di lì.
Purtroppo William non ebbe il tempo di proferire parola. Fu proprio Roxanne ad arrivare da loro, posata e ferma, nonostante Will cogliesse nel suo sguardo una scintilla di terrore. Nel vederla arrivare, Alistair si mise subito in piedi.
 
- I-io sai…ho s-sa-sap… -
 
Roxanne deglutì e, per quanto incapace di mascherare totalmente le proprie emozioni, mantenne fermezza nella voce. I suoi occhi brillanti saltarono dall’uno all’altro, per poi trovare fermezza in quelli placidi di William:
 
- Purtroppo dovete seguirmi. Non un solo cenno a niente, ci siamo capiti Lewis? Robert Steiner è molto più furbo di quanto immaginiate e non ci metterà nulla a capire qualcosa. Ora, Alistair… -
 
Roxanne si concentrò sul babbano e, come spesso accadeva, nei suoi confronti ammansì lo sguardo ed il tono: - Vedrai qualcosa che non ti piacerà, ma so che puoi farcela. Devi… farcela, o non saremo più in grado di collaborare in alcun modo. Mi hai capita? Al… -
 
Il babbano sembrò assente per qualche istante, ma alla fine annuì, così che Roxanne poté dedicargli un sorriso: - Mi fido di te. Forza, andiamo. –
 
L’interno della villa era silenzioso e quieto. Diversamente fu la stanza in cui entrarono. In essa, distanziati, vi erano Joshua e Lucas, ambedue legati e imbavagliati. Sembravano… storditi, agli occhi di Alistair. Il cupo tremolio di alcuni candelotti sospesi che delineavano con torve danze i profili dei due sfortunati compagni di disavventure, lanciò una scarica elettrica lungo la schiena di Alistair, il quale ricercò lo sguardo di William, bene attento a non concentrarsi su Roxanne, al suo fianco sinistro e apparentemente alquanto placida.
Che brava… come riesce a dissimulare bene, valutò dentro di sé Al, ma la riconoscibile voce sporcata da un lieve accento tedesco, lo distrasse dai suoi pensieri.
Seduto in un angolo della stanza, su una poltrona di tessuto ricamato, Robert Steiner teneva le mani congiunte dinanzi a sé ed osservava con la medesima placidità di Roxanne i nuovi ospiti. La richiesta da parte del dottore venne limpida e categorica: era stato chiesto a William (o per meglio dire ordinato) di usare il proprio potere, per far sì che Joshua e Lucas si liberassero dal loro fardello.
Con grande sorpresa di Alistair, William si rifiutò. Solo più tardi, lontani dalla villa, il cantastorie spiegò ad Alistair che mantenere una categorica negazione era stata la mossa migliore. Era infatti chiaro che il dottore, seppur minaccioso, non si sarebbe mosso in loro sfavore: quello non era stato che l’ennesimo esperimento per tentare di provocare un altro smottamento temporale, ma a seguito della perdita di un elemento, Robert Steiner si sarebbe ben guardato dal rischiare di perdere un’altra delle sue cavie.
Solo dopo uno scambio serrato fra il dottore e William, il primo andò a concentrarsi su Alistair, che inquadrò con sguardo meno severo, seppure l’ira da cui era scosso per la negligenza di William era palpabile:
 
- E tu, Alistair? –
 
- i-io? – Singhiozzò il babbano.
 
- Anche tu negheresti di usare il tuo dono, se te lo chiedessi? –
 
Alistair ringraziò dentro di sé Roxanne, quando quest’ultima intervenne per evitare di farlo rispondere:
 
- Conosco molto bene Alistair, Robert… sono più che certa che, qualora ce ne fosse bisogno, non rischierà la propria vita per remarti contro. È un bravo babbano. –
 
Nonostante Alistair fosse consapevole che il tono di Roxanne (lo stesso che avrebbe lui stesso usato parlando di un cane randagio) fosse voluto per assecondare Robert, provò comunque una piccola fitta nel petto.
Quando Robert Steiner li congedò, concordando a Roxanne l’autorizzazione per riportare i due nelle rispettive celle, Alistair si sentì sollevato solo a metà. In quella stanza buia che puzzava di sangue pesto, infatti, Alistair aveva abbandonato due suoi compagni. A poco servì la consapevolezza di saperli ancora vivi.
Era vero ciò che diceva William Lewis?
Sarebbero mai usciti, da quell’inferno?
 
