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Autore: Harriet    29/03/2020    2 recensioni
La serra delle meraviglie di una ricca famiglia dalla morale molto rigida. Un tecnico dell'irrigazione dai comportamenti molto libertini. Cinque volte in cui la serra è stata usata per qualcosa di diverso dalla cura dei fiori.
Se tutti fossero liberi, se ciascuno curasse la propria libertà come una pianta, forse il mondo sarebbe meno triste.
[Steampunk nordafricano, avventure sessuali, disavventure familiari]
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Almiressa'
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Partecipa al COW-T X di Landedifandom. Missione 2, prompt: "Little bird" di Annie Lennox, nella performance per la cerimonia olimpica del 2012. Della canzone, mi hanno ispirato le liriche "I wish that I could be that bird / And fly away from here" e "But mamma, I feel so low / Mamma, where do I go? / Mamma, what do I know? / Mamma, we reap what we sow / They always said that you knew best / But this little bird's fallen out of that nest now" , oltre che il concetto generale di "uccellino che vorrebbe volare via", adatto al personaggio di Beatrice. La presenza della nave e gli abiti della performance sono coerenti con questo mondo.
Il setting della storia è un mondo come il nostro, ma con eventi storici differenti, durante un'epoca di prosperità e sviluppo tecnologico, ma con un'estetica ottocentesca. Ho scritto altre storie su questo mondo e questi personaggi, le trovate nella serie a cui questa storia appartiene.
Grazie per essere qui!

TW: abusi in famiglia

 





Cinque volte nella serra di Beatrice


 
 
            Il braccio-tentacolo meccanico dell’irrigatore era stato piegato malamente perché diventasse una specie di catena. Con tutto il tempo che gli c’era voluto a montarlo, trovando le molle perfette e installando i motori migliori per calibrare i movimenti e la velocità! Il padrone di casa era un becero cialtrone incapace di apprezzare la bellezza della meccanica.
Il fatto che il braccio dell’irrigatore fosse stato piegato appositamente per incatenare lui e tenerlo bloccato nella serra, quello era spiacevole, ma non quanto vedere un macchinario ben costruito irrimediabilmente rovinato.
            Dara respirò e cercò di calmarsi. Infuriarsi per il sacrilegio meccanico non gli sarebbe servito a niente. Doveva rilassarsi e concentrarsi sull’elaborazione di una soluzione per uscire dalla serra.
            Concentrarsi non era facile in quelle condizioni, seduto in mezzo a un’aiuola dal terreno umido, con le braccia e il petto stretti dalla morsa spietata dell’irrigatore che lo teneva fermo, in quanto il tentacolo era collegato direttamente al serbatoio dell’acqua, un’enorme palla piantata a terra. Il modello di irrigatore Octopus era uno dei migliori in commercio, decisamente. Ma non era piacevole, quando qualcuno utilizzava un tentacolo del macchinario come catena impropria.
            Fuori dalla serra c’erano solo verde e silenzio. Il parco della villa della famiglia Sesti si estendeva in grande larghezza, ed era circondato da mura altissime.
            I Sesti erano arrivati ad Almiressa tre generazioni prima dall’Italia, trapiantati come molti altri nella città indipendente nordafricana, che offriva opportunità di ogni genere a chiunque avesse abbastanza coraggio e follia da volerla affrontare. Le ricche famiglie arrivavano lì continuamente: Almiressa aveva tutti i suoi problemi, ma per certi aspetti era davvero il centro del mondo. O di una parte molto significativa di mondo. In genere chi lasciava la vecchia Europa, le sue rigide regole sociali e le sue monarchie avariate, presto si adattava al clima permissivo e abbastanza libero di Almiressa. I Sesti però avevano mantenuto le idee retrograde e le tradizioni della nobiltà europea in via di estinzione, e si impegnavano a perpetuare l’infelicità da una generazione all’altra.
            Dara si occupava della tecnologia della loro casa da due anni, e in particolare della serra, che aveva varie zone con diversa temperatura e vegetazione. Supponeva però di aver ormai perso un cliente: il signor Sesti lo aveva fatto rinchiudere lì dentro, con la minaccia di tornare a breve a regolare un conto. Un conto che riguardava sua figlia Beatrice.
Il problema era che il signor Sesti non aveva capito niente.
            La mente di Dara continuava a tornare al ricordo di un’ora prima, quando era stato assalito lungo la via di casa Lui era grosso, alto e resistente, ma loro erano in quattro e lo avevano sopraffatto, trascinandolo a forza nella serra, al cospetto del capofamiglia. Uno dei quattro era Rahim, il giardiniere, quello a cui Dara aveva affidato i segreti dell’irrigatore.
 
