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Autore: Indaco_    25/03/2020    1 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Amy sbuffò impaziente, imbottigliata in mezzo al traffico si stava squagliando come un gelato al sole. La lunga colonna che aveva di fronte a sé bastava ad esaurire la sua scarsa pazienza. Lanciando un’occhiata veloce al cellulare notò che era stramaledettamente in ritardo. Un brivido di panico le rotolò giù dalla schiena. La paura che provava era qualcosa di indescrivibile, non vedeva l’ora che fosse tutto finito per poter ricominciare la sua nuova vita.
Quasi per calmarsi riguardò con un fremito l’enorme busta bianca adagiata con la massima cura nel sedile accanto. Invece di tranquillizzarla, però, le scatenò una tempesta di lampi e saette: e se l’esito fosse risultato negativo? Il risultato non era garantito al cento per cento. La voglia di scartabellare quella dannatissima busta e rovistare il contenuto da cima  a fondo era tanta, tantissima. Le sarebbe bastato circa mezzo minuto per aprirla con cura e far scivolare i fogli fuori. Ma aveva promesso. Scartò a malincuore l’idea e lanciò un’imprecazione.
Justin quella mattina era stato consegnato alla baby sitter con tanto di panico e buone raccomandazioni. La ragazza di appena sedici anni aveva tentato di tranquillizzarla ma non era servito a molto. Oltretutto, a peggiorare la situazione, il bambino si era svegliato arrabbiatissimo con Sonic per essere mancato tutto il pomeriggio del giorno precedente. Non aveva voluto nemmeno salutarlo quando si era avviato all’ufficio del signor Stanghelf di prima mattina e ora la rosa non vedeva l’ora di andare a riprenderselo e risolvere quei problemi familiari.
Ma prima c’era qualcos’altro da sistemare.

Il tribunale era gremito di persone, la grande sala d’attesa era così affollata che Sonic temette di soffocare in mezzo a quel trambusto. Avvocati, casalinghe, poliziotti, semplici spettatori, segretari, vittime e quant’altro, il brulicare di quel formicaio di guai lo rendeva nervosissimo. Il brusio concitato e agitato gli stava perforando l’orecchio come una trivella. Gente che strillava e gesticolava, neonati in crisi di identità che sembravano voler farsi scoppiare i polmoni, risate e pianti animavano quel palazzo gigantesco.
Affiancato dal dott. Stanghelf, il riccio blu attendeva impaziente il suo turno in quel via vai di gente. L’udienza precedente era ancora in corso e il ritardo spaventoso non faceva che aumentare l’ansia che già provava. Brividi di sudore freddo gli colavano sulla schiena facendo aderire la camicia immacolata alla pelle. Deglutendo nervoso, lanciò un’altra occhiata alla grande porta d’entrata sperando di vedere la ragazza rosa entrare.
< Ormai dovrebbe essere qui … > mormorò a bassa voce controllando nuovamente l’orario dallo schermo del cellulare. Accanto a sé, l’avvocato era immerso in alcuni appunti: abituato a quello scempio e a tutto quel ritardo attendeva con pazienza, l’unica cosa concessa in quei momenti così delicati.
< Non vedo Jason, cosa succederà se non dovesse arrivare? > domandò nervoso sistemandosi gli aculei già perfettamente in ordine. L’avvocato sollevò gli occhi grigi dalle pagine scribacchiate a mano e fissò il cliente con un sorriso tranquillizzante,
< il signor Jason ed il suo avvocato sono già qui ma nell’altra sala, il collega mi ha avvisato tramite mail > spiegò con calma lisciando i fogli del block notes. Sonic rollò gli occhi iniziando a dubitare dell’esito positivo di quell’udienza.                                                                                                                                            
Dopo pochi secondi la porta centrale della sala venne aperta indicando che era arrivato il suo turno. L’entrata vomitò un fiume di animali antropomorfi, era facile vedere chi aveva vinto e chi aveva perso: le facce abbattute e quelle vittoriose erano impossibili da non notare. Lentamente, una dietro l’altra, sfilarono tutte fuori da quel contenitore così severo.