*
 
Dopo qualche attimo di stordimento, un paio di battiti di ciglia particolarmente decisi e il rapido scorrere delle dita sui capelli, Evangeline si rese conto di stare bene. Si chiese se stesse sognando, o meglio, se si fosse appena risvegliata da un sogno. Ciò che era accaduto era un fatto assai strano: per quale motivo le era sembrato che la cella di Victor si fosse trasformata in una piscina? Non era possibile fosse accaduto, in quanto i suoi vestiti non erano rimasti appiccicati alla pelle ed i suoi capelli scuri erano più asciutti che mai. Si, probabilmente doveva essere svenuta per qualche assurdo motivo; eppure era strano che Victor non fosse corso in suo soccorso.
Le pupille si guardarono intorno con frenesia, saltando in pieno le sbarre della cella, oltre le quali non si trovavano più i due Mangiamorte di guardia. Comunque Evie non avrebbe dedicato loro nemmeno uno sguardo, presa com’era dalla ricerca di Victor.
E poi lo vide.
Il magigiornalista era steso a terra, ricoperto da una strana e oleosa sostanza, che lo rendeva lucido alla vista. I suoi occhi erano chiusi e i suoi capelli ricadevano disordinati intorno alla nuca. Evangeline, per un momento, sentì il sangue gelarsi nelle vene. Perché Victor, pallidissimo in volto, con la bocca semischiusa a lasciar intravedere gli incisivi leggermente storti, le braccia inermi, abbandonate a terra, sembrava…
Morto.
No, non poteva essere, non proprio ora che si erano trovati, non in quel modo. Non poteva essere morto, come morta era Freya.
Freya.
Il respiro, per qualche istante, mancò di colmare i polmoni, perché il pensiero della morte di Victor, unito al ricordo di Freya, annullò ogni piccolo istinto vitale. Solo quando vide il tessuto della camicia quadrettata del mago tendersi appena sopra il torace magro, Evangeline istintivamente tornò a respirare. Victor era vivo, quindi. Era solo svenuto ma, diamine, era vivo! Con ritrovato ardore, Evangeline tirò su i capelli che legò distrattamente sopra la testa, prima di chinarsi sul corpo del ragazzo e cominciare a scuoterlo per le spalle con delicatezza. Quella strana sostanza da cui era ricoperto il mago le si appiccicò sulle dita, ma Evangeline non le dette peso.
 
- Vicky… Vicky… - Sussurrò, nella speranza che il ragazzo aprisse presto gli occhi. Mentre tentava di risvegliarlo, Evangeline ricordò d’improvviso quale fosse il motivo per il quale, probabilmente, lei era rimasta stordita e Victor aveva perso i sensi. D’un tratto ricordò di aver tentato di usare il proprio potere su uno di quei due bastardi e che Victor si era messo in mezzo per evitare a lei stessa di essere attaccata. Poi uno dei due aveva pensato bene di colpire la piramide.
Evie si arrestò e ricercò nell’immediato l’oggetto sopra la scrivania del ragazzo, ma la piramide non c’era più. Guardandosi allora intorno, la strega notò un leggerissimo pulviscolo argentato che ricopriva a manto ogni superfice della cella. Possibile mai che la piramide fosse esplosa? Tornò a quel punto su Victor e questa volta cominciò a scuoterlo con maggiore vigore.
 
- Per l’amor di Salazar, ti devi riprendere, Victor! – Aveva accantonato ogni tipo di riguardo, in favore della volontà di far rinvenire il compagno. Avrebbe desiderato possedere la propria bacchetta; con il legno in mano sarebbe stato molto più facile fargli riprendere i sensi. Per un momento capì cosa volesse dire non possedere la magia. Fino ad allora l’aveva desiderata ardentemente, ma mai come in quel momento Evie aveva sentito la necessità impellente di manovrare la magia.
 
- Ti ho detto di riprenderti, cazzo! -
 
Mossa dal terrore e con i nervi ormai a pezzi, Evangeline dette un’ultima sonora scrollata al corpo apparentemente esanime, per poi concludere con un sonoro ceffone sulla sua guancia scavata. Il suono saltò da una parete all’altra e rimbombò a lungo, nel silenzio assordante in cui erano immersi.
E proprio nel momento in cui sentì le lacrime giungere agli occhi, un vago lamento sboccò dalle labbra di Victor, che lentamente aprì gli occhi scuri.
 
