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Autore: _Trixie_    26/03/2020    5 recensioni
Onestamente? Emma non aveva idea di come fosse successo.
Ancora più onestamente? A Emma non importava, come fosse successo.
Aveva vissuto la sua intera esistenza cacciandosi in situazioni che, nella migliore delle ipotesi, erano imbarazzanti o in cui rischiava di lasciarci la vita. O, peggio, di umiliarsi di fronte a Regina. Così, quando Emma si rese conto che lei e Regina non facevo che comportarsi come se fossero sposate l’una con l’altra, Emma non si fece alcuna domanda.
[Swanqueen fluff, tutto qui]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII
Non rifletto il volto ma il cuore
 
 

Avevano deciso di fare una passeggiata dopo pranzo. D’altronde, il sole era caldo, ma non troppo da essere fastidioso, e quel primo pomeriggio sembrava troppo invitante per trascorrerlo in ufficio. Convincere Regina a lasciar perdere le scartoffie al municipio non era stato difficile, per Emma, perché lo sceriffo era consapevole che il sindaco era in anticipo rispetto alle date di scadenza. Al contrario, Emma era terribilmente in ritardo, ma ormai era appurato che il suo capo non l’avrebbe licenziata. O, almeno, così sperava.
«Forse dovremmo ritornare al lavoro, Emma» disse Regina, con le mani affondante nelle tasche del trench nero, in tinta con le decolleté di vernice dello stesso colore. Nonostante la leggera storta del giorno prima, il sindaco non sembrava intenzionata a rinunciare ai tacchi.
«Ancora pochi minuti» fece Emma.
«Si sta rannuvolando. E nessuna delle due ha un ombrello» le fece notare Regina. «Dovremmo tornare indietro».
«Non pioverà» sentenziò Emma, con una smorfia, come se Regina avesse appena detto una grandissima sciocchezza.
 
*
 
Piovve.
All’inizio, si trattò solo di poche gocce, che permisero a Regina di osservare Emma in tralice, accusandola, di nuovo, di essere nel torto. Ma bastarono pochi secondi perché entrambe si rendessero conto che stavano per essere colpite da un acquazzone primaverile in piena regola e, prima che il sindaco potesse iniziare a dire alla signorina Swan cosa pensava di lei, Emma prese la mano di Regina con la propria, intrecciando le loro dita. E Regina rimase tanto sorpresa dal gesto che chiuse la bocca e non disse nulla, lasciandosi trascinare in avanti dalla signorina Swan.
«Il mio appartamento non è lontano!» esclamò Emma, a mo’ di spiegazione.
Le gocce cadevano sempre più fitte di secondo in secondo. Regina strinse anche con la mano libera il braccio di Emma, per avere maggiore supporto mentre coprivano a passi veloci la poca strada che le separava dall’appartamento di Emma.
 
*
 
Per Emma, quella non era casa.
Casa era un’altra cosa.
Casa è il luogo dove vuoi tornare quando sei stanco, la sera, dopo una giornata di lavoro. Casa è dove ti senti al sicuro e protetto e circondato da infinito affetto. Casa è dove c’è la tua famiglia.
Perciò, quel piccolo trilocale affittato dopo la fine della sua relazione con Hook non era mai stato casa, per Emma. Era spoglio, con pochi mobili, e si riempiva di vita solo quando c’era Henry con lei. Ma, anche in questo caso, qualcosa mancava. Mancava la presenza di Regina. Perché, che Emma ne fosse consapevole o meno, casa non era il suo appartamento. Casa era il numero 108 di Mifflin Street.
«Te l’avevo detto, signorina Swan» sbottò Regina, non appena poté tirare un sospiro di sollievo una volta entrata nell’appartamento di Emma.
«Oh, andiamo! Nessuno avrebbe potuto prevederlo!»
Regina si limitò a risponderle con un verso di frustrazione, mentre si sfilava le scarpe, dalle suole ormai fradice, e il trench.
«Dammi» fece Emma, prendendo il trench dalle mani di Regina, che rabbrividì. Solo allora lo sceriffo notò che anche la camicia di Regina era bagnata.
«Dovresti spogliarti» disse perciò Emma.
«C-cosa?!» balbettò Regina.
E Emma arrossì violentemente e scosse la testa così forte che per un attimo credette di essersi rotta l’osso del collo. «Bagnati! I vestiti! I tuoi!» cercò di spiegarsi e, di fronte alla confusione di Regina, si costrinse a prendere un respiro profondo e calmarsi, per mettere in ordine le parole così che avessero un senso compiuto. «Hai i vestiti bagnati. Posso prestarti qualcosa di mio, così non prendi freddo».
«Non lo so, signor-»
«Andiamo, Regina. Non puoi prendere freddo. E poi, si tratta solo di ricambiare il favore di tanti anni fa».
Regina alzò gli occhi al cielo. «L’hai anche rovinata, quella camicia».
«Non è vero!» protestò Emma, mentre già spariva nell’altra stanza per cercare qualche indumento da prestare al sindaco.
 
