Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    30/03/2020    2 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quella speranza infantile che tutto sarebbe andato per il meglio si infranse fin troppo velocemente.

Quella sera, Kolivan li chiamò durante la cena.

Si era sentito come una bomba a orologeria per tutto il giorno, in attesa che li contattasse, ma Lance non era comunque pronto. La paura lo schiacciava come metallo fuso, incandescente e pesante e fin troppo malleabile. Poteva essere forgiato con facilità in dolore o rabbia. Fece finta di non sentirlo, e lo sconcertò il fatto che gli risultasse così facile fingere. Ma era quello che aveva sempre fatto, no? Fingere.

L’intero team dovette abbandonare la sala da pranzo per riunirsi sul ponte di comando; Lance si sentiva lo stomaco sottosopra. Gli sembrava di affondare nelle sabbie mobili a ogni passo. Non voleva sentire quello che Kolivan avrebbe detto. Ne aveva paura. Era stanco di fingere che non ne avesse.

Dopo aver confidato a Keith dei suoi ricordi il giorno prima nella stanza degli allenamenti, erano andati a pranzare insieme. Non si erano detti granché. Keith probabilmente stava rimuginando sulla confidenza che gli aveva fatto e Lance si sentiva troppo nervoso per parlare, temendo di lasciarsi sfuggire l’intensità dei suoi sentimenti. Ce li aveva sempre sulla punta della lingua dopo quello che era successo ed era troppo, troppo presto per quello.

Hunk gli si era avvicinato quando Keith si era alzato per parlare con Shiro.

“Allora?” Disse Hunk con un sopracciglio inarcato mentre lavava un piatto nel lavandino.

“Ora lo sa.” Rispose Lance con semplicità, asciugando una ciotola con un canovaccio.

Lance aveva trascorso il pomeriggio con Hunk e Pidge, il che significava che aveva perlopiù ascoltato la conversazione invece che parteciparvi, ma gli andava bene. Aveva un sacco di cose per la testa e aveva passato metà del tempo a desiderare di trovarsi da un’altra parte, non sapendo se essere da quell’altra parte fosse okay.

Dopo quel pomeriggio, rivide Keith per la prima volta solo a cena ed era così stupido come gli sembrasse di vederlo per la prima volta. Era entrato nella sala da pranzo tutto vestito di nero con Krolia al suo fianco e quasi sorrise quando Pidge gli disse che era davvero felice che fosse tornato anche solo per un po’; Lance si sentì come se gli avessero tirato un pugno nello stomaco. Si ricordò di come la prima volta che aveva visto Keith era caduto in ginocchio, e pensò che non era stata affatto una reazione esagerata.

Ora che stavano entrando nel ponte di comando cercò disperatamente di non sentire l’ansia che gli si rivoltava nello stomaco, ma il suo sguardo, come sempre, aveva trovato Keith e non smetteva di seguirlo. Voleva stare al suo fianco, chiudere quella distanza, ma la vicinanza non avrebbe mai colmato il fatto che Keith se ne sarebbe andato. Se lo sentiva dentro che se ne sarebbe andato. Hunk non gli aveva dato molte informazioni sul suo comportamento, ma Keith, pensò, aveva il vizio di andarsene. Poteva sentire la verità di quella sensazione come un marchio rovente nel petto.

Era per questo che Keith gli era mancato così tanto quando si era svegliato e non capiva ancora nulla. Perché Keith non era lì; se n’era andato.

Probabilmente Kolivan mi chiederà di guidare un’altra spedizione su quella luna, dato che ci sono già stato. Questa è una guerra, Lance, la missione è più importante di me.

Prese un respiro profondo ed espirò lentamente, tremando. Il rischio di non rivedere più Keith era fin troppo concreto e non lo voleva accettare. Sapeva di non poterlo sopportare. Non di nuovo. L’unica cosa che gli rimaneva, l’unica cosa che contava per lui, era Keith. Gli era legato in modo viscerale. Non ricambiato, forse, ma si trattava comunque di un legame a livello dell’anima. Non voleva neanche smettere di guardarlo; come poteva anche solo sperare di lasciarlo andare quando la probabilità che non tornasse mai più era così alta?

Merda, non ce la poteva fare.

“Salve, Kolivan,” Lo salutò Shiro, stando davanti al gruppo. Allura era al suo fianco e Keith e Krolia all’altro, mentre Pidge e Hunk erano rimasti insieme a Coran un paio di passi avanti a Lance. Lance si sforzò di guardare lo schermo, ben sapendo che Kolivan non avrebbe di certo guardato lui, nella speranza di mantenere un atteggiamento concentrato e attento senza lasciar trapelare il fatto che gli veniva da vomitare. Teneva le sopracciglia inamovibili, le labbra tirate in una linea dura. Il cuore gli vibrava costretto in una stretta dolorosa.

“Abbiamo discusso dei prossimi passi da intraprendere dopo la nostra riunione di ieri,” disse Kolivan dopo aver salutato. “Keith, Krolia, dovete fare rapporto alla base il prima possibile. Avremo bisogno di entrambi per questa missione. La vostra familiarità con l’ambiente e la vostra abilità ne assicureranno il successo.”

Keith.

Lance chiuse gli occhi e si sforzò di mantenere regolare il respiro che gli sfuggiva dalle labbra tremanti.

