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Autore: Harriet    28/03/2020    1 recensioni
Avrai una vita tranquilla, dedicata al lavoro e alla famiglia. Sarà una buona vita. La migliore a cui è concesso aspirare, in un mondo di gente feroce, ricchi oppressori, macchine impazzite e mostri.
Oppure no.
Perché se sulla scena compaiono dei vigilanti, il loro capo carismatico e le loro storie di avventura...
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dietro le quinte della rivolta'
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Partecipa al COW-T X di Landedifandom. Missione 5. Prompt: "Physical" di Dua Lipa. Nello specifico, l'ispirazione è data da alcune citazioni: "All night I'll riot with you", "We created something phenomenal", "Hold on just a little tighter, come on, hold on, tell me if you're ready".
La storia appartiene a una serie che racconta le vicende del gruppo di vigilanti qui citati, e soprattutto dei legami tra i loro componenti. Le trovate tutte, messe in fila.
Il personaggio di Anthar è non binario, tendo a usare il maschile per parlare di l*i, immaginando che nella lingua del suo mondo esista il neutro (e lamentando che non esista in italiano,)
Grazie per essere qui!



 
Sotto la cenere veglia il fuoco
 
            Mireille Veldran ebbe tre funerali.
            Poteva sembrare l’inizio di una di quelle storie che si raccontano in piazza, in taverna o davanti a un fuoco. Uno di quegli aneddoti curiosi che nonno Thada o Imiry erano particolarmente bravi a raccogliere in giro e a riportare a casa.
            Mireille Veldran ebbe tre funerali, ma la sua non era una storia divertente. Certo, Enit immaginava che in città ci fosse, qualcuno che aveva riso della sua morte. C’era mezzo Consiglio Governativo con il boccale alzato da una settimana, ci avrebbe giurato. E c’era un gran numero di membri delle forze dell’ordine che probabilmente si scambiavano gomitate, occhiate eloquenti e battute (molte delle quali oscene), relativamente alla morte di Mireille. Enit era una ragazza senza una grande istruzione né conoscenze altolocate, ma passava abbastanza tempo in mezzo alla gente da sapere come erano fatte le persone. Era brava a guardare e ad ascoltare. Si sentiva in grado di giudicare i comportamenti umani, nonostante avesse solo ventuno anni e sapesse a malapena leggere e scrivere. Ed era sicura che, nelle zone più fortificate e benestanti di Adraen, si festeggiava per la morte di Mireille.
            Pensò al primo funerale, quello che aveva fatto la famiglia Veldran, in gran segreto, in fretta e furia, nell’intimità della propria casa. Erano comunque girate voci su quell’evento. Era difficile nascondere del tutto qualcosa che riguardasse Marin Veldran, uno dei consiglieri del Governatore, membro di una delle stirpi nobiliari che si fregiavano di aver costruito Adraen di essere la sua colonna portante da secoli.
            Era difficile nascondere del tutto qualcosa che riguardasse la famiglia Veldran. L’unica che ci era riuscita, per quattro anni, era stata proprio Mireille, la figlia minore.
            “È durata tanto, per quello che faceva.” Così aveva commentato nonno Narssa, ed era un complimento, anche se non sembrava. La verità era che se volevi fare l’eroe, ad Adraen, era molto facile che tu durassi poco. Era vero: il piano di Mireille era stato visionario e megalomane, ed era un miracolo che fosse riuscita a mandare avanti ogni cosa per ben quattro anni.
 
