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Autore: Padme Undomiel    28/03/2020    1 recensioni
[Soulmate!AU]
Miyako ha sempre avuto due grandi convinzioni, fin da quando ricorda. La prima: non c’è dono più grande, al mondo, di avere un’anima gemella che ti aspetta da qualche parte, e un modo per riconoscerla. La seconda: se sai come cercarla, dovresti iniziare a farlo senza indugiare.
Chissà perché, allora, la vita si diverte a cercare di disintegrare le sue convinzioni come se non fossero altro che castelli di sabbia.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miyako Inoue/Yolei
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Against the rules




2.
 




La locandina riesce benissimo, ombreggiature e colori e tutto, e in qualche modo i Knife of Day riescono a non sembrare un gruppo di musicisti disastrati che trascorre il tempo a lamentarsi per la fame e a ridere per video demenziali trovati su internet, ma passano facilmente per una band superseria di persone affermate da tempo nel campo musicale nipponico e con una maturità invidiabile per la loro giovane età.
E’ tutto merito di Koushiro se il palazzetto dello sport è così affollato, questa sera.
“Guarda che non è vero”, le risponde il soggetto in questione quando Miyako glielo fa presente, stupidamente orgogliosa del suo accompagnatore. “A parte il fatto che chiunque sa usare programmi di editing fotografico, al giorno d’oggi, non ho mica scoperto l’acqua calda.”
“Tu dici così perché sei un genio in tutti i campi dell’informatica”, lo corregge Miyako. “Ti stupirebbe sapere quante persone usano Photoshop credendo di essere eccezionali, e invece a vedere i loro lavori ti viene solo voglia di strapparti gli occhi dalle orbite.”
“Essere un programmatore informatico non ti rende ferrato in ogni aspetto dell’informatica. Per esempio io non capisco nulla di quello che fai tu con la musica, Miyako-kun.”
Le sorride, curioso, e lei si sente così lusingata che potrebbe mettersi a ballare lì dov’è, in fila in mezzo a mille altre persone in attesa di entrare e prendere posto per il concerto.
“Comunque sia, i KoD hanno un bel po’ di seguito fin dai tempi del liceo, quando ancora si chiamavano Teenage Wolves”, continua Koushiro, lanciando un’occhiata distratta alle persone in coda prima di loro. “E il loro genere non è il mio preferito, ma secondo me sono bravi. Se c’è tanta gente oggi è per questo motivo.”
“E per la pubblicità”, replica Miyako caparbia. “Pensa a quelli che non li conoscevano, e hanno visto per caso la locandina in giro per Odaiba. Saranno rimasti affascinati da-”
“-dal viso di Yamato-san.” Conclude per lei Koushiro scuotendo la testa. “Hai visto quante ragazze ci sono in coda? Tra l’altro è l’unico che si veda bene in viso in quella locandina, ci hai fatto caso?”
Una ragazza esagitata li urta per sbaglio proprio in quel momento, tentando di riavvolgere in fretta il cartellone Yamato-kun sei bellissimo che ha realizzato per l’occasione.
Miyako inclina la testa di lato. “... Mi sa che non hai tutti i torti.”
Non si può ancora entrare nel palazzetto, i cancelli apriranno tra una decina di minuti a detta dei buttafuori, eppure nel brusìo sommesso e un po’ impaziente delle persone in fila si percepisce già quell’elettricità crepitante che è tipica dei concerti prima che comincino. Miyako adora questa sensazione, quasi più che il concerto stesso: puoi sentire la devozione ai musicisti, la passione e la voglia di vivere intensamente solo per una serata come un formicolio sottopelle, che ti costringe a respirare all’unisono con un mucchio di sconosciuti che molto probabilmente non vedrai mai più.
Condividerla, ora, con Koushiro, dritto accanto a lei e col berretto calato sulle orecchie per non prendere troppo freddo, è un’esperienza preziosa.
“Grazie di avermi portata al concerto, Koushiro-san”, gli dice radiosa.
Koushiro, quando è nervoso, si gratta il naso, e si schiarisce la gola. “Era già mia intenzione venirci a prescindere, ma ... prego. Mi fa piacere accompagnarti.”
“Anche se è un appuntamento?”
“Sì, certo.” E si gratta ancora il naso. “Dopotutto ho acconsentito a una settimana di prova, quindi è meglio provare come si deve.”
“Come sei magnanimo”, ride Miyako, e lo prende sottobraccio. Si sente leggera, e vorrebbe condividere la sensazione con mille altre coppie che sono in fila per i Knife of Day in questo momento. Quante di loro saranno anime gemelle? Quante di loro staranno ringraziando il cielo in questo momento di aver concesso loro di trovare la strada per essere completi?
C’è una coppia, da qualche parte in mezzo alla folla, che non fa altro che parlare concitatamente a voce un po’ sommessa, per esempio.
“Il tuo cellulare continua a non prendere?”
“Già ... ma non fa nulla, sicuramente troverò mio fratello più tardi.”
“Prova col mio.”
“Non sono preoccupata, davvero! Stai tranquillo.”
“Ma ti ho fatto fare tardi io. Se il treno non si fosse fermato per un guasto tecnico, sicuramente a quest’ora ...”
“Stai tranquillo, ti dico. L’importante è essere arrivati in tempo per l’apertura dei cancelli!”
Chissà se quei due sono anime gemelle. Per una volta a Miyako non importa più di tanto: avrebbe voglia di abbracciarli comunque, senza neanche un motivo.
“Mi dispiace che Iori-kun non possa venire”, sbuffa, riportando l’attenzione sul suo compagno. “Per una volta poteva anche saltare le sue lezioni di kendo, che diamine. Te lo avrei fatto conoscere, se solo non fosse sempre così responsabile!”
“Sarà per la prossima volta”, la rassicura Koushiro.
“Piuttosto mi ha sorpreso sapere che Taichi-san e Sora-san verranno! Non pensavo seguissero i KoD, quando Hikari-chan me lo ha detto sono rimasta sorpresa.”
“Ah, non lo sapevi? Taichi-san e Yamato-san sono amici d’infanzia.”
Miyako si volta verso Koushiro, la bocca spalancata. “Davvero? Ma non li ho mai visti frequentarsi!”
“Abbiamo trascorso un campo estivo insieme”, ricorda il ragazzo, un sorriso nostalgico sulle labbra. “Praticamente un secolo fa: io avevo nove anni, Taichi-san e Yamato-san dieci. All’inizio non andavano granché d’accordo, ma tra una litigata e l’altra hanno legato parecchio. Poi si sono persi di vista, ma quando Takeru-san si è trasferito a Odaiba e ha conosciuto Hikari-san, incontrarsi di nuovo è stato inevitabile.”
“Wow. E nessuno mi ha detto niente.” Sorride incredula lei. “Allora anche Sora-san lo conosce!”
“Sai che non credo? Quell’anno non era venuta con noi al campo estivo, se non ricordo male si era ammalata. In ogni caso Taichi-san non vede l’ora di presentarla a Yamato-san. Non ho mai visto qualcuno essere tanto orgoglioso della sua ragazza.”
“Pensa quanto sarai orgoglioso tu di me tra qualche tempo”, insinua Miyako.
Come prevedibile, Koushiro diventa l’immagine del disagio. “Miyako-kun ...”
“Rilassati, scherzavo!” Gli dà un colpetto sul braccio, e si impone di non dare alla cosa troppo peso. Ci sarà tempo, si dice. Tanto tempo.
La coppia nelle vicinanze si sta agitando di nuovo.
“E se tuo fratello si preoccupa? Dai, prova a chiamare col mio.”
“Ma lo sa che venivo al concerto con te, non dovrebbe preocc-”
“Mi permetti di sdebitarmi?”
“ ... va bene, provo col tuo. Grazie, sei molto gentile.”
 “Ma ti pare.”
“In effetti ... che fine avranno fatto quei tre?” Riflette Miyako ad alta voce, alzandosi sulle punte per sbirciare sulle teste in fila. “Dovrebbero essere arrivati, a quest’ora. Tu li vedi?”
“No, ma non credo che li troveremo mai in questo modo”, risponde Koushiro, e non prova nemmeno a cercare. “Forse converrebbe chiamarli.”
“Mi sa che i telefoni non prendono da qui”, replica meccanicamente lei. Koushiro la guarda senza capire, ma poi si ficca una mano in tasca ed estrae il suo cellulare.
Nello stesso momento, la ragazza del cellulare sospira sconfitta.
“Niente, non prende neanche il tuo.”
Che strano, pensa Miyako all’improvviso. Sembra la voce di Hikari.