            Rahim era un uomo di Almiressa, poco più vecchio di Dara, uno cresciuto nei quartieri poveri, che aveva considerato una fortuna e un riscatto sociale l’aver trovato un lavoro presso una famiglia ricca. Dara lo aveva trovato molto gentile e anche molto carino, in quel lungo pomeriggio durante il quale aveva messo in funzione il macchinario.
            Al momento di andarsene, il giardiniere si fece avanti e gli chiese timidamente se Dara avrebbe avuto piacere di rivederlo, magari quella sera stessa, magari proprio nella serra, che aveva alcune aree con una temperatura piacevolissima.
            Dara non era persona da rifiutare un invito del genere.
            La nottata nella serra fu deliziosa. Rahim era timido e impacciato. Gli aveva confessato di provare attrazione per gli uomini, oltre che per le donne, da sempre, ma di non aver mai avuto il coraggio di esternare quel sentimento. Dara parlò a lungo con il giardiniere, prima di iniziare anche solo a svestirsi, per essere certo che Rahim non si sarebbe pentito di tutto. Quando si convinse che l’altro fosse sicuro, allora si divertì nel ruolo dell’insegnante, lasciando spazio a curiosità e richieste.
            Rahim aveva capelli di un castano dorato, un viso che dimostrava meno dei suoi quarant’anni e un corpo snello e robusto, che era un piacere guardare mentre pian piano si svelava. Dara ne era intenerito, soprattutto perché pensava a quanto di certo fosse stato difficile vivere per tutto quel tempo senza poter essere completamente se stesso. E ne era attratto non solo perché era bello, ma soprattutto perché era curioso, e quello era il tipo di persona che Dara preferiva, nel sesso e in tutto il resto.
 
            Eppure un’ora prima Rahim aveva contribuito a imprigionarlo. Anzi, era stato il più rapido a mettergli le mani addosso, in tutt’altro modo rispetto all’ultima volta che si erano trovati insieme in quel posto. Non gli aveva detto nulla ma gli aveva riservato uno sguardo feroce.
            Gli era già successo, soprattutto con gli uomini. Andavano da lui, desiderosi di sperimentare, e poi se lo incontravano in giro, si univano allo scherno e al giudizio degli altri, additandolo come pervertito e vizioso, augurandogli la morte e l’inferno. Del resto, Almiressa era un po’ più libera di gran parte del resto del mondo, ma Dara non era sicuro che sarebbe vissuto abbastanza da vedere un mondo davvero libero, riguardo certe cose.
            Ecco, se non si fosse tirato fuori da quella situazione e si fosse trovato davanti il padre di Beatrice, forse non sarebbe vissuto abbastanza in senso più generale…
            Smise di pensare a Rahim e iniziò ad agitarsi, nel tentativo di allentare la presa del tentacolo meccanico. Beatrice Sesti aveva bisogno di lui: non c’era tempo per i pensieri deprimenti.
            Si fermò dopo un po’, furioso e fradicio di sudore e di goccioline di acqua. Lo sguardo si perse oltre un cespuglio di rose dai petali bianchi chiazzati di rosso, dentro un altro ricordo.
 
