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Autore: ShanaStoryteller    30/03/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La vergine Artemide



Artemide era nata per prima. Fu infante solo per pochi attimi, allungando le membra e fiorendo nella fanciullezza tra un respiro e l’altro.

Sua madre aveva il volto arrossato e singhiozzava, prostrata al suolo, tentando di raggiungerla. “È troppo grande,” singhiozzò, “non vuole uscire… Ho fallito! Era ha vinto e io ho fallito!”

C’era sangue, troppo sangue, sangue che le rendeva viscido il corpo. “No,” disse con fermezza, inginocchiandosi tra le gambe di sua madre, “non abbiamo fallito.”

Ci volle troppo tempo, troppo sangue e urla, ma ore dopo Leto dormiva, esausta e dolorante, ma viva.

Suo fratello non crebbe come lei, e lo pulì e lo avvolse in un telo e se lo tenne al petto. C’era fin troppa intelligenza nei suoi occhi per essere quelli di un neonato. Gli accarezzò i morbidi ricci dorati sulla testa.

Guardò Leto, sanguinante e distrutta, quasi costretta a morire con suo figlio ancora in grembo, e decise che il destino di sua madre non sarebbe mai stato il suo.

L’unico uomo che avrebbe mai amato era quello che teneva tra le braccia.

~

Apollo crebbe più veloce del dovuto, ma più lento di lei, fino a quando non raggiunsero la stessa età, fino a quando non furono quasi adulti, bellissimi adolescenti di forgia divina.

Suo fratello la preoccupava; a volte le ricordava troppo di loro padre e temeva per lui. Non ebbe mai paura di lui, del suo amato fratello gemello, ma temeva di essere l’unica a pensarla a quel modo. Era troppo intelligente e incauto e credeva che tutte le cose belle gli appartenessero.

La prima volta che tentò di prendere con la forza una donna mortale, Artemide scoccò una freccia d’argento, conficcandogliela nella spalla. Lo fece sanguinare, quella freccia scoccata da lei, più che se l’avesse scagliata una qualunque altra dea. “Sono mie.” Dichiarò lei, posizionandosi di fronte alla ragazza terrorizzata dalle vesti stracciate. “Non toccherai ciò che è mio.”

Ricoperto di sangue, Apollo disse: “Molto bene, sorella.” E lei sentì il bisogno di andare da lui, curarlo e prendersene cura come aveva fatto per tutta la sua vita, ma rimase ferma al suo posto. Non avrebbe ceduto.

Lui se ne andò, e quando Artemide si voltò per consolare la fanciulla, lei era già scomparsa.
~

Dopo l’accaduto, suo fratello non toccò più nessuna donna senza il loro consenso, anche se c’erano comunque molte altre donne che lo volevano. E perché non avrebbero dovuto? Apollo era bellissimo e forte, coraggioso e giusto quando dimenticava di essere egoista e capriccioso.

C’erano uomini, però, che non erano sempre altrettanto d’accordo. Niente di così esagerato come la prima volta con quella fanciulla, niente di così drammatico. Ma abbastanza da addolorarla alla vista di come suo fratello li trattava, spietato. Artemide tacque. Non era dea patrona di tutta l’umanità e non poteva tenerli tutti a sé.

Suo fratello era un guerriero e un poeta e aggiogava il suo carro al sole per portare luce al mondo. Lo amava ma a volte… a volte lo odiava. Lei era una cacciatrice e una levatrice, portava e toglieva la vita, e c’era un che di terribile nel suo potere. Pensava che anche Persefone doveva sentirsi a quel modo, la dea della primavera e la regina degli inferi. Era inebriante. Ma era un potere tranquillo, più duro.

Lui era il sole e lei la luna, e c’erano momenti in cui temeva di essere solo quello: un riflesso dello splendore del suo giovane fratello, maledetta a essere niente più che una mera imitazione.
~

Era adulta la prima volta che successe, più antica di molte città e più bella delle albe di suo fratello.

