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Autore: _Selenophile_    26/03/2020    1 recensioni
[erkenci kus]
[erkenci kus]Una ragazza dagli occhi ambra,Serena Monteforti,dopo un anno e mezzo a Londra,decide di ritornare nel paese universitario dove tutto è cominciato per affrontare i suoi demoni e riprendere in mano la sua vita.
Profondamente cambiata dal suo passato e da quello che è successo, non sa che è in arrivo per lei una sferzata di vita, totalmente inaspettata in un periodo come quello,in cui tutto era assopito e,quasi,dimenticato.
Un gruppo di ragazzi come tanti, che ha sogni,speranze, che lotta per emergere e per rimanere a galla. Un gruppo di ragazzi un po'strani e svampiti,che partorisce idee.
E un'idea,buttata lì un giorno di Ottobre, tra un aperitivo e una sigaretta.
Tutto questo causerà una tempesta violenta, dirompente e perfetta, da cui tutti usciranno diversi,cambiati.
Perchè un aquilone si alza solo con il vento contrario.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Ciao!».
Il mio saluto fu coperto dallo sbattere della porta blindata, tutto in casa sembrava in ordine e silenzioso.
Avanzai nel corridoio verniciato in lilla e cominciai a guardarmi intorno:non ricordavo che casa fosse così bella. Le pareti della grande sala erano verniciate di un bel cipria, mentre la parete principale con il televisore era colorata di un caldo color malva. Di fronte la tv,vi erano tre divani da due posti di diverse tonalità di lavanda con cuscini colorati. Il tavolo bianco,così come i mobili,era alle spalle,mentre il pavimento in parquet era coperto da un tappeto squadrato colorato,che riprendeva i colori dei cuscini.
«Ciao!». Ripetei,aggrottando le sopracciglia:strano che non ci fosse nessuno.
Feci un giro anche nella piccola cucina azzurra e nel bagno:non c’era traccia di qualsiasi essere umano.
Feci una smorfia,avvilita;Camilla e Diafa,le mie due coinquiline,sapevano che sarei arrivata nel primo pomeriggio, pensavo di trovarle a casa,del resto,avevamo condiviso parecchie cose insieme,ormai eravamo come sorelle, mi aspettavo un accoglienza un po’ più calorosa.
Con passo pesante mi diressi verso la mia camera;sinceramente,ci ero rimasta un po’male.
Non appena aprii la porta,fui invasa da una pioggia di coriandoli,festoni e brillantini,mentre un cartellone con la scritta BENTORNATA  campeggiava al centro del mio letto matrimoniale. La stanza era piena di palloncini ad elio.
«Pensavi che ci fossimo dimenticate,eh?!»
«Bentornata,piccola!»
Le mie coinquiline mi abbracciarono forte,mentre io ero completamente esterefatta:ok,questo sul serio non me l’aspettavo!
«Vabbè, ma almeno dì qualcosa!», Camilla mi guardava sorridendo,«Dai,capiscila. Tornare a Camerino è traumatico», le fece eco Diafa.
«No..ecco..io» tirai su con il naso «Non me l’aspettavo».
Vidi gli sguardi delle mie coinquiline addolcirsi,mentre la bocca di Diafa si apriva in un sorriso sincero.
«Beh!Cosa ci facciamo ancora qua?!» Camilla battè le mani «Hai un anno e mezzo da raccontarci! Preparo una bella tisana ai frutti rossi e cominciamo!».
«Non è cambiata per niente»risi,mentre la mia coinquilina bionda si fiondava in cucina.
«Siamo a Camerino,tesoro.», l’altra spalancò le braccia, «Cosa vuoi che cambi?» ridendo mi scortò in cucina.
Nessuno,neanche la mia bella coinquilina africana, avrebbe immaginato che da lì a qualche mese,sarebbe cambiato tutto.
«..quindi adesso sei una bartender
«Esatto. L’ European Bartender School mi ha lasciato l’attestato. Per cui io adesso sono una bartender professionista.»
Diafa sorseggiò la sua tisana,«Non pensavo ci  volesse così tanto tempo per diventare bartender».