La sala vuota era di forma rettangolare, in fondo alla stanza, in posizione centrale, una tribuna alzata da terra capeggiava una cinquantina di banchi di semplice legno posti in due file separate. Sul lato sinistro della stanza un’altra porta di uguale dimensione era aperta e fu proprio da quella che Sonic vide e conobbe per la prima volta Jason: quello stronzo che aveva dato il via a quell’infinito giro di problemi e aveva inflitto tanta tristezza al suo piccino.
Il riccio avversario era alto, la pelle era di un profondo blu notte e gli aculei cortissimi mettevano ben in evidenza un piercing ad un orecchio. I jeans neri e la camicia mal stirata grigio fumo erano coperti di pieghe.  L’avvocato al suo fianco era un leone biondissimo con qualche spruzzo d'argento tra i capelli, il viso tradiva un’espressione soddisfatta e sicura di sé finché non incrociò lo sguardo con gli accusati. Sonic raggelò non appena vide che i due puntavano dritti a loro con passo svelto e deciso.
La volpe al suo fianco si alzò educatamente borbottandogli di mantenere il controllo e di restarsene in silenzio nel caso avessero domandato qualcosa. Il blu annuì veloce non staccando gli occhi dai due di fronte che parevano avere una gran fretta di presentarsi. Allargando le braccia orgoglioso, il leone si piazzò di fronte a loro porgendo la mano, le unghie affilate facevano bella mostra sulla punta di ogni dito.
< Buon giorno caro collega, tutto è pronto oggi! Concluderemo le nostre lunghe comunicazioni finalmente. Bando alle ciance, vi presento Jason, il mio cliente nonché suo accusatore > esclamò rilassato l’avvocato indicando con un cenno della testa il ragazzo al suo fianco. Il signor Stanghelf strinse professionalmente la mano al felino ignorando completamente il riccio alle sue spalle. Diversamente, Sonic non riusciva a staccare gli occhi dall’ex di Amy: i due si studiavano  a vicenda. Nessuna somiglianza intercorreva tra loro, ma il rancore e il desiderio di vincere era uguale in entrambi.
Una sfida silenziosa saettava tra loro e Sonic non si sarebbe stupito se da un momento all’altro avesse ricevuto un pugno da parte del riccio avversario. Le occhiaie profonde e il ghigno stampato in faccia lo rendevano terribilmente inquietante, capiva meglio ora perché Justin lo avesse sognato così tanto.
La volpe verde muschio si sistemò gli occhiali sulla punta del naso per mettere meglio a fuoco il viso dei due
< finalmente riesco a vederla di persona > esclamò rivolgendosi al collega di fronte a lui
< ma soprattutto sono felice di chiudere questo caso per la serenità del mio cliente > rinvangò con furbizia ed un sorriso enigmatico.
< Tutti noi lo vogliamo, assicurare giustizia a chi si rivolge a noi è il nostro lavoro no? > replicò il leone sorridendo. Le zanne, a quel gesto, sbucarono fuori dalle labbra brillando minacciose.
Il commento pungente venne accolto con un sorriso sarcastico e piuttosto enigmatico,
< appunto, vinca la verità allora > concluse sbrigativo concludendo in modo chiaro e tondo il discorso.
I due non aggiunsero altro e lasciato cadere il discorso, con un sorriso tirato girarono i tacchi e presero posto nel banco affianco al loro. Sonic sentiva il cuore balzare fuori dal petto.
Si girò nuovamente e guardò l’entrata sperando di veder entrare la ragazza rosa, pronta a dargli man forte in quella terribile situazione. Venne distratto dal tocco leggero dell’avvocato sul suo braccio,
< arriverà, dia tempo al tempo e si rilassi: andrà tutto bene glielo assicuro > esclamò sicuro di sé con quel sorriso furbetto. Rincuorato, il blu si sedette al suo fianco respirando profondamente, dove caspita era finita? Quanto desiderava la sua presenza in quel momento!