Merda, non ce la poteva fare.

Anche se sapeva che sarebbe successo, non ce la poteva fare.

Riuscì a mantenere il controllo della sua facciata nonostante l’improvvisa e violenta tempesta di disperazione che lo stava lacerando da dentro. Si sostenne comunque alla sedia che aveva di fianco, stringendone lo schienale per ritrovare l’equilibrio. Aprì gli occhi e il suo sguardo fu subito, subito, attirato dalla schiena di Keith come se lo stesse già guardando, cercato inconsciamente .

“Quando partiamo?” Chiese Krolia. La sua voce suonava distante.

“Immediatamente,” le disse Kolivan.

“Possiamo aiutare in qualche modo?” Chiese Allura, perché si trattava di un intero gruppo della sua gente di cui nessuno sapeva nulla, ma Lance non stava più prestando attenzione allo scambio e gli cadde la maschera dal volto. Il panico che pensava di aver respinto tornò come spinto dalla vendetta, e l’ansia si aprì in lui come un enorme abisso. Quel momento di felicità con Keith nella stanza degli allenamenti gli sembrava così lontano, onirico, una bolla di fantasia troppo bella per essere vera, e forse era egoista, ma non ce la poteva fare.

“Vengo anch’io.”

La sua voce era roca, lo fece sembrare più grande, ma forte abbastanza perché ogni singolo paio di occhi nella stanza si volgesse verso di lui. Cercò di far passare la sua postura per ostentata noncuranza. Lo sguardo di Keith si fissò su di lui, duro, l’espressione scura e le sopracciglia corrugate, e Lance lo ricambiò per un lungo e cocciuto momento prima che Shiro richiamasse la sua attenzione.

“Lance, dobbiamo pensare a Voltron,” disse con una voce che era al tempo stesso dura e confusa dalla sua reazione improvvisa. “Abbiamo bisogno di te qui nel caso in cui succeda qualcosa.”

Lance si scostò dalla sedia, ritrovando miracolosamente le forze con la sua testardaggine. Gli occhi di Keith erano roventi, tangibili come un tocco, inamovibili. “Il leone rosso è ben armato ed è veloce,” argomentò Lance con fermezza. “Il viaggio sarebbe più sicuro se trasportassi le Spade con Rosso. Nei due mesi dopo la mia morte abbiamo avuto bisogno di Voltron, tipo, una volta sola. Non avete così tanto bisogno di me, Shiro.”

Allura intervenne. “Ora abbiamo a disposizione anche la nave che ho costruito con Lotor e funziona a pieno regime,” disse con calma, ma dal suo viso trapelava la confusione. “L’universo non rimarrebbe senza un difensore.”

“Non abbiamo bisogno di armature o di velocità extra,” si intromise Keith, e tutti si girarono a guardarlo. “Non c’è motivo di mettere Voltron in pericolo, sarebbe imprudente.”

Poteva vedere che Keith si ricordava di quella sera, ed era così chiaro su quel volto che gli era ancora così sconosciuto. Aveva la stessa espressione della notte prima, quel qualcosa di bruciante che non riusciva a comprendere. Quell’intensità era terrificante e bellissima al tempo stesso, e Lance rischiava di reagire allo stesso modo della scorsa volta, con lacrime e una litania di scuse.

Il mio cazzo di posto è dove io voglio che sia.
E quindi? Vuoi che quel posto sia con me?

Lance distolse lo sguardo. Aveva già ammesso che gli era mancato e gli aveva mostrato la sua paura di perderlo. Non voleva essere ancora quel tipo di persona che sapeva solo piangere e aspettare. Non più, non ora che sapeva che cosa significava proteggere e difendere. Non quando Keith era finalmente lì ed era vivo e Lance poteva fare qualcosa per assicurarsi che le cose rimanessero a quel modo: e vivo. Si rifiutava di sentirsi imbarazzato per quello, di sentirsi in colpa.

“Io vengo.” Disse in una voce così decisa da far fermare il suo stesso cuore. Lo stavano guardando tutti di nuovo, poteva sentirlo, ma fissò con intensità uno dei pannelli scuri del pavimento e lasciò che fosse la sua espressione a parlare per lui. “Non ho preso una sola decisione di testa mia da quando mi sono svegliato in questo stato. Voglio dare una mano; so di poterlo fare.” Incontrò lo sguardo di Keith. “Rosso è stato progettato per questo tipo di missioni e se non foste così fissati con Voltron ve lo ricordereste anche voi.”

Le sopracciglia di Keith lo distraevano, la loro linea dura sopra i suoi occhi attenti e talmente scuri che Lance temeva di poterci cadere dentro e scomparire per sempre. “Non è mia la decisione da prendere,” disse Keith alla fine, scandendo ogni parola, riconoscendo il suo affondo. Guardò di sfuggita ai sui lati. “Shiro? Allura?”

Allura fu la prima a rispondere. “Non vedo perché no… Lance ha ragione sul leone e so che mi sentirei meglio a sapere che sei al sicuro con lui. Il leone rosso può sostenere più danni di qualunque altra nave spaziale, che verrebbe altrimenti fatta a pezzi nell’abisso quantistico.”