Si volta, comincia a sbirciare tra le persone, ma a parte qualche occhiata sospettosa da un omaccione altissimo e silenzioso con una bambina in braccio e un paio di ragazzetti in vena di spintonarsi per gioco non riesce a vedere nulla.
Non può essere Hikari, però.
Lei dovrebbe essere venuta con Taichi e Sora, no?
“Oh. Dopo aver insistito tanto ... che figura.” Il ragazzo ridacchia, imbarazzato, e Miyako non conosce quella voce. Un orrendo sospetto inizia a balenarle nella mente.
Si rimette a cercare con più energia, la tensione che le chiude lo stomaco.
“Che c’entra? Magari prima aveva campo!” Ride la ragazza, dolce, e all’improvviso non può essere che Hikari. Solo lei ride a quel modo. “Non è colpa tua, Ichijouji-kun.”
Ichijouji-kun!
Miyako si pietrifica.
In quel momento Koushiro annuncia: “Stanno aprendo i cancelli!”, e tutto diventa molto confuso.
La gente esulta, probabilmente felice di sfuggire al freddo della serata e per l’annuncio del concerto imminente, e inizia a spingere per entrare. Lei non si muove per un momento di troppo.
Koushiro scompare, la gente non fa che spingere in avanti, e Miyako all’improvviso soffoca: fa resistenza, cerca di uscire, sgomita. Non sa neanche lei cosa stia facendo esattamente.
Vuole solo uscire.
Invece inciampa su una bottiglietta d’acqua mezza piena, e finirebbe a terra se qualcuno non la prendesse prontamente per le ascelle.
“Tutto bene?” Le dice l’omaccione un po’ burbero, e poi urla “Fate spazio! La stavate facendo cadere.”
“Grazie”, balbetta Miyako col cuore a mille, e finalmente lui la lascia, e si allontana con un cenno rapido del capo.
Si è creato davvero dello spazio tra la folla, per fortuna, così ha modo di tirare un respiro profondo, di riassettarsi la giacca, di controllare se la sua borsetta è ancora ben chiusa.
Quando solleva lo sguardo, gli occhi sgranati di Ichijouji Ken sono fissi su di lei.
Miyako smette di respirare.
“Miyako-san!” Hikari compare dal nulla dal fianco del ragazzo immobile, e il suo sorriso candido è quasi una nota stonata in quel clima di tensione. “Ti stavo cercando. Non ti sei fatta male, vero?”
No, pensa Miyako. Ma forse sarebbe stato meglio se qualcuno mi avesse pestata abbastanza forte da sotterrarmi.
“Ehi!” Dice invece, un suono strozzato che assomiglia al verso di un animale ferito. “Ma ti pare, sono fatta d’acciaio, io!”
Ride troppo forte, si aggiusta nervosamente i capelli. Hikari la guarda perplessa.
Ichijouji distoglie lo sguardo.
 
***
 
Sembra tutto uno strano sogno ovattato.
“Mi ero preoccupato”, li accoglie Koushiro all’entrata, le sopracciglia aggrottate e il biglietto ancora in mano. “Non ti ho vista più, pensavo ti fosse successo qualcosa.”
Non riesce nemmeno a sentirsi felice della preoccupazione di Koushiro.
“Beh, sono stata aggredita da una folla urlante!” Dice con pallido entusiasmo, e poi si volta verso Hikari e il suo accompagnatore con un cenno significativo del capo. “E poi, per fortuna, dal nulla ho incontrato Hikari-chan. Insieme al suo ragazzo!”
Ichijouji guarda fisso il pavimento, le mani che lungo i fianchi hanno un breve fremito.
Miyako non ha intenzione di guardarlo per altro tempo. Che cos’è, una stalker? Ci manca solo che si metta a fissarlo.
“A proposito: vi presento ufficialmente Izumi Koushiro!” Annuncia, facendo un passo indietro e permettendo alla coppia di avere la visuale libera per guardare il suo accompagnatore. “La mia anima gemella!”
Non vedeva l’ora di dirlo, si rende conto all’improvviso: ha passato tutta la settimana antecedente al concerto a pensare al momento in cui avrebbe presentato ai suoi amici la persona che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Sapeva che quelle parole, dette a voce alta, avrebbero avuto un sapore dolcissimo sulla sua lingua – il sapore della gioia vinta alla lotteria.
Invece ora si sente patetica, e arrossisce senza un motivo.
Ichijouji di colpo solleva lo sguardo, ma non guarda Koushiro: guarda lei.
Cosa vuoi da me? Vorrebbe gridargli, al colmo dello stress. Non mi sto presentando io, dannazione!
Non riesce a capire che occhiata sia. Non ha la minima idea di cosa fare delle sue mani, così se le torce.
“Molto piacere”, sorride Koushiro, chinando appena il capo nella sua direzione. “Anche se la storia delle anime gemelle è ancora da appurare. Miyako-kun è semplicemente molto entusiasta, ehm ...?” E poi fa una pausa, aspettando di conoscere il suo nome.
Ichijouji sembra scuotersi a quelle parole, e finalmente si decide a guardare la persona giusta. “Ichijouji Ken. Piacere mio, Izumi-san.” Dice, e ha una voce profonda – una voce che Miyako non riconosce. L’ultima volta che l’ha sentito parlare aveva ancora una voce giovane, una voce da dodicenne.
E’ assurdo rendersi conto di colpo di non sapere chi sia la persona che hai di fronte.
“Beh, io e te ci conosciamo già, Koushiro-san”, sorride Hikari. “Ma chiaramente questa presentazione in particolare mi mancava.” Poi lancia un’occhiata di sfuggita a Miyako, e poi a Ichijouji, e sembra esitare.
Miyako è così in tensione che crede di morire.
“Ichijouji-kun, lei è la mia amica, Inoue Miyako”, dice infine Hikari al suo ragazzo, delicata. “Non so se ti ricordi di lei.”
Non ricordare, prega Miyako, con tutta la disperazione che sente stridere con le unghie contro le pareti della sua gabbia toracica. Ti prego, ti prego, non ricordare. Non ricordarti di me!
Per un lungo momento Ichijouji guarda Hikari, e tace. Poi chiude gli occhi, e li riapre. “Certo che mi ricordo”, sussurra, quasi inudibile, e poi si volta verso Miyako.
E Miyako a un tratto riconosce quell’espressione: l’ha già vista, dopotutto, quella lontana sera di tre anni fa, e ancora non riesce a dimenticarla.
Ichijouji è una ferita aperta da anni, per lei. E’ curioso notare, osservando la serietà vulnerabile sul viso del ragazzo, che lei non è la sola a sanguinare.
Lui le sorride, esitando, e le chiede il permesso di guardarla.
Miyako sente dolore fisico in ogni fibra del suo corpo.
Gli tende la mano, e spera che non tremi. Lui la guarda, un po’ sorpreso e molto timido, e poi la stringe.
Ha una presa forte, nota lei distrattamente, e la mano calda.
“Perfetto! Che coincidenza”, sorride Miyako, e prega con tutta se stessa di sembrare naturale. “Anche io mi ricordo bene di te!”
Poi si rende conto di cosa ha detto, dell’espressione incupita di Ichijouji, e si sente così stupida che gli lascia di colpo la mano.
“Andiamo a sederci, dai. Guardate quanta gente che c’è!” Supplica con tono gioviale. Chissà per quale miracolo, la accontentano.
Scelgono un posto abbastanza centrale, sebbene un po’ distante dal palco, ma la visuale è comunque buona. Si accomodano senza troppi problemi: Ichijouji accanto a Hikari, Hikari accanto a Miyako, Miyako accanto a Koushiro. Koushiro chiede a Hikari qualcosa su Takeru, e lei gli parla di come Takeru si presenti sempre prima di tutti ai concerti di Yamato, perché lo sa che senza di lui Yamato-san avrebbe una crisi di nervi ogni tre minuti. Gli racconta di come Takeru sostenga sempre di presentarsi prima per poterlo prendere in giro in seguito, ma del fatto che in pratica non ci crede nessuno, che il motivo sia quello.
“Chissà come avrà fatto oggi”, sorride ampiamente. “Aveva un appuntamento con una ragazza ...”
E poi Koushiro le domanda di Taichi e Sora, e Hikari inizia a parlare di come le linee sembrino sovraccariche, e di altre cose futili di cui Miyako non riesce neanche a preoccuparsi.
Ichijouji è in silenzio, proprio come lei. Guarda nervosamente davanti a sé, sbircia le persone che varcano la soglia del palazzetto, intreccia le dita tra loro. Sembra evitare accuratamente di guardare alla sua destra, forse temendo di incrociare lo sguardo di qualcuno.