I suoi pensieri catastrofici furono interrotti quando le porte alle loro spalle vennero chiuse con un tonfo dichiarando l’apertura dell’udienza. Tutti i presenti si irrigidirono, oltre ai due ricci, più corrispettivi avvocati difensori, nella sala erano presenti altre figure che conosceva solo approsimatamente, ma la metà di essi sembravano annoiati da quella routine.
Un procione striato con una corta giacca nera si alzò in piedi con fare solenne dal suo seggio,
< signori e signore, vi prego di alzarvi in piedi per l’arrivo dell’onorevole giudice > esclamò con tono affettato e curato.  Con un movimento del braccio indicò esageratamente una piccola entrata dotata di tende bordeaux che si scostarono con impazienza quando emerse una civetta dotata di toga nera e di un espressione infastidita.
Sonic deglutì nervoso, si sentiva le gambe molli come marmellata.
Due colpi ben assestati con il martelletto di legno dichiararono l’inizio dell’udienza. Shierata in piedi, il giudice squadrò a fondo i due combattenti prima di procedere, soffermandosi in particolar modo sui due ricci.
< Bene iniziamo: signor Stanghelf, lei e il suo cliente siete qui oggi perché il signor Jason chiede la custodia del suo figlioletto poiché non vede da parte della madre e del suo nuovo compagno l’adeguata serietà e capacità di prendersi cura del bambino. Ci ha riportato infatti che la madre è scappata nel cuore della notte rapendo il figlio pur di raggiungere il compagno. La ragazza, che mi chiedo perché non si trovi qui, non lavora e si appoggia economicamente al signor Jason > elencò leggendo il foglio che teneva tra le mani, probabilmente alcune note scritte dal leone esaltato.
< Ed inoltre, ed è il fatto che più mi preoccupa, ci ha raccontato che suo figlio ha rischiato di morire per una disattenzione del vostro cliente, no? Il fiume in piena è un pericolo prevedibile signor Sonic, mi chiedo come abbia potuto portare un bambino di quattro anni in un posto del genere > continuò squadrando il sopracitato da sopra le lenti.
Il riccio blu rimase di sasso con la bocca semi aperta: erano perfettamente aggiornati su tutto! Persino l’incidente avvenuto al fiume! La volpe verde al suo fianco raddrizzò le spalle e si sistemò la cravatta nervoso: le vicende non si erano svolte proprio in quel modo, si appuntò di correggere tutti gli errori raccontati in quei fogli.
< Ma non ho concluso purtroppo, il signor Jason ha affermato che lei e la madre avete vietato a Justin di vedere il suo legittimo padre nonostante lo abbia richiesto molto spesso. Lascio la parola al signor Jason > la giudice si risedette rigida, sfogliando le pagine del piccolo ma ricchissimo fascicolo che aveva sottomano. Sonic stava per esplodere dalla rabbia, dentro al petto sentiva un fuoco che avrebbe bruciato persino l’anima corrotta del cretino che se ne stava dritto in piedi. Quelle accuse infondate erano state inventate di sana pianta e quella sciocca civetta sembrava interessata solo ad una versione dei fatti: quella dove lui era colpevole.
Stringendo i pugni fino a farsi male, si sedette a fatica visto che le gambe non avevano la minima intenzione di piegarsi.
Jason, ritto in piedi, non tentò di mostrarsi avvilito o arrabbiato: freddo come il ghiaccio iniziò a raccontare la sua versione dei fatti in modo distorto e soprattutto non attenibile a quello che era veramente accaduto.
L’avvocato Stanghelf ascoltò con la massima cura e attenzione tutta la narrazione, scribacchiando appunti su un lato del block notes: una veloce e semplificata scaletta delle cose che avrebbe voluto contestare. In più punti Sonic si sarebbe alzato con la voglia di spezzargli il collo, ma trattenuto dal timore di peggiorare la situazione rimase immobile ad assorbirsi tutte quelle accuse senza poter contestare.