Shiro corrucciò le sopracciglia. “Non credo che sia l’idea migliore, ma se ad Allura va bene, allora mi sta bene. Basta che torni il prima possibile. Non mi sento al sicuro sapendo che Voltron è fuori gioco.”

Krolia riportò la sua attenzione sullo schermo e su Kolivan. “Partiremo nel prossimo varga.”

“Assicuratevene,” rispose Kolivan. “Dobbiamo muoverci il prima possibile nel caso in cui qualcuno sia stato allertato della vostra presenza sulla luna. Discuteremo i dettagli al vostro arrivo; informeremo il paladino dei nostri metodi. Operiamo su una scala diversa da quella a cui è abituato.” Il suo sguardo si posò su Lance, acuto, e poi la chiamata si interruppe lasciando al suo posto uno schermo nero e un silenzio improvviso e pesante nella stanza.

“Bene,” disse Krolia, prendendo la parola, “inizierò a prepararmi per la partenza. Ci sono provviste di cui potete fare a meno?”

Allura fu la prima a rispondere. “Certo, ne dovremmo avere un po’ da parte. Vieni con me.” Mentre usciva passò di fianco a Lance e gli rivolse un sorriso dolce; non c’era traccia di dubbio nei suoi occhi e questo lo fece sentire come se la sua testardaggine fosse stata riconosciuta. Come se le sue ragioni egoistiche e nascoste non fossero l’unico motivo per cui era perfetto per quel tipo di missione.

Shiro si parò dinanzi/ di fronte a Lance senza alcun preavviso, nascondendo alla sua vista le altre persone nella stanza. Il ragazzo fece un passo indietro mentre sentiva l’apprensione che gli attanagliava la nuca facendogli rizzare i peli delle braccia. Fu una reazione alquanto bizzarra, ma così istintiva che la assecondò.

“Sei sicuro di quello che stai facendo, Lance?” Chiese Shiro e, nonostante la sua voce fosse piena di preoccupazione, Lance si sentì comunque inquieto. “Hai pilotato il tuo leone solo un paio di volte e non ti è ancora tornata la memoria.”

Tornata. Come se fosse rimasta in attesa lì intorno da qualche parte in una catasta di oggetti smarriti. La sua memoria era andata da tempo ormai; non avrebbero dovuto considerarlo come un oggetto da aggiustare. E probabilmente Shiro non intendeva quello, probabilmente, ma fece male lo stesso. Lo irritò. Gli fece sentire un disperato bisogno di andarsene da quella nave, lontano dalle persone che lo credevano incapace di fare altro se non di aspettare che il suo passato ritornasse da lui.

Lance corrugò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto. “Ce la posso fare.” Disse con calma, sicuro. “Voglio dare una mano. Non ce la faccio più a cincischiare nel castello senza fare niente. Che razza di grande difensore dell’universo sarei se non mi mettessi in gioco quando posso farlo?”

Pidge lo affiancò e si aggiustò gli occhiali, la preoccupazione visibile nei suoi occhi color miele. “Forse dovrebbe andare qualcun altro con lui?” Chiese e Shiro rispose che avere un paladino in meno era già abbastanza. “Però è strano lasciarlo andare via con persone che non conosce. Dici che andrà tutto bene, Lance?” La sua voce era sincera, ma Hunk incrociò lo sguardo di Lance da sopra la testa di lei e il ragazzo voltò subito la testa. Perché Hunk sapeva che sarebbe andato tutto più che bene.

“Andrà tutto bene. Keith era uno di noi, no? N-non sarà poi così strano.”

Nel momento in cui lo diceva, Keith spuntò da dietro Shiro. La sua espressione era indecifrabile come sempre e Lance sentì un brivido corrergli lungo tutta la schiena, anche se per ragioni diverse da quelle di prima. “Dobbiamo parlare,” disse come se non ci fosse nessun’altro lì a parte loro due.

Lance si sentì il cuore in gola, scosso dal tono minaccioso di Keith. “S-sì. Okay.”

“Verremo a salutarvi nell’hangar di Rosso tra un po’,” disse Hunk, mentre Lance lanciava un’occhiata agli altri paladini prima di seguire Keith fuori dalla stanza.

Keith aspettò che percorressero il corridoio fino a una svolta prima di parlare. “Che cazzo era quello?” Chiese, la voce terribilmente calma, e Lance realizzò che era la prima volta che lo sentiva arrabbiato.

“Quello cosa?” Lance sapeva che fare il finto tonto non avrebbe funzionato perché si sentiva già fin troppo vulnerabile vicino a Keith, ma valeva la pena provare. “Dove stiamo andando?”

Keith sbuffò. “A prendere la mia armatura. Non farlo.”

Lance cercò nuovamente di calmare il battito del suo cuore facendo dei respiri regolari, ma non funzionava. Optò per mantenere un fare innocente. “Fare cosa?”

Quello.” Keith si fermò di botto e si girò per guardarlo. “Che cazzo era quello?”

Lance si sentì trafiggere da quello sguardo, come gli succedeva di solito, ma erano anche da soli e Keith era così bello da far male con quella sua pelle pallida in netto contrasto con i suoi occhi e capelli scuri. Lance voleva guardarlo per sempre, anche a quel modo, con le sue folte sopracciglia aggrottate e le labbra distorte per lo scontento. L’aria tra loro si era fatta palpabile. “Ero solo- ragionevole,” disse Lance, e odiò il modo in cui le parole gli si impigliavano in gola perché faceva vedere troppo di lui. Cosa c’era in Keith che lo rendeva così nudo? “Allura era perfino d’accordo con me.”