Era madida di sudore e di sangue, ma la madre e i suoi figli stavano bene e dormivano profondamente dopo quel parto difficile. Se l’avesse detto agli altri dèi non le avrebbero mai creduto, ma essere la dea del parto era stato il suo compito più difficile fino ad allora.

“Vieni,” disse la sorella della madre, una graziosa giovane dagli occhi grandi e la bocca larga. “Lascia che ti lavi.”

Artemide avrebbe potuto benissimo lavarsi da sola, ma permise alla giovane di condurla nella sua stanza, toglierle le vesti pregne di sangue e passarle un panno caldo sulle membra, appiccicose per il sudore ormai asciutto. La giovane si inginocchiò di fronte a lei, passando il panno sulle sue gambe, e poi toccò dove nessuno aveva mai toccato.

Artemide sobbalzò per la sorpresa e guardò in basso, la bocca aperta. “Mia signora e dea,” mormorò la giovane aprendo la bocca larga e umettandosi le labbra, “desidero ringraziarti per aver aiutato mia sorella, se ti compiace.”

Sentì una piccola capriola di calore nella bocca dello stomaco e un qualcosa svolazzarle nel petto. Non aveva mai provato niente di simile prima. “Devo rimanere una vergine.” Disse, atona, perché molti uomini l’avevo guardata come quella giovane e ne era rimasta disgustata. Non ne era disgustata in quel momento.

“La verginità è un’invenzione dell’uomo e una sua preoccupazione, mia signora.” Disse la giovane con fare sprezzante, e iniziò a muovere le mani in un modo che la fece avvampare. “Non ci sono uomini qui.”

Furono le ultime parole che si dissero fino al mattino seguente.

~

Ci furono molte altre donne desiderose di vederla, offrendosi di venerarla. Artemide accettò, ancora e ancora, e non provò mai niente più di una temporanea scintilla di desiderio, ma si godette ogni donna che la cercava e ne era contenta e tentava di farle godere a sua volta.

Una sera, si stava lavando in un lago, i capelli dorati più lunghi di come era solita tenerli, cresciuti oltre le spalle. Avrebbe dovuto tagliarli presto. Si immerse sotto la superficie placida e liscia del lago e, quando riemerse con la testa, sentì un rumore di foglie e di passi, poi di vestiti lasciati cadere al suolo.

C’era un uomo che stava immergendo le dita dei piedi nel lago e Artemide si levò, pronta a ucciderlo per la sua insolenza.

Poi incontrò il suo sguardo spaventato, anche se non aveva ancora fatto nulla per incutergli timore, non ancora. Poi lo osservò di nuovo, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo nudo, e quella persona sembrava di certo un uomo. Eppure…

“Chi sei?” Domandò, poggiando le mani sui fianchi.

“Sipriote, mia signora.” Disse, piegandosi per raccogliere i suoi vestiti. “Perdonatemi, non mi aspettavo di trovare qualcuno qui. Me ne andrò.”

“Perché?” Chiese Artemide, tirando a indovinare. “C’è abbastanza acqua perché due donne ne possano godere.”

Seppe di aver colto nel segno quando le labbra di Sipriote si separarono per la sorpresa, piegandosi poi in un lieto sorriso. “Grazie, mia signora.” Disse, lasciando le vesti vicino alla sponda del lago, ed entrò in acqua.

“I tuoi capelli sono un disastro.” Disse la dea, notando il nido ingarbugliato che aveva in testa. “Lascia che ti aiuti.”

“Non si preoccupi, mia signora.” Disse educatamente.

Stranamente, quella ragazza non aveva ancora capito che Artemide era una dea. Non aveva fretta di dirglielo, era già abbastanza spaventata di suo. “Insisto.” Disse, nuotandole vicino e facendola girare in modo che le desse la schiena. I muscoli della ragazza erano tesi e Artemide passò le dita delicate su quelle pallide e intricate cicatrici. Era intelligente e non le rivolse quella domanda stupida e ovvia, limitandosi a disfare la crocchia. I capelli di lei, lunghi, corvini e pieni di nodi, si srotolarono fino alla vita. “Che disastro.” Disse Artemide piano, senza specificare se si riferisse ai suoi capelli o alla schiena.