            La cameriera si chiamava Samira. Era stata lei ad attaccare bottone, fingendo di andargli addosso e poi scusandosi oltre misura, una mattina in cui lui cercava viti e ingranaggi a prezzo buono tra i banchi del Mercato Meccanico. Lui aveva sbirciato nel suo cestino: c’era un piccolo motore che aveva riconosciuto subito: la donna intendeva costruirsi o riparare un bollitore. Aveva iniziato a farle domande sull’argomento, scoprendo che Samira faceva la cameriera per i Sesti, ma aveva la passione della meccanica. I due chiacchieroni con lo stesso interesse avevano trascorso la mattinata davanti a un bicchiere di succo di frutta che lui le aveva offerto.
            Alla fine lei lo aveva invitato nella serra dei Sesti. Così, per provare altri tipi di meccanica.
            Di Samira ricordava i seni, non grandi ma di forma perfetta, e il divertimento provato nel farla aspettare, nonostante le sue proteste. Ci aveva messo quasi cinque minuti solo per scioglierle la cintura, ridendo della sua fretta e costringendo anche se stesso all’attesa. Gli piaceva vedere il divertimento, la curiosità e l’aspettativa negli occhi grandi di lei. La prima volta lo aveva lasciato prendere in mano la situazione e lui se l’era davvero goduta. Samira protestava perché non ce la faceva più ad aspettare, ma era evidente che il gioco le piaceva.        Quando finalmente si era ritrovata sotto di lui, aveva totalmente dimenticato tutti gli inviti alla prudenza e al silenzio che aveva fatto a Dara.
            La seconda volta invece Samira aveva deciso il ritmo e il modo. Dara ricordava la delicatezza dell’erba verde sotto i loro corpi, i tatuaggi sulla pelle ambrata di Samira, i capelli ricci tinti di rosso fuoco di lei, che si mischiavano con i suoi, neri, lunghi e lisci. Samira carezzava, si aggrappava, stringeva, graffiava ed era incapace di contenere la voce.
            Mentre si rivestiva, Samira lo guardava sognante, mentre lui era ancora a terra nel groviglio colorato delle sue vesti.
            «Come sarebbe bello, il mondo, se fossimo davvero liberi…»
            «Non ti senti libera?»
            «Non come vorrei. Credo che la libertà abbia sempre un costo. Tu dovresti saperlo. Più uno sbatte in faccia agli altri la propria libertà, più lo deve scontare.»
            «Io non sbatto in faccia niente a nessuno. A meno che non me lo chieda in modo molto specifico in una situzione che rende soddisfatti entrambi.»
            Samira rise.
            «A certa gente basta vedere un briciolo di libertà che loro non hanno, per decidere di odiarti. Vorrei solo vivere senza dovermi preoccupare sempre di quanto è cattiva e invidiosa la gente.»
 
            Ma Samira non era lì ad aiutarlo, e non c’era modo di sfuggire alla presa dell’irrigatore-mostro. Eppure non poteva rimanere lì. Doveva impedire il matrimonio di Beatrice.
            Chissà, forse Beatrice aveva mandato a quel paese padre, madre, fratelli, nonne e servitù, sfuggendo al destino imposto di un matrimonio non voluto…
            Oppure no. Beatrice era sola, ed era giunta a un risveglio della propria coscienza da poco tempo, troppo poco per scrollarsi di dosso vent’anni di insegnamenti repressivi. La repressione era l’aria che si respirava in quella casa: ne erano affetti tutti. Tutti a parte Samira, e forse Emmanuel.
 
            Emmanuel, trent’anni, cameriere, un uomo dalla gentilezza un po’ distante, con un linguaggio singolare, forse frutto del fatto che era figlio di una coppia mista – padre francese e madre sudafricana, e viveva ad Almiressa, lavorando in una casa dove si parlava prevalentemente italiano. Quello spaesamento linguistico aveva modellato il suo lessico e la sua sintassi, e Dara trovava adorabili le sue domande di meccanica e alchimia, così come il modo il cui gli aveva chiesto, con sfacciataggine e timidezza, di seguirlo da qualche parte, in privato.
            Dara, ormai esperto, gli aveva proposto la serra.
            Ricordava con divertimento la difficoltà di capire esattamente cosa Emmanuel desiderasse: il suo linguaggio unico e una certa piacevole ritrosia lo rendevano complesso da decifrare. C’erano anzi stati dei momenti di estrema perplessità. Però poi erano arrivati a una buona comprensione, con un risultato enormemente soddisfacente per entrambi, soprattutto quando Emmanuel aveva smesso di cercare di spiegarsi e aveva iniziato ad agire.
            Alla fine Emmanuel si era fermato per un po’ di tempo, disteso su una coperta che aveva recuperato prima di andare nella serra, rifugiato contro il fianco di Dara, a occhi chiusi e silenzioso. Dara aveva dato a Emmanuel tutto il tempo di calma e silenzio che desiderava, godendone anche lui. La tenerezza lo conquistava e lo appagava. Per lui il sesso era sempre stato un gioco, ma un gioco bello, basato sulla curiosità, l’ammirazione e la tenerezza per gli altri esseri umani.
Un gioco liberatorio, del quale purtroppo fin troppe persone avevano un’ingiustificata paura.
 
