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Autore: lady lina 77    27/03/2020    1 recensioni
La storia dei Romelza riscritta in modo del tutto nuovo, partendo da zero...
Lui è un giovane disilluso dall'amore che dopo aver trascorso tre anni a combattere in Virginia, torna in Cornovaglia e scopre che tutto il mondo che aveva lasciato è in distruzione, suo padre è morto lasciandolo pieno di debiti e il suo grande amore, Elizabeth, è in procinto di sposare suo cugino Francis.
Lei è una giovane ragazza povera di Illugan che viene presa per caso alle dipendenze dei Boscawen e finisce per sposare il nipote di Lord Falmouth, Hugh Armitage, un giovane dalla salute malferma che ha perso la testa per lei...
Ross e Demelza, anime sconosciute, lontane, le cui strade si incrocieranno in modo del tutto imprevisto scardinando ogni loro convinzione sull'amore, sulla vita e sul futuro...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Francis Poldark, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il fatto di aver ceduto solo per amore di Verity, di certo non servì a migliorare l'umore di Ross.

Mentre la carrozza procedeva diretta alla dimora dei Boscawen, su strade sterrate e ormai buie, Ross osservò i suoi compagni di avventura, se così si potevano chiamare...

Francis, vestito con un abito di velluto rosso e che sonnecchiava appoggiato con la testa al finestrino, aveva scelto di compiere il tragitto con la carrozza di famiglia migliore. Ci teneva a fare bella figura e sperava che quella serata avrebbe portato buoni frutti a tutti loro.

Elizabeth, seduta accanto a lui, bella ed eterea nel suo vestito color rosa pallido, guardava distrattamente il paesaggio tentando di evitare il suo sguardo forse troppo insistente ed indagatore, uno sguardo che pareva non desiderare altro che carpire i segreti del suo cuore e della sua anima. Quando c'era lei nei paraggi, per Ross diventava come una calamita, una febbre da cui non riusciva a liberarsi. Ma era una febbre che avrebbe portato a una guarigione, un giorno? O alla dannazione eterna? Non smetteva di chiederselo, mai...

Accanto a lui invece c'era Verity, vestita con un grazioso vestito color panna, eccitata e contenta, che non faceva altro che chiacchierare e raccontare dei giochi fatti col piccolo Geoffey Charles nel pomeriggio, in giardino.

A un certo punto Elizabeth decise che era stanca del suo mutismo e il suo desiderio di essere al centro dell'attenzione al posto di Verity, la spinse ad aprire finalmente bocca, facendo sussultare Francis. "Sono curiosa".

"Di cosa, mia cara?" - le chiese il marito con voce impastata, strofinandosi gli occhi.

"Di vedere l'aspetto della piccola cameriera".

Ross la fissò senza capire. "E come mai sei interessata alla servitù di Falmouth?". Era abbastanza convinto di star facendo la figura del fesso e che ci fosse qualcosa nell'aria che gli era sconosciuto a causa della sua avversione ai pettegolezzi, ma la voglia di parlare con Elizabeth fu più forte del suo desiderio di estraniarsi davanti a certe faccende.

Verity cercò di spiegare. "Elizabeth non si riferisce ad una domestica, in realtà".

"Lo era!" - la corresse subito lei.

"Ma non lo è più" – riprese Verity, con dolcezza. "Elizabeth si riferisce alla giovane moglie del nipote di Falmouth, Hugh Armitage. Fu assunta come domestica in quella casa quando era una ragazzina e col tempo ha stregato il cuore dell'erede del casato che poi l'ha sposata. Una storia d'amore da favola".

Ross alzò gli occhi al cielo. Si aspettava qualcosa di eccezionale e invece aveva dovuto mordersi la lingua per non sbottare davanti ad Elizabeth con un poco elegante... 'E' tutto quì?'.

Elizabeth dovette percepire i suoi pensieri e ne parve in qualche modo delusa. "Favola d'amore? Avanti Verity, davvero ci credi? Le conosci come sono, queste donne del popolo... Figlie di minatori, cresciute senza valori e senza educazione, volgari, pronte a tutto ed estremamente abili a letto. Quel povero giovane di buona famiglia dev'essere stato sopraffatto da una donna del genere e lei deve aver ricattato la famiglia per farsi sposare. Non ci sono altre spiegazioni logiche".

