Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: Helmwige    30/03/2020    3 recensioni
SPOILER TROS
Storia ambientata alla fine di Episodio IX, subito dopo la morte dell'Imperatore. Rey torna su Ajan Kloss dai suoi amici, cercando di raccogliere le fila della sua vecchia vita. Ma non è così semplice, ora che ha perso quasi tutto. Dovrà affrontare verità amare, solitudine e disillusioni, con la speranza che prima o poi ciò che è morto torni a vivere.
Una Reylo un po' diversa dal solito.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Poe Dameron, Rey
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“So now go do the best things in life
Take a bite of this world while you can
Make the most of the rest of your life
Make a ride of this world while you can.”
Disturbed – Hold on to Memories
 
Il monumento eretto in onore del Generale Organa splendeva alla luce del sole. La pietra bianca luccicava così violentemente da ferirgli gli occhi.
Finn allungò una mano, sfiorando con la punta delle dita l’enorme statua che vi stava alla base. Fu un gesto esitante, come se desiderasse invano di poter ricevere, attraverso quel tocco, la saggezza e la perseveranza che avevano animato Leia. Lei sarebbe stata capace di risolvere quel dilemma che lo assillava da giorni. La principessa avrebbe preso Rey da parte e le avrebbe parlato con la calma e la tenerezza che solo una madre può avere. Le avrebbe elencato i suoi timori e Rey si sarebbe confidata con lei, spiegandole per filo e per segno cosa le stava accadendo in quel periodo.
Ma Finn non era Leia. Nessuno lo era.
Eppure qualcosa gli diceva che toccava proprio a lui svolgere quel compito arduo.
A parole sembrava tutto facile e immediato.
Quando si era accorto per la prima volta di essere un force sensitive, aveva fatto i salti di gioia. Proprio lui, ex soldato del Primo Ordine, aveva chissà come ereditato quel potere enorme dei leggendari Jedi.
Lui, figlio di genitori che nemmeno ricordava, ricondizionato fin da quand’era in fasce.
Lui, un errore di sistema, come l’aveva definito Phasma.
Si era sentito immortale, imbattibile. La sua vita gli era apparsa finalmente sensata.
Ma con il ritorno di Rey da Exegol, aveva perso tutto l’ottimismo che lo aveva animato all’inizio; quel dono enorme si stava rivelando una maledizione, più che un regalo da parte dell’Universo.
Ormai sentiva solo il peso della responsabilità che quel potere comportava. Un peso che non voleva sopportare, non in quella situazione. Essere un force sensitive non faceva altro che allontanarlo da Poe, il quale non riusciva proprio a prenderlo sul serio. Ma, soprattutto, incrinava pericolosamente il rapporto che aveva con Rey.
Nelle ultime settimane si era sentito sempre più distante da lei, come se non fossero mai stati amici. Come se non avessero condiviso l’assurda fuga da Jakku a bordo del Falcon, come se non si fossero salvati più volte a vicenda.
Avrebbe volentieri fatto a meno di quel dono, l’avrebbe scambiato con la sua vecchia amicizia con Rey senza battere ciglio. Ma non ci riusciva, oppure non sapeva come fare. E più passava il tempo, meno erano le probabilità che riuscisse a rimettere le cose a posto tra di loro.
Eppure quella non era la sua unica preoccupazione. Forse, pensandoci bene, avrebbe perfino accettato di sacrificare il suo rapporto con Rey, se ciò gli avesse garantito la sicurezza della ragazza. Purtroppo, non era così. Lei era in pericolo, ne era certo. Lo sentiva, maledizione!