Keith assottigliò lo sguardo, studiando la sua espressione con attenzione. “Non voglio che tu ci venga,” disse diretto. “Dovresti rimanere con il resto del gruppo.”

Lance dovette mordersi la lingua per non dire qualcosa di cui si sarebbe pentito. Le emozioni che lo riempivano fino a scoppiare gli facevano pizzicare gli occhi, e strinse i pugni ai fianchi. “Se si tratta del fatto che potrei essere un peso, non preoccuparti,” borbottò Lance abbassando lo sguardo al suolo per evitare che Keith vedesse i suoi occhi lucidi. Dio, si sentiva così patetico per essere sull’orlo delle lacrime; odiava come le sue emozioni avevano la meglio su di lui. “Sono un buon pilota e me la cavo in battaglia. Non manderò a puttane la missione né niente. Voglio solo dare una mano.”

Keith esalò un sospiro brusco. “Qui non si tratta delle tue abilità, Lance,” disse. “So che sei bravo in quello che fai.”

Il cuore di Lance sussultò a quelle parole. Sentiva il respiro grattargli la gola, ma non lo guardò, anche se le sue labbra si piegarono in un cipiglio confuso. “E allora qual è il tuo problema?”

“Ti ho detto di non farlo,” per poco Keith non scattò. “Sai qual è il mio problema.”

Per niente.” Lance girò di scatto la testa per guardalo.

Keith incrociò le braccia al petto, i capelli che gli ricadevano sulla fronte oscurandogli parte del suo campo visivo. Il suo sguardo profondo era accusatorio e sospettoso. “Eri un cazzo di disastro ieri notte.”

La scorsa notte.

Il mio cazzo di posto è dove io voglio che sia.
E quindi? Vuoi che quel posto sia con me?

“E quindi?” Chiese Lance, ma in modo tremulo. Invece di raccogliersi negli occhi, sentì il calore fiorirgli sul viso.

“E quindi, pensavi che questa fosse una pessima idea.” Disse Keith, come se non riuscisse a capire perché Lance, che sapeva i rischi di quella missione, volesse mettere a repentaglio la sua incolumità.

Lance lo fissò, e si sentì come se fosse appena riuscito a capire chi era Keith. Un pochino, forse. Nel più infimo dei modi. Abbastanza da sentirsi cadere di nuovo, inciampando nel nulla e sul suo stesso cuore. “Certo che lo penso,” disse.

“E io non voglio che tu ci venga.”

“Beh, e io non voglio che tu ci vada.”

Non intendeva dirlo ad alta voce, non a quel modo, anche se era vero. Sentì il calore raccogliersi rapidamente e dilagare lungo il collo, e Keith si irrigidì, lo sguardo sempre più intenso e attento dopo quella confessione, come se stesse iniziando a capire qualcosa a sua volta. Lance voleva nascondere la sua faccia, ma non riusciva a smettere di guardarlo.

“Perché ti sono mancato.” Disse Keith come un dato di fatto e Lance pregò che il pavimento gli si aprisse sotto i piedi per inghiottirlo. Quelle parole lo randellarono per l’imbarazzo e la rivelazione, lasciandolo troppo scoperto. Troppo vulnerabile, soprattutto di fronte a quell’espressione invalicabile.

“G-già,” rispose Lance piano, deglutendo. “Voglio… voglio dire, in gran parte è per quello.”

“Che altro c’è?” Chiese Keith e… c’era quasi gentilezza. Curiosità.

Lance prese un respiro profondo e fissò intensamente un punto del pavimento, distogliendo a forza lo sguardo da Keith per tranquillizzarsi. “Tipo… il fatto che è pericoloso e che hai perso due anni della tua vita per questa missione, ma che a quanto pare non ti interessa anche se è un dettaglio importante? Tipo il fatto che non so niente di te ma vorrei conoscerti, però te ne stai andando prima che riusciamo ad avere una conversazione che non sia interamente un disastro”. Si chiese se anche quello che avesse detto non fosse troppo.

“E se ti prometto di tornare?” Il modo in cui parlò gli ricordò la scorsa notte, come la confusione di Keith aveva ammorbidito quel suo modo di fare intenso e aveva smussato la sua personalità spigolosa nel buio.

Lance strinse i pugni lungo i fianchi. “Vengo lo stesso. Non mi farai cambiare idea.”

Keith fece un lungo sospiro.

“Mi dispiace,” disse Lance a bassa voce, percependo il suo disappunto. “So che non mi vuoi intorno.”

“Lance, è solo che non- è pericoloso.” Lance alzò lo sguardo su Keith quando si inceppò, aggiustando le parole con fare impacciato. Quando parlava, era sempre molto diretto e le sue parole avevano uno scopo; non balbettava, non era insicuro. Tutto di lui urlava che era sicuro di sé. Dunque, quel tono affrettato, quasi disperato, risvegliò qualcosa in lui e, quando si trovò faccia a faccia con Keith, notò che la sua espressione era neutra per nascondere attentamente quello che la sua voce aveva lasciato trapelare.