            Sua madre aveva deciso di istruirlo sulle cose della vita attorno ai dodici anni, ma Dara e sua madre vivevano con una delle persone più libere e irriverenti del mondo: Miriam, il genio dell’ingegneria che gli aveva fatto da madre, padre, sorella e migliore amico per tutta la sua infanzia e adolescenza, finché non era partito dalla Siria per andare ad Almiressa a conquistare il mondo.
            Doveva avere quasi otto anni, quando Miriam lo aveva preso da parte e gli aveva detto: adesso ti spiego una cosa, ma tu non dire niente a tua madre. Anzi, quando tua madre te ne parlerà, tra qualche anno, cerca di fare una faccia stupita.
            Sua madre era stata rapida nella spiegazione, soffermandosi soprattutto sul fatto che Dio aveva voluto l’incontro tra uomini e donne perché essi gli donassero figli. Miriam invece gli aveva parlato per tutto il tempo necessario, in modo semplice, chiaro e rassicurante.
            A Beatrice era andata diversamente.
            Dara l’aveva incontrata nella serra una volta che era andato lì per la manutenzione del sistema di regolazione della temperatura. Nell’area dedicata alle piante dei climi freddi c’era stato qualche problema, e adesso tre o quattro piante stavano morendo di caldo.
            Non si aspettava di vedere la figlia dei signori Sesti, e nonostante di solito fosse molto tranquillo riguardo la nudità, in quel momento gli dispiacque di essersi fatto trovare con indosso solo dei calzoni di lino larghi. Di solito era più coperto, quando lavorava, ma faceva davvero caldo, e poi era sicuro di essere solo (e un po’ sperava di essere visto da uno dei tre servitori che aveva conosciuto.)
            Beatrice era altissima e magra, con il viso rotondo dai tratti un po’ infantili, grandi occhi verdi e capelli di un biondo rossastro fini e lucenti. Indossava un abito verde, con le maniche lunghe e almeno tre strati di gonne.
            «Salve!» gli disse, con un sorriso fiducioso che lo spiazzò. Non si aspettava quella confidenza. I figli maschi dei Sesti non lo calcolavano neanche, trattandolo da inferiore. «Sono Beatrice Sesti.»
            «Lieto di conoscerla. Sono Dara. Mi occupo della tecnologia della sua casa.»
            «Lo so. Ero venuta a cercare te.»
            «Me?» Scosse la testa, sentendosi insolitamente imbarazzato di fronte al sorriso largo che non accennava a svanire. Cercò tra i cespugli attorno a sé la sua casacca e la ritrovò piena di terra e per metà rigirata. Iniziò a sistemarla per rimettersela, ma la ragazza parve contrariata.
            «Non importa che ti vesta.» Lui rimase fermo, con la casacca in mano. O Beatrice era molto diretta, o c’era qualcosa di strano. Poi il viso gentile si riempì di sgomento. «Ho sbagliato qualcosa? Forse non avrei dovuto dirlo. Però, per favore, puoi smettere di trattarmi con tutta questa serietà, come faresti con mia madre?»
            «D’accordo. Sei sicura che sia una buona idea, venire qui a parlare con me?»
            «Assolutamente no. Se la mia balia lo sapesse mi prenderebbe a schiaffi. Però non mi ha vista.»
            Lui si sentì raggelare. Studiò il viso della ragazza, chiedendosi quanti anni avesse e quale fosse la sua storia. Le disobbedì e si rimise la casacca, guardando fuori dalla serra, oltre la piccola foresta privata, per assicurarsi che nessuno li vedesse.
            «Beatrice, non dovresti stare qui. Non voglio che ti metta nei guai.»
            «Ti devo chiedere una cosa.»
            «Ci saranno tantissime persone, in casa tua, a cui puoi fare la stessa domanda.»
            «Nessuno mi risponderebbe. Per favore, posso chiedertelo?»
            Lui sospirò e si guardò attorno, individuando l’angolo più riparato dagli sguardi esterni di tutta la serra. Le fece cenno di seguirlo e la condusse in mezzo a una piantagione di arbusti tropicali che per tutto l’anno producevano splendidi fiori gialli striati d’arancione.
            «Cosa volevi chiedermi?»
            «Alcune delle cameriere prendono in giro Samira. Dicono che è una donna facile, una persona poco seria. Che è sempre a guardare gli uomini, e che una volta ha fatto sesso con te.»
            «Samira è una bravissima persona, e non dovresti…»
            «Non mi interessa sapere se è vero. Io voglio chiederti esattamente come funziona il sesso. Mi sono fatta un’idea vaga, ovviamente, ma nessuno vuole essere più chiaro, nemmeno Samira, e siccome ho sentito dire che forse ha fatto sesso con te, ho pensato di venire a chiederlo a te.»
            «Beatrice, quanti anni hai?»
            «Diciannove.»
            Si rimangiò un’imprecazione e rimase in silenzio, a fissare la terra umida che sporcava i suoi sandali e le piccole scarpe bianche della ragazza.
            «E nessuno ti ha mai parlato del sesso?
            «Mi hanno detto che capirò dopo il matrimonio. Mio padre mi ha già trovato il marito. Un mercante di Almiressa. Ha diciassette anni più di me ed è sempre serio. Non mi parla mai. Non mi piace la sua voce. Non è proprio per niente come i matrimoni nelle storie. Non so se mi sono mai innamorata, ma di sicuro non me lo immaginavo così.»
