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Autore: FDFlames    30/03/2020    1 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Cinque

Knej non esisteva più.
Uno. Soltanto uno, riecheggiava nella mente di Aera, un ritornello fastidioso, grave, che la faceva sentire colpevole, sbagliata, e sola. Un solo membro dell’intero clan si era salvato, e Aera doveva cominciare ad accettarlo, ad andare avanti con forza, con coraggio, per tutti coloro che erano rimasti indietro.
Ma è così facile essere nobili, con le parole e con i pensieri. La povera ragazza non sentiva di avere in sé questa forza. Avrebbe avuto bisogno che Zalcen la rassicurasse, che Ikaon le facesse da esempio, fosse il modello da seguire, ma tutte quelle che erano state le sue sicurezze fino a quella mattina ora non erano altro che ricordi, che sarebbero diventati lontani e meno dolorosi solo se Aera avesse trovato la forza di andare avanti. E non la trovava.
Rimase per un poco persa in questo circolo vizioso delle sue ansie, dei suoi ricordi e delle sue speranze, poi sgusciò silenziosa fuori dalla morsa dei propri pensieri orrendi, e timidamente si mosse. Dalla posizione prona in cui era, prima si mise in ginocchio, solo per essere vittima ora di un dolore anche fisico, alla gamba sinistra, della cui causa non si curò minimamente. Poi, lentamente, si tirò in piedi, restando però china, e spaventata.
Ora che era calata la notte la ragazza avvertiva il freddo. Trovò riparo nella piccola grotta a pochi passi da lei, a pochi passi da Zalcen, che non l’avrebbe mai raggiunta. Aera rivolse ogni pensiero a lui, ogni pensiero all’amico, al fratello, così vicino a lei, alle sue spalle, dal quale si stava allontanando.
Non sarebbe mai tornata indietro. E non si voltò.
 
La piccola grotta sarebbe bastata forse come riparo dal vento, ma non dal freddo, pensò Aera. Non che avesse intenzione o che pensasse di riuscire a dormire, dopo ciò che aveva vissuto, ma quella lieve brezza insopportabile, che spirava nelle Foreste di Wass durante la primavera, era solo l’ennesimo tormento per la giovane.
Più vicine all’ingresso vi erano delle rocce bucherellate, probabilmente per effetto della pioggia; Aera si chiese da quanto tempo si trovassero in quel luogo, considerato anche il clima secco di quella zona in particolare.
Addentrandosi di un poco nella grotta, le rocce erano più lisce, ma umide, come le pareti. Non volle nemmeno pensare alle minuscole vite che avrebbe scomodato se si fosse azzardata a sollevarne una. Si accovacciò, appoggiandosi alla parete, presso una roccia situata proprio al centro della piccola grotta, come fosse un piccolo tavolo in una casa inospitale.
Fu allora che avvertì di nuovo quella fastidiosa fitta alla gamba sinistra, e si accorse di essere stata ferita al polpaccio da una freccia; la punta l’aveva semplicemente colpita di striscio, e aveva lasciato una ferita che somigliava ad un taglio provocato da un pugnale.
Non se n’era accorta, prima. Non era la gamba a farle male, anzi, della gamba proprio non gliene importava nulla; avrebbe anche accettato di vivere senza, se in cambio avesse potuto riavere Zalcen e Aniène.
Purtroppo ora tutto ciò che poteva essere usato per medicare la sua ferita si trovava al di fuori della grotta, e Aera non voleva rischiare di venire uccisa dagli Ideev; di sicuro alcuni erano ancora nei dintorni.
Si rese conto ben presto di sentirsi estremamente attaccata alla vita, nonostante non le fosse rimasto nulla se non se stessa e il dolore. Zalcen avrebbe voluto che lei andasse avanti, così avrebbe voluto Aniène, così avrebbero voluto Ikaon, Neal e ogni altro membro del clan. Era il desiderio di chiunque la conoscesse e le volesse bene, anche dei suoi genitori, che non aveva mai incontrato.
Ma non decise di continuare solo ed esclusivamente per non deludere tutti loro. Ciò che di male era accaduto alla Valle Verde negli ultimi quindici anni era accaduto a causa di Vyde: Aera non voleva andarsene senza combattere. Avrebbe giocato sporco, avrebbe mentito, tradito, ucciso, ma avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere Vyde.
Aveva solo un pugnale, che le aveva regalato Neal, e non l’aveva mai usato. Aera non aveva mai fatto del male a nessuno. Non in quel modo.
Oh, su, dove pensava di andare? Non aveva mai ucciso nessuno, tanto meno con un pugnale. Ma aveva visto un pugnale uccidere qualcuno.
Doveva usarlo. Vyde aveva distrutto tutto, e una parte importante aveva avuto anche il suo maggiordomo, Tavem, che, durante i primi anni in cui Vyde si era stabilito nella Valle Verde, aveva reso popolare il giovane Lord.
Già, non ci aveva mai pensato, ma quel Tavem, zitto zitto, era la causa di tutto. Se non ci fosse stato, nessuno avrebbe appoggiato Vyde. Dopotutto, il silenzio è il maggiordomo dell’ingiustizia.
Una voce nella testa le urlava di allontanare quei pensieri il prima possibile. Uccidere? Togliere la vita a un’altra persona? Era imperdonabile! Una colpa gravissima! Avrebbe dovuto trovare un altro modo, magari continuare a scappare a est, o non avrebbe potuto ritenersi innocente. Doveva proteggere la sua innocenza, dato che era una delle poche cose che le erano rimaste.
Ma non era forse più imperdonabile non tentare di fare tutto il possibile per riportare la libertà nella Valle Verde? Se avesse seguito i suoi istinti, questi l’avrebbero condotta dalla parte giusta; le decisioni prese con la fretta di solito sono sbagliate, ma in una situazione come quella in cui si ritrovava, tutto ciò che aveva da perdere era la vita, una vita vuota che non sarebbe valsa di più se lei fosse scappata, ma si sarebbe riempita di incubi, e di odio rivolto verso se stessa, verso la codarda che era fuggita dal clan e dalla Valle Verde, dalla sua casa, quando avrebbe potuto fare qualcosa, salvare qualcuno, salvare tutti.
Innocenza o istinto?
Pensò alle persone che le volevano bene, e la risposta le apparve scontata, appena le tornarono alla mente le parole di Zalcen: «E gli istinti non si possono sopprimere.»
 