“Sei morto,” disse Keith dopo un lungo momento, ancora immobile, aggrappato a qualcosa che era ormai passato. “E avrei dovuto esserci anch’io lì, ma non c’ero. Questo- questo è un rischio inutile e tu sei tornato in vita da poco. Non devi sprecare così questa tua seconda possibilità.”

“E tu sei un maledetto ipocrita. Non eri forse tu quello che diceva che questa è una guerra?” Lance si sorprese di essere lui quello che studiava il volto dell’altro quella volta, alla ricerca di una crepa in quella sua espressione vuota. “Che la missione è più importante di una singola persona?”

“L’ho detto prima di sapere che eri morto.” Keith non sembrava imbarazzato né tantomeno pieno di rimorsi. Era così diretto e onesto, anche quando Lance non aveva idea di quello a cui stesse pensando. Perché doveva essere così? “Mi hai detto che non ti ricordi niente di quello che è successo prima della tua morte, giusto? Non vuoi aumentare le tue possibilità di tornare a casa? Di rivedere la tua famiglia?” Keith lo fissò e fece un passo avanti. “Lance, parlavi sempre della tua famiglia e ti mancavano molto. Tu- Lance-”

Si interruppe di colpo e il suo volto si indurì, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi.

C’erano ancora così tante cose da dire. Domande che Lance aveva su qualunque tipo di trascorsi avessero avuto insieme perché anche con quella ovvia distanza tra di loro, anche con la fissazione di Keith per la sua morte – per la sua sicurezza – quel loro passato superava ogni cosa e andava oltre la sua comprensione. Si sentiva come affogare, anche se non capiva e non avrebbe mai potuto sperare di decifrare l’espressione di Keith né l’intento dietro le sue parole.

E faceva male. Male. Tanto quanto l’agonia di quanto gli era mancato, ma diversa a modo suo. Ampia e calda e piena di bisogno. Un desiderio così forte da bruciare dentro di lui come alcol. Lance si strinse tra le braccia per impedirsi di toccarlo, per ancorarsi, e si appoggiò al muro, freddo contro il suo corpo caldo, prendendo respiri che non gli davano abbastanza ossigeno.

“Certo che voglio tornare a casa da loro. Voglio incontrarli di nuovo. Io- io gli voglio bene. Sono- sono sicuro di volergliene. Ma… Pensavo che tu fossi morto.” Gli disse Lance, anche se il cuore gli vibrava nel petto e le ginocchia tremavano sotto il peso dello sguardo di Keith. Scosse la testa e ingoiò un grumo di emozioni sentendo il bruciore delle lacrime aglii occhi. “Non hai- non hai idea di come mi sono sentito.”

A quelle parole, Keith non rispose. Non c’era bisogno che lo facesse. Lance gli aveva appena offerto un’altra piccola cosa che avrebbe dovuto tenersi vicina al cuore, ma non c’era riuscito. Iniziava a pensare che tutto quello che gli apparteneva era anche di Keith. I suoi pensieri, i suoi sentimenti, il filo della sua vita – era tutto suo. E forse Keith avrebbe capito perché Lance non avrebbe sopportato il fatto di lasciarlo andare di nuovo se solo lo avesse detto, ma era difficile ed era troppo.

Keith era scomparso per anni, e il suo rapporto con Lance era stato da compagni di squadra.

A volte, da compagni di squadra che si stavano antipatici. Rivali. Un amore come quello, che ti mozzava il fiato e sfidava la morte, era troppo in quel momento. Anche se era lì sulla sua lingua. Anche se era nella punta delle dita e nel calore nei suoi occhi. Appoggiato sulla curva delle sue labbra. Era troppo.

Lance affondò le dita con forza nel fianco. “Mi dispiace.” La sua voce era densa; tradiva le sue emozioni e gli mandò il cuore in tachicardia, ma cercò di controllarsi al meglio.

Keith scosse la testa lentamente. “E perché diavolo saresti dispiaciuto?”

Deglutì. “Per- per essere troppo.”

Ci fu una pausa e poi: “Lance, sei sempre stato troppo.”

Quelle parole lo svegliarono. “Cosa?”

“Sei sempre stato esagerato, rumoroso e troppo.” Ripeté Keith con sicurezza, e il modo in cui lo disse lo fece sembrare come una cosa bella. Come se fosse un qualcosa che Keith addirittura apprezzasse di lui. “Non dispiacerti.”

Era così diverso da quello che Pidge e Hunk gli avevano detto sulla persona che era prima. Le loro parole lo spingevano a isolarsi e a sentirsi in colpa e a volte ad arrabbiarsi ma… ma era perché erano tutti discorsi incentrati su quanto lui fosse diverso. Odiava averli delusi e odiava il fatto che si aspettavano che fosse qualcuno che non conosceva, che non poteva conoscere, dopo essere morto.

Ma con Keith… quella era la seconda volta che aveva riconosciuto in Lance delle caratteristiche che gli erano familiari. Familiari, anche se erano rimasti lontani per anni e nonostante tutte le differenze che potesse elencare. Familiari, come se fossero delle radici per lui.