All’inizio non ci aveva badato molto; aveva percepito qualcosa di strano, un turbamento nella Forza. Qualcosa di simile a una forte inquietudine che circondava Rey. Dapprima, aveva sottovalutato la cosa, convinto che fosse solo frutto della sua immaginazione, o che fosse dovuto alla spossatezza e al dolore della ragazza. Ma col passare dei giorni, quell’ombra si era trasformata, diventando sempre più reale e concreta. Diventava giorno dopo giorno più evidente, come se il tempo la fortificasse. Quella presenza gli era familiare ed estranea allo stesso tempo. Apparteneva a qualcosa, o a qualcuno, con cui aveva già avuto a che fare. Un sorta di spirito che veniva direttamente dal passato, rivendicando ciò che gli era appartenuto o, forse, ciò che aveva inutilmente sperato di ottenere.
Qualunque fosse la risposta, Finn sapeva con certezza che non era buona.
Doveva aiutare Rey, doveva portarla in salvo da quell’ombra che minacciava di inghiottirla per sempre. Aveva solo bisogno di un piano.
Fece un passo in avanti, colmando la distanza che lo separava dal monumento. Con un sospiro sconfitto, appoggiò la fronte alla pietra fredda.
“Cosa devo fare?” domandò l’ex assaltatore, sussurrando appena. “Aiutami, Leia. Cosa posso fare?”
Gli rispose solo il silenzio.
 
***
 
Per quanto avesse ritenuto assurdo tutto il ragionamento di Finn, da quella sera i pensieri del Generale Dameron erano rivolti esclusivamente a Rey e alla presunta oscurità che la circondava.
Non che credesse sul serio che la ragazza fosse vittima di un qualche sortilegio Sith, sia chiaro. Però il dubbio gli si era infilato sotto la pelle e non dava alcun segno di volersene andare.
E, francamente, era una cosa che non sopportava. Lui, che amava la razionalità e lodava la capacità di poter prevedere le azioni del nemico, proprio non poteva rassegnarsi all’esistenza della Forza. Non del tutto, almeno.
Tuttavia, il discorso di Finn l’aveva lasciato profondamente a disagio. Rey poteva essere davvero in pericolo? Qualcosa la stava tenendo prigioniera, magari minacciandola?
Un brivido lo attraversò. Si trattava di nuovo della presenza di Palpatine? Chissà quante stregonerie erano alla portata dell’ex imperatore, quanti corpi con i suoi stessi geni erano disseminati per la Galassia.
Poe scosse la testa, cercando di sbarazzarsi di quei pensieri.
Non erano da lui, quelle riflessioni. Per niente.
Lui doveva preoccuparsi della parte reale e concreta della vita. Doveva pensare al futuro dei membri della Resistenza, alla creazione della nuova Repubblica… o semplicemente al motore del suo caccia, che faceva ancora molta fatica a riprendersi dalla battaglia su Exegol. Il suo astromeccanico di fiducia, dopo settimane, non era ancora riuscito a diagnosticare il problema e continuava a rotolare attorno alla nave emettendo dei pigolii frustrati.
Poe sorrise amaramente. Il Nero 1, gioiello della flotta ribelle e compagno di avventure del Generale, gli mancava terribilmente… ed era sicuro mancasse anche a BB-8, anche se non si erano mai amati molto: il droide aveva sempre considerato il Nero 1 come un gran rompiballe. Eppure, per quanto poteva essere antipatico, quel caccia era unico, incredibilmente veloce, un prolungamento del suo stesso corpo.
Poe venne bruscamente riportato alla realtà quando sentì una sostanza scivolosa colargli lungo le dita. Si era perso nei propri pensieri così a lungo che le sue mani avevano lavorato come quelle di un automa, andando a toccare ciò che non avrebbero doluto.
Il Generale Dameron sfilò le mani dal motore, imprecando. Le dita erano ricoperte da un liquido viscido e nerastro. L’odore gli feriva le narici.
“Prendi questo,” disse una voce alle sue spalle.
Rose lo stava fissando con uno sguardo ironico e incuriosito, porgendogli uno straccio. Poe lo afferrò, annuendo in silenzio per ringraziarla, e si pulì le mani alla bell’e meglio.
“Puoi pensarci tu?” le chiese, quasi implorandola. Era un pilota, non un meccanico. E poi aveva una cosa più urgente da fare.