            «Senti, non sono sicuro che sia una buona idea, che io ti parli di queste cose.»
            «Se non me lo dici tu, non me lo dirà nessuno. Mia madre si mette a pregare, quando glielo chiedo. Le cameriere si zittiscono e lasciano la stanza. La mia balia urla e a volte mi picchia.»
            «La tua balia ti picchia spesso?»
            Beatrice fece un’alzata di spalle.
            «Mi serve per imparare a essere una brava persona. È normale.»
            «Non c’è niente di normale, nel picchiare qualcuno!» sbottò lui. «E non c’è niente di male nel fare domande. Avrebbero dovuto spiegarti tutto molto tempo fa.»
            «Allora spiegamelo tu. Mi sposo tra otto mesi. Vorrei sposarmi sapendo come funzionano le cose.»
            «Tu sei contenta di sposarti?»
            Un sorriso debole, poi gli occhi verdi si allontanarono dal viso di Dara e si persero tra i fiori gialli.
            «Non posso rifiutare.»
            «Sì che puoi! Devi parlarne con i tuoi genitori. Devi spiegare loro che non sei felice. Non ti obbligheranno, se tu non vuoi!»
            Beatrice tacque e si accoccolò sull’erba. Dara la guardò che tormentava con le sue piccole dita immacolate un fiorellino azzurro, nato spontenamente ai piedi delle belle piante coltivate.
            «D’accordo» sospirò lui, mettendosi a gambe incrociate davanti a lei. «Ti spiegherò alcune cose, e tu potrai chiedermi tutto quello che vorrai. Ma non dovrai dire a nessuno di questa chiacchierata.»
            Gli occhi verdi saettarono verso di lui, colmi di sollievo.
            «Te lo prometto.»
            Dara iniziò a spiegare. Beatrice ascoltava come l’alunna migliore della classe, attenta e concentrata. A volte lo interrompeva con domande un po’ ingenue, ma sensate. Pian piano parve capace di rimettere insieme le mezze verità che aveva nella testa.
            «Ed è una cosa normale e buona, giusto?» gli chiese alla fine. Lui annuì e lei rimase pensierosa. «Perché non me l’hanno mai detto?»
            «Perché alcuni credono che ci sia qualcosa di male.»
            «La mia famiglia dice che non se ne può parlare. Tu invece ne parli. Chi ha ragione?»
            «Dovrai decidere tu, dopo averci pensato bene da sola.»
            «Ma se è una cosa naturale, perché Dio non dovrebbe essere d’accordo?»
            «Sei l’unica che può darsi una risposta.»
            Beatrice rimase in silenzio per un po’, lasciando Dara in preda ai dubbi: aveva realmente fatto un favore alla ragazza, con quella chiacchierata?
            «Quindi il fatto che tu mi piaccia senza casacca dipende da questo?» rriprese lei, dopo qualche momento. «Interessante.»
            «Sì, ma lascia perdere questo discorso…»
            «No, non voglio lasciare perdere, voglio capire!
            «Sì, Beatrice, evidentemente mi trovi attraente e non c’è niente di male.»
            «Ma tu lo faresti sesso con me, adesso?»
            «No.»
            «Perché?»
            «Perché sei giovane. Perché non sei pronta. Quando lo farai, dovrai essere convinta e consapevole di quello che stai facendo.»
            «Lo farò con mio marito, credo. Ma non vorrei. Non mi piace. Tu quanti anni hai?»
            «Trentasette.»
            «Il mio futuro marito ne ha trentasei. Perché va bene se faccio sesso con lui, ma non con te?»
            «Perché non sai cosa stai facendo e non è giusto. Ti prego: parla con i tuoi. Cerca di far capire loro che non vuoi sposarti.»
            «Mia cugina l’hanno costretta, a sposarsi. Era scappata e mio zio l’ha riportata a casa. L’ha picchiata con la cintura finché lei non ha chiesto scusa e ha promesso che si sarebbe sposata.»
            «Ma nella tua famiglia pensano di risolvere tutti i problemi picchiando la gente?»
            «Gli uomini possono farlo, se devono educare le donne.»
            «No, assolutamente no! Nessuno dovrebbe mai fare del male agli altri. E comunque, non impariamo niente con la violenza. Magari obbediamo, così smettono di farci male, ma non impariamo.»
            «La mia balia dice…»
            «La tua balia ti prende a schiaffi se fai domande sul sesso, ma tu non hai smesso di farle.»
            «Hai ragione. Quindi non ho imparato niente.»
            «Se si fosse seduta insieme a te e ti avesse risposto, sarebbe stato diverso.»
            «Sì, è vero.»
            «Senti, Beatrice, prova a parlare con i tuoi. Però se dovessero rimanere della loro idea, o se ti facessero del male, chiedi aiuto a Samira per andartene da qui.»
            «Andarmene? E dove?»
            «Se hai bisogno di un posto dove nasconderti, io e la mia famiglia saremo felicissimi di accoglierti. Oppure, se hai qualche amico, ti porteremo lì»
            «Non ho amici. Solo le mie cugine. Ma ora sono tutte sposate. Sto sempre solo con la mia balia e con alcune cameriere. Sai, pensavo che…»
            Dara la zittì con un gesto. Fuori dalla serra stava passando qualcuno.
            «Beatrice, ora io tornerò al lavoro e tu ti alzerai, pian piano, e ti metterai a passeggiare tra i fiori molto lontano da me. Nessuno deve sapere che abbiamo parlato.»
            «Va bene» disse, e disparve dietro una nuvola di fiorellini bianchi profumati di miele.
 