Forse lo sguardo che teme di incrociare è proprio quello di Miyako. Ironico, dal momento che lei non riesce a smettere di guardarlo di sottecchi.
E’ ancora bello, non può fare a meno di notare, lo stomaco annodato in modo assurdo; lo è ancora più di prima, a essere onesti, come se in quei tre anni la Natura fosse arrivata con uno scalpello e avesse tirato fuori dal marmo grezzo un accenno in più di maturità. Ha ancora il viso pallido come una porcellana, ma i suoi tratti sono più affilati, più adulti; i suoi capelli, liscissimi e scuri, sono ancora corti, ma gli scendono appena un po’ più in basso del mento ora; era alto, ma ora lo è molto di più, e non ha idea di cosa sia successo alle sue spalle.
Nemmeno i suoi occhi, azzurri e penetranti, sembrano gli stessi, anche se anni fa avrebbe avuto la presunzione di giurare di conoscere a memoria cosa si celava nelle sue profondità. Forse è solo cambiato il suo modo di guardare.
E poi, dal nulla, Hikari si volta verso Ichijouji, e gli prende la mano, stringendola con affetto.
Ichijouji sussulta appena, la guarda come fosse stato sorpreso con le mani nella marmellata, e Hikari gli sorride.
Lui le stringe la mano a sua volta, e il sorriso che le rivolge parla di gratitudine.
Tre anni fa non avrebbe mai sorriso a quel modo.
“Io ho sete, e voi?” Dice all’improvviso Miyako, e l’armonia si spezza. Si frantuma, quando lei ci mette i piedi sopra e si alza. “Vado a prendere da bere, prima che si spengano le luci. Qualcun altro vuole qualcosa?”
“Forse dovrei andare io”, si offre Koushiro interdetto, e fa per mettersi in piedi. “E’ un appuntamento, dovrei essere io a portare qualcosa a te ...”
E’ un commento insopportabilmente maldestro, e Miyako si irrigidisce.
“Se vuoi prendermi qualcosa dovresti farlo perché ne hai voglia”, scatta. “Non perché pensi di doverlo fare secondo quanto galateo impone!”
Si pente immediatamente della sua esplosione, ma come le succede spesso, il danno ormai è fatto.
“Lo avrei fatto perché ne avevo voglia”, replica Koushiro, la fronte corrugata, e lentamente si risiede. “Ma se preferisci ok.”
La fissa, e la fissano tutti, persino Hikari, persino Ichijouji.
Miyako non ne può più: si gira e scappa.
Giù per le scale, in mezzo alle persone eccitate, schivando bambini che giocano a rincorrersi. Arriva al chioschetto delle bibite, lo sorpassa, si ferma.
E si chiede che diavolo sta combinando.
Ha deciso di rovinarsi la serata, a quanto pare, e senza un motivo plausibile. E’ forse impazzita?
E dire che era così felice, all’inizio. Era felice anche di Koushiro.
Prima che decidesse di rispondergli malissimo per una sciocchezza. Lei e la sua stupida bocca larga.
Però ...
Forse ce l’ha un po’ con Koushiro, in fondo.
Avrebbe dovuto accorgersene, che era sconvolta. No?
Come Hikari si è accorta di Ichijouji. Lui non ha certo dovuto fare uscite di scena plateali per essere confortato dalla sua ragazza.
Non sono nemmeno anime gemelle.
Koushiro non ha neanche provato a seguirla, e all’improvviso si rende conto che avrebbe voluto che lui lo facesse. Giusto perché, una volta tanto, vorrebbe una prova tangibile che non è l’unica a cui importa qualcosa di far funzionare questa strana relazione.
Ma d’altronde, è pur vero che ha fatto tutto da sola. Lui le aveva detto di no.
Sono forse una bambina capricciosa, allora?
Miyako si passa una mano tra i capelli che ha passato tanto tempo a pettinare prima di uscire, e quasi senza accorgersene ci si aggrappa con le dita. Si sente in trappola, e fin troppo sola.
Con che faccia mi ripresenterò da loro?
La salvezza assume varie forme, quando vuole venirti incontro.
“Miyako-san?”
In questo caso, per fortuna, assume la forma di Takeru.
“Ma sei tu davvero? Che ci fai qui da sola?” Le sorride gioviale, i capelli biondi perfettamente pettinati e per una volta senza cappello. Ha le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, e se lo conosce abbastanza il motivo è che sta morendo di caldo, in mezzo a tutta questa gente. “Pensavo saresti venuta con Koushiro-san. Che fine ha-”
E poi il sorriso gli si spegne, lasciando il posto a un’espressione confusa. “Tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”
“Ho visto Ichijouji”, risponde Miyako.
Takeru sbatte le palpebre. “... Nella tua testa sono la stessa cosa?” Tenta di scherzare.
“Lo sai? Forse hai ragione.” La risata che vibra nella sua gola ha qualcosa di isterico. “Questo spiegherebbe perché io abbia maledettamente paura di tornare lì dove c’è lui, in compagnia di Hikari-chan.”
Takeru tace, e si fa serio.
“Cosa dovrei fare, adesso?”  Lo supplica, come se dal suo consiglio dipendesse ogni cosa, anche il fatto che il palazzetto dello sport si regga stabile sulle loro teste.
Lui non risponde subito. Si guarda intorno, lancia un’occhiata al palco, poi solleva lo sguardo verso la porta che conduce alla scala antincendio.
Fa un cenno con la testa, allusivo.
“Prendiamo un po’ d’aria”, propone.
 
***
 
“Avevo tredici anni quando Ichijouji Ken diventò di colpo il ragazzo prodigio più famoso di Tokyo.”
Il suo latte e cioccolato è piacevolmente caldo tra le dita: una manna dal cielo, considerando il freddo che fa in cima alla scala antincendio, e sul pavimento sul quale è seduta. Miyako lo sorseggia troppo in fretta, incurante di come le bruci in fondo alla gola. Cerca di farsi forza.
Non parla più di questa storia da anni, ormai.
“Ti ricordi come i telegiornali e le riviste parlavano di lui? Sembrava che avessero scoperto una vera e propria gallina dalle uova d’oro”, continua, lanciando uno sguardo a Takeru, appoggiato di fronte a lei alla ringhiera della scala. “Il suo nome era sempre seguito da un alone di meraviglia e una serie di titoli altisonanti.”
“Tipo Astro nascente del calcio?” Domanda Takeru.
“E Piccolo Einstein. E Mago degli scacchi. E La più giovane cintura nera di judo. E Nuovo Bill Gates.” Miyako gli enumera con le dita, ci pensa un istante, poi scuote la testa. “Non me ne vengono altri, ma hai capito il concetto, insomma.”
“Li avevi imparati a memoria?” Takeru ride appena, ben attento a non esagerare: lei è molto più tranquilla ora, ma ancora tesa come una corda di violino.
“Ero innamorata persa di lui”, ribatte Miyako da sopra il bicchiere.
Takeru sgrana gli occhi, e con un piccolo Oh sembra trovarsi una risposta per tutta la vicenda.
Chiaramente non ha capito un accidente, ma farglielo credere per un momento non può fargli male.
“Intendiamoci, quando per la prima volta sentii parlare di lui mi irritò a morte”, continua lei con naturalezza. “Mi ero interessata a lui per le sue doti informatiche, ed ero piccata, perché grazie tante, ero brava anche io, ma nessuno era mai venuto a intervistarmi. Chiunque poteva riuscire a fare quello che faceva lui, no?”
Miyako sospira, e prende un altro sorso di bevanda calda.
“E invece no. Era di molto superiore a me, e lo venni a scoprire molto presto.”
“Perciò ... quand’è che dalla rabbia sei passata alla cotta?”
“Quando mi resi conto di che mente geniale realmente fosse. E di quanto fosse carino, naturalmente.” Solleva lo sguardo, e fissa il suo amico. “Con quel suo sorrisetto sicuro, quegli occhi intelligenti, e tutti quegli sport che praticava ... persino tu puoi capire perché mi piacesse tanto.”
“Non credo di poter capire, ma ti credo sulla parola”, sorride Takeru stringendosi nelle spalle.
“Secondo me sei solo invidioso perché vuoi essere più carino tu, signor mezzo francese. Comunque.” Miyako esita. “Tu sai chi è Satoshi?”
Il ragazzo ci pensa per un istante. “Non era tipo un tuo ex?”