“Certo,” rispose Rose. “Qual è il pr…”
“Grazie mille,” la interruppe lui, riconsegnandole lo straccio ormai lurido. Poi, veloce come un Varactyl, si allontanò dal suo caccia, dirigendosi in lunghe falcate verso l’alloggio di Rey.
La trovò nella sua stanza, seduta a gambe incrociate sul letto. Benché la mattinata fosse ormai inoltrata, la ragazza sembrava sveglia da poco. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle in ciuffi disordinati, gli occhi erano gonfi e stanchi.
Poe le si avvicinò adagio. “Rey, tutto bene?” domandò preoccupato.
La ragazza si sforzò di sorridere, annuendo lentamente. “Sì, ho solo dormito male.”
“Vieni,” la esortò lui, allungando una mano verso di lei. Qua e là erano ancora visibili delle piccole macchie d’olio; sperò che lei non si accorgesse di niente. “Avrai fame… andiamo a mangiare qualcosa.”
Gli occhi di Rey passarono dalla mano al volto del generale, confusa da quella proposta. Un gesto simile se lo aspettava da Finn, non da lui.
Poe dovette intuire i suoi pensieri, perché si affrettò ad aggiungere: “Ti ho solo offerto la colazione, non ti ho mica dichiarato guerra.” Le sue labbra si distesero in un sorriso provocatorio.
Rey sbuffò e scosse la testa. Poi gli afferrò la mano.
 
Ogni volta che vedeva Rey mangiare, Poe non credeva ai suoi occhi. Perfino la semplice colazione servita su Ajan Kloss, che consisteva in un velo di burro spalmato sul pane raffermo, sembrava la più squisita delle pietanze nelle mani della ragazza. Ogni singolo boccone veniva masticato con devozione, quasi con timore.
Poe la guardò raccogliere le ultime briciole di pane dal tavolo con le dita e portarsele alle labbra. Le sembrava una bambina, gli faceva quasi tenerezza. A volte, la differenza di età tra loro era così evidente che lo prendeva alla sprovvista, facendogli dimenticare che era stata proprio lei a salvare la Galassia intera.
Ma in quel momento Rey non gli appariva come salvatrice di mondi, bensì come una giovane donna affamata e spettinata che aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi… magari di un fratello, un genitore, o semplicemente di un amico.
Si rammaricava di non averlo capito prima. L’avevano riempita di attenzioni soffocanti subito dopo la battaglia su Exegol per poi lasciarla affogare nel proprio dolore, senza stare a sentire le varie richieste di aiuto che aveva lanciato. Lui, poi, si era preoccupato di elargire giudizi a destra e a manca, infischiandosene di tutto il resto. L’avevano persa proprio così, credendo stupidamente di conoscerla e di sapere cos’era meglio per lei. Per questo ora era lì: per tentare di mettere le lancette dell’orologio indietro di qualche settimana.
“Hai ancora fame?” le chiese dopo un po’.
Rey scosse la testa, nascondendo le mani sotto il tavolo. I suoi occhi tuttavia, anche se fissi sulle venature del legno davanti a lei, tradivano un desiderio inappagato.
“Sei sicura?” domandò Poe. “Io ho già mangiato, se vuoi puoi prendere la mia razione.”
La ragazza sollevò lo sguardo, sbirciandolo da sotto le ciglia. Sembrava ancora più piccola. Quanti anni si scambiavano, loro due? Dodici? Tredici?
Ma quell’occhiata fu breve, e il volto di Rey tornò ben presto serio e fermo come al solito.
“Grazie dell’offerta, ma non voglio appesantirmi.” Poe le apparve così spaesato che si sentì obbligata ad aggiungere: “Prima dell’addestramento.”