            Enit ricordava quando aveva sentito parlare di lei per la prima volta. Si era sparsa la voce di uno strano gruppo di gente, vestita di stracci, che aveva assalito un carro dell’esercito. Era pieno di beni di vario genere, sequestrati a un gran numero di famiglie colpevoli di piccole infrazioni e impossibilitati a pagare le multe. Gli straccioni avevano rubato ogni cosa. Poi si erano sparse sentite due storie non verificate, ma interessanti.
            La prima: le famiglie avevano riavuto le loro cose.
            La seconda: le multe erano state cancellate in fretta e furia quando i due giudici artefici delle condanne erano stati raggiunti da minacce di ricatto per qualche particolare vizio nascosto.
            “Combattere ingiustizia con ingiustizia è comunque violento e sbagliato” aveva detto il padre di Enit.
            “Aspettiamo a parlare bene di questa gente. Probabilmente si faranno un nome tra i poveracci e poi verranno a esigere un tributo in cambio di protezione” aveva detto sua madre.
            E invece no.
            Le storie avevano continuato a girare. Quello strano gruppo, vestito come una banda di girovaghi di infima categoria, aveva impedito un’esecuzione ingiusta. Avevano salvato due persone da un feroce pestaggio messo in atto dalla guardia privata del Governatore. Avevano rifornito di cibo e generi di prima necessità un quartiere colpito da una delle maree senza controllo della loro baia imprevedibile. Avevano riparato gratuitamente gli strumenti da lavoro o le macchine per alcuni operai oppressi da un datore di lavoro disonesto e crudele. Si erano offerti per scortare minatori, boscaioli, pescatori e altre persone che lavoravano nelle zone della città meno sane e più impregnate di misteri e perseguitate dai mostri.
            Le storie non si fermavano.
            Chi sono? Non si sa. Si fanno chiamare gli Aedi.
            È una bella parola. Fa pensare alle storie, alla poesia, alla musica. Non fa pensare al dolore e alla lotta, che da sempre accompagnano la maggior parte degli abitanti di Adraen.
            Una bella parola, una bella storia dopo l’altra. Enit ascoltava e custodiva dentro di sé tutto ciò che ascoltava. In un posto difficile e crudele come casa loro, gli Aedi erano una brezza fresca che spezza il calore e porta sollievo.
            “Adesso sono eroi, ma un giorno scopriremo il loro vero volto”, aveva detto il padre di Enit.
            “Meglio concentrare le nostre speranze su qualcosa di concreto: la famiglia e il lavoro”, aveva detto sua madre.
            Più o meno tutti e quindici, in casa, si erano detti d’accordo. Tutti tranne Enit, che aveva continuato ad ascoltare le storie.
            Un salvataggio nel quartiere di Azena. Un’incursione al Casinò per tirarne fuori un paio di benintenzionati finiti in un gioco più grosso di loro. La difesa di una famiglia presa di mira da un nemico più ricco e più crudele. Un membro del governo, corrotto fino al midollo, che veniva finalmente scoperto, i suoi segreti portati alla luce.
            E così via, quattro anni di splendide storie, fino a quello che era sembrato l’epilogo.
            Gli Aedi avevano assaltato un mezzo a motore dell’esercito che trasportava una coppia di prigionieri, marito e moglie, accusati di aver ucciso un membro di alto rango delle forze dell’ordine. Si era saputo che i due avevano solo salvato il proprio figlio adolescente, rapito e violentato dal soldato. Ma questo non era stato sufficiente a far evitare loro la condanna a morte.
            I vigilanti avevano cercato di liberare i due: sapevano che quel tipo di trasporto non era mai guarnito da più di quattro guardie, quindi si erano presentati in otto. Ma sfortunatamente c’era un gruppo del clan Ketrem lì vicino: undici guerrieri armati di tutto punto erano piombati sul luogo dell’assalto. Gli Aedi erano stati superati in numero e avevano perso la battaglia. Cinque erano morti nello scontro, tre, tra cui una donna alta e robusta dai capelli rossi, erano stati arrestati.
            La storia era terribile di suo, ma poi si era fatta improvvisamente più grande. La donna con i capelli rossi era Mydrano, il capo degli Aedi. La donna con i capelli rossi era Mireille Veldran, ventotto anni, figlia del consigliere Veldran, figlia di una delle maggiori famiglie di Adraen, figlia di quel mondo che, di solito, banchettava sulle rovine della parte più disperata della città e sfoggiava il proprio potere, brandendo il proprio nome come un’arma invincibile.
            Mireille lo aveva accantonato, il suo nome, e si era scelta quello del protagonista di una serie di opere teatrali in cui il servitore eroico e intelligente fregava una serie di sciocchi e pretenziosi padroni.
            Mireille e i tre Aedi prigionieri sarebbero morti, quello era certo, ma sulla loro sorte si era discusso molto: avrebbero rivelato, sotto tortura, i segreti della loro organizzazione? Dove sarebbero stati uccisi, per evitare che i loro compagni disperati tentassero di irrompere e liberarli?
            Chi non aveva particolare affetto per gli Aedi aveva molto di cui discutere. Ne parlavano come fosse stata una gara di qualche disciplina sportiva, o qualche scandalo di quelli che ogni tanto facevano divertire la gente. Enit invece non aveva parole. Ogni volta che coglieva attorno a sé, in casa o fuori, qualche discorso relativo agli Aedi, correva via. In quei giorni burrascosi si dedicava solo al suo lavoro di sarta, costringendo i pensieri bui fuori dalla sua testa e rimanendo in guardia contro la tristezza che minacciava di affondarla.
            Il resto della storia andò come era logico che andasse. I tre furono impiccati rapidamente, anche se, a quanto pareva, non avevano detto molto, riguardo il resto del gruppo. Però ci fu qualche altro arresto e la confisca di alcuni edifici. Se fossero state davvero faccende legate agli Aedi, conosciute grazie alle confessioni estorte a Mireille e ai suoi, non era dato di sapere. Enit sospettava che non c’entrassero nulla, ma che le forze dell’ordine l’avessero lasciato capire, per garantire a tutti che la cattura del capo degli Aedi aveva effettivamente minato alle basi il gruppo di vigilanti.
 