Si sentì sciogliere a quella sensazione, le dita rilassate lungo i fianchi, e venne investito da una calda ondata di tenerezza. Il bruciore delle sue lacrime e della vergogna diminuì, e fissò Keith, che era così sicuro di sé e di quello che diceva.

È così vicino, pensò Lance lentamente, guardandolo con la scusa di sbattere le palpebre. Quando gli era venuto così vicino e- e, era sempre stato così alto? Fu quello il momento in cui si accorse che la maglietta nera che indossava era corta per lui, gli stava tesa sulle spalle, calzando molto più stretta di quando Lance l’aveva indossata settimane prima. Poteva- oh, poteva sentire il profumo del suo shampoo. Un aroma di pulito, non aveva niente di esotico, ma il fatto che fossero talmente vicini da poterlo annusare mandò il suo cervello in cortocircuito.

Non poteva far sapere a Keith che era a un soffio dal perdere il controllo. Cercò disperatamente di riprendersi. Baciarlo ora non avrebbe giovato.

“Dovremmo muoverci.” Disse Keith in tono conversazionale, ignaro. “Dovremo partire presto.”

“Noi?” Mormorò Lance, ed era quasi imbarazzante quanto la sua voce fosse bassa in quel momento, ma non si sentiva più così inebriato dalla loro vicinanza. Quelle parole gli schizzarono in faccia come acqua fredda.

Keith sospirò, ma era un suono caldo. “Sì, noi. Non volevo litigare, volevo solo che sapessi che scelte avevi. Ottimizzare le tue possibilità di tornare a casa.”

Casa, pensò Lance distogliendo lo sguardo dalle sue spalle larghe solo per notare che Keith lo stava ancora fissando con i suoi occhi scuri. Per poco non sorrise, un angolo della sua bocca fremette, e il suo sguardo esitò per qualche momento prima che facesse un passo indietro, distanziandosi da lui. Riprese a camminare a passi misurati lungo il corridoio e Lance gli andò dietro, rimpiangendo subito quella bolla di intimità.

“Per la cronaca,” disse Keith dopo un momento, “sei sempre stato così testardo. Nel caso in cui qualcuno non te l’abbia ancora detto.”

Era forse una frecciatina? Sembrava. “Per la cronaca, non capisco perché pensi che vada bene prendersi dei rischi che non vuoi che si prendano gli altri.” Si difese Lance, anche se le parole di Keith gli aveva dato un senso di soddisfazione, in qualche modo. Il modo in cui Keith gli parlava in modo così chiaro e semplice rispetto all’incertezza a cui era abituato con gli altri. Che la distanza tra i due anni di assenza di Keith e la memoria perduta di Lance rendesse tutto molto più semplice? Era l’unica cosa che avesse senso. “E, per la cronaca, questo fa di te un idiota.”

A quelle parole, Keith gli rivolse un sorriso sbieco, mostrando la punta acuminata di un canino.

E Lance, lui cadde.

Letteralmente.

Inciampò sui suoi stessi piedi e cadde a terra sgraziatamente con un urlo, spiaccicandosi al suolo in una terribile imitazione di una panciata. Sembrò quasi accadere a rallentatore, soprattutto nel modo in cui l’orrore lo avvolse interamente da capo a piedi. Un’ondata di calda umiliazione lo investì in pieno e avrebbe preferito che fosse mortale. Sarebbe dovuto morire all’istante. Il cuore gli si inerpicò in gola, cercando disperato di scappare da quel guscio imbarazzante che era il suo corpo.

Keith emise un verso di sorpresa e si fermò un paio di passi più avanti di lui. “Stai bene? Lance?”

Lance gemette e si coprì il volto con le mani. “Nooo.” Si lamentò con un tocco di melodramma. Merda, gli sarebbe venuto fuori un livido. Era così imbarazzante; non gli aveva neanche sorriso davvero. Aveva visto, tipo, due denti. Ma che cazzo.

C’era divertimento nella risposta di Keith. “Alzati.”

“Non guardarmi.” Lo supplicò Lance, la voce attutita contro i palmi.

Keith sospirò, ma Lance sentì un rumore di passi quando si voltò, spostando il peso.

Mentre si rimetteva in piedi, Lance sperò che il bruciore delle sue guance non fosse ovvio quanto il rosso di un semaforo.


Grazie al cielo, Keith non aggiunse altro, non fino a quando Lance non si fu infilato la sua armatura da paladino e lui non fu di nuovo vestito con la tuta di Marmora, pronti a dirigersi verso l’hangar del leone rosso. A dispetto del fatto che Lance fosse sicuro delle sue abilità in battaglia grazie alla sua diligenza e all’allenamento con Rosso e nella stanza degli allenamenti, quell’armatura lo faceva sentire come se stesse giocando. Per quanto facesse o per quante volte ripetesse quell’esperienza, gli sembrava una follia essere chiamato soldato. Non era quello che si sentiva.

“Le Spade mettono la missione prima di tutto.” Disse Keith, la voce che rimbombava sulle pareti del corridoio mentre camminavano.

Lance sobbalzò leggermente a quell’inaspettata rottura del silenzio, riscosso dai suoi pensieri, ma quelle parole avevano senso. Era praticamente la stessa cosa che gli aveva detto il giorno prima a proposito di quella missione. Che era più grande di lui. Era quello che aveva imparato dalle Spade di Marmora. Lance si chiese se Keith si comportasse allo stesso modo anche prima, o se fosse il fatto che se n’era andato che l’aveva portato a credere di essere di poco conto nel grande piano di una guerra.