Francis intervenne, decisamente contrariato dal discorso della moglie. "La giovane moglie di Armitage è, appunto, molto giovane e dubito sia stata tanto scaltra... Non potremmo credere, per una volta, alla bontà dei sentimenti e dell'amore?".

Elizabeth gli piantò gli occhi addosso e l'atmosfera si fece incandescente. "Certe donne, giovani o vecchie che siano, sanno bene come ottenere tutto ciò che desiderano da un uomo. Guarda ad esempio Margareth Vosper...".

Lo disse in tono sibillino e Francis avvampò. Fatti, riferimenti e parole non erano per nulla casuali ed Elizabeth si stava prendendo una piccola rivincita sui suoi errori coniugali passati. "Non puoi giudicare chi non conosci" – balbettò, davanti alla moglie.

Ross intuì che la situazione, da sonnecchiosa, stava facendosi pericolosa per tutti loro. Le guerre e le divisioni passate potevano tornare in un attimo ed era necessario, per il bene di tutti e della miniera, che la pace continuasse ad albergare nel cuore di ogni Poldark presente su quella carrozza. "Perché stiamo discutendo?" - chiese. "Per una donna che non conosciamo e con cui non dovremo avere a che fare?".

"Ma..." - lo interruppe Elizabeth.

Ma lui interruppe lei. "Ma nulla. Potrebbe essere un angelo o un demonio, ma è la padrona di casa e se abbiamo dovuto accettare questo invito che io NON volevo accettare, cerchiamo di presentarci con educazione e di fare buona figura. O le motivazioni e gli scopi che ci siamo prefissati venendo quì, cadrebbero nel vuoto a causa di stupidi pregiudizi su qualcuno che nemmeno conosciamo. I pettegolezzi lasciamoli ad altri".

Francis annuì, Verity sventolò nervosamente il suo ventaglio ed Elizabeth si incupì, delusa che nessuno la pensasse come lei ma putroppo consapevole che Ross aveva ragione. "Ovviamente saremo educati. Come dici tu, per qualche strano motivo sarà la padrona di casa e la onoreremo con l'educazione che ci hanno impartito le nostre famiglie".

Ross annuì, sprofondando nel divanetto. Fine della discussione, discussione spiacevole fra l'altro... Nonostante fosse stata intavolata da Elizabeth...

E nella carrozza ripiombò il silenzio a cui anche Verity si accodò. E nessuna chiacchiera lo spezzò più fino all'arrivo nella splendida dimora dei Boscawen, incastonata in uno dei più belli scorci della brughiera di Cornovaglia, circondata da un fitto bosco e da infiniti campi e pascoli.

Ross scese dalla carrozza, osservò la dimora e rimase a bocca aperta. Tutto esprimeva potere e ricchezza, quella ricchezza che un pò sarebbe servita anche a lui e alla sua miniera. E anche se riluttante, capì che aveva fatto bene a venire e che forse da quella serata ne sarebbe conseguito qualcosa di buono.


...


Stesa sul letto a pancia ingiù, vestita solo con una semplice sottoveste, Demelza osservava suo marito vestirsi per la festa che sarebbe iniziata di lì a poco. La sua mente era in fermento e in realtà quella sera avrebbe preferito essere tranquilla e sola con Hugh per parlarle di una idea che le era balenata in mente nel pomeriggio, mentre era a Truro a far compere con una domestica, ed era frustrata davanti alla certezza di dover rimandare a causa dell'imminente arrivo degli ospiti.

Hugh, sentendosi osservato, le sorrise mentre con le mani litigava col fiocco della sua camicia che proprio non riusciva a sistemare a dovere. "Stai ridendo di me?" - le chiese.

Lei si alzò dal letto per andare ad aiutarlo. "No, è che stavo pensando a una cosa che potrei... potremmo fare insieme...". Beh, il tempo era poco ma non ce la faceva a rimandare.

Hugh si fece aiutare a sistemare la camicia, senza toglierle gli occhi di dosso. "Sai che non chiedo altro che compiacerti. Cosa desideri?".