«In realtà, il corso base dura una settimana. Io però ho voluto frequentare tutti i corsi,per essere più completa a livello professionale. Gli ultimi sei mesi li ho spesi facendo pratica nelle discoteche o nei pub. Ho approfittato anche della mia piccola vacanza in Grecia per lavorare».
«Quanto è brava la mia piccola bambina!», Camilla mi diede un bacio talmente forte, che ebbi paura che avesse risucchiato la mia guancia, «Sai che fortuna avere un’amica che fa la bartender?!» concluse con gli occhi che brillavano,e pensare che nel gruppo era quella che beveva di meno.
«Ma c’è qualcos’altro!»,feci un sorriso sghembo, negli occhi delle due ragazze leggevo trepidazione,«La vostra coinquilina è diventata anche barman acrobatico. Anche se nel  mio caso,sarebbe più corretto dire barwoman».
«Non ci posso credere.Sul serio?!»
«Barwoman acrobaico?Barwoman acrobatico?»,Diafa soppesava i due termini,come a volerli analizzare,«Dai,che figo! Potrai lavorare nelle migliori discoteche d’Italia, o d’Europa;ma che dico?! Del mondo intero!»concluse sbracciando.
«Ehi!Calma!»,agitai le mani in aria,per placarla,«Per adesso,mi basta lavorare a Camerino. Ho già parlato con Mattia, domani  inizio».
«Dai,che sfruttatore!Non ti fa nemmeno godere il rientro!», Camilla fece una smorfia,«Questa è cattiveria pura!».
«Non prendertela con quel poverino,Cami,sono stata io a proporglielo».
«Io l’ho sempre detto che tu sei matta!» concluse la bionda, spaparanzandosi sulla sedia e incrociando le braccia.
«Parlando di cose serie. Cosa hai intenzione di fare con l’università?»,Diafa era la più giudiziosa delle tre,e lo dimostrava in ogni occasione.
«Ricomincio. Non ho fatto la rinuncia agli studi per un motivo; è arrivato il tempo di riprendere in mano la mia vita».
«Questo è parlare,ragazza» la mia interlocutrice battè il pugno contro il mio.
«Yes,my nigga
Parlammo per tutto il pomeriggio, mi raccontarono di come erano andate avanti le loro vite in quell’anno e mezzo. Diafa,con due esami e la tesi, stava prendendo la sua laurea in Giurisprudenza, e nel frattempo  continuava a posare per un’ importante azienda di cosmetici. Camilla aveva vinto il dottorato in Biologia molecolare applicata e aveva cominciato una relazione con Daniele, un nostro amico in comune. A distanza di quasi un anno,tolto qualche scaramuccia, non sembravano esserci grossi problemi in arrivo. Mi raccontarono di come Camerino si era ripresa abbastanza velocemente dalla forte scossa di terremoto di qualche anno prima;non c’erano stati danni ingenti alle case e a chiese e musei. Il centro,esclusa qualche abitazione completamente distrutta, e qualche viottolo interno, sembrava non aver subito uno dei più forti terremoti degli ultimi anni.
Nessuna di loro mi chiese di lui;né mi chiesero come stessi. Non mi chiesero nemmeno se le mie ferite fossero guarite,o altre spiegazioni riguardo la mia scelta di fuggire oltreoceano. Non mi chiesero nulla che riguardasse la mia vita prima della mia fuga.
Io gliene fui grata;non mi sentivo ancora pronta a riaprire uno scrigno pieno di ricordi dolorosi.
Tolti tutti quei palloncini,la mia camera era proprio come l’avevo lasciata:le pareti bianche,eccetto per la parete del letto di un morbido antracite,erano ancora piene di foto,biglietti di concerti,stralci di canzoni e qualsiasi cosa che potesse essere appeso ad una parete. Accesi le lucine dentro i vasetti di vetro poste sulle mensole bianche sopra il letto,anch’esse piene di qualsiasi oggetto,da candele profumate a libri di letteratura;da quadri astratti a ritratti ad acquerello. Accesi anche le due lampade di sale sui comodino con dettagli antracite ai lati del letto e l’ambiente si illuminò di rosa. La scrivania e il grande armadio a ponte erano di un caldo color terra,che veniva ripreso dal copriletto e dai cuscini.
Provai una sensazione rilassante mai provata prima d’ora.