Mentre questi pensieri si ingarbugliavano nella sua testa, Aera scoppiò a piangere, cercando di rimanere muta, ma senza riuscirci. Confuse la cadenza dei suoi sospiri con il fruscio delle foglie, il tremolio delle sue lacrime con un’ombra che si avvicinava, il ritmo dei suoi singhiozzi con il rumore di passi. Non si accorse della presenza di un’altra persona nella grotta, così vicina a lei, fino a quando non sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla destra, come a consolarla.
Spaventata, Aera si alzò e sfoderò il pugnale, agitandolo davanti a sé in direzione del suo aggressore prima di poterlo anche solo vedere in faccia.
«Chi sei?» urlò al buio, cercando di fingersi sicura di sé, mentre tremava come una foglia temeva che l’altro fosse armato.
Temette allora di essere sola, ma non aveva intenzione di abbassare la guardia. «Parla!» ordinò, rivolta a una delle tante ombre nella grotta.
«Silenzio!» le intimò l’estraneo, «Vuoi che gli Ideev ci trovino? È tutto a posto, siamo salvi per miracolo.» la tranquillizzò, prendendola per le spalle, ma sempre gentilmente, e calmo.
Senza nemmeno volerlo, Aera lo abbracciò. Allora ce l’aveva fatta anche lui, aveva sbagliato i calcoli, per una volta! Non era mai stata così contenta del fatto che avesse torto.
«Zalcen!» lo chiamò, stringendosi ancora di più al ragazzo.
«Che cosa?» l’altro non ricambiò l’abbraccio, sentendosi a disagio, ma nemmeno si tirò indietro. Arrossì, ma la sua tenera reazione venne nascosta dall’oscurità della grotta.
La voce era diversa da quella che Aera ricordava, aveva un timbro più pulito, forse un tono leggermente più alto, ma era lui, doveva essere lui.
«Mi dispiace, ma...» ricominciò, imbarazzato, «Non so di chi tu stia parlando.»
Com’era possibile? Aveva battuto la testa? Aveva perso la memoria?
«Il mio nome è Reyns.»
Aera avvertì un colpo forte, doloroso, dritto al cuore, che in qualche modo era anche un nodo alla gola, e si trasformò rapidamente in una sorta di presa invisibile, che la rendeva immobile, e minacciò di farla piangere ancora.
Lo lasciò andare, per osservare finalmente quel viso.
Non era affatto Zalcen; questo Reyns aveva capelli e occhi castani, che non erano minimamente paragonabili ai diamanti che brillavano negli occhi del suo amico d’infanzia. Ora che lo guardava, anche se nell’oscurità della grotta, era chiaro che Reyns e Zalcen non si assomigliavano per niente.
Aera provò una vergogna che forse non aveva mai provato in tutta la vita.
«Oh, no, scusami...» continuava a ripetere, mentre le lacrime, ormai libere, le rigavano il viso, di nuovo, e Reyns cercava di tranquillizzarla.
«Non c’è nessun problema,» ripeté, calmo, posandole una mano sulla spalla, questa volta senza che lei sussultasse. «Ci siamo salvati, ed è questo che conta ora. Dobbiamo continuare, anche per i nostri compagni.»
Lentamente Aera si calmò, capendo di trovarsi sì sola, ma vicina a qualcuno che era sopravvissuto alla sua stessa esperienza. Continuare per i propri compagni era un dovere che spettava solo ai superstiti di un clan, ed era un compito doloroso, ma avrebbe fatto più male prendere qualsiasi altra via, perché quella che stavano percorrendo ora Reyns e Aera era l’unica in cui, tra i pochi valori rimasti, comparissero il coraggio e la dignità.
Aera si vergognò ancora, per il fatto di essere incapace di riconoscere il suo migliore amico, suo fratello, dopo così tanto tempo passato insieme. Forse il fatto era che Aera voleva che Zalcen fosse lì con lei, e che per una volta avesse sbagliato i calcoli, che fossero stati in due a salvarsi. Ma Zalcen non aveva sbagliato. Non aveva neanche sperato.

 
   
 
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