< Concludo: per amore verso il mio unico e amato figlio chiedo che venga affidata a me la sua custodia. Come già detto reputo che la mia ex compagna e il suo attuale fidanzato non riescano a gestire il bambino > concluse brevemente guardando fisso davanti a sè.
Un tuffo al cuore bloccò il riccio che tremava di rabbia a sentire quelle parole: riuscì appena a lanciare un’altra occhiata alla porta d’entrata con la speranza di vedere la ragazza rosa entrare. Se solo ci fosse stata lei a darle manforte.

< Bene, grazie signore, ora passiamo al fidanzato della sua ex- compagna. Signor Sonic può integrare o ribadire quello che è stato precedentemente detto dalla parte lesa > esordì la giudice che pareva molto presa dalla narrazione della vicenda. Il riccio blu deglutì, lo stomaco gli sembrava un palloncino di carne sgonfio e tremolante. Alzatosi lentamente in piedi emise un profondo sospiro: voleva essere convincente e sincero, voleva farle capire tutto il bene che provava verso i suoi coinquilini ma soprattutto voleva che capisse che era perfettamente in grado di gestire il baby riccio blu.
Posando gli occhi verde evidenziatore su quelli giallo grano della civetta prese a raccontare tutta la sua versione dei fatti.


Amy parcheggiò l’auto lontanissima, i parcheggi in centro città erano qualcosa di introvabile ed in quel momento non aveva nemmeno il tempo di rifare il giro per la terza volta di fila. Scendendo dall’auto al volo si mise letteralmente a correre, l’elegantissimo tailleur e la borsa abbinata sbatacchiavano continuamente uno contro l'altra. La preziosa busta nell’altra mano era ben stretta al petto, lì si celava la sua salvezza.
Sorpassò un semaforo e una graziosa fioreria, rischiando di inciampare tra un vaso di gerbere e uno di margherite bianche. Il petto si abbassava e si sollevava a ritmo irregolare, il respiro mozzato e il gran caldo le provocarono un leggero capogiro ma decisa a non fermarsi imboccò le strisce pedonali di volata.  Scostandosi la massa di capelli dalle spalle prese altro ossigeno e iniziò nuovamente la sua corsa. La gente sulla strada la guardava stranita e più di una volta si prese un’occhiataccia malevole dai passanti, ma in quel momento non aveva tempo da perdere.
Un centinaio di metri dopo arrivò di fronte al tribunale. L’edificio colossale era un vecchio palazzo appena riassestato con gli ultimi interventi edilizi. La porta principale era raggiungibile attraverso una lunga scalinata. Scalinata che fece due a due per raggiungere il prima possibile l’entrata.
Pullulante di gente, l’atrio era un formicaio di vite, decine di cartellini indicavano la direzione delle varie sale mentre impiegati, segretari, avvocati, ospiti, osservatori, alunni e quant’altro si spostavano da un piano all’altro con assoluta disinvoltura.
Completamente stordita dalla corsa e dalla confusione ruotò su se stessa cercando con lo sguardo il cartellino in cui era segnata la sala dell’udienza. I suoi occhi caddero per miracolo nelle indicazioni per la sala assegnata e senza perdere tempo volò al secondo piano rischiando di spezzarsi una gamba e di far ruzzolare dalle scale una signora anziana, impegnata in una scalata con una costosa borsa al braccio.
La riccia raggiunse il suo obiettivo completamente senza forze: la milza le doleva da morire e le gambe le tremavano come budini. Attaccandosi al corrimano respirò affannosamente mentre due ciocche di capelli le scivolarono davanti agli occhi impedendole la visuale. La porta della stanza si trovava esattamente di fronte a lei: le porte saldamente chiuse indicavano che l’udienza era iniziata già da parecchio e che lei era penosamente in ritardo.