            La famiglia Veldran prese il corpo della figlia e fece un funerale segreto, per nascondere la propria vergogna. Ma gli Aedi no. Come a voler ribadire che c’erano ancora, che resistevano, organizzarono una cerimonia per tutti i loro caduti. E si premurarono di far sì che la vedessero tutti.
            Era il crepuscolo buio di un giorno nebbioso, quando sul mare una nave arrivò quasi fino a toccare la costa. Era carica di luci: lanterne, torce, magia. Emerse dalla nebbia e si piazzò lì, davanti agli occhi di tutti, e poi cominciò uno spettacolo pirotecnico proprio sulle teste di Adraen. In molti rimasero dubbiosi, di fronte a quella bizzarria, ma tutto fu chiarissimo per chi conosceva gli Aedi, i loro codici e i significati che attribuivano ai colori, nei loro messaggi. Enit dovette uscire dalla finestra della sua camera e arrampicarsi sul noce, per vederlo, e capì. Quello era un omaggio ai vigilanti morti e al loro capo. Le loro storie non erano finite, finché c’era qualcuno le avesse raccontate.
            Quella notte Enit si addormentò piangendo.
 
            Il terzo funerale di Mireille fu qualcosa di inaspettato. Enit ne sentì parlare un giorno, al mercato che si svolgeva nella grande piazza quadrata al centro del quartiere della Sesta, il modesto ma pacifico angolo di Adraen in cui la famiglia di Enit viveva e lavorava.
            «Ma siete matti?»
            «Se ci scoprono…»
            «Possiamo sempre inventarci una balla sul motivo per cui lo stiamo facendo.»
            «Lo capiranno!»
            «Chi lo capirà? I poliziotti addormentati che mandano sempre qui alla Sesta? Andiamo…»
     «Sì, ma se arrivasse l’esercito?»
     «Ma l’esercito per cosa? Per un gruppo di poveracci che accende un po’ di luci, beve vino speziato e balla?»
     «In effetti, potremmo farlo.»
     «Sarebbe una cosa dovuta.»
            Enit si intromise nel capannello che sussurrava all’ombra della tenda viola di Irkad, la venditrice di tè.
     «Scusate. Cos’è che vorreste fare?»
     Silenzio.
     «Ma questa qui chi è? Una delle figlie di Esdri?»
     «Capelli rossi, lentiggini e trecce. Sì, è figlia di Esdri.»
     «La terza?»
     «No, a me pare la sesta.»
     «Sono la quarta. Posso sapere di cosa si parlava o no? Sono una che tiene la bocca chiusa.»
            La venditrice di tè stava pesando un sacchettino sulla sua bilancia. Abbandonò la sua attività e guardò Enit negli occhi.
            «Ci chiedevamo se fosse opportuno rendere omaggio a delle persone che da anni si espongono per il bene di tutti.»
            «Se glielo spieghi così, dubito che capirà.»
            «State pensando di fare una cerimonia segreta in onore di Mireille Veldran e degli Aedi?»
            «Ah, però. È sveglia, la ragazza.»
            «Io ci sto.»
            E così cominciò l’organizzazione del terzo funerale di Mireille. O meglio, di Mydrano: di sicuro il capo degli Aedi avrebbe preferito essere ricordato con il suo vero nome. Un nome a cui Enit aveva pensato così tante volte, con trepidazione e devozione. Un nome che qualche volta le aveva addirittura fatto venire una certa voglia di folle eroismo. Sì, c’erano stati momenti in cui aveva pensato: tu, tu sei una persona per cui potrei lasciarmi alle spalle molte cose, per gettarmi nell’ingnoto ed essere al servizio della tua rivolta.
            Ora invece lo avrebbe pronunciato in silenzio e nel lutto, ma in ogni caso, non lo avrebbe mai dimenticato.
            Enit cucì decorazioni, trasportò materiali e preparò ghirlande di fiori, e dieci giorni dopo quasi tutto il quartiere della Sesta era in piazza. Era una sera tiepida di inizio primavera, e anche se ogni tanto c’era un alito freddo che faceva compagnia ai partecipanti a quella strana festa, nessuno se ne andò prima del tempo. Ci furono luci, cibo, storie e danze. Nessuno disse mai il nome di Mydrano o degli Aedi, ma tutti sapevano perché erano lì. Persino i familiari di Enit, che per tanto tempo avevano cercato di non affezionarsi troppo alle belle storie, o di sminuire il valore di ciò che i vigilanti stavano facendo per la città.
            A un certo punto germogliò una canzone sulle bocche di tutti, accompagnata dalle corde di una chitarra, dal tratto sicuro di un violino e da una pioggia di percussioni, molte delle quali improvvisate.
            Enit aveva sempre amato quella canzone, e adesso che la riascoltava, capiva che parlava di Mydrano.
 
