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Autore: D a k o t a    30/03/2020    17 recensioni
[early Stanford!era - NO incest - Sam&Dean]
In cui Dean, nei mesi seguenti alla partenza di Sam per l'università, va sempre a Stanford / o in cui John e Dean si incontrano a Stanford senza esserci arrivati insieme.
"Non si sente mai solo, davvero. E’ solo che, a volte, tutta quella responsabilità è un peso che non sa gestire.
Potrebbe chiedere a suo fratello, se solo non l’avesse piantato in asso per un’università privata come un qualunque ragazzino annoiato e viziato."
[Partecipa al "Lock DEown" del gruppo "We are out for prompt]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutte le strade portano a Stanford

Ottobre

Da quando ha cominciato a cacciare da solo, Dean realizza di aver letteralmente cacciato da ogni parte dell’America, nei posti più disparati, di aver calpestato ogni minimo lembo di terra – Carolina del Nord, South Dakota e ancora Virginia, Montana e ancora… - tranne uno e quella possibilità gli è rimasta incagliata fra i pensieri perché non è giusto che continui a fuggirgli perché è la sua città.

 

(In macchina, mentre guida verso Stanford, si autorizza a ricordare ogni piega, ogni gesto, ogni parola fuoriuscita quell’ultima volta dalle labbra di Sam.

Si autorizza a ricordare la voglia di ridere con lui, quella di incazzarsi che passava sempre dopo qualche stronzata pensata ad alta voce, le sue domande e le mille insinuazioni.)

 

La prima volta che arriva a Stanford è la più difficile perché la tentazione di andarlo a cercare - di andare a dirgliene quattro perché se n’è andato così - è ancora vivida nella sua mente come lo è la sua sfacciataggine, la sua arroganza e il suo modo di dire ogni cosa, di urlare ogni cosa.

Arriva davanti al suo studentato, accarezza la maniglia della porta dell’Impala, ma poi preme sull’acceleratore prima di fare qualcosa di stupido – prima di permettersi di infrangere quei maledetti piani per il futuro a cui quell’idiota teneva tanto.

 

 

Dicembre

Si ricorda che è Natale solamente perché nel suo motel, prima di dargli una stanza, il gestore gli sibila “Buone feste”, a cui risponde con un vuoto Giusto. Altrettanto”.

Non può essere Natale, no?

Fissa le lucine dell’albero, e vecchi cassetti cigolano nella sua mente e una parte di lui pensa: che cosa importa ormai? Ora che quell’idiota di suo fratello se n’è andato e suo padre non c’è e non ha più nulla a trattenerlo dal correre a cercarlo, ora che -

Passa la notte di Natale a macinare chilometri, arriva a Stanford ma non va da lui.

Lo vede sulla soglia di casa mentre bacia sulle labbra una ragazza bionda sotto il vischio – in un’altra occasione gli avrebbe dato una pacca sulle spalle perché complimenti davvero, Sammy.

Si prende una sbronza epica la notte di Natale ed è qualcosa di maledettamente squallido persino per i suoi standard, annega in una birra tutto il suo dolore e riparte. Da solo.

 

 

Gennaio

Dean ha avuto anche altri nomi, altre vite: ricorda di aver visitato New York ed essere stato un agente della polizia, ricorda un viaggio in Montana e le sue labbra dire di chiamarsi Sam per poi scoppiare in risolino strozzato, ricorda di aver incontrato un ragazzo che, quando l’aveva salvato, aveva fatto una faccia così simile a quella di Sam da bambino quando gli aveva detto la verità da fargli chiedere se per caso non avesse rovinato la vita anche a lui.

La terza volta che lo va a trovare lo fa – davvero! - solo perché ha un lavoro da svolgere nella zona e se prende l’interstatale allora Stanford resta proprio sulla strada – le combinazioni, no?

 

A volte sente ancora suo padre perché il colosseo – o tutta Stanford? - sarebbe caduto prima che John Winchester si tirasse indietro dal coordinare una caccia, ma ultimamente i contatti si fanno più radi, più labili e Dean si dice come sempre che avranno la vita per recuperare, che riprenderanno a vedersi quando il ricordo di quello che è successo con Sam non sarà più così vivido, quando il tempo avrà fatto il suo corso e sanato le ultime ferite (una parte di lui sa già che non accadrà).

 

 

Marzo

Una volta lo chiama – non è vero: è ubriaco ed è stata una giornata difficile perché quel mutaforme figlio di puttana non voleva morire e tocca un qualche tasto del cellulare e chiama un numero ed è il suo, maledizione! - e Sam incredibilmente risponde, fa appena in tempo a sentirlo dire “Dean?”, prima di riattaccare e rovesciare un’intera bottiglia di birra sul suo cellulare, ché non si sa mai.

E’ vivo ed è tutto quello che conta.

 

 

Aprile

Non si sente mai solo, davvero. E’ solo che, a volte, tutta quella responsabilità è un peso che non sa gestire.

Potrebbe chiedere a suo fratello, se solo non l’avesse piantato in asso per un’università privata come un qualunque ragazzino annoiato e viziato .