            La porta della serra fu spalancata con fragore e il signor Sesti entrò nella serra con alcuni servitori. Erano tutti vestiti a festa, ma le loro facce erano scure.
            «Signore, come vede è rimasto qui, imprigionato.» Emmanuel spuntò dal gruppetto dei servi e posò una mano gentile sul braccio del suo padrone. «Non può essere stato lui.»
            «No» ringhiò l’uomo. «Questo non significa che non debba pagarla anche lui.»
            «Ma non adesso. La nostra priorità è ritrovare Beatrice.»
            «Sì.» Tacque, poi lanciò un altro sguardo carico d’odio contro Dara. «Beatrice è scappata di casa, stamattina, prima del matrimonio. La ritroverò e metterò in chiaro le cose con lei. Poi verrò da te.»
            Dara lo guardò uscire dalla serra, la testa sempre più confusa.
            La sera precedente Sesti lo aveva fatto rinchiudere nella serra per evitare che sabotasse le nozze di Beatrice. E ora gli veniva a dire che la ragazza era scappata. Quella era un’ottima notizia, certo, ma in tutta la faccenda c’era qualcosa che non tornava.
            Ripensò alla sera prima, nel tentativo di riconnettere gli elementi della vicenda.
 
            Dara stava tornando alla nave su cui viveva, quando fu assalito dai servi di Sesti. Lo trascinarono nella serra e lo bloccarono lì, facendo violenza all’irrigatore.
            «Che cosa hai fatto a mia figlia?» gli chiese Sesti. « Sei andato a letto con lei?»
            «Assolutamente no! Ho visto sua figlia solo una volta, abbiamo scambiato due parole.»
            «Oggi, a meno di un giorno dal matrimonio, mia figlia ha fatto una scenata intollerabile, dicendo che non voleva sposarsi.»
            «E voi volete farla sposare comunque? Che razza di genitori siete?»
            L’uomo lo schiaffeggiò con violenza e Dara pensò che, al solito, riusciva sempre a far incazzare gli stronzi ogni volta che si trovava immobilizzato davanti a loro.
            «Ha strappato il vestito da sposa ed è quasi riuscita a buttarsi dalla finestra. Ed è tutto per colpa tua!»
            «Cosa c’entro, io?»
            «Una delle serve si è ricordata di avervi visti nella serra, qualche mese fa, e siccome a quanto pare sei famoso per essere un pervertito immorale, abbiamo chiesto a Beatrice se avete fatto cose sconvenienti, qui dentro. E lei si è messa a piangere. Giurava di no, ma era rossa in viso, ed era chiaro che mentiva!»
            «Non mentiva. Abbiamo chiacchierato, poi io sono tornato al lavoro e lei se n’è andata.»
            «Non credo né a te né a lei. Adesso rimarrai qui, e io condurrò Beatrice in chiesa e la farò sposare. Appena l’avrò messa sulla carrozza di suo marito, verrò da te.»
 