Resta in silenzio mentre cammina, resta in silenzio mentre va per la strada
Mi sembra bella come il sole d’estate, come un mattino dimenticato;
Resta in silenzio, fra troppe voci, cammina e pensa che nessuno la vede
mi sembra bella come l’alba d’inverno, non ha paura delle vostre parole
 
Alzati, alzati, anima adesso
Brilla della tua luce misteriosa
Svegliati, svegliati, con i tuoi raggi
brucia il mantello delle nebbia odiosa
Alzati, alzati, anima vera
Spalanca gli occhi di tutta la gente
Io vedo la tua bellezza soltanto
alzati, anima, insegna il tuo canto!
 
Resti in silenzio, per un momento, mentre ti guardo e il tempo sembra fermarsi
poi finalmente la tua voce risuona, ed in quest'attimo tutto cambia
E la tua voce è come luce, spezza la notte e si fa strada nel vento
Adesso il velo si solleva dagli occhi e tutti vedono la tua fiamma
 
Alzati, alzati, anima adesso
Brilla della tua luce misteriosa
Svegliati, svegliati, con i tuoi raggi
brucia il mantello delle nebbia odiosa
Alzati, alzati, anima vera
Spalanca gli occhi di tutta la gente
Io vedo la tua bellezza soltanto
alzati, anima, insegna il tuo canto!
 
Lascia andare la mia anima per strade che lei sa,
non distogliere lo sguardo, non negarle libertà,
Non esiste un solo mondo, né una sola via
ogni cuore ha la sua voce, fai cantare anche la mia!
Ogni storia, ogni strada ci ha condotti fino a qui
Per ricostruire tutto: apri gli occhi e dì di sì
Forse l’albero che trema e aspetta nell’oscurità
nuovi frutti che tu non conosci ancora porterà…
 
Sotto la cenere dorme il fuoco, la verità che aspetta di brillare
resta in ascolto per un momento e non ti pentirai di aver atteso.
Sotto la cenere veglia il fuoco, presto la fiamma si rialzerà
Ed attraverserà il mondo ferito, e fino al mare arriverà
 
            E poi la musica s’impennava e la danza si faceva sfrenata. La chitarrista sudava, con le dita impazzite. La violinista rideva, ripetendo all’infinito lo stesso luminoso getto di note. Le percussioni andavano avanti per la loro strada senza un minimo segno di cedimento. Le voci s’intrecciavano e ripetevano il meraviglioso ritornello, mentre tutti ballavano, si stringevano, si incrociavano e involontariamente invitavano tutti alla rivolta.
            Ed Enit giurò a se stessa, agli dei in cui forse credeva e agli universi beffardi che l’avevano fatta nascere in quel posto imprigionato tra le loro barriere feroci, che avrebbe fatto qualcosa di buono della sua vita, che l’avrebbe consacrata alla gente, che sarebbe diventata una persona di cui Mydrano sarebbe potuta essere fiera.
 