“Bingo. Se così si può definire quell’imbecille che ho avuto la sfortuna di incontrare a dodici anni.” Col senno di poi è assurdo rendersi conto di quanta importanza viene data a persone che non valgono un soldino bucato, ma ormai è inutile pensarci. “Dopo quella storia deludente non chiedevo niente di meglio che innamorarmi di nuovo, innamorarmi di qualcuno di meritevole, e quale migliore candidato di Ichijouji Ken? Ero molto fiera di aver donato il mio cuore a lui, quasi come se questo mi rendesse un po’ perfetta a mia volta di conseguenza. Tra l’altro, non volevo solo innamorarmi di lui: volevo che fosse lui la mia anima gemella. A un certo punto me ne convinsi anche.”
Takeru sgrana gli occhi, e non dice niente.
Miyako ride. “Se stai cercando il senso di tutto ciò, lascia perdere. A tredici anni non sei troppo intelligente.”
“Guarda che non ho detto niente.”
“I tuoi occhi sì.” Con un’ultima sorsata finisce il suo latte e cioccolato. “Inizi a intravedere il problema?”
“Vagamente, sì.”
“Tutto sembrava coincidere”, riflette Miyako, fissando lo sguardo in un punto imprecisato di fronte a sé. “Mi ero fatta l’idea che la mia anima gemella dovesse essere una specie di cavaliere ipercortese e gentile, perfetto e bellissimo, perché andiamo, uno che ti dice Vorrei aiutarti appena ti incontra non può che essere così. Ichijouji Ken era il candidato perfetto! Il suo viso si sovrapponeva perfettamente all’immagine che avevo del mio salvatore innamorato e devoto, e non dovevo neanche sforzarmi. Sognavo i suoi occhi azzurri prima di andare a dormire. Non vedevo l’ora di parlargli, di scoprire che avevo ragione io. Non vedevo l’ora che fosse Ichijouji Ken a rimettere a posto il disastro che Satoshi e i suoi amici imbecilli avevano combinato ... a farmi sentire bellissima e amata, in modo giusto. A confermarmi che avevo ragione a perseverare con la mia ricerca della mia metà della mela, a dispetto di tutto il dolore e la delusione che avevo provato per mesi.”
Si aggiusta gli occhiali sul naso. “A tredici anni ti basta un bel faccino per immaginarti già sposata e felice per l’eternità. Non è un’assurdità?”
“Non avevi paura di parlargli e scoprire che non era lui la persona che credevi?” Domanda Takeru.
“Non ricordo di essermi mai posta il problema, sai? Ero straconvinta fosse lui, come ti dicevo. Così sospiravo, strappavo articoli di giornale, seguivo ogni suo successo, e intanto aspettavo un’occasione di incontrarlo.
“Ed è qui che entra in scena Daisuke.”
Miyako lancia un’occhiata a Takeru, ancora fermo contro la ringhiera, e si interrompe. “Come mai vuoi sapere questa storia proprio adesso?”
“Perché sei sconvolta”, risponde lui. “E non so se devo preoccuparmi.”
“Per Hikari-chan?” Non può fare a meno di chiedergli senza peli sulla lingua.
Ci ha preso, e lo capisce prima ancora che lui parli. Takeru la guarda, si stringe nel cappotto, distoglie lo sguardo, e poi sorride.
“E’ la mia anima gemella”, risponde. “Vorrei assicurarmi che non debba soffrire, insieme a lui.”
C’è una nota vulnerabile nelle sue parole, una che probabilmente non voleva inserire, ma Miyako la percepisce ugualmente, e ha la conferma che si aspettava e al contempo non voleva ricevere.
“Sei proprio stupido”, non può che attaccarlo, la gola stretta.
Takeru ride. “Lo so, ho fatto gli esercizi davanti allo specchio.”
“Mi spieghi che senso ha starci male e decidere di non fare ugualmente niente? Dico io-”
“Possiamo tornare a Ichijouji?” La interrompe lui, e Miyako si zittisce.
Non trova uno spiraglio, nella sua espressione di nuovo serena, al quale possa appigliarsi per continuare a insistere, e sa che Takeru sa essere particolarmente cocciuto quando decide di non parlare di qualcosa. E’ peggio di Yamato, certe volte.
Si arrende.
“Dicevo. Daisuke.” Riprende. “Giocava a calcio anche allora, no? E la sua squadra era piuttosto brava, ma questo non dirglielo, ho una dignità da proteggere. Comunque sia, a un certo punto si erano piazzati così bene in classifica che riuscirono ad avere la scuola media di Tamachi come avversari. E indovina un po’ chi giocava tra le loro fila?”
“Ichijouji”, completa naturalmente Takeru.
“E indovina un po’ chi decise di sfruttare Daisuke per poter finalmente conoscere il suo amore?” Miyako fa un movimento allusivo verso se stessa. “Ero al settimo cielo, come potrai capire, così dissi a Daisuke che ero persino disposta a venire alla sua stupida partita se potevo incontrare Ichijouji. Lui mi disse fa’ un po’ come ti pare, ma per la verità non aveva neanche troppa voglia di prendermi in giro per la mia cotta. Aveva ben altro per la testa, in quel momento.”
“La partita?” Tenta Takeru.
“Sfidare il suo idolo”, lo corregge Miyako. “Ichijouji.”
“Questo Ichijouji fa davvero strage di cuori”, commenta lui, con una serietà eccessiva per un commento simile.
“Daisuke era fuori di sé dalla gioia. A lui non importava un accidente della sua mente geniale, ti pare, lo sai che è un sempliciotto, ma lo ammirava immensamente per le sue doti calcistiche. Desiderava giocare contro di lui più ancora di quanto desiderasse vincere, per farti capire il livello di idolatria. Sembrava che fosse arrivato Natale in anticipo, per lui, e per giorni non parlò d’altro, e non fece altro che che allenarsi. Finché non arrivò il gran momento.
“Ad assistere alla partita c’eravamo io, Iori-kun e Hikari-chan. Le tribune erano strapiene di ragazzine urlanti, giornalisti e fotografi: dall’esterno avresti detto che stavamo aspettando un gran divo del cinema, un modello, o una cosa così, e invece si trattava solo di un ragazzo di dodici anni. A nessuno importava niente di niente di essere senza controllo, a me per prima. Non facevo che osservare l’entrata del campo: speravo di vederlo prima di tutti, il cuore in gola e la faccia rossa, e sapevo che tutta l’attesa sarebbe stata ampiamente ripagata.
“Beh, vuoi sapere la cosa assurda? Ichijouji non si fece vedere se non dopo i primi venti minuti di gioco.”
Takeru si acciglia. “Un vero vip.”
“Un vero idiota!” Replica Miyako con passione. “Ecco chi farebbe una cosa simile. Un idiota e un esibizionista. Ma sai quanto me ne importava all’epoca?
“Daisuke stava per perdere le speranze di incontrarlo, quando all’improvviso comparve, tra le strilla entusiaste e la gioia dei suoi compagni di squadra. Avresti dovuto vederlo: sembrava l’incarnazione della perfezione, tutto altero e sicuro e pronto per giocare, come lo fosse stato da tutta la vita. Prese posto sul campo, e l’elettricità pervase ogni singolo filo d’erba. C’era una specie di timore reverenziale intorno a lui. Non per Daisuke, però. Lui lo guardava come si guarda l’unica persona degna di essere il tuo rivale.
“E poi l’arbitro fischiò, Ichijouji sorrise, e il gioco si ribaltò.”
Miyako scuote il bicchiere vuoto, desiderando ci fosse ancora almeno un goccio di bevanda calda da mandare giù.
“Lo chiamavano Astro nascente del calcio? Io lo avrei chiamato stratega letale. Giocava per vincere, e sapeva come farlo. Sai quelle persone che sanno sempre dove sono tutti i giocatori, e fabbricano strategie come se fossero in guerra tanto rapidamente quanto respirano? Quello era Ichijouji Ken: una forza della natura, inarrestabile e imbattibile. Prima del suo arrivo la squadra di Daisuke era in vantaggio ... dopo, erano in svantaggio cinque a uno. In dieci minuti appena.
“Io devo aver strillato per minuti, e penso che la mano di Iori-kun che non avevo fatto che stritolare per tutto l’incontro abbia perso la sensibilità per una settimana intera, dopo quel giorno. Tifavo per Ichijouji, chiaramente. Non è che volessi fare un dispetto a Daisuke, per una volta, era solo che non avevo mai visto niente di simile – nessuno aveva mai visto niente di simile. Non avrei potuto farne a meno, capisci? Volevo che arrivasse a fare dieci gol. Non fare quella faccia, ne era perfettamente in grado, se vuoi saperlo. E l’avrebbe fatto ... se solo Daisuke non si fosse messo in mezzo all’ultimo.