Un’ombra fugace gli oscurò il volto. Abbassò la testa, sperando che lei non se ne accorgesse, e si mise a seguire le striature del tavolo con l’indice. “Ecco, a proposito del tuo addestramento…”
Poe ebbe l’amara sensazione che Rey lo stesse guardando così intensamente da perforargli il cranio. E infatti era così: la ragazza aveva socchiuso le palpebre e lo scrutava con attenzione, in attesa.
Lui fece un respiro profondo. Non sapeva da dove iniziare.
Cosa poteva dirle, d’altronde?
Finn e io siamo convinti che qualcuno ti stia alle costole?
Assurdo, lui non ne era convinto proprio per niente.
Finn ha percepito un’ombra attorno a te e ha paura che ti faccia del male?
Patetico.
Si stava pentendo amaramente di aver iniziato quel discorso. Non riusciva né a formare una frase sensata né a sbrogliare i propri pensieri. Non ricordava nemmeno cosa l’avesse spinto, così tutt’a un tratto, ad andare da lei.
Era ridicolo, oltre che penoso.
Rimase immobile e in silenzio così a lungo che Rey perse la pazienza. Si alzò, voltò le spalle a Poe senza degnarlo di un altro sguardo e se ne andò.
Non era arrabbiata, solo un po’ delusa. Possibile che fosse rimasto così indietro, che avesse ancora voglia di definire il suo addestramento come una pratica priva di significato? Dopo quello che era successo su Exegol, per giunta!
Sentì dei passi affrettati dietro di sé, il respiro accelerato di Poe mentre le si avvicinava, affiancandola.
“Rey… aspetta.”
La ragazza si bloccò all’improvviso, voltandosi verso di lui e fulminandolo con lo sguardo.
“Si può sapere che ti prende, Poe?”
È la stessa domanda che vorremmo farti noi, pensò lui. Ma se lo tenne per sé. Voleva riavvicinarsi a Rey, tornare a formare la squadra meravigliosa che erano una volta, la squadra che aveva ridato la libertà alla Galassia intera.
Poe sospirò, indeciso, mentre gli occhi di Rey erano fissi sul suo viso in cerca di risposte. Non riusciva a capire cosa gli fosse saltato in testa, ma una cosa era certa: non aveva mai visto Poe così premuroso con nessuno, benché meno con lei.
Il Generale Dameron aprì la bocca per dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. La richiuse. Rey gli appariva giovane e indifesa… e proprio lì stava il problema, nelle apparenze.
“So che sai badare a te stessa,” sussurrò infine, sforzandosi di sembrare patetico il meno possibile. “E non ho intenzione di recitare la parte del genitore apprensivo.”
Poche lagne, Dameron, arriva al punto, si disse.
Sospirò di nuovo. Affrontare la flotta di Palpatine era stato meno sfibrante.
“Gli ultimi tempi non sono andati alla grande, ma questo non vuol dire che non siamo con te…”
Rey annuì, abbassando le palpebre. Ora le era chiaro perché Poe si era comportato in quel modo così atipico. E, assieme alla comprensione, arrivò anche un’ondata di sensi di colpa. Aveva messo da parte i suoi amici come se non avessero avuto più un ruolo nella sua vita, dimenticandosi che era anche grazie a loro se era arrivata fino a lì, a chissà quanti parsec da Jakku. Certo, loro non si erano sforzati di comprendere il suo punto di vista, né di prendere in considerazione l’idea di rivalutare Ben… ma non aveva fatto anche lei lo stesso, in fin dei conti? Non li aveva allontanati, senza sforzarsi di fornire una qualsiasi spiegazione? Non si era forse chiusa in se stessa, cercando conforto nella distruzione prima e in Ben poi?
Poe fece un passo avanti, colmando parzialmente la distanza tra di loro. Lei alzò lo sguardo, incrociando gli occhi preoccupati di lui.
“Se ci fosse qualcosa che non andasse… qualsiasi cosa…”
Era talmente a disagio in quella situazione che gli angoli della bocca di Rey si piegarono verso l’alto.
“Ve lo direi, sì.”