Sotto la cenere veglia il fuoco, presto la fiamma si rialzerà
 
 
*
 
 
            Era passato esattamente un anno dal terzo funerale di Mydrano, ma in pochi se lo ricordavano. Enit naturalmente sì. Non era cambiato molto nella sua vita, in quell’anno. Era sempre più difficile tenere a bada la sensazione costante di avere deluso la se stessa di un anno prima. Enit provava  seppellire quei pensieri sotto metri e metri di stoffa, ma la gioia per un lavoro ben fatto, lo splendore di una passamaneria dorata o una soddisfacente profusione di bottoni erano sempre meno capaci di tenerla tranquilla.
            Uscì come faceva sempre tre volte alla settimana per andare in piazza, al mercato, con i suoi lavori da vendere. Anche sotto il sole che cominciava a farsi caldo, anche tra i colori della gente, il suo pensiero era fisso sul ricordo della festa di un anno prima.
            In quell’anno, Adraen si era fatta ancora più cupa e silenziosa, anche se la gente aveva trovato il modo per sopravvivere. Due fratelli di Enit si erano sposati, una sorella aveva avuto un bambino. Le cose andavano avanti. Si faceva quel che si poteva.
            D’un tratto la canzone le arrivò come un secchio d’acqua gelida.
            Fece una giravolta nella folla, come se stesse danzando di nuovo, per trovare la fonte della musica. Un suono costante di corde pizzicate, una voce maschile acuta, con un timbro di miele delicato e potente.
            Eccolo. Era uno dei tanti musicisti girovaghi che rallegravano il tempo di chi prendeva parte al mercato. Appollaiato su uno dei muri che circondavano la fontana della piazza, suonava una piccola arpa. Era una persona bassa e molto esile, con indosso una tunica azzurra ricamata d’argento con un cappuccio, dal quale spuntavano ciocche di capelli neri intrecciati di fiori. Una maschera bianca e azzurra copriva quasi tutto il volto del cantore. La bocca era dipinta di rosso scuro, così come le unghie corte. I piedi erano scalzi.
            E cantava quella canzone.
 
Sotto la cenere dorme il fuoco, la verità che aspetta di brillare
resta in ascolto per un momento e non ti pentirai di aver atteso.
 
            Enit muoveva le labbra, silenziosa, ripercorrendo le parole della canzone. Un’ondata inarrestabile di memorie e sentimenti le squassò il petto. Un anno prima aveva promesso di fare finalmente qualcosa di buono, qualcosa di vero, della propria vita, e invece era rimasta immobile.
            Cantava e lasciava che le lacrime le scendessero sul viso.
            Quando il cantore finì, si alzò in piedi sul muro.
            «Qualcuno mi ha pagato perché cantassi proprio Sotto la cenere, per voi, in questa piazza, nel momento in cui il mercato fosse più affollato. Non so chi fosse, quella persona: mi ha lasciato i soldi e un messaggio. Mi ha detto che questo era un modo per ringraziare, e che voi avreste capito.»
            Poi fece un inchino, schizzò a terra e si allontanò rapidamente, saltellando sui suoi piedi bianchi, scalzi e macchiati di fango.
            Un modo per ringraziare.
            Tutta la piazza era in silenzio. Avevano capito, certo che avevano capito.
           
            Esattamentre tre giorni dopo cominciò a circolare una nuova storia, riguardo il nuovo capo degli Aedi. Si faceva chiamare Yedra, come la protagonista della Trilogia delle Tredici Arpe, una serie di drammi pieni di avventura, tradimenti, sotterfugi, grandi gesta eroiche e canzoni sognanti. Non era ben chiaro quale fosse il suo genere, né si avevano notizie del suo aspetto. C’erano solo il nome e le storie.
            «Ecco, adesso Enit avrà qualcos’altro su cui sognare» commentò Imiry, con un sorriso, stringendo al petto il suo bambino di tre mesi. Anche lei sognava spesso e sognava tanto, ma sognava cose raggiungibili, ed Enit era felice per lei.
            Sì, Enit aveva un nuovo eroe. Enit era una persona a cui piacevano gli eroi. Insomma, spesso quando parlava della sua famiglia, la gente le diceva che dipingeva tutti come degli eroi, quindi figuriamoci cosa poteva provare di fronte a un eroe vero! E allora? Era una cosa stupida? Forse. Stava idealizzando delle persone di cui in realtà non sapeva nulla, che erano talvolta inclini alla violenza e che probabilmente, dietro l’apparenza altruistica, avevano i loro secondi fini? Sì, un po’ sì, ma…
           
Sotto la cenere veglia il fuoco, presto la fiamma si rialzerà
 
            Come fai a toglierti di testa gli eroi e le canzoni?
           