Sipriote si rilassò, piegando la testa in avanti, e Artemide le pettinò i capelli finché non furono di nuovo lisci.
~

Artemide ci provò, ma non riusciva a togliersi la donna del lago dalla testa. Viveva sola al limitare del villaggio e non si lavava con le altre donne perché non era la benvenuta. Non la scacciavano, ma non le lavavano i capelli o la schiena e ad Artemide ribolliva il sangue nelle vene.

Si aspettava di meglio da coloro che aveva reclamato come sue.

Il sole aveva appena iniziato a tramontare quando suo fratello comparve al suo fianco, osservandola mentre guardava Sipriote che raccoglieva acqua dal pozzo. “Non è il tuo solito tipo, lui, vero?” Le domandò, appoggiandosi a lei e intrecciando le loro dita insieme.

“Sì,” rispose Artemide, “lei è il mio tipo.”

~


Per la prima volta nella sua vita, Artemide si sentiva incerta, ma diede comunque un calcio alla porta.

Si aprì. Il volto guardingo di Sipriote si fece confuso. “Ciao,” disse Artemide, “ti piace l’orso?”

Teneva la creatura addossata sulle spalle. L’aveva appena ucciso e le venne in mente troppo tardi che di solito una donna non sarebbe capace di trasportare un orso in spalla. “Mi piaci tu.” Disse Sipriote, scostandosi per lasciarla entrare. “Puoi portare l’orso, se ti va.”

Le offrì del vino caldo e insistette perché si sedesse mentre scuoiava l’orso, infilzando dei pezzi in uno spiedo e salando il resto. Quella volta la sua conversazione fu più sciolta, gli occhi dolci e il sorriso tenero, e Artemide sperò di poter dare la colpa al vino per il calore che sentiva nelle guance.

“Mi piacciono le tue spalle.” Disse Artemide, guardandola mentre finiva di preparare la carne d’orso.

Sipriote si fermò e si voltò verso di lei con un sopracciglio inarcato. La sua veste era rossa per il sangue dell’orso e i suoi capelli corvini e setosi erano tenuti in una treccia laterale. Artemide desiderò di poterci passare le dita. “Davvero?”

Si alzò in piedi, muovendosi lentamente nel caso in cui Sipriote non lo volesse, e premette le mani sulla sua schiena come aveva fatto al lago. “Sì, sono larghe. Forti. Come le mie.”

Sipriote si girò e Artemide spostò le mani dalle sue spalle al volto, premendo il pollice sul suo labbro inferiore. “La carne si brucerà.” Disse, gli occhi scuri.

“Te ne porterò un altro.” Disse, facendola arretrare fino a quando non raggiunsero il letto, fino a quando le ginocchia di Sipriote non ne toccarono la sponda, cadendo all’indietro, fino a quando Artemide non si arrampicò su di lei, cingendole la vita con le cosce su di lei.

Sipriote alzò una mano e Artemida la prese tra le sue, girandola per poter premere un dolce bacio su ogni nocca. “So chi sei, Artemide,” mormorò,” Ne sei… ne sei sicura? Nessun uomo può toccarti.”

Artemide si sporse in avanti, premendo nuovi baci sulle sue clavicole, e disse: “Non ci sono uomini qui.”

Furono le ultime parole che si dissero fino al mattino seguente.
 

 
 
 Note dell'autrice: Spero che vi sia piaciuta!

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Nota delle traduttrici: Ricordo ancora una volta che qusta storia la sta traducendo DanceLikeAnHippogriff, per cui fatele tutti un bell'applauso! Speriamo che questi aggiornamenti settimanali possano darvi un po' di sollievo nella pesantezza della quarantena. Restate a casa!
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