- Cielo… sei vivo… sei vivo, stupido di un Selwyn! -
 
- Ahia… - si lamentò lui, portando la mano a massaggiare la guancia colpita; in seguito, ancora visibilmente frastornato, puntò lo sguardo nel suo. Sentire la sua voce, pensò Evangeline, avrebbe dovuto farle esplodere nel petto una gioia incontenibile.
Invece furono spavento, angoscia e disorientamento a colpirla, quando le parole di Victor la raggiunsero:
 
- Non c’era bisogno, sono vivo. Ma vorrei… vorrei capire chi cazzo sei e come ti sei permessa di colpirmi, ragazzina. -
 
*
 
L’ ansia è l’emozione provata di fronte a una sensazione di minaccia reale (es. minaccia alla persona) o figurata (es. minaccia all’autostima). È una risposta normale e innata di attivazione, caratterizzata da un aumento della vigilanza e dell’attenzione che ha l’obiettivo di prepararci ad affrontare il pericolo percepito predisponendoci a una risposta di attacco o fuga.
 
Per la prima volta in tutta la sua vita maledetta, Adrian Reed comprese a pieno il significato della parola ansia. Fino al giorno in cui Robert Steiner aveva permesso a quel sacco di pulci di Greyback di mettere piede nel Giardino, Adrian aveva sempre sottostimato questa parolina con cui molte persone a lui conosciute solevano riempirsi la bocca.
 
“Ci sputo sopra all’ansia! E dovresti farlo anche tu, dannata isterica!” aveva detto una volta ad Elyon, mentre si stavano preparando per infilarsi di soppiatto nel locale di uno dei più pericolosi gangster del mondo magico, nella speranza di convincerlo a collaborare con Robert. Elyon aveva finito per torturarsi talmente tanto il lobo dell’orecchio da farlo gonfiare come uno stantuffo, motivo per il quale Adrian non si era risparmiato di ridere a perdifiato guadagnandosi, infine, un pugno sul naso che fortunatamente (grazie alla sua agilità) lo aveva colpito solo di striscio. Ovviamente aveva smesso di ridire e avevano preso a litigare, come sempre.
L’ordinaria amministrazione che lo legava ad Elyon gli mancava, terribilmente. In realtà non gli importava niente di passare le sue giornate sulla branda appartenuta a quella vampira, come non gli interessava aver perso totalmente la fiducia in Robert Steiner. Anzi, era imbestialito con l’uomo, come mai lo era stato con chiunque altro in vita sua, sebbene lo stato di furia era ben conosciuto ad Adrian.
Ma ad accompagnare la rabbia cieca nei confronti di Robert, che sentiva crescere giorno dopo giorno, vi era l’ansia.
Un peso insopportabile, pari a quello di un blocco di cemento, si era adagiato sul suo petto e aveva deciso di non spostarsi da lì nemmeno per pochi minuti.
Tutta quell’ansia era generata dal pensiero di sua madre Bonnie, lasciata sola a macerare nella sua follia e da quello di Elyon, della quale non aveva avuto più alcuna notizia diretta dal giorno dell’incontro/scontro con Fenrir Greyback. Una volta Roxanne era arrivata alla sua cella, fermandosi però solo per pochi minuti. Gli aveva infatti detto che Robert le avesse caldamente consigliato di non fargli visita, in quanto nel bene o nel male, Adrian era una persona a lei cara, con il quale aveva instaurato un saldo legame nel tempo e vederlo recluso non le avrebbe fatto bene. La traduzione dal vocabolario tipico di Robert alla lingua comune era la seguente: “Stai alla larga da lui, perché potrebbe rivoltarti contro di me.” Per quel motivo Roxanne si era guardata bene dal contraddire Robert, sapendo per altro di essere controllata da quei due Mangiamorte che il mago aveva richiamato a proprio servizio, per colmare il vuoto lasciato da Adrian e in vista, inoltre, dell’attuazione finale del piano organizzato ormai da troppo tempo.
Quindi le uniche informazioni che Adrian era riuscito ad ottenere dalla ex collega, furono che Elyon stesse bene (nonostante Roxanne glielo confermò con aria stizzita e indispettita) e che Robert Steiner aveva combinato qualcosa di grosso anche a lei.
Sapere che Elyon fosse sana e salva lo aveva tranquillizzato, certo, ma ciò non bastò a fargli mettere l’anima in pace. Roxanne gli aveva inoltre promesso che avrebbe pensato lei a Bonnie, ma Adrian sapeva quanto malvagio potesse essere Robert Steiner e alla preoccupazione per le ritorsioni nei confronti di sua madre ed Elyon, andò sommandosi anche quella nei confronti di Roxanne.
Passarono giornate intere in cui Adrian sentì spesso crollare i nervi. Mangiava poco, fumava molto e non riusciva a dormire, con quella fottuta luce che non lasciava mai il Giardino.
Fu durante il boccheggiare della settima sigaretta della giornata, che Adrian sentì lo sferragliare delle sbarre. Fino a quel momento non gli era stato mai e poi mai permesso di uscire, ragion per cui saltò in piedi, appena percepì il suono della cancellata che si apriva. Di accompagnatori non ce n’erano, il che voleva dire che il Giardino aveva composto un percorso per lui, per condurlo chissà dove e chissà con chi.
Adrian infilò rapidamente la maglia bianca a maniche corte che fino a poco prima era abbandonata sciattamente sul cuscino e trattenendo la sigaretta fra le labbra, si affrettò a correre fuori dalla cella. Finalmente gli era concesso uscire di lì e non avrebbe atteso un solo minuto.
Un passo dopo l’altro, Adrian vide il Giardino formare camaleontici corridoi di gerbere rosse e bianche, tappeti di vivide violette, muri di vite americana e con quelle ondate di colori, scoppiavano i profumi più intensi. Era conscio, l’ex Mangiamorte, che non sarebbe stato lui a scegliere il percorso da intraprendere, così che non tentò neanche una volta di imporsi, limitandosi invece ad accelerare il passo, in modo da poter raggiungere la meta scelta per lui nel minor tempo possibile.
Si fermò solo alla fine di un corridoio di rose, che si chiuse alle sue spalle in un batter di ciglia.
 