“Morirebbero per la missione.” Aggiunse, quando Lance rimase in silenzio. “Abbandonerebbero i loro stessi compagni.”

“Okay?”

“Quindi non rimanere indietro.”

Oh. “Ricevuto.”

Keith annuì ed entrarono nell’hangar; Lance non si rese conto del fatto che Keith si fosse fermato fino a quando non sbirciò di lato e vide che non c’era nessuno al suo fianco. Rallentò, guardandosi alle spalle, e vide che Keith stava fissando il leone rosso con un’espressione che – sorpresa sorpresa – non riusciva a decifrare del tutto. Ma poteva sentire il ronzio di Rosso nell’aria, risvegliatosi, che aveva individuato non solo la presenza di Lance, ma anche quella di Keith. E venne colpito da un desiderio improvviso che lo riportò indietro a quelle tre di notte quando aveva indossato la giacca di Keith nella cabina di pilotaggio e si era addormentato piangendo.

“Gli sei mancato.” Disse, sentendo le fusa agrodolci solleticargli la pelle perfino lì, al difuori del leone.

“È passato molto tempo.” Mormorò Keith, un po’ a se stesso, posando lo sguardo ora sul leone ora su Lance. E Lance pensò che anche a lui mancava Keith, anche in quel momento, lì in piedi. Lasciò che il desiderio di Rosso divenisse suo e che lo riempisse fino all’orlo, rendendogli quasi impossibile dire o fare altro che non fosse sentire. Se fosse stato più coraggioso, avrebbe attraversato lo spazio che li separava e gli avrebbe chiesto un abbraccio, ma dopo la notte precedente aveva troppa paura di esternare la sua voglia di contatto fisico. Aveva paura di essere, ancora una volta, troppo.

Era ancora più spaventato all’idea che un abbraccio non gli sarebbe bastato. Non quando il suo bruciante desiderio di poco fa gli affiorava ancora sulla pelle.

La porta alle loro spalle si aprì rivelando Krolia con una grossa borsa sulla spalla, Allura alla sua destra e il resto dei paladini dietro di loro. Pidge stava ridendo per qualcosa che aveva detto Shiro, ma Allura teneva le sopracciglia aggrottate. C’era anche il lupo di Keith, al fianco di Krolia, e Lance sentì il suo sguardo passare su lui prima di spostarlo su Keith, trotterellando verso di lui.

“Cosa succede?” Chiese Lance ad Allura, quando furono riuniti.

Gli rivolse uno sguardo strano. “Probabilmente nulla, ma non riesco a contattare Lotor.”

“È passato solo un giorno,” disse Shiro, sorridendo e guardando verso di loro, “sono sicuro che ci contatterà quando potrà.”

Allura annuì, ma Lance poteva sentire il suo disagio. Una parte poteva essere dovuta al fatto che stava per partire in missione per recuperare un gran numero della sua gente, che credeva morta da diecimila anni, usata come batterie umane. Voleva trovare qualcosa da dirle, ma non sapeva come consolarla.

“Dovremmo andare.” Disse Krolia, portandosi al fianco di Keith.

Keith diede un buffetto sulla testa al suo lupo e annuì, lanciando una breve occhiata a Lance prima di riportare lo sguardo sui loro compagni di squadra, in piedi di fronte a loro. “Se tutto va bene, non dovremmo assentarci per molto. Un giorno, al massimo.”

Si salutarono. Hunk sollevò Lance tra le braccia come un pupazzo, sorridendo, e apparentemente d’accordo con la sua decisione di partire. Gli diede un’altra carica di sicurezza, lo fece sentire bene. Hunk era un amico grandioso, davvero grandioso. Avrebbe passato il resto della sua vita a cercare di ripagarlo.

Allura fu l’ultima a salutare Lance e lo tenne stretto a sé un po’ più forte del normale. “Torna sano e salvo.” Gli disse nell’orecchio, un sussurro flebile indirizzato solo a lui. Lance annuì nella sua spalla e le diede un colpetto sulla schiena; sapeva che stava pensando al momento in cui l’aveva salvato. Era stato veramente fortunato che lei fosse lì per dargli una seconda possibilità di vita.

“Lo farò.” Mormorò.

Lei fece un passo indietro con un sorriso e guardò Krolia e Keith. “Per favore, fatemi sapere cosa trovate. Se c’è una possibilità che qualcuno di quegli alteani sia ancora vivo, sarà il benvenuto al Castello senza esitazione alcuna. Coran si sta occupando dei preparativi per ogni evenienza.”

“Sarai la prima a saperlo.” La rassicurò Keith.

Ci fu un ultimo giro di saluti, poi il leone rosso inchinò la testa, aprendo la mascella per permettere loro di entrare. Lance entrò per primo con gli altri due alle spalle e si sentì bene. Essere lì in quel momento, partire per quella missione con Keith invece di guardarlo andare via… Lance era proprio dove doveva essere.