“Gli rubò il gol finale. Arrivò in scivolata, gli sottrasse la palla, e tanta la foga di impedirgli l’ultimo tiro che gli ferì la gamba: usciva sangue, l’ho visto. Lo hanno visto tutti. Nel campo calò improvvisamente il silenzio. E poi l’arbitro fischiò, e la partita finì 9-1.”
“Straordinario”, commenta Takeru senza fiato.
Miyako sorride in risposta, un po’ amara. Tempo fa avrebbe detto esattamente lo stesso.
“Daisuke si scusò a fine partita: era mortificatissimo, e più in imbarazzo di quel che puoi immaginare. Non fa nulla, rispose Ichijouji, e sorridendogli gli fece un complimento sulle sue doti di calciatore. Nessuno ha mai fermato quel gol finora. E’ stato bello giocare con te, Motomiya-kun. E gli strinse la mano.
“Daisuke sembrava aver toccato il cielo con un dito. Dovremmo replicare! Gli disse in uno slancio di esaltazione. Una cosa informale, solo io e te. Voglio una rivincita!
“Io e gli altri eravamo a due passi, trattenendo il respiro mentre Ichijouji sgranava gli occhi: avevamo quasi la sensazione che, se lui avesse accettato, sarebbe stato per sua estrema bontà. Come se fosse trenta spanne sopra di noi, capisci. Ma Ichijouji non fece che sorridere, intrigato, e rispondergli che Senz’altro, sarebbe bello. Cosa ne pensi di fare tra una settimana?
“Così si miserò d’accordo, orari, luogo e tutto, e sembrava fatta. Non vedo l’ora di dirlo ai miei amici! Non crederanno alle loro orecchie, disse Daisuke, e Ichijouji sorrise e basta.
“In quel momento ero troppo presa a mangiarmi le dita per l’invidia – volevo stringere anche io la mano di Ichijouji! – per fare caso allo strano lampo calcolatore che era passato in quegli occhi azzurri freddi e perfetti. Ci avrei ripensato solo in seguito. Troppo tardi, ovviamente.”
Un altoparlante, all’interno del palazzetto, avvisa cortesemente i suoi ospiti che lo spettacolo inizierà tra dieci minuti. Miyako e Takeru si voltano verso l’entrata nello stesso momento, e sanno che dovrebbero rientrare. Nessuno dei due si muove.
“Il pomeriggio della seconda partita”, continua lei a voce bassa, “il cielo era grigio, ma non si era vista una sola goccia di pioggia, e non sembrava che sarebbe iniziato a piovere durante la partita. Io, Iori-kun e Hikari-chan pensavamo che non ci sarebbe stato nessuno tranne noi e qualche passante curioso tra gli spalti, invece c’erano un sacco di persone. Perlopiù amici di Daisuke, avevamo scoperto con sorpresa. Chiaramente, quella bocca larga aveva deciso di spargere la voce della sua partita esclusiva con Ichijouji Ken in tutta la scuola, e così i suoi amici avevano portato altri amici, e un paio di giornalisti locali con un bel po’ di tempo libero. Era diventato un evento: Ichijouji non aveva mai risposto a una sfida diretta, prima di Daisuke, così tutti morivano dalla voglia di avere quel frammento inedito del ragazzo prodigio di Tamachi –oh, ecco un altro titolo che mi mancava, me ne stavo dimenticando. Io ero irritata, perché speravo davvero in un evento privato che mi avrebbe concesso di conoscere la mia presunta anima gemella, ma Daisuke ... era radioso. Non faceva che guardare l’orologio, impaziente, mentre i minuti passavano, e gridava a gran voce quanto fosse fortunato.”
Un sapore amaro le resta incastrato in gola. “Fortunato. Certo.”
Takeru tace, il viso immobile. Aspetta la batosta.
Miyako accartoccia il bicchiere.
“Ricordo che Daisuke continuò a dire la storia della fortuna ancora per un’ora e mezza, ma man mano che passava il tempo sembrava sempre più angosciato di essere il solo al centro del campo. Gli spalti vociavano sempre più forte, alcuni si alzavano per andarsene via, ma Daisuke continuava a implorarli di aspettare. Verrà! Mi ha dato la sua parola! Deve venire per forza!
Takeru ha gli occhi sgranati, e Miyako sa che ha capito.
“Lui si fece vedere solo dopo due ore e mezza”, dice. “Quando la metà delle persone era andata via, e l’altra accusava Daisuke di essere un cialtrone e un bugiardo. Era rimasto un solo giornalista, che sonnecchiava sotto la sua sciarpa. E poi c’eravamo noi, pietrificati a lato del campo, senza trovare il coraggio di portare via Daisuke, che lottava da solo contro tutti i presenti e l’evidenza dei fatti, solo per la speranza che aveva riposto in un idolo indegno.
“Ichijouji sembrò sorpreso di entrare in campo, vestito con la sua divisa scolastica e senza neanche un borsone sportivo al collo. Si guardò intorno, plateale, e parve mortificato. Sono arrivato qui più in fretta che ho potuto, disse ad alta voce, ben udibile da tutti i presenti. Mi hanno detto che credevi che avremmo giocato insieme. Perché hai messo in giro questa storia?
“Non credo di aver mai visto Daisuke boccheggiare in quel modo. Ma che dici? Lo abbiamo concordato insieme, Ichijouji! Una settimana fa – non prendermi in giro!
“E Ichijouji Ken, il mio ragazzo perfetto, si esibì nella più convincente espressione confusa che la storia dell’umanità abbia mai visto. Scusami, ma devi ricordare male. Non ti ho promesso niente del genere.
“Daisuke gli mise le mani al collo, a quel punto, strattonandolo. Sei un bugiardo! Perché fai così? Si può sapere che cavolo ti prende?!
“Solo allora Ichijouji si rivelò per quello che era. Afferrò le mani di Daisuke, le staccò dalla sua divisa e si allontanò di un passo. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, e pieni di disprezzo.
Il bugiardo sei tu, ebbe la faccia tosta di dire. Ne ho viste persone come te – ne sono circondato ogni giorno. Sei così alla ricerca di notorietà che ti inventeresti qualsiasi bugia pur di poterti fare degli amici. Ma tolti i personaggi famosi di cui ami vantarti, resti sempre un patetico sfigato.
“Se ne andarono tutti, a quelle parole. Tutti. Persino l’unico giornalista rimasto, borbottando contro i ragazzini megalomani. La verità è che nessuno aveva sentito Ichijouji fare quella promessa, a parte noi e Daisuke. Nessuno avrebbe mai creduto a Daisuke, quando Ichijouji Ken in persona giurava di non aver mai voluto avere niente a che fare con lui. Così Daisuke passò per bugiardo, per disperato, per stupido, e Ichijouji si prese la sua rivincita. Un’umiliazione per un’umiliazione: nella sua testa era così che doveva andare.”
Miyako si interrompe. Takeru sembra così sconvolto da aver smesso di respirare.
“Noi eravamo lì”, sussurra lei. “Lì vicino, e potevamo vedere tutto. L’espressione ferita di Daisuke, e la vergogna e l’ingiustizia brucianti sulle sue guance. E poi la serietà altezzosa di Ichijouji, i suoi capelli scuri che si sollevavano mentre si voltava, il breve sguardo lanciato nella nostra direzione. Il suo passo deciso mentre arrivava accanto a noi, e ci superava.
“E il suo sorrisetto vittorioso mentre sussurrava Insetto, abbandonandoci lì come degli idioti.”
Il silenzio che cala è soffocante, ma lei non riesce a sollevare lo sguardo.
 “Insetto”, ripete Miyako, e la sua voce ha un tremito. “Disse proprio così. Era accanto a me, praticamente lo disse al mio orecchio. Insetto. Solo perché aveva osato impedirgli un gol a calcio, insetto! Era questo il ragazzo che avevo sognato al mio fianco: una persona meschina che ama distruggere pubblicamente i suoi ammiratori! Come poteva fare questo a Daisuke? Come poteva fargli questo senza motivo? Come poteva andarsene come se niente fosse?
“Non potevo sopportarlo. Non potevo permetterlo. Così lo seguii.”
Miyako prende un grande respiro, cercando di costringersi a proseguire.
“Mi sentì arrivare”, dice. “Si voltò verso di me, l’espressione imperscrutabile, gli occhi azzurri stretti a fessure. Fece per aprire la bocca, non so per dirmi cosa: non gli permisi di parlare. Aprii la bocca e gridai, con quanto fiato avevo: Mi fai schifo!
“Non volevo altro che sfogarmi, non avevo nessuna speranza di intaccare quella maschera perfetta e costringerlo a macchiare il suo viso candido di sangue nero come la sua vera anima. E invece Ichijouji ... impallidì, non so. Non è neanche il modo giusto per descrivere la sua faccia. Sembrò perdere vita tutt’a un tratto.”