Finito con la camicia, Demelza si risedette sul letto, dondolando le gambe nel vuoto. "In realtà per me nulla... Ma mi piacerebbe che mi aiutassi a fare qualcosa per qualcun altro".

Hugh la fissò, interdetto. "In che senso?".

Demelza sospirò. "Non ti sembra che abbiamo troppo e tanta altra gente, troppo poco?".

L'uomo le si avvicinò, accarezzandole la guancia. "Per te nulla è mai troppo, mia cara".

Era un marito dolce Hugh, che la riempiva forse troppo di attenzioni e vizi e questo le faceva piacere, certo. Ma la faceva anche sentire in colpa verso... verso il mondo, ecco! E a volte era persino soffocante... "Davvero faresti di tutto per compiacermi?".

"Certo. Vuoi abiti nuovi? Gioielli? Una nuova casa a Londra?".

"No, ciò che ho basta e avanza".

Hugh rise, sedendosi accanto a lei sul materasso. "Non si direbbe! Stiamo per dare una festa, sarai la padrona di casa e sei ancora in sottoveste! Eppure dovresti avere un sacco di abiti nuovi nell'armadio".

Demelza sbuffò, sconfortata. Era vero, era la padrona di casa e quando doveva calarsi in questo ruolo le sembrava spaventoso dover parlare alla pari con dame e gentiluomini a cui, fino a un paio d'anni prima, aveva servito del vino nel ruolo di domestica. "Ci metterò un attimo a vestirmi, non è di questo che volevo parlare".

Lui le prese la mano, baciandola. "Che cosa c'è, allora?".

Demelza prese coraggio, preparandosi a una lunga disputa, prima con Hugh e poi con Falmouth. "Oggi, a Truro, passeggiando ho notato un vecchio caseggiato, di fianco alla locanda di Sir. Tohblack. E ho pensato che in fondo sarebbe un peccato lasciarlo all'incuria e che invece, sistemandolo, potrebbe essere utile".

Hugh annuì, senza però capire il senso del suo discorso. "E allora?".

"E allora c'erano attorno a me così tanti bambini scalzi, affamati e vestiti di stracci come ero io e ho pensato che in fondo non c'è nessuno che pensi a loro e gli dia gli strumenti per costruirsi una vita migliore. Non ci sono scuole quì e noi potremmo farne una se sistemassimo quel caseggiato".

Hugh spalancò gli occhi e in Demelza nacque la speranza che a un amante dell'arte e della letteratura come lui, sicuramente quell'idea sarebbe piaciuta. Ma la speranza durò poco...

Lui rise. "Amore mio, perché? A Truro vivono principalmente figli di minatori o contadini, che se ne farebbero di una scuola?".

Esasperata e delusa, Demelza abbassò lo sguardo. "Imparerebbero a leggere e scrivere e sarebbe già molto per loro e il loro futuro. Sarebbe qualcosa di bello che ci renderebbe utili a qualcosa in questo mondo tanto difficile".

Hugh divenne serio, dopo la reazione un pò divertita di poco prima di cui si era già pentito. Le prese le mani nelle sue, le strinse e le accarezzò e poi tentò di spiegare il suo pensiero. "Non volevo prenderti in giro, scusa... E credo che il tuo cuore sia davvero nobile in ciò che vuoi fare e desideri. Ma pensaci, Demelza... Quando eri piccola, se qualcuno avesse proposto a tuo padre di mandarti a scuola invece che badare alla casa e ai tuoi fratelli, lui cosa avrebbe risposto?".

"Di no, ovviamente".

"E così ti risponderebbero, tesoro, i padri dei bambini di Truro. Hanno bisogno di denaro e di figli che portino a casa qualche moneta per il pane, non hanno certo la possibilità di permettersi di lasciarli seduti a un banco".

Demelza si sentì stupida e in fondo sapeva anche che quanto stava dicendo Hugh aveva senso, forse molto più senso della sua idea. Eppure, sentiva che non doveva rinunciare... "Ma forse, qualcuno che non la pensa come mio padre c'è... E non varrebbe la pena tentare, anche solo per una mezza dozzina di bambini?".