*
 
Era la prima volta che Regina si trovava nell’appartamento di Emma. Per quanto tempo trascorressero insieme e per quante cene facessero con Henry, erano sempre a casa di Regina, mai da Emma.
Non che al sindaco importasse. D’altronde, le piaceva avere Emma per casa, con i corridoi che risuonavano dei loro battibecchi e le stanze che echeggiavano le risate di Henry e Emma. Non che avesse intenzione di condividerlo ad alta voce e apertamente nel prossimo futuro, ma le piaceva avere Emma tra i piedi.
Con una punta di soddisfazione un po’ troppo pronunciata, Regina, che si era mossa al centro del piccolo e spartano salotto di Emma, notò che le uniche foto presenti erano quelle della loro famiglia. Sua, si corresse mentalmente Regina, della famiglia di Emma. Snow e David che sorridevano all’obiettivo pieni di orgoglio al fianco di Emma che teneva tra le braccia il piccolo Neal. Una foto di Emma e Ruby che brindavano all’ultima festa di Natale al Granny’s, entrambe troppo lucide per essersi limitate a un bicchiere di vino come raccomandato da Snow. E poi… Poi Emma, con un ridicolo cappellino a punta in testa e il braccio intorno alle spalle di Regina, con Henry tra di loro. Il cuore di Regina le saltò nel petto. Se la ricordava bene, quella foto. Era stata scattata all’ultimo compleanno di Henry ed era stata Emma stessa ad insistere perché venisse scattata. Regina non era riuscita a rilassarsi abbastanza davanti all’obiettivo fino a quando la signorina Swan non le aveva cinto le spalle con un braccio e, dopo l’infinita serie di foto che Emma aveva scartato perché Regina aveva un sorriso da sindaco, finalmente quell’ultima foto era stata decretata perfetta. Regina aveva avuto da ridire, naturalmente, perché in quell’ultima foto Henry sembrava sul punto di mandare al diavolo entrambe le sue madri, lo sguardo di Emma era rivolto al sindaco e non all’obiettivo e le guance di Regina erano più rosse di quanto avrebbero dovuto.
A riguardarla ora, però, forse Emma non aveva tutti i torti.
«È ancora la mia preferita» commentò Emma, ritornando in soggiorno in quel momento e facendo sussultare appena Regina.
Il sindaco scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. Senza una parola, il sindaco prese i vestiti dalle mani di Emma e guardò la ragazza, interrogativa. Emma le indicò la porta del bagno e Regina ringraziò con un cenno della testa.
Era perfetta, quella loro foto, perché raccontava una storia. Una strana e confusa storia, certo. Ma pur sempre una storia: la loro.
 