L’espressione preoccupata di Poe si trasformò nel suo solito sorriso arrogante da adescatore di fanciulle in pericolo. “Lo prometti?” chiese, ammiccando.
Rey trattenne a malapena una risata davanti a quella trasformazione così repentina. Se si fosse impegnato ancora un po’, Poe sarebbe riuscito a diventare un imbroglione perfino migliore di Han Solo.
La ragazza respirò a pieni polmoni, regalandogli un largo sorriso. “Farò del mio meglio.”
 
Poco distante, nascosto tra la fitta vegetazione di Ajan Kloss, il fantasma di Ben Solo osservava la coppia. Il suo sguardo oscillò tra i due amici ritrovati, soffermandosi ripetutamente sul volto sorridente di Rey.
I suoi occhi s’incupirono ancor di più, riempiendosi di rimorso.
 
***
 
Rey raggiunse la radura dove solitamente si allenava nel primo pomeriggio. Ben era già lì che l’aspettava disteso per terra. Quando si accorse del suo arrivo, sollevò leggermente la testa per guardarla. Per un tempo che sembrò infinito, si limitò a fissarla, finché Rey non si sentì così in imbarazzo da fare istintivamente un passo indietro. A quel punto Ben sembrò riprendersi: allungò una mano e le fece cenno di sedersi accanto a lei.
Rey indugiò davanti a quel gesto, osservando lo sguardo impassibile di lui, finché con un respiro profondo non si avvicinò. Si sedette sull’erba, a meno di un metro da lui. Le sue mani si tormentavano nervosamente a vicenda per la confusione. Decise di incrociare le braccia.
Ben distolse lo sguardo da lei, puntandolo contro il cielo. Era un giorno soleggiato e il cielo blu era ornato di bianche nuvole in movimento. Ma Rey era troppo concentrata sulle sensazioni del fantasma per concentrarsi sull’azzurro che li sovrastava.
Ben non era infastidito né adirato. Non era nemmeno triste o tormentato. Non sentiva nulla di tutto ciò, e forse fu proprio questo a riempirla di inquietudine. Era come se lui si stesse sforzando di erigere un nuovo muro invisibile per lasciarla fuori dal suo mondo interiore.
La stava escludendo di nuovo? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Le ultime volte che avevano parlato le era sembrato così spontaneo… le aveva raccontato della sua infanzia, della sua disavventura con il remoto, dell’ultima volta che aveva affrontato Luke. Cos’era cambiato nel giro di un giorno?
Una parte della ragazza avrebbe continuato a torturarsi con mille domande senza trovare alcuna risposta soddisfacente. Un’altra, invece, non voleva sprecare neanche il più breve attimo di quell’incontro, ed era sicura che Ben le avrebbe detto tutto: bastava avere fiducia e attendere pazientemente i suoi tempi… oppure fare le domande giuste.
Fece un respiro profondo e distolse lo sguardo dalle proprie mani. Studiò furtivamente il viso di lui, osservando il volto pallido, le labbra piene, il naso dritto, gli occhi neri e luminosi allo stesso tempo che fissavano il soffitto blu sopra di loro.
“A cosa pensi?” gli chiese. La sua voce risultò così flebile che dubitò di aver davvero pronunciato quelle parole.
Ben chiuse le palpebre, riaprendole lentamente poco dopo. “Stavo facendo un gioco.”
Rey non riuscì a trattenersi dall’alzare le sopracciglia, tanto fu la sorpresa nel sentir pronunciare  quelle parole proprio da lui.
“Un gioco che facevo con mia madre,” continuò, senza staccare gli occhi dal cielo.
“Che tipo di gioco?”
“Quand’ero piccolo, se non era troppo impegnata con il Senato o in chissà quale missione diplomatica, mi portava all’aperto. Ci sdraiavamo sull’erba e guardavamo le nuvole, facevamo a gara a chi riconosceva più animali.”
La ragazza lo guardò confusa. “Ed era divertente?”