            Il giorno in cui gli Aedi salvarono il mercato, Enit era lì.
            C’era un gruppo di pirati che spadroneggiava per la città, nei quartieri attorno a quello della Sesta, e nessuno li fermava perché, a quanto pareva, si prestavano a fare da mercenari al clan Yesvarr. La gente li temeva, ma il quartiere della Sesta aveva sempre un po’ questa strana idea di ritenersi al sicuro da ogni male, al di sopra da ogni possibile pericolo. Forse era per i muri che lo abbracciavano, forse era perché gli abitanti erano modestissimi mercanti e artigiani, niente di tanto importante da attirarsi lo sdegno dei potenti e i guai che ne conseguivano.
            Ma i pirati erano potenti alla rovescia e se ne fregavano di tutto. Così avevano cominciato a scorrazzare per il quartiere, e avevano infestato il mercato. Rubavano, usavano violenze di ogni tipo e distruggevano per il gusto di farlo, e le forze dell’ordine traccheggiavano. La gente si chiuse in casa e il mercato fu annullato per due settimane. Poi dovettero uscire per forza, perché c’era la necessità di non morire di fame.
            Alla riapertura del mercato, si presentarono anche i pirati, che non aspettavano altro. Ma non furono i soli a farsi vivi.
            Gli Aedi arrivarono in grande stile. Con il loro tipico abbigliamento – costumi, maschere, trucco, si riversarono nella piazza e diedero battaglia ai pirati. Erano il doppio di loro e soprattutto erano più organizzati (e più sobri.) Del gruppo di ventotto pirati, ne morirono dodici. Gli altri furono imprigionati, e uno degli Aedi annunciò che li avrebbero lasciati proprio davanti alla porta del Governatore.
            «Giuro che non porteranno più rovina tra di voi, né in qualunque altro posto della città. Ho una lista di reati per ciascuno di loro. Le lascerò tutte al nostro beneamato Governatore e ne manderò delle copie anche ai suoi più fedeli funzionari. Quello che vi hanno fatto non sarà più ignorato da nessuno.»
            Poi abbassò la testa e invitò i suoi a cantare un breve ritornello, una specie di preghiera per i nemici uccisi. Al termine del canto riprese la parola.
            «Se qualcuno aveva temuto di vederci svanire, sappiate che siamo più vivi di prima. Guiderò gli Aedi fino alla fine dei tempi, se sarà necessario.»
            Tra la gente passò un mormorio eccitato. Dunque, il capo in persona aveva condotto i suoi in battaglia. E quando Enit lo sentì parlare fu attraversata da un brivido irrefrenabile. Se avesse potuto, avrebbe seguito quella persona e le avrebbe detto: portami con te, subito, ti seguirò fin nella notte più scura e ti aiuterò in tutte le tue rivolte.
 