Il suo pensiero volò a Sonic, completamente solo assieme ad uno squalo come Jason. Si ricredette subito però, a volte si preoccupava per nulla: Sonic era capacissimo di difendersi e soprattutto non aveva certo paura di quell’individuo. Ne aveva lei, semmai, di paura. Sapere che dietro quella porta c’era Jason le metteva una terribile ansia. Lisciando la busta ormai lisa e stropicciata emise un sospiro, doveva consegnarla al più presto. Facendosi forza, si appoggiò allo stipite e mormorata una preghiera spalancò la porta.
Sonic, intento ad ascoltare il commento rovinoso dell’avvocato di Jason, continuava ad imprecare sottovoce: ma dove si era cacciata quella riccia? Forse era stata bloccata all’esterno? O forse, ipotesi ancor più peggiore, aveva deciso di non venire? Lanciando la settantacinquesima occhiata malevola verso la porta sospirò abbattuto, ritornando a prestare attenzione al leone inalberato di fronte al giudice.
L’elenco delle motivazioni per cui, secondo Jason, il piccolo non doveva essere affidato a lui erano incontabili come il numero delle stelle nel cielo. Persino i motivi più strani e le più illogiche delle riflessioni erano state lanciate contro di lui, facendo infuriare il riccio più di una volta.
L’avvocato suo difensore, invece, prestava la minima attenzione alle parole del suo collega, continuando ad appuntare sul suo curatissimo quadernino un’infinità di note. Il riccio provava ad imitarlo ma le offese rivolte a lui e alla sua compagna lo irritavano come null’altro al mondo.
Stava per lanciare un’altra imprecazione quando la porta alle sue spalle cigolò pesante e dei passettini affrettati coprirono per un attimo le parole del leone, che le lanciò un’occhiata sorpresa.
Bastarono quei passi a sollevarlo, li avrebbe riconosciuti tra mille, si girò per accertarsi, inutilmente, che fosse realmente la riccia rosa. Instabile su un paio di tacchi, Amy entrò con aria decisa ma con sguardo spaventato. Il cuore le martellava le tempie come dinamite, si sentiva talmente a disagio che non avrebbe esitato a girarsi ed uscire di corsa da quell’ambiente asfittico. Disagio che aumentò quando incrociò gli occhi dell’ex compagno, che si ridussero a due fessure quando avanzò nella sala per ricongiungersi con il suo riccio. Confusa, tentennò per un attimo, mentre l’occhiata gelida di Jason la trapassarono da parte a parte. Si sentiva predata come un topo in trappola nonostante sapesse benissimo di aver tagliato qualsiasi rapporto con il suo aguzzino.
Deglutendo nervosa camminò a passi veloci fino al banco in cui erano seduti Sonic e avvocato.
< Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare! > bisbigliò il blu cercando di non farsi sentire dai presenti. I suoi occhi zigzagarono dalla busta di carta che teneva in mano agli occhi spaventati della rosa. Il risultato del test era lì dentro: bastava sollevare il lembo della busta e dare una sbirciatina.
Con mani tremanti, Amy allungò il risultato del test. Sonic raccolse tutto il suo coraggio e sollevando il braccio, pesante tonnellate, si accinse a prenderlo quando fu preceduto dall’avvocato.
La mano del signor Stanghelf lo superò e con incredibile fermezza sgusciò la testata della busta. Capì solamente in quel momento che Amy non gliela aveva passato a lui. Bensì l’aveva passata all’avvocato. Cosa se ne faceva l’avvocato del risultato del test di paternità? Come faceva a sapere e soprattutto cosa diceva quel rettangolo di carta? Di chi era Justin?
 
Spazio autrice:
Spero davvero che vi piaccia questo capitolo, spero che non sia disordinato e che sia chiaro. Ovviamente l'organizzazione del processo non è attinente alla realtà per motivi di praticità. Come avrete capito sto cercado di concludere in fretta questi ultimi capitoli. Spero venga apprezzato ugualmente!
Baci.
Indaco
  
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