            Mezz’ora dopo che Sesti se n’era andato, dopo avergli annunciato la fuga di Beatrice, la porta della serra si aprì di nuovo: sulla soglia c’erano Emmanuel e Samira. La donna raggiunse Dara correndo e gli si inginocchiò accanto, macchiandosi di terra argillosa l’abito da cerimonia color pesca.
             Come stai?» gli chiese. «Perdonaci, ma era l’unico modo per salvare Beatrice dal matrimonio ed evitare che suo padre desse la colpa a te.»
            «Non ho capito niente.»
            «Sesti ti ha portato qui, ieri notte, perché gliel’ho suggerito io.» disse Emmanuel. «Ieri pomeriggio Beatrice ha detto che non voleva sposarsi. Suo padre si è convinto che dietro quella richiesta ci fosse un uomo. L’hanno riempita di domande. Sembrava sotto tortura. Non riusciva più nemmeno a parlare e loro insistevano. Poi una delle cameriere all’improvviso si è ricordata di averla vista nella serra con te. Sesti allora ha deciso di incolpare te di tutta la faccenda.»
            «Ho solo parlato con lei. Non le avrei mai…»
            «Sappiamo cosa vi siete detti» disse Samira. «Alla fine della giornata, quando ormai Beatrice aveva acconsentito di nuovo al matrimonio, è venuta da me. Mi ha raccontato della vostra chiacchierata. Mi ha implorata di non farla sposare. E io ne ho parlato con l’unica persona decente in quella casa.» Indicò Emmanuel. «Abbiamo pensato di farla fuggire stamattina presto.»
            «Ma dovevamo crearti un alibi, in modo che Sesti non venisse a cercarti per ammazzarti» disse Emmanuel. «Così l’ho convinto a imprigionarti, casomai tu avessi cercato di impedire le nozze. Gli ho detto che dopo avrebbe potuto regolare i conti con te, e lui ha pensato che fosse un’ottima idea. Quindi ieri ti hanno preso. Stamani all’alba Samira ha portato via Beatrice e io ho coperto la loro fuga.»
            «E ora Beatrice dov’è?»
            «Sulla tua nave.»
            «Adesso ti liberiamo» disse Samira. « Ma faremo in modo che sembri che tu sia fuggito da solo. Certo, Sesti verrà a cercarti, ma…»
            «So come fare, per tenermelo lontano. Mi serve qualcosa per scrivere.»
            Emmanuel lo liberò con non poca fatica. Samira sparì e tornò poco dopo con carta e matita.
            «Sei sicuro che basterà un biglietto, a proteggerti dal padrone?» gli chiese.
            «Sì. Vi prego però di non leggerlo. Voglio che resti tra me e lui.
            Appoggiò il foglio contro la schiena di Emmanuel e scrisse:
 
            Caro signor Sesti,
se lei si permetterà di nuovo di cercarmi e sequestrarmi, io farò sapere a tutta Almiressa che lei è un cliente fisso della signora Dalia, dominatrice professionale. La signora ha il suo posto di lavoro vicino a una casa che ho restaurato di recente, quindi mi è capitato spesso di vederla entrare. Terrò il suo segreto a patto che si dimentichi di me.
 
            Ripiegò il foglietto e lo lasciò cadere vicino all’irrigatore.
            «Grazie di tutto» disse, stringendo le mani dei due servitori.
            «Grazie di cosa?» Emmanuel scosse la testa. «Ti abbiamo solo causato guai. Ma ormai il tuo nome era venuto fuori e Sesti era fuori di sé. Parlava di venire alla tua nave con i suoi uomini, armati. So che hai una famiglia, un bambino… Ho avuto paura.»
            «Avete fatto la cosa giusta. Avete salvato Beatrice dall’infelicità e mi avete evitato guai futuri molto peggiori.»
            «Vai» gli disse la donna. «Qualcuno ti aspetta fuori dalle mura, oltre l’uscita che dà sul parco.»
 