Miyako prende ad attorcigliarsi i capelli, in un moto nervoso di cui è solo parzialmente consapevole.
 “Ero esaltata di averlo ferito, suppongo. Esaltata di avere un qualche tipo di potere su di lui. Così continuai, con rabbia, con crudele soddisfazione. Mi fai schifo perché sei marcio. E la persona davvero sola, alla fine dei giochi, sarai solo tu! Perché non ti meriti nulla di quello che hai.
“Ichijouji non disse nulla. Aveva gli occhi sgranati, la bocca chiusa, le mani abbandonate lungo i fianchi. Mi fissava, e di colpo la nebbia rossa nella mia mente si dissipò, e rimasi affannata a guardarlo, chiedendomi come mai non reagiva. Come mai non mi rispondeva a tono? Non detestava forse essere umiliato? Cosa aspettava?  Perché – perché mi guardava in quel modo?
“Non capivo. Non riuscivo a capire. Sarei anche arrivata a chiederglielo, tanto mi sentivo confusa, ma lui non me ne lasciò il tempo: si girò, curiosamente goffo, e se ne andò via.”
Miyako tace. Sente lo sguardo penetrante di Takeru sulla nuca.
“Non ti sentirai in colpa per una cosa simile, spero”, le dice dopo un istante di silenzio. “Hai fatto bene a parlargli in quel modo: se lo meritava.”
“Se lo meritava? Sì, forse.” Miyako solleva lo sguardo, e finalmente lo guarda dritto in faccia. “E’ quello che ho continuato a ripetermi anche io, quel giorno come nei giorni a venire. Se lo meritava, qualcuno doveva pur dirglielo. Se lo meritava, avrei dovuto dirgli di peggio. Non facevo che pensarci, senza riuscire a parlare a nessuno di quello che era successo dopo il disastro della partita mancata. Non riuscivo ... non riuscivo a pensare ad altro.
“Mi chiusi in camera per giorni, davanti a un pc, studiando ogni nuova intervista di Ichijouji Ken. Scoprii tante cose, in quei giorni. Per esempio, che le sue risposte non erano mai gentili, ma formali, vuote, costruite a tavolino. Oppure, che non parlava mai di sé, ma era molto bravo a dissimulare i tentativi di sviare il discorso, così che non te ne accorgevi se non facendoci davvero attenzione. E ogni volta lo pensavo con più forza: Se lo meritava. E man mano Ichijouji sembrava sempre più distratto, sempre più pallido, sempre più assente, e io ogni volta distoglievo lo sguardo, lo stomaco invaso dall’acido, e mi ripetevo: se lo meritava.
“E poi, un giorno come un altro, Ichijouji Ken scomparve.”
Fa freddo: Miyako si stringe nel cappotto.
“E’ stato una settimana esatta dopo quel pomeriggio disastroso”, spiega a Takeru, immobile con lo sconcerto a fargli corrugare le sopracciglia. “Quella mattina Ichijouji non si fece trovare in camera dai suoi genitori: nessun biglietto, nessuna spiegazione, niente di niente. La sua cartella scolastica era abbandonata accanto alla scrivania, i suoi libri di testo erano ancora tutti lì, solo uno zaino sembrava mancare all’appello. Sembrava avesse deciso di star via per un po’ di tempo, senza preavviso, apparentemente senza senso. Nessuno aveva la minima idea di cosa gli fosse successo: né gli insegnanti, come sempre fieri del suo rendimento scolastico, né i compagni di scuola, o quelli di judo, o quelli di calcio – venne fuori che nessuno di loro lo conosceva davvero, nessuno di loro gli era davvero amico. E i genitori ... loro non lo vedevano mai, a detta del padre. Era sempre chiuso in camera sua a studiare, o fuori per attività varie. Non ci parla, sosteneva il signor Ichijouji. Non si è mai confidato con noi. Non abbiamo mai saputo – sembrava non avesse problemi. L’unico problema sembrava averlo con noi. Era sempre lui a rispondere alle interviste, una sorta di orrore frenetico sul viso, le mani sempre in movimento. La madre ... quando la intervistavano lei non parlava mai. Piangeva come se le avessero strappato il cuore pezzo a pezzo, e ad ascoltare quei singhiozzi strazianti ti veniva voglia di piangere a tua volta. Non ho mai dimenticato quel pianto – penso non lo dimenticherò mai più. Me lo sentivo nella testa in ogni istante, non mi faceva dormire la notte. Era una specie di colonna sonora del mio panico.”
“Panico?” Ripete Takeru senza capire.
Miyako fa una smorfia, e non risponde direttamente.
“Daisuke venne a casa mia, tre giorni dopo l’annuncio della scomparsa di Ichijouji. Me lo trovai sulla soglia della porta alle otto meno un quarto, il viso serio e il mento sollevato, e io compresi subito. Non gli dissi neanche ciao. Riuscii a strillare solo una cosa: Non è stata colpa mia!
Takeru sbatte le palpebre, e uno stupefatto lampo di comprensione gli passa negli occhi chiari.
“Cercai di cacciarlo di casa: non volevo sentire una parola. Lo sapevo cosa era venuto a dirmi, di cosa voleva parlarmi. Ma io non riuscivo neanche a fare il suo nome, come poteva pretendere che io riuscissi ad affrontare il discorso con lui? Ma Daisuke non mi permise di allontanarlo. Si aggrappò allo stipite della porta, si puntellò con i piedi, fece resistenza. Chi se ne importa di chi è la colpa?! Si mise a urlare di rimando. So soltanto che non ce la faccio più a sentire quelle dannate interviste al telegiornale!
“Non potei che fermarmi, a quel punto, come se avessi ricevuto un pugno in pancia. Mi ero abituata a star male per Ichijouji da sola, vedi: non riuscivo a credere che anche per Daisuke fosse difficile.
Voglio mettermi a cercarlo, mi disse allora Daisuke. C’è chi dice di averlo intravisto a Odaiba, questa mattina. Vieni con me?
“Non ti so dire cosa stessi pensando a quel punto, avevo la testa completamente vuota. Così dissi una cosa stupida: Ma c’è la scuola.
Io non ci vado, rispose infatti Daisuke, e io lo guardai negli occhi: era mortalmente serio. Tanto serio che mi sentii sollevata. Era così semplice, allora? Era questa la soluzione al mio senso di orrore e di colpa: mettermi a cercare Ichijouji Ken e riportare le cose a posto? Sembrava sempre meglio che stare a macerarsi nell’angoscia giorno dopo giorno, ma io ancora esitavo.
Si può sapere perché lo fai? Non potei che chiedergli, e quasi lo supplicavo. Daisuke a quelle parole sgranò gli occhi, incurvò le spalle, fece una smorfia.
Non certo per lui, disse. Lo faccio per i suoi genitori. E per me.
“Lo seguii.”
“Miyako-san”, dice Takeru, quasi delicato, ma lei non lo lascia concludere. E’ stranamente liberatorio tirare fuori tutto, così non può fermarsi, non ancora.
“Immagina che stupidi: la polizia sulle sue tracce da giorni, e noi due piccoli adolescenti che ci illudevamo di riuscire dove gli adulti avevano fallito, gli zaini in spalla pieni di libri che non avremmo usato e una determinazione cupa a farci correre di qua e di là come dei forsennati. Nessuno dei due aveva molta voglia di parlare, mi ricordo, ma qualche volta Daisuke si voltava a guardarmi, al di sopra della sua cartella, e io sapevo che anche lui sapeva: lo avremmo trovato noi. Non era una convinzione, era certezza.
“Evitammo gli adulti come fossero tanti poliziotti pronti a dare la caccia a noi, invece che a Ichijouji. Non mi ero mai sentita così ribelle, così folle, così fuori di me. Eppure era quello che avrei dovuto fare dall’inizio, mi resi conto a un certo punto: avrei dovuto cercarlo fin da quel giorno. Fin da quella partita mancata, e da quelle parole impulsive che avevano ammutolito il ragazzo che avevo scioccamente creduto indistruttibile.
“Cercammo ovunque: nelle librerie, nei campi sportivi, nei caffè e nei cortili. E poi in metropolitana, e accanto a negozi di videogames, e persino nei supermercati. Niente. Sembrava che avessimo creduto alle parole di un visionario, che non ci fosse nessun Ichijouji Ken a Odaiba. Che avessimo sprecato un giorno a rincorrere una speranza vana.
“E poi il sole prese a tramontare sul mare, e il luccichio del riflesso ci distolse dalla nostra frustrazione, e ci costrinse a guardare. E ci ricordò che c’era un unico posto dove non avevamo controllato.”