Finalmente Ben tornò a guardarla, sorpreso. Un lieve sorriso minacciava di fare la sua comparsa da un momento all’altro.
“Beh, sì.”
Poi successe l’incredibile: Rey arrossì violentemente. Le sue guance si tinsero di un rosa acceso, mentre i suoi occhi si allontanavano da lui e tornavano a concentrarsi sulle proprie mani intrecciate.
Ben venne investito, in modo del tutto inatteso, dall’imbarazzo della ragazza. E, a dir la verità, si sentì quasi in colpa.
“Non hai mai provato?”
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore, mentre ripensava al cielo tutt’altro che limpido di Jakku. La sabbia e la foschia lo rendevano costantemente torbido, trasformandolo in una cappa opprimente. Qualche volta aveva visto le nuvole, certo, ma non aveva mai pensato di stendersi per terra e passare ore a guardarle: era sempre stata troppo impegnata a setacciare il deserto in cerca di rottami, per poi rimetterli a nuovo e consegnarli a Unkar Plutt in cambio di misere razioni di cibo. Si era concessa di starsene col naso all’insù solo durante la sera, ma a quel punto la sua mente era sempre stata troppo occupata a immaginare pianeti lontani per concentrarsi sulle poche nuvole che sfidavano il tramonto.
Ben rimase in silenzio, assorbendo i pensieri di Rey e facendoli propri.
Dopo un po’ la sua voce risuonò di nuovo, questa volta intrisa di curiosità: “Com’era la tua vita su Jakku?”
Rey, sbalordita e confusa, fissò il fantasma con gli occhi sbarrati, come se non fosse capace di comprendere la domanda.
“Mi hai violato i ricordi, dovresti saperlo...”
Non c’era rimprovero nella sua voce, né tantomeno accusa. Anche lei aveva violato la mente di lui, sotto quel punto di vista erano pari.
“Ho visto solo quelli che mi servivano. E a pezzi,” ribatté lui. “Non ho idea di come fosse davvero la tua vita lì.”
Rey si strinse nelle spalle, tornando a fissare le nuvole che si rincorrevano sopra di lei.
“Vivevo come tutti gli altri cerca-rottami. Cercavo per ore i pezzi in mezzo al deserto, li vendevo in cambio di cibo, mangiavo e andavo a dormire.”
Sentiva ancora lo sguardo di Ben fermo su di lei, in attesa. Lei, invece, non riusciva a guardarlo, anzi, sperava vivamente che quella curiosità passasse con la stessa fugacità con cui era apparsa. Quella era stata la sua vita finché BB-8 non era comparso dal nulla, cosa si aspettava che gli dicesse?
Eppure, una parte di lei era pronta a rispondere a qualsiasi domanda; ogni quesito da parte sua non era altro che una sfida alla sua vecchia natura, un tentativo di riprendere il proprio posto nell’universo.
Per cui, quando Ben le chiese di descrivere la capanna in cui viveva, Rey si limitò ad alzare gli occhi al cielo con finta rassegnazione, pronta a esaudire il suo desiderio di conoscenza. 
“Non era una capanna, ma un vecchio AT-AT. Era lontano dal villaggio, per questo l’avevo scelto.”
“Non pensavo fosse possibile vivere dentro un camminatore, sembra quasi… assurdo.”
Rey lo fulminò con un’occhiataccia. “Quando non si ha niente, s’impara ad arrangiarsi,” ribatté.
Il fantasma non rispose, limitandosi a guardarla. Nonostante l’impassibilità che tentava di mantenere nel proprio sguardo, la curiosità continuava a bruciare in fondo ai suoi occhi.
Voleva sapere, ma non provava a sondarle la mente come aveva fatto tante altre volte, anzi, aspettava – seppur con impazienza – che fosse lei ad aprirsi.
Rey si sentì colmare da una gioia incomprensibile. Era quel tipo di contentezza che prende all’improvviso, quasi a tradimento e senza un vero motivo, e per un attimo si è semplicemente felici, anche se non si sa perché.