Ma la particolarità della mia camera era tutt’altro:sulla parete opposta a letto,vi erano appese quelle che io consideravo parte di me stessa; due chitarre,una  Eko Tri D honey acustica,comprata con i soldi di un lavoretto part-time; e una Ibanez EX nera elettrica svettavano dalle pareti con aria imponente e magnifica,rendendo tutto ciò che era presente nella stanza,misero arredo.
Sfiorai la cassa armonica laccata di nero,notai subito che era stata lucidata e ringraziai mentalmente chi delle mie coinquiline l’avesse fatto. Con un sorriso ricordai la storia di quella chitarra:appena finito di vedere Il Corvo,tutt’ora il mio film preferito,corsi dai miei affermando che avrei ricominciato a lavorare per comprarmi esattamente  quella chitarra;non ce ne fu bisogno,arrivò ai miei diciott’anni, tutta incartata e luccicante,a bordo di una bellissima Mercedes classe A bianca;ovviamente non feci la tradizionale festa,che io consideravo più un debutto in società,fatta di ostentazione e civetteria,in una gara a chi sfoggiava meglio un qualcosa che in realtà non si aveva.
Ma il pezzo forte arrivava dritto da Londra:la mia mitica Fender Stratocaster nera e bianca,anch’essa elettrica,comprata con i soldi da bartender, venne posizionata in mezzo alle altre due,rendendo il tutto molto suggestivo ;anche lei era stata puntata nel momento in cui l’avevo vista tra le mani di Eric Draven, doveva essere mia,non importava quanto avrei impiegato.
Ammirai quello strano trio con aria soddisfatta,prima di andare in doccia.
Dopo cena decisi di andare alla Rocca Borgesca,una grande costruzione in pietra su uno strapiombo,con all’interno un grande parco su più piani; dalle sue mura di cinta,lo sguardo vagava verso l’orizzonte,ammirando i Monti Sibillini in tutta la loro imponenza.
Imbracciai la mia Eko e mi avviai a piedi,abitavo in pieno centro,per cui potevo farlo senza rimanere imbottigliata nel traffico. Mi beai della visione di Camerino all’imbrunire:il sole era già tramontato,restava ancora poca luce, ma tanto bastava per illuminare quei viottoli di sanpietrini e le palazzine in mattoncini colorati.I negozi erano ancora aperti, ragazzi con grandi libri tra le mani o trolley pieni di sogni,speranze e vestiti si affacendavano freneticamente nel corso principale. Tutti troppo presi dal proprio esame o dal fidanzato che aspettava alla stazione, per accorgersi della bellezza di quel paesino. Un odore di fiori,misto a quello della pizza appena sfornata,arrivò dritto alle mie radici;per l’ennesima volta in quella giornata mi ritrovai a sorridere:niente e nessuno era cambiato,tutto era rimasto immobile,cristallizzato nel tempo.
Era rimasto tutto uguale. Tranne io.
La Rocca era piena di bambini che giocavano,godendosi le ultime serate di fine estate,sorvegliati a vista dai genitori;ragazzi chiacchieravano e ridevano,spensierati;le coppiette passeggiavano tenendosi per mano.
Mi accomodai sotto le fronde di un bellissimo salice piangente e tirai fuori la mia chitarra,cominciando a fare qualche scala per accordarla. Non appena cominciai a strimpellai,mi venne in mente una canzone dei Boomdabash che ultimamente ascoltavo spesso,così cominciai ad intonarla:
Ti racconterò mille storie d'amore
Con un filo di voce
E se ti rubo un bacio quando sei distratta in fondo che male c'è?
Portami con te in questo viaggio
Senza meta né destinazione
Portami con te
Portami con te
Ancora un po' più in la.
Finita la canzone sentii un movimento di fronde dietro di me, come se qualcuno avesse spostato i grandi rami del salice;mi alzai,guardandomi intorno con aria circospetta,ma non vidi nessuno.
«Sarà stato il vento»,pensai tra me e me.
Quando andai via,dopo molto tempo passato a suonare, nel parco ero rimasta solo io.
Mi accesi una sigaretta,dirigendomi verso casa,mentre la mia attenzione fu catturata da un motore di un grande suv nero,anch’egli unico superstite,che spariva tra le vie.


 
   
 
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