            Li avrebbe trovati. Non sapeva bene come, ma li avrebbe trovati. I bisbigli, le mezze verità, dicevano che gli Aedi sapevano capire chi fosse davvero interessato a loro. E poi erano loro stessi, a farsi trovare. Doveva solo far arrivare loro il messaggio.
            Aveva camminato da sola per notti e notti, chiedendo in giro e soprattutto ascoltando conversazioni, rubando parole agli angoli bui delle strade e alle stanze vietate delle locande, e finalmente aveva trovato una traccia sicura. La cosa divertente era che quella traccia la riportava al mercato del quartiere della Sesta.
            «Buongiorno, Enit. Tua madre è venuta qui ieri, per il tè. Qualcosa non andava con la sua mistura?»
            «No, Irkad. Sono qui per me. E ti pregherei di non dire a nessuno ciò che mi occorre.»
            «Oh, certo. Stai tranquilla. Non è che sei incinta? Lo sanno gli dei, quante ragazze ho aiutato, che non potevano o non volevano…»
            «Non è questo. È…»
            Le sembrò che il coraggio fosse sparito dal suo petto e la voce dalla gola. Guardò quella donna alta e magra, la pelle scura decorata di tatuaggi, gli orecchini colorati che occhieggiavano dai lunghi capelli neri. Enit la ricordava da sempre. Quanto aveva visto, quante cose aveva vissuto? Poteva essere vero, che proprio lei era uno dei contatti degli Aedi?
            «Mi hanno detto che se voglio cercare delle persone, devo chiedere a te.»
            «Non so di cosa tu stia parlando.»
            «Se tu sei il loro contatto, ho bisogno che tu dia loro il mio messaggio. Devi dire che…» Che sotto la cenere vegliava il fuoco e che Enit era pronta a diventare la fiamma che avrebbe incendiato terra e mare. «Che io sono qui.»
            Irkad la guardò con attenzione, ma senza giudizio.
            «Questo glielo posso far sapere.»
            A Enit sembrava essere uscita da un combattimento, ma non sapeva se aveva vinto oppure no.
 
            Un mese dopo le fu proposto un grosso lavoro: una compagnia teatrale, il Teatro del Vento, aveva bisogno di una serie di costumi molto complessi per uno spettacolo.
            «E lo vengono a chiedere a te, in un’intera famiglia di sarti?» si stupì suo padre.
            «Dicono che hanno visto alcune delle cose che faccio io, e che è esattamente ciò che serve loro per lo spettacolo.»
            «Perché no?» commentò sua madre. «Sarà una bella esperienza, per lei.»
            «E magari è la volta buona che esci da qui e trovi un bell’attore e te lo sposi» disse Imiry.
            «Sposare un attore? Non lo augurerei a nessuno!» disse nonna Dethra, e tutti risero.
            Enit rispose alla chiamata e si presentò al piccolo teatro fatiscente dove la compagnia, Il Teatro Del Vento, faceva le prove.
            Erano persone interessanti. C’era Zenaida, la prima attrice alta e grossa, seria e temibile, con i suoi lunghi capelli azzurri. C’era Rielda, ricciolina e ridanciana. C’era Adlis, uno dei registi, che metteva in soggezione con la sua altezza, per farsi poi scoprire come un uomo gentile e affidabile. C’era Ilran, il tecnico delle luci e delle macchine, una donna sicura di sé, dal sorriso intrigante.
            E poi c’era Anthar, uno degli attori migliori e un cantante estremamente dotato. E quando Enit lo sentì cantare la prima volta, lo riconobbe. Ma ci vollero giorni, prima che trovasse il coraggio di chiedergli conferma.
            «Anthar, posso domandarti una cosa?»
            Gli stava appuntando spilli lungo la schiena, per restringergli l’abito femminile che avrebbe indossato. Anthar faceva spesso ruoli femminili, basso ed esile com’era, con un viso dolce e una voce acuta che era capace di modulare in maniera molto abile. Una voce di miele, delicata e potente.
            «Chiedi pure.»
            «Tu… Ah, scusa, è una domanda strana. Tu fai anche l’artista di strada?»
            «Sì, mi capita. Mi piace molto. Mi tiene in allenamento.»
            «Hai mai suonato al mercato del quartiere della Sesta?»
            «Più di una volta.»
            «Un paio di mesi fa, io ero al mercato quando…»
            «Ah. Quando ho cantato Sotto la cenere, dici?»
            «Eri davvero tu! Hai una voce inconfondibile. Insomma, davvero non sai chi ti ha pagato per cantarla per noi?»
            Anthar tacque per qualche istante. Enit, che aveva le mani sulla sua schiena, fu certa di averlo sentito rabbrividire. Il brivido si trasmise anche a lei. Fu colta da un lieve smarrimento, un misto tra uno strano presagio e un’onda di desiderio fisico.
            «Era una cosa dovuta» disse poi Anthar. Non era una risposta.
            «Io ho capito, perché proprio quella canzone.»
            «Non avevo dubbi.»
 