“La spiaggia?” Sussurra Takeru.
Miyako lo guarda, e annuisce lentamente.
“Ichijouji era lì, in effetti. Rannicchiato in riva, la sabbia sui pantaloni, le scarpe sotterrate, e il viso nascosto sulle ginocchia. Sembrava una statua, altro che un ragazzino. Sembrava una bambola rotta.
“Non può non averci sentiti arrivare, con tutto il rumore che abbiamo potuto fare, e soprattutto dopo che Daisuke gridò Ichijouji con quanta voce avesse. Sapeva che eravamo lì, eppure non si mosse, e fu questo a farmi pietrificare, i polmoni in fiamme, mentre Daisuke accorreva verso il ragazzo immobile e lo scuoteva per la spalla. Rimasi lì come uno stoccafisso a fissare Ichijouji, lì a testa bassa con i muscoli tesi allo spasmo, lo zaino abbandonato sulla sabbia, Daisuke al suo fianco che lo chiamava e gli chiedeva se riuscisse ad alzarsi in piedi. Per un momento mi convinsi che lui avrebbe scelto di non respirare nemmeno, nell’attesa del momento in cui saremmo andati via.
“Invece Ichijouji sollevò il capo, lento come se provasse dolore, e guardò Daisuke. E poi me.”
La voce le viene a mancare di colpo. Miyako se la schiarisce un paio di volte.
“Aveva ... aveva gli occhi cerchiati, e il viso emaciato – sembrava non dormisse o mangiasse da giorni. Ma lo sguardo che aveva, Takeru-kun, quello sguardo non lo puoi neanche immaginare. Non avevo mai scorto l’anima di Ichijouji Ken, neanche quando ne avevo avuto più presunzione, o anche solo più voglia, sospirando su stupide riviste giovanili, ma in quel momento mi sembrò che qualcuno gli avesse squarciato il petto per osservarne il cuore, e ... che quel qualcuno fossi io. Che stringessi tra le mani il pugnale bagnato di sangue che gli aveva aperto la gabbia toracica.
“Non potevo respirare, così non feci che guardarlo. E lui guardò il mare, come ricordandosi della sua presenza.
“Mi dispiace, disse in un sussurro. Mi dispiace.
“E si prese la testa tra le mani.”
Miyako mima il movimento, ben attenta a non farsi cadere gli occhiali dal naso. Uno non ci pensa mai, a quanto sia drammatico e al tempo stesso liberatorio portarsi le mani al viso: chiunque ti veda non può non sapere che sei triste, ma nessuno potrà vederti in viso e scoprire quanto. Sei nascosto e vulnerabile allo stesso tempo.
“Avrei voluto che piangesse”, continua attraverso le fessure delle sue dita. “Non che avrei potuto consolarlo, pietrificata com’ero, e tutto sommato non sapevo neanche se lo volevo o no, ma sarebbe stato meglio per lui, credo. Meglio fuori che dentro, no? Ma lui non pianse. Neanche una lacrima.”
Poi sospira, riportando lentamente le mani in grembo.
“Ci credi che mi guarda ancora in quel modo?” Chiede a Takeru senza preavviso. “Sono passati tre anni, eppure mi guarda ancora come quella sera. E come il giorno della partita che non ha voluto giocare.”
Si morde il labbro, e si mette a fissare il pavimento come se fosse interessante. Si trova a corto di cose da dire, così sta zitta.
Vorrebbe tanto che Takeru dicesse qualcosa.
Lo sente avvicinarsi, invece, e dopo un istante di esitazione lo vede sedersi accanto a lei. Le lancia un’occhiata di sfuggita.
“Non gli hai più parlato da allora?” Le chiede.
“Sono stata molto brava a evitarlo, quindi direi di no.” Ride, e non sa neanche perché lo stia facendo. “Anche se di occasioni ne ho avute, dal momento che Daisuke ha deciso di continuare a frequentarlo.”
“Perché?” Scandisce il ragazzo, incredulo, e Miyako ride ancora.
“Perché è Daisuke”, risponde. “Daisuke sa dare una seconda opportunità.”
Takeru non capisce, ed è un sollievo così grande che si metterebbe a piangere. Sono due persone normali, riflette: le persone normali non credono ai miracoli con tanta facilità.
“Certo, un ruolo molto importante è stato giocato anche dal fatto che Ichijouji abbassò molto la cresta, dopo essere tornato a casa. La cresta come anche il suo rendimento: pareva che non gli interessasse più primeggiare, o che si fosse annoiato di applicarsi troppo. Non che abbia mai smesso di essere bravissimo, ma nessuno avrebbe più voglia di intervistarlo ora come ora, mi spiego? A ripensarci, meglio per tutti, e meglio per noi. Meglio anche per lui, credo. In ogni caso, Ichijouji contattò Daisuke dopo un paio di mesi da quell’episodio disastroso: gli chiese scusa ancora una volta, e si disse disposto a rimediare. Voglio giocare sul serio, questa volta. Spero ti vada ancora. Venne fuori che a Daisuke andava, eccome. Che tu ci creda o no, quel tonto non invitò proprio nessuno ad assistere, e non gliene importò niente: si godette la partita, e riuscì anche a battere Ichijouji. La partita migliore che io abbia mai giocato, disse. Io non ho potuto smentirlo. Non ci sono andata.”
“Miyako-san, non è stata colpa tua.”
Il tono di Takeru è a un tratto così intenso che Miyako non può che voltarsi a guardarlo.
“Davvero”, insiste lui. “Si era comportato male sul serio. E poi non puoi avere il controllo su tutto quello che succede nella testa delle persone. Forse le tue parole hanno semplicemente scatenato qualcosa che non potevi immaginare: può succedere. Non macerarti così.”
“Col senno di poi potrei anche dirti che hai ragione”, commenta lei schietta, e sembra sorprenderlo. “Cioè, se avessi desiderato una cosa del genere sarei stata peggio di Ichijouji a dodici anni: non volevo farlo a pezzi, volevo solo farlo infuriare. Tutto qui. Però ho scatenato qualcosa di molto peggio, e questa non è una cosa che si può cambiare, che volessi un risultato del genere o meno. Ho comunque una responsabilità importante, non ti pare? Anche perché non ho capito, dopo tutti questi anni, cosa, di quelle parole avventate, gli abbia fatto crollare tutto addosso. E ... non sai quanto darei per conoscerne il motivo. Solo che non posso farlo.”
“Perché no?”
“Perché se lo sapessi avrei voglia di chiedergli scusa. E la verità è che mi vergogno da morire.”
Takeru la guarda, gli occhi insolitamente seri, e non c’è giudizio nei suoi lineamenti. E’ questo a darle coraggio.
“Ho paura di scoprire di averlo giudicato male tutto questo tempo.” Confessa infine. “Paura di non poter mai essere come Daisuke, che lo ha perdonato e ora lo considera il suo migliore amico. O come Hikari-chan, che è riuscita persino ad amarlo. Per loro è naturale, eppure io non riesco a fidarmi. Non riesco a lasciarmi tutto alle spalle. Non riesco a cercare di cambiare idea sul suo conto, e a conoscerlo per quello che è. E’ per questo che mi vergogno.”
Ripensa al sorriso esitante di Ichijouji, al suo nervosismo e al suo disagio, e non sa cosa darebbe per non essere una persona normale, per una volta. Si stringe le braccia al petto.
“Sono io che l’ho ferito, tre anni fa. E sono sempre io, tre anni dopo, che gli impedisco di riscattarsi da quell’errore. Non è orribile?”
Non riceve risposta, ma in fondo non ne aspettava una.
 
***
 
Quando rientrano dalla scala antincendio, le luci sono quasi del tutto spente, un altoparlante annuncia l’inizio del concerto, e ci sono davvero poche persone ancora all’entrata, che si precipitano dentro il palazzetto a tutta velocità. Un po’ come loro due.
A metà strada per raggiungere gli altri Takeru si ferma bruscamente, si batte una mano sulla fronte ed esclama: “Mina-chan!” E poi fa dietrofront, correndo giù per le scale e urlando qualcosa tipo “Mi aspettava all’entrata, ci vediamo dopo, scusami tanto!”, come se si trattasse di un piccolo incidente di percorso e non della cosa più insensata che potesse fare nei confronti di una ragazza. Anzi, di due: niente di meno che la tua ragazza, o presunta tale, e la tua anima gemella.
Miyako non crede che smetterà mai di volerlo prendere a sberle, ma al momento ha altro a cui pensare.
Per esempio trovare gli altri, e farlo prima che Yamato inizi a cantare.