Hugh rimase in silenzio per un pò, riflettendo. "Perché vuoi farlo? Come vorresti farlo?" - chiese, in tono stranamente indagatore. "E' perché senti la mancanza di un figlio nostro?" - domandò in tono grave, con gli occhi piantati nei suoi.

Quella domanda, totalmente inaspettata, sembrò arrivarle addosso come uno schiaffo. Era un dolore sordo il suo, la mancanza di possibilità di essere madre a causa della malattia di Hugh sarebbe stata sempre un dolore strisciante ma mai se n'era lamentata con lui, mai aveva lasciato trasparire questo suo rimpanto, ma evidentemente Hugh doveva averlo percepito. Ma su questo quanto meno poteva rassicurarlo, il desiderio di un figlio non c'entrava con la scuola. "Non è questo, ho scelto di sposarti ed ero consapevole di tutto. Non ne sono pentita! Ma la scuola... Vorrei così tanto sentirmi utile per qualcuno, ora che ho così tanto da poter dividere...".

Hugh la baciò sulla fronte, stringendola a se e sentendosi rincuorato dalle sue parole. "Tu sei utile, tantissimo! Già ora! A me, a questa casa, al nostro giardino...".

"Ma non è abbastanza" – insistette lei, fra le sue braccia, viso a viso.

Hugh annuì, prima di baciarla sulle labbra. "Come dicevo, farei di tutto per compiacerti. E se è quello che vuoi...".

Lo bloccò. "No, non per me! Vorrei fare qualcosa con te per gli altri".

Lui la ribaciò. "Faremo sistemare quel fabbricato, se è davvero ciò che desideri. Ne parlerò domani con lo zio e cercherò di convincerlo che è una buona idea. Poi cercheremo una maestra e vedremo se questa idea produrrà qualcosa di buono. Sicuramente aumenterà il prestigio dei Boscawen, quanto meno... Sono cose che, sotto elezione, lo zio tiene molto in considerazione".

Demelza, contenta, lo abbracciò. Hugh e Falmouth l'avrebbero sostenuta, quindi. Non per il bene dei bambini, certo, uno lo avrebbe fatto per compiacerla e l'altro per accrescere il suo potere, ma il risultato era quello che contava. "Potrei essere io, la maestra?! Non ho mai nulla da fare, al mattino... Certo, non potrei insegnare un gran ché, al massimo a leggere e scrivere. Potrei avere un aiuto da una persona più esperta, certo, che potrebbe insegnare ai bimbi più grandi la storia, la geografia e a far di conto. Ma mi piacerebbe, nel mio piccolo, fare qualcosa anche io. Con te".

Hugh parve sorpreso da quelle parole. Un conto era mettere i soldi per un'opera pubblica, un conto era mettercisi a lavorare in prima persona. Per un Boscawen questo concetto doveva essere difficilissimo da capire e Demelza ne era consapevole. "Tu non puoi lavorare! Non come maestra di certo! E nemmeno io".

Lei insistette, certa che lui avrebbe capitolato a breve. "Solo qualche ora al mattino, che sarebbe? E tu? Hai insegnato l'amore per la letteratura a me, ti piacerebbe insegnarlo anche ad altri, ne sono certa. Giovani menti che potrebbero trovare una strada nelle poesie e nella scrittura... Sarebbe talmente gratificante per te esserne l'artefice...".

"Mio zio non lo accetterà MAI!" - rispose, laconico.

"Sì, se gliela metteremo nei giusti termini".

Hugh le diede un leggero buffetto sulla guancia. "Sei capricciosa ora, lo sai?".

"Ma tu volevi compiacermi, no?" - insistette lei, con un sorriso biricchino sulle labbra.

Hugh sospirò, alzandosi in piedi e porgendole la mano perché facesse altrettanto. Non sapeva dirle di no, ne era consapevole. Ma era altrettanto consapevole che non poteva dirle di sì su tutto e che dovevano cercare una buona via di mezzo fra i suoi desideri e il prestigio di famiglia. "Due giorni a settimana, Demelza. Non di più! Credo sia il massimo che lo zio potrebbe concederti e che io possa concederti! Sei una Boscawen e nonostante tu sia mossa da buone intenzioni, non puoi lavorare. Anche se in questo caso sarebbe una cosa che ti piacerebbe fare".