 

 

Maggio

Lo incrocia per caso, un giorno – o meglio per caso per Sam, che è così assorto dalla ragazza al suo fianco, dai suoi nuovi amici e dalla sua nuova vita che non se ne accorge e Dean sente qualcosa spezzarsi a quella consapevolezza. A fargli distogliere ancora di più lo sguardo è il sorriso che gli incornicia le labbra e tutta quella fottuta normalità che desiderava così tanto e che adesso sembra riempirgli il cuore. E oh, gli era mancato e l’aveva sempre saputo, ma non aveva realizzato quanto fino a quando non l’aveva avuto davanti. Dean si allontana perché aveva sperato di salvarlo – che ci fosse qualcosa da cui salvarlo - e invece -

Suo padre lo chiama, quel giorno – perché John Winchester oltre ad un pessimo carattere ha anche un pessimo tempismo. Parlano del nuovo lavoro, di un nuovo bastardo da uccidere e non gli dice di essere da Sam – di essere davanti alla sua università. Non glielo dice, perché non ha nessuna importanza.

“Dove sei?” gli chiede ad un tratto e Dean si sente nuovamente come quando aveva dieci anni e aveva combinato un casino e non sapeva come uscirne.

“A Los Angeles, papà. Te l’ho detto” risponde, incerto.

Non è mai stato tipo da mentire a suo padre – beh, a meno che non si trattasse di coprire Sam -, ma quella è un’incudine che pesa ancora troppo su entrambi per essere affrontata.

“Do la colpa a tuo fratello del fatto che pensi che mentirmi sia del tutto tollerabile” lo rimprovera ed il tono è più affilato di prima.

Aspetta. Cosa?

“Non capisco” risponde, ma forse ha capito e comincia a scendere dall’Impala.

Non può essere, no? O forse sì.

“Cosa pensi che io sia? Un idiota che non sa riconoscere la sua macchina, forse?”

Ok. Bene. Ha decisamente bisogno di una spiegazione e di sedersi per affrontare la sua stupidità perché come ha potuto fare un errore così -

“No, signore” risponde, perché riconosce quel tono.

Lo cerca con lo sguardo nel parcheggio per un po’, prima di riconoscere la Sierra Grande di suo padre, parcheggiata un paio di file di distanza dalla sua.

Si allontana a grandi falcate, maledicendosi per le sue pessime idee e chiedendosi perché è lì in primo luogo, perché sono lì in primo luogo, visto che Stanford la loro famiglia l’aveva divisa, quindi non può essere un buon posto per una reunion. E poi, insomma: una reprimenda di John Winchester è qualcosa da evitare persino a ventitré anni.

“Non stavo mentendo” afferma, salendo sul lato del passeggero e sperando di non farlo infuriare ancora di più. “Ero a Los Angeles ieri, ma ho finito prima ed ero… Mi dispiace, ho pensato che...”

Si interrompe. Non vuole dire proprio a suo padre, fra tutte le persone, di aver visto Sam nella sua università, di averlo visto mano nella mano con una ragazza; di aver osservato da lontano il posto in cui dormiva e la sua ombra immensa proiettata sull’asfalto.

“Credi che questa sia una distinzione che posso accettare?” insiste suo padre, anche se ormai a volte gli sembra più che altro di infierire su un cucciolo.

“No, signore” risponde, diligentemente.

Vi è una pausa di silenzio ed è quello il momento – quello in cui fissano la strada per evitare di guardarsi negli occhi e dover dire “Mi sono arreso” o peggio “Mi importa ancora” -che Dean sceglie per fare un’osservazione. Non una domanda – perché non è mica Sam -, ma un’osservazione.

“Non mi aspettavo che ci saremmo incontrati qui, papà” gli dice, e la domanda rimane sottesa.

“Sono di passaggio. Ero a caccia a Los Angeles ieri” risponde ed il tono rimane distante, ma meno affilato nell’usare la sua stessa bugia contro di lui.

Poi, per un attimo, suo padre accenna un mezzo sorriso. Che non so, gli pare un modo di dire che, va beh, mica vuole farla tanto lunga, no? Può anche crederci, no? Può anche accettare quella risposta senza sottilizzare la questione di Stanford. Non è mica -

E allora Dean gli risponde con un altro mezzo sorriso dolorosamente simile, ché tanto non gli costa nulla.

“Beh” osserva, guardando le gocce di pioggia rincorrersi sul finestrino. “ Alla fine tutte le strade portano a Stanford”

NDA 

Questa storia è stata scritta per il "Lock DEown event" del gruppo We are out for prompts. Il prompt era: "SPN; Sam & Dean; I primi mesi a Stanford di Sam, Dean va a trovarlo di nascosto, con la segreta speranza di vedere suo fratello in difficoltà, per poterlo portar via da quel luogo" e lo so che vi rompo l'anima in continuazione con le storie pre-serie in questa sezione, ma non potevo perdere l'occasione per un po' di angst, no? No. Le recensioni sono sempre gradite. 

 

 

 

 

 

 

   
 
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