E’ un’impresa ardua, in penombra e con così tante persone che sembrano tutte uguali. Miyako aguzza la vista, le lattine di bibite fresche che ha comprato in tutta fretta per farsi perdonare, sbaglia strada più volte, importuna per errore un gruppo di ragazzi sconosciuti e continua a correre, col cuore in gola.
Poi scorge la zazzera rossa di Koushiro due file di fronte a sé, e quasi non riesce a credere alla sua fortuna. Si affretta in quella direzione, senza riflettere.
E’ appena a due passi da loro, però, quando uno di loro si alza in piedi, e persino in penombra Ichijouji è perfettamente riconoscibile.
Miyako si ferma di colpo, trattiene il fiato bruscamente e stringe più forte le lattine. Ma lui non sembra essersi alzato per lei.
Si è alzato perché ... voleva prendere la sciarpa.
La sciarpa?
“Non farlo”, sta dicendo Hikari al suo fianco, quasi come se l’universo l’avesse avvertita della necessità di fornire una didascalia agli eventi per gli spettatori che non capiscono quello che stanno vedendo. La vede posargli una mano sull’avambraccio, e sembra addolorata, per qualche motivo. “Non è come pensi.”
“Davvero?” Risponde Ichijouji, e l’ironia nelle sue parole è quasi tagliente. “Eppure non torna più.”
Miyako sbarra gli occhi, sentendo un improvviso tuffo allo stomaco.
“Si vede che ha trovato fila al chioschetto delle bevande”, insiste Hikari.
E’ di me che parlano.
E’ surreale, e non ha il minimo senso. La didascalia ha solo confuso ulteriormente gli spettatori ammutoliti e col cuore in gola.
“Onestamente, non riesco a capire cosa c’entri tu”, interviene Koushiro, e nella sua voce c’è un’accigliata perplessità. “Miyako-kun era arrabbiata con me, non con te. Perché dovresti andartene?”
Come sarebbe, andartene?
La verità le piove in testa come un cumulo di neve da un ramo scosso dal vento.
Ichijouji fa una smorfia, e insiste nel mettersi la sciarpa, senza guardare Koushiro – senza guardare nessuno, nemmeno Hikari. Sembra un soldato che vuole gettarsi in un campo minato per salvare i suoi compagni, per preservare il bene superiore.
Ma non c’è nessuna guerra in corso: non esiste nessun bene superiore.
Esiste solo un ragazzo che ha deciso di rinunciare a un concerto per non essere un problema.
Per non essere un problema per lei.
“Ichijouji-kun”, tenta di nuovo Hikari, e nella sua voce c’è una supplica. “Dammi ascolto, Miyako-san è solo-”
“Quando la vedete”, la interrompe Ichijouji, e poi tace, senza sapere come continuare. Sembra turbato, per un istante, come se una miriade di emozioni diverse stesse cercando di prendere il sopravvento sul suo viso; poi le porte si chiudono, e così la sua espressione. Non affiora più nulla. “Quando la vedete, rassicuratela che sto tornando a casa. Avrei dovuto pensarci prima, che vi avrei messi tutti a disagio, ma ... posso sempre rimediare ora.”
“Che idea balorda.”
Si voltano tutti di scatto prima ancora che lei abbia finito di parlare.
"Ma che fine avevi fatto?" Si lamenta Koushiro, il sollievo che suo malgrado gli distende la fronte accigliata.
Hikari, al suo fianco, stringe un po' le labbra, gli occhi insolitamente tristi e pensosi, e la fissa senza fiatare. Sembra aspettare la sua prossima mossa come se ne andasse delle sorti della serata intera.
Miyako non può occuparsi di nessuno dei due, al momento. Ha il sangue che pompa forte fin dentro alle orecchie, che la rende sorda a qualsiasi altra cosa che non sia la sua ribelle consapevolezza.
Ne ho abbastanza.
"Dico a te", riprende con forza, gli occhi fissi sull'unica persona che ha distolto lo sguardo e si osserva ostinatamente i piedi. "Ichijouji Ken. E dicono che tu sia un genio? Quest'idea è balorda sul serio, te ne sei accorto? Ecco per te tre buoni motivi per cui dovresti ripensarci."
A passo di marcia si avvicina a lui, lo vede irrigidirsi, poi lo supera, e si para di fronte a Hikari. Con un gesto secco le porge una lattina, senza curarsi del suo piccolo sussulto sorpreso. "Numero uno:
hai una ragazza, no? Una ragazza carinissima, peraltro, hai visto com'è bella stasera? Nessuno se ne va abbandonando il suo partner al suo destino, a meno che non voglia passare per un farabutto!"
"Ma scusa, tu hai abbandonato me al mio destino!", interviene Koushiro, un po' indignato.
"Appunto, chi meglio di me può parlare con cognizione di causa? Sono stata pessima anche io!" Ribatte Miyako senza scomporsi, e con naturalezza supera Hikari, raggiunge la sua anima gemella e gli porge la sua lattina. "Tieni il tuo oolong, Koushiro-san, e scusami tanto. Però mi avevi fatto arrabbiare!"
Gli dà un veloce bacio su una guancia, e lo sente arrossire bruscamente sotto le sue labbra.
"Ma che ti ho fatto, si può sapere?" Lo sente lamentarsi sconsolato.
Miyako si drizza senza rispondergli.
"Numero due", riprende. "Nessuno sano di mente farebbe tutta questa strada da Tamachi fino a qui per poi andarsene senza aver sentito neanche una canzone. Che poi le canzoni siano quelle dei Knife of Day è solo un'aggravante – sono delle testacce dure, ok, e se ascoltassero qualche mio suggerimento sarebbero ancora più forti, ma sono davvero bravi. E come puoi apprezzarli davvero se te ne scappi a inizio concerto?"
Guarda Ichijouji, ancora a testa bassa, e si morde l'interno guancia, esitando. Ma è proprio perché esita che si è creata tutta questa situazione senza senso, no?
A testa alta riprende a camminare, e in un paio di falcate è davanti al ragazzo silenzioso con la sciarpa al collo.
"Numero tre" gli dice in faccia. "Se te ne vai, mi rovini la serata."
Ed è vero.
Miyako si sporge, prende la mano di Ichijouji, lo sente tentare di ritrarsi istintivamente, non glielo lascia fare. Gli mette l'ultima lattina rimasta tra le dita, lo costringe a stringere la presa attorno ad essa, e giusto per essere sicura che non la lasci andare gli prende anche l'altra mano, e gliela fa avvolgere attorno alla destra.
Quando solleva lo sguardo, Ichijouji la sta guardando, stupefatto e incerto.
E Miyako se lo ricorda, allora. Si ricorda di quanto aveva pianto, tre anni prima, abbracciata al cuscino nella sua stanza chiusa a chiave, con ancora la sabbia nelle scarpe abbandonate sull’ingresso e la cartella per la scuola inutilizzata ai piedi del letto.
Vale ancora la pena di continuare?
Gli stringe le mani, e quasi non si accorge di essere stata lei a iniziare il movimento.
"Se te ne vai, passerò il tempo a pensare che ti ho fatto scappare io. E onestamente non ne posso più di maltrattarti", gli dice sinceramente. "Siamo stati pessimi entrambi in passato, ma è acqua passata, no? Io voglio cambiare idea sul tuo conto, e vorrei che tu mi aiutassi a farlo."
Fa tenerezza, questo Ichijouji così sconosciuto, con gli occhi dolenti e quell'esitazione tra le labbra, come se volessero pronunciare qualche parola ma non riuscissero a farlo.
Miyako si trova a sorridergli, e si sorprende di quanto le riesca naturale.
"Resta, Ichijouji-kun." Gli chiede piano. "Ti va?"
E i portoni che Ichijouji aveva tanto faticosamente sbarrato si spalancano di colpo.
Nello stesso momento, le luci si spengono, e il palazzetto dello sport si riempie di urla entusiaste.
"Inizia!" Strilla a sua volta Miyako, eccitata, e lascia le mani di Ichijouji, correndo al suo posto.
Il palco si illumina, e nel delirio generale i KoD prendono posto davanti al pubblico. I capelli biondi di Yamato sembrano accendersi, sotto i riflettori.
Il frontman si avvicina al microfono, e tutti trattengono il fiato.
In quel silenzio irreale Ichijouji torna a sedersi, la lattina ancora stretta tra le mani, le spalle rilassate in una resa, e Miyako si volta a guardarlo.
Ichijouji la guarda a sua volta, poi abbassa lo sguardo, e sorride.
Tre anni fa non avrebbe mai sorriso in quel modo. Non per lei.
Miyako si illumina.
E poi Kyosuke batte il tempo, la musica parte, e la magia ha inizio.
   
 
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