*
 
Regina aveva protestato, ma alla fine si era dovuta arrendere al fatto che Emma non aveva altro da prestarle se non felpe e magliette a maniche corte. Così, si era rassegnata ad indossare une felpa grigia con la cerniera e, dopo essersi asciugata i capelli alla bell’e meglio con la salvietta che le aveva dato la signorina Swan, si sedette sul divano accanto allo sceriffo, che nel frattempo si era a sua volta cambiata e aveva preparato una cioccolata per sé e del tè nero per Regina.
«Grazie» disse Regina, accennando al tè.
E Emma scosse la testa, incapace di parlare. Regina strinse gli occhi a due fessure. «E ora cosa c’è, signorina Swan?»
«Niente!» esclamò lo sceriffo. «Solo…»
«Solo?» incalzò Regina. E Emma indicò il viso del sindaco con un vago gesto della mano. Regina la incalzò di nuovo, con lo sguardo.
«Hai i capelli ricci. Tanto ricci» disse infine Emma.
Regina arrossì violentemente, distolse lo sguardo dalla signorina Swan e si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, nervosamente. «Sì, beh, qualcuno ha lasciato che venissimo sorprese dalla pioggia e-»
«Mi piacciono» la interruppe Emma. «Cioè. Mi piacciono sempre i tuoi capelli. Ma così non li avevo mai visti. E sono belli. Perciò mi piacciono» disse lo sceriffo, per poi portarsi la cioccolata alle labbra per costringersi a smettere di parlare. A quanto pareva, aveva insormontabili difficoltà a stare zitta quando si trattava di parlare di Regina o con Regina.
«Grazie» sussurrò solo, Regina, prima di sorseggiare il proprio tè.
 
*
 
Dal momento che l’acquazzone non sembrava intenzionato a smettere, Emma aveva proposto di vedere un film e Regina aveva consentito di mala voglia, dopo aver avvisato l’ufficio che per quel giorno non sarebbe rientrata a lavoro.
«Harry Potter e la pietra filosofale?» fece Regina, leggendo il titolo sullo schermo.
«Un classico» fece Emma.
«Non l’ho mai visto» disse Regina e Emma fu certa di aver avuto un piccolo infarto miocardico in quel preciso istante.
 
*
 
Dopo scuola, Henry sarebbe dovuto andare da Regina, dove Emma li avrebbe raggiunti per cena. Ma aveva ricevuto un messaggio da Emma, che lo avvisava di andare al suo appartamento, aggiungendo che anche Regina era lì. Henry non aveva ben capito perché sua mamma, Regina, fosse nell’appartamento di Emma, ma non aveva indagato troppo. Chi le capiva, quelle due, era bravo. E infatti erano un mistero per l’intera Storybrooke, dottor Hopper compreso.
Ma, nonostante questo, non era preparato a quello che vide quando aprì la porta dell’appartamento di Emma. In primo luogo, riconobbe la colonna sonora di Harry Potter e la Pietra Filosofale, i cui titoli di coda scorrevano sullo schermo. In secondo luogo, le sue madri erano sul divano, entrambe profondamente addormentate. Il che aggiungeva molto alla stranezza complessiva della situazione: Emma non si addormentava mai, ma proprio mai, guardando Harry Potter.
Infine, e questo costrinse Henry a darsi un pizzicotto per convincersi di non star sognando, Regina era appoggiata al petto di Emma, una mano stretta intorno alla sua vita, le gambe raggomitolate sopra il divano. Le braccia di Emma circondavano il sindaco e la testa dello sceriffo era appoggiata ai capelli arricciati di Regina – e da quando sua madre permetteva a qualcuno di vederla con i capelli ricci? Lei odiava quei capelli, persino lui avrebbe potuto contare sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva vista così.
Con un sospiro incredulo, dopo essersi passato la mano tra i capelli, Henry prese la coperta appoggiata allo schienale della poltrona e la stese sopra le sue madri. Andò in cucina a preparare una cioccolata calda anche per sé e, quando tornò, si mise comodo in poltrona e fece ripartire Harry Potter e la Pietra Filosofale dall’inizio.
Fu in quel momento che Henry si sentì a casa, per la prima volta, nell’appartamento di Emma e capì che casa non è mai solo un luogo.
 


 
***
 


NdA
Buon pomeriggio!
Il titolo del capitolo, come penso molti abbiate capito, è la scritta che si trova sulla cornice dello Specchio delle Brame in Harry Potter e la Pietra Filosofale.
Grazie per aver letto,
a presto,
T. <3
   
 
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