Sentì il modo in cui Keith prese un respiro profondo dietro di lui una volta entrati nella cabina di pilotaggio. Si girò giusto in tempo per vederlo passare una mano sui pannelli spenti, le labbra tremanti al ricordo di qualche memoria a lui cara.

Krolia sistemò la borsa delle provviste in un angolo. “Ho le nostre coordinate, paladino.”

Lance si girò verso di lei e vide che lo stava fissando, indice palese del fatto che l’aveva osservato mentre guardava Keith. Si mise l’elmo in tutta fretta, sperando che il visore nascondesse il bruciore delle sue guance. “Uh, va bene anche solo Lance. E perfetto, aspetta solo che-” Si sedette velocemente nel sedile di pilotaggio e afferrò i comandi, l’interno della cabina irrorato di luce rossa.

Rosso gli ronzò sulla pelle, e Lance si fece dire le coordinate da Krolia, inserendole. Il silenzio sarebbe stato opprimente se non fosse stato per quei pensieri tranquilli nella sua testa che non gli appartenevano del tutto, la gioia irrefrenabile per il fatto che Keith fosse lì, che apparteneva sia a lui che a Rosso. Sperò che nessun’altro potesse sentirla, ma sapendo quanto Keith fosse connesso al leone, probabilmente Rosso stava parlando anche con lui. Solo… sperava non di Lance.

Il viaggio verso la base di Marmora fu tranquillo e senza intoppi. Una volta fuori dall’hangar del castello, Krolia e Keith si scambiarono parole sottovoce che Lance non riuscì a comprendere, ma il lupo di Keith gli si sedette proprio di fronte e lo fissò fino a quando Lance non raccolse il coraggio per allungare la mano e accarezzarlo.

Si sorprese a sorridere quando il lupo si appoggiò al suo tocco, e sentì la voce di Keith alle sue spalle. “Gli piaci.”

“Ha un nome?” Chiese Lance, grattandolo dietro l’orecchio. L’animale si sporse in avanti per poi abbandonare la testa sulle sue gambe, incoraggiandolo a continuare.

“Non ancora.” Si contenne Keith.

“Crede che il lupo gli rivelerà il suo nome col tempo.” Disse Krolia dal suo angolo, aggiungendosi alla conversazione con una punta di divertimento nella voce.

Lance sbatté le palpebre per la sorpresa e portò lo sguardo su Keith, incapace di contenere un sorriso. Lo fece sentire bene; pensò di non aver mai fatto un sorriso così grande in tutta la sua vita, ma lo fece sentire bene. “Davvero? È così stupido; sai che è un cane, vero? Che non può parlare?”

Keith alzò gli occhi al cielo, captando l’ironia nella sua voce. “Non sai di cosa è capace.”

E continuarono così. Una conversazione leggera, niente di profondo, niente che mettesse in evidenza tutte le cose di cui non avevano ancora parlato, o quelle di cui avevano parlato, ma lo mise a proprio agio. Quando raggiunsero la base, fecero tutti e tre un breve rapporto a Kolivan prima di essere riandati indietro con altre 5 Spade e qualche cassa di provviste in più per le emergenze. Alloggiarono nella pancia del leone mentre Lance li portava verso l’abisso quantico seguendo le indicazioni di Krolia.

L’abisso si rivelò un luogo insidioso, ma Lance aveva ragione a proposito dei tempi di reazione del leone, e riuscirono a superare i punti peggiori con facilità. Keith emise un piccolo verso di approvazione, forse senza volerlo davvero, ma fu sufficiente da riempire il petto di Lance di orgoglio. Era stato la scelta giusta. Superarono la parte che Lance temeva di più e furono tutti in salvo. Erano in salvo.

Keith era in salvo.

Dopo che Lance fece atterrare Rosso sulla luna, sentì una mano afferrargli saldamente il braccio. Alzò lo sguardo su Keith, che lo stava fissando dall’alto con un’espressione seria.

“Se te lo chiedessi, rimarresti qui?” La sua voce era dura. Come se non avesse voluto dirlo davvero.

Lance aggrottò le sopracciglia. “No.”

Keith annuì e il suo cipiglio si iscurì, ma accettò comunque la sua risposta. “Okay. Andiamo, allora.”

Lance si alzò quando Keith lo lasciò andare e controllò due volte di avere con sé la sua bayard prima di rimettersi al passo con Keith. E sembrava giusto.

Già. Era proprio così che dovevano andare le cose.


Note dell'autrice: Questo capitolo è stato più che difficile da scrivere. Non sono ancora del tutto sicura di esserne soddisfatta, ma l’ho fissato per tipo 3 giorni di fila e mi fa male il cervello. Non avrebbe dovuto essere così profondo, immagino lol. Mi sono chiesta più e più volte se volevo che Lance rimanesse oppure no – se Keith fosse rimasto oppure no – ma penso che questo sia il modo più naturale in cui potevano svolgersi i fatti. Se vi sembra che le azioni e la trama della serie siano affrettate è perché questa fic si concentra su Lance e sui suoi sentimenti per Keith, dunque non volevo passare molto tempo su cose di trama. (Quindi forse è questo il motivo per cui questo capitolo vi potrebbe sembrare strano…)

IN OGNI CASO. Spero che vi sia piaciuto, a dispetto di questo casino. Vi ringrazio molto per i kudos e i commenti, mi danno la vita!

   
 
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