- Ad…-

 
 
Sorrise d’istinto, mentre quel che rimaneva della sigaretta cadde nell’erba e Adrian non si premurò nemmeno di spegnerla. Quel sussurro appena accennato sapeva bene a chi appartenesse.
 
- Ellie. -
 
Adrian si volse alla propria destra e rimase fermo, con quello stupido sorriso ad increspare il viso coperto di barba rossastra, mentre gli occhi sormontati dalle folte sopracciglia puntarono lei.
La vide, rannicchiata a terra con un braccio stretto intorno alle ginocchia coperte dai jeans consumati e la mano libera sospesa sopra l’erba. Della gramigna si muoveva convulsa in direzione del palmo candido e Adrian sapeva che fosse Elyon, a farla crescere così. L’uomo calcò il viso spigoloso di lei, cinto da quegli indistinguibili capelli cangianti di fuoco e tagliato dallo sgomento di chi ha visto resuscitare un cadavere.
Era proprio bella, la sua Ellie.                                                                            
Non un’altra parola saltò dalle labbra che scoprivano appena i denti candidi, ma un balzo, agile e nervoso, raddrizzò il corpo longilineo della strega che esitò qualche istante, prima di correre con la forza di una leonessa nella sua direzione.
Fu allora che Adrian spalancò le braccia, per accogliere con un’unica e salda stretta la donna che amava.
I suoi capelli profumavano come i campi d’estate; quell’odore lo ricordava bene, Adrian Reed, perché ogni volta che aveva avvicinato il naso lungo a dell’Amortentia, la pozione glielo aveva sempre rimandato indietro.
Come aveva fatto a sopravvivere senza contare le vertebre della sua schiena segnata dalle cicatrici, senza affondare nella sua criniera vermiglia, senza quella pelle candida da saggiare, così come le labbra piene.
Come era sopravvissuto senza i suoi occhi brillanti di lucente verde, senza la sua voce vibrante e le sue dita nervose.
Se lo chiese, Adrian, mentre sentiva le braccia di Elyon aggrappate al suo collo, nell’arduo intento di non lasciarlo andare via. La allontanò appena da sé con grande sforzo, ma giusto il tempo di rimirarla appena, prima di agganciarsi alla sua bocca, affamato di un suo bacio.
Lo fecero, di baciarsi come dei ragazzini. Con la stessa voglia e con la disperazione di due amanti separati per troppo tempo.
La amava fortemente, ormai non poteva più negarlo a sé stesso ed era conscio non l’avrebbe fatto nemmeno con lei, non più. Sarebbero stati dalla stessa parte, fino alla fine e avrebbero lottato contro tutti i mostri che avrebbero osato mettersi ancora una volta fra di loro. Perché Adrian e Elyon erano sbagliati, sporchi, maledetti, ma insieme erano perfetti e solo la morte avrebbe potuto spingerli lontani.
Un applauso cadenzato e ritmico li costrinse a staccare le labbra screpolate dall’affannoso bacio; fu allora che Adrian strinse un fianco di Elyon e si volse, con coraggio, in direzione di quel rumore.
Robert Steiner continuava ad applaudire, arrestandosi solo una volta ricevuta l’attenzione di entrambi. Sorrise, il dottore, nel guardare i due innamorati che si erano appena ritrovati. Sorrise di un sorriso malvagio e spaventevole, prima di parlare loro:
 