Demelza prese un profondo respiro, mordendosi la lingua. Non doveva e non poteva insistere e sapeva che Hugh, da quel punto di vista, le aveva già concesso fin troppo. Poteva dirsi soddisfatta, più o meno! E piuttosto felice! "Grazie!" - disse allegramente, baciandolo sulle labbra.

Hugh le diede un altro buffetto prima di scompigliarle i capelli con la mano. "E ora su, decidi che abito metterti!".

"Lo so già" – rispose lei, correndo allegra verso l'armadio. "Questo!".

Hugh osservò l'abito rosso, il primo abito che le aveva comprato quando non erano che fidanzati. Un abito tutto sommato semplice ma che le stava benissimo. E lei lo adorava... "Dovrai arrenderti a comprare qualche abito nuovo prima o poi, lo sai?".

"Io adoro questo".

Le si avvicinò, stringendola a se. "Anche io, anche se lo hai già indossato diverse volte, si adatta ancora così bene al colore dei tuoi capelli e all'azzurro dei tuoi occhi... E i capelli?".

Demelza alzò le spalle. "Li terrò sciolti, con un semplice e piccolo fiocco sulla nuca per tenerli a bada".

Hugh sorrise, adorava vederla coi suoi lunghi capelli liberi di muoversi sulla sua schiena. "Sarai meravigliosa e i nostri ospiti ti adoreranno".

E alla parola 'ospiti', Demelza ripiombò nell'ansia da padrona di casa. "Giuda, come odio avere ospiti. Ho come l'impressione che tutti mi guardino e mi giudichino e non aspettino altro che commetta un errore per ridere di me... La piccola ex-sguattera che vuole darsi delle arie...".

Hugh rise, divertito. "Nessuno oserà tanto e i nostri ospiti sono tutti educati e rispettabili. Tranquilla, ti adoreranno".

Non ne era così certa, ma con Hugh vicino si sentiva tranquilla. "Tuo zio sta impazzendo... Dice che in questa serata deve far abboccare all'amo quel tizio... come si chiama? Ne parla sempre...".

Hugh si avvicinò, aiutandola a sua volta a vestirsi. "Ross Poldark?".

"Sì, lui. Lo vuole assolutamente in Parlamento al suo fianco. Sai chi è?".

Hugh alzò le spalle. "No, lo conosco solo di fama. La sua famiglia è di antiche e nobili origini, anche se oggi decisamente decaduta. Un tizio testardo e una testa calda, pare. Un mulo che preferisce stare chiuso nelle sue miniere ad ammazzarsi di lavoro coi suoi minatori invece che lottare per ricoprire le cariche pubbliche che gli spettano di diritto".

"Oh...". Demelza sbuffò, in fondo nemmeno Hugh era così ligio ai propri doveri e ai suoi diritti acquisiti per nascita. "Anche tu, in teoria, dovresti sederti in Parlamento. E nemmeno tu vuoi quel seggio".

"Vero! Ma lo sai bene che non fa per me e che la mia salute mi rende perfettamente inutile alla causa".

Demelza lo fissò storto, scettica. "Sembrano scuse...".

"Sono ottime motivazioni!" - la corresse lui, osservandola mentre finiva di sistemarsi l'abito.

Demelza si sedette alla toeletta per pettinarsi. "Forse sono ottime motivazioni anche quelle del signor Poldark..." - lo provocò.

Hugh rise ancora, avvicinandosi alla porta. "Sarà meglio che scenda ad accogliere i nostri ospiti. Ti aspetto giù, mia cara".

"Arriverò presto" – rispose lei, mettendo a sistemarsi i capelli.

La serata in fondo era iniziata bene, avrebbe avuto la sua scuola e per questo il suo animo si sentiva leggero. Talmente leggero che in fondo non le sembrava nemmeno così spaventoso dover presenziare alla festa che si sarebbe tenuta a casa sua di lì a poco.

E con questo pensiero, finito di pettinarsi, uscì dalla stanza e scese le scale che portavano al salone dove un vociare allegro e un via vai di camerieri indicava che qualche ospite era già arrivato.

Prese coraggio, fece un profondo respiro e scese, facendo il suo ingresso.



  
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