            Era la sera della prima ed Enit era dietro le quinte, per essere sicura che tutto filasse liscio con i costumi. Guardò lo spettacolo da un angolo insolito, ma riuscì a goderselo comunque. Erano bravi, e con i suoi costumi addosso erano splendidi. Si trovò a desiderare che la volessero ancora come costumista. Era il lavoro più divertente che avesse fatto da un bel po’.
            Quando tutto fu finito, lei rimase ad aiutarli a svestirsi e a riporre i costumi. Si complimentò e partecipò della loro gioia. C’erano tutti, tranne Anthar. Le dissero che era una primadonna e che andava in giro tra il pubblico a raccogliere omaggi e congratulazioni.
            «Verrà per ultimo» le disse Ilran. «Aspetterai?»
            Uno dopo l’altro, uscirono dal camerino del loro piccolo teatro. E poi venne Anthar, con il suo costume rosso, il trucco sfatto e l’aria soddisfatta.
            «È stato meraviglioso!» esplose Enit. Anthar sorrise.
            «Sono felice che ti sia piaciuto.»
            «Tu sei un portento!»
            «Anche tu. I costumi erano perfetti. Sai, sarebbe bello se tu volessi lavorare ancora per noi. Ma forse hai altri progetti.»
            «Scherzi? Sarebbe un sogno.»
            «C’è anche un’altra cosa. Ho un’amica che vende il tè al mercato del tuo quartiere. La conosci?»
            «Irkad?»
            «Mi ha recapitato un messaggio, qualche tempo fa. “Io sono qui”. Ne sai qualcosa?»
            Enit si coprì la mano con la bocca e non disse niente.
            «Puoi lavorare con noi in due modi. Cucire i nostri costumi, prenderti la tua parte di gloria negli spettacoli e andare a casa tranquilla. Oppure, cucire anche altri costumi, e magari indossarne uno, e venire con noi in giro per Adraen a portare avanti un tipo di attività un po’ diverso.»
            «Voi siete…»
            «Molto appassionati di teatro. Il dramma ci scorre nel sangue. E quindi ci piace portarlo nei posti più bui della città. Non è sempre bello ed eroico, Enit, e spesso ci si fa male. O non si torna. Ma tu eri al funerale di Mydrano, quindi immagino tu ci abbia pensato, prima di chiedere di noi.»
            «Ci penso da quando Mydrano si è fatta sentire per la prima volta. Ci penso tutti i giorni. Ma quello che ho detto è vero. Io sono qui.»
            «Perché?»
            «Perché non riesco a vivere in un mondo dove il destino di tutti è nelle mani di pochi, che giocano come vogliono con le vite delle persone.»
            «C’è gente che ci riesce. Si trova qualcosa di buono da fare, qualcuno da amare. Non è sbagliato. Puoi comunque agire per il bene degli altri. Non è necessario venire a farti ammazzare con noi.»
            «Per me sì.»
            «Se questa è la tua strada, allora benvenuta.»
 
            Così cominciò a bruciare la fiamma di Enit, una fiamma che avrebbe incendiato terra e mare.
            Presto lasciò la casa dei suoi e prese una stanzetta vicino al teatro. Disse che aveva trovato il lavoro dei suoi sogni e che sarebbe andata a trovarli. Poi si dedicò all’arte degli Aedi così come alla loro occupazione segreta. E mise a frutto anche le sue doti di persona silenziosa, che sapeva ascoltare senza farsi vedere e sparire facilmente nella folla.
            Decise di tenersi il suo nome. Era un buon nome e le ricordava serenità e amore. E imparò il vero nome di Anthar in una notte senza luna, la prima in cui lo seguì in missione. Prima che l’alba li raggiungesse si rifugiarono nel teatro vuoto, ubriachi della loro vittoria e dell’impressione di aver sconfitto la morte, almeno per quella volta.
            «Sai qual è la mia opera teatrale preferita, Enit? La seconda parte della Trilogia delle Tredici Arpe.» Si voltò verso di lei, il trucco sfatto come quando scendeva dal palco. «È per questo che ho scelto il nome della protagonista, per me. È il mio vero nome. Puoi chiamarmi così anche tu, da oggi.»
            «Yedra? Tu sei Yedra? Sei il capo degli Aedi?»
            «Non sono niente. Solo gli Aedi sono qualcosa.»
            Le tese la mano e cominciò a cantare per lei.
 
Sotto la cenere veglia il fuoco, presto la fiamma si rialzerà
Ed attraverserà il mondo ferito, e fino al mare arriverà
 





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