- Ora che ho la vostra attenzione, meine lieben, gradirei che mi seguiste. Con voi non voglio farlo, quindi non costringetemi ad usare la bacchetta. -

 

 
*Rapidissima premessa: so che sono saltate tutte le immagini pubblicate nel corso del tempo. Provvederò a sistemarle piano piano, ma intanto ho pensato di pubblicarne in questo capitolo, così per rinfrescarvi un po' la memoria.*

Cari lettori.
No, non sono sparita, non potrei mai abbandonare questa storia, specialmente ora che è quasi giunta al termine. Purtroppo nei mesi passati ho avuto a malapena il tempo di vivere qualche ora senza pensare al lavoro e ad altre brutte cosine; ora, durante questa tragedia che ha colpito tutti noi, ho almeno trovato il tempo di riprendere in mano il Giardino e questo è il risultato.
Avrete notato che i personaggi di Lucas e Joshua sono apparsi fugacemente; non mi dilungherò in eccessive polemiche, ma ho piacere a spiegarvi il perché di questa mia scelta: so che tutti voi amate questa coppia, ma avevo destinato, per loro, una brutta fine. Le loro rispettive autrici, difatti, sono sparite per mesi, salvandosi giusto alla pubblicazione dell’ultimo capitolo in quanto mi hanno lasciato due righe scarse di recensione a testa. Ora, nel rispetto delle regole, io ho deciso di non eliminare Lucas e Joshua come successo per Maze, proprio per questa loro apparizione, ma per rispetto mio e vostro, che siete sempre così presenti, carine ed accorte nei confronti di questa storia, mi è sembrato giusto dedicare a questi due oc il minor spazio possibile. Del resto avete visto con quale frequenza ho pubblicato gli ultimi capitoli; sono passati MESI tra un capitolo e l'altro e francamente mi sento un po’ presa in giro, perché non penso non si abbia avuto il tempo nemmeno per scrivermi una frase e per assicurarsi che l’oc costruito (suppongo con amore), abbia il finale che merita.
Detto questo, tornando a noi e a questa storia, sappiate che io sono a pezzi. Scrivere questo capitolo è stato difficilissimo e ancor più, temo, lo sarà il prossimo, ovvero l’ultimo prima dell’epilogo. Stiamo tirando le somme e io ho piacere nel ringraziarvi, per essere stati con me fino ad oggi: per aver fatto congetture, avere amato, compreso, apprezzato ognuno di questi oc. Davvero, non ho abbastanza parole per ringraziarvi.
Ok, ora che mi sono un po’ sciolta, voglio fare un pochino di spam: come già accennato precedentemente, Louis Murray è un mio oc e sicuramente, assieme a Matilda, ha un posto speciale nel mio cuore. A lui inizierò a dedicare una mini long (o meglio, due mini-long) di cui già ho pubblicato il prologo tempo fa. Vi lascio il link, sperando che abbiate il piacere di fare un saltino da lui.
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3876248&i=1
 
 
Quindi: siete pronte al gran finale?
 
Io non molto, per questo vi chiedo di tenermi per mano.
 
Bri
   
 
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