            Fuori dal giardino c’era Mirick. Dara ne studiò da lontano il viso accigliato, per rintracciarvi quella furia contenuta, un po’ comica e un po’ spaventosa, che spesso lo coglieva quando doveva recuperare Dara in seguito a qualche disavventura. Cercò di affrettare il passo, ma la stanchezza lo fece vacillare, e dovette fermarsi per non perdere l’equilibrio. Mirick allora lo raggiunse e gli porse il suo braccio. Lo sostenne finché non trovarono una panchina dispersa tra i cespugli ipertrofici che affollavano il parco un po’ selvaggio.
            «Io non capisco come sia possibile che tu non riesca ad aiutare gli altri senza farti male!»
            «Hai un modo così perfetto di usare la concordanza dei tempi verbali che mi eccita.»
            «Non dire stronzate.»
            «Anche le tue parolacce hanno un che di esotico e proibito che mi fa sognare.»
            Mirick frugò nella sua tracolla e ne trasse fuori un recipiente trasparente di vetro che solitamente serviva allo scienziato per sperimentare piccole reazioni alchemiche. Si diresse verso una fontana poco distante, lavò il recipiente e lo riportò a Dara pieno d’acqua.
            «Bevi. Hai una faccia che fa spavento.»
            «Ho passato una notte e mezza giornata chiuso in una serra.»
            «Lo so. Emmanuel e Samira ci hanno spiegato tutto.»
            «Allora dovresti sapere anche che questa volta non è colpa mia, se mi sono fatto male.»
            «Sarebbe potuta andarti peggio.»
            «Invece me la sono cavata con qualche livido e un po’ di caldo. Fammi riposare cinque minuti e starò benissimo. Ti dispiacerebbe portarmi ancora acqua?»
            L’altro obbedì e tornò poco dopo con l’acqua e una melograna colta da un albero vicino. Dara si gettò sui chicchi rossi con entusiasmo.
            «Allora, raccontami un po’ questa storia» sospirò Mirick, sedendoglisi accanto.
            Dara tacque per qualche momento, sorpreso da un alito di vento gentile che gli sfiorò la fronte e gli scompigliò i capelli. Il sole scendeva e riempiva il cielo di una luce color miele. La dolcezza del frutto e la presenza dell’altro sembravano volerlo riconciliare con tutte le cose. Si prese qualche istante per guardare Mirick: l’estate di Almiressa asciugava il suo fisico già di per sé esile, affilava i suoi lineamenti e riempiva di entusiasmo febbrile e creativo i suoi occhi azzurri. Per Dara era una delle persone più belle del mondo, anche se lui era andato nel panico l’unica volta in cui Dara aveva provato a dirglielo. Ecco, neppure Mirick parlava mai di sesso, ma solo perché era la cosa per cui aveva meno interesse al mondo. Per questo non aveva mai giudicato il comportamento di Dara. Non gliene importava niente e continuava a stargli accanto, a essere la sua famiglia e il suo…
            Non avevano mai trovato una parola. A Mirick non importava molto neppure di quello. Dara avrebbe voluto trovarla, ma ancora gli sfuggiva un vocabolo capace di contenere tutto ciò che sentiva per Mirick.
            «Allora, racconti o no?» incalzò l’altro.
            «Scusa. Mi ero incantato a guardarti. Comunque, la storia è semplice.»
            «Davvero? Con te non c’è mai niente di semplice.» Poi sospirò e gli sorrise, posando la mano su quella di Dara. «Scusa, divento scortese quando ho paura per te. Ti ascolto.»
 
            La Nour portò Beatrice Sesti al sicuro, insieme a Samira, che abbandonò la casa in cui lavorava poco dopo la fuga della ragazza. Un’amica della Nour, Amna, cercava bibliotecari affidabili per la sua immensa e preziosissima collezione di volumi da tutto il mondo, e le due donne furono accolte con entusiasmo. Beatrice non aveva studiato molto e la prospettiva di passare del tempo tra i libri l’aveva riempita di gioia. A volte le cose erano semplici e rendevano tutti un po’ più felici.
            Beatrice scriveva a casa ogni mese per rassicurare i suoi e dire che stava bene ed era felice. Non fu mai perdonata per l’affronto all’onore familiare.
            Sesti non rientrò mai più nella vita di Dara, se non con qualche sguardo truce se si incontravano casualmente per la strada.
            Emmanuel lasciò il lavoro dai Sesti sei mesi dopo la fuga di Beatrice, trovò un’occupazione presso un’altra famiglia e si iscrisse all’università. Ogni tanto passava qualche serata con Dara.
            Rahim prese l’abitudine di offendere Dara ogni volta che aveva occasione di incrociarlo, e Dara iniziò a evitarlo. Un giorno il mondo sarebbe stato più gentile e le persone non avrebbero avuto rimpianti così profondi solo per aver trascorso una notte piacevole in una serra.
            Forse.





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