Così, senza distogliere l’attenzione neanche per un momento dal discreto luccichio delle pupille scure di lui, cominciò a raccontare tutto ciò che le veniva in mente. Non aveva più filtri perché non aveva più alcun timore.
“Avevo incassato il letto sotto la testa dell’AT-AT. La cucina invece era dalla parte opposta,” iniziò. “Beh, in realtà non era una cucina, era solo un tavolino dove tenevo i piatti su cui mangiavo. Ci tenevo anche dei fiori secchi.”
Si tormentava le mani, non sapendo nemmeno lei se per l’euforia, l’agitazione, la timidezza o tutte e tre le cose insieme.
“Mi sarebbe piaciuto avere dei fiori freschi, ma l’acqua non bastava nemmeno per me,” mormorò. Rendendosi conto di come la frase potesse suonare patetica, si affrettò ad aggiungere: “Forse è stato un bene… nessun abitante del deserto se la cava bene con le piante.”
Ben non riuscì a trattenersi e lasciò che le proprie labbra s’incurvassero verso l’alto.
“Avevo anche un casco della Resistenza, me lo mettevo ogni volta che mangiavo. Guardavo le stelle e volevo andare su ognuna di esse… diventare un pilota era il sogno della mia vita.”
“Anche il mio.”
Le labbra della ragazza si schiusero per la sorpresa. Non tanto per l’idea in generale, che l’aveva sfiorata già altre volte, quanto per averglielo sentito dire.
“Hai qualsiasi mezzo a disposizione per esercitarti,” continuò lui, la voce seria e calda allo stesso tempo. “Forse col tempo potresti diventare perfino più brava di me.”
“Sono già più brava di te,” ribattè lei con tono di sfida.
“Sei discretamente brava.”
Lei sollevò un sopraccigliò, sconcertata. “Discretamente? I tuoi piloti non sarebbero stati della tua stessa opinione.”
“Ci credo, avevi il Falcon! Devo ricordarti che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici parsec?!”
Le rivolse lo sguardo orgoglioso e provocatorio che Han aveva sempre quando parlava della sua splendida nave, l’espressione che di solito lasciava la ragazza in preda alla nostalgia.
Ma questa volta non fu così: Rey non si arrese alla malinconia quando vide quell’espressione da canaglia, anzi, si mise a ridere. Fu una risata breve, quasi sotto i baffi, eppure senza vergogna, liberatoria. Per una volta il lutto cedeva il posto alla felicità del presente.
E, per tutta risposta, Ben sorrise. Non il solito sorriso pallido, che richiedeva l’utilizzo del minor numero di muscoli possibili, ma un sorriso vero, proprio come quello su Exegol.
Possibile che quella risata potesse produrre la stessa gioia del suo ritorno dalla morte?
Eppure per Ben sembrava fosse proprio così, anche se per lei non aveva senso. Anzi, appariva tutto privo di significato, tranne gli occhi luccicanti e felici di lui.
Sentì fluire dentro di sé la stessa gioia incontenibile che l’aveva invasa quando aveva ripreso coscienza davanti al Trono dei Sith, ritrovandosi tra le braccia di Ben. Mai si era sentita così felice, così appagata, in vita sua.
Nei giorni successivi alla scomparsa di Ben, aveva bandito ogni pensiero su di lui, finché non si era ritrovata incapace di ricordare cosa l’avesse spinta a baciarlo. Anzi, quasi si era convinta di averlo fatto per gratitudine.
Ora non poteva credere di averlo pensato sul serio, di aver scambiato per riconoscenza il sentimento bruciante e irresistibile che aveva provato. Per questo si era lasciata guidare dall’istinto e dal desiderio verso di lui… proprio come stava facendo ora.
Rey gli si avvicinò senza neanche rendersene conto, lasciandosi inghiottire dallo sguardo ammaliato del fantasma. Ben si chinò fin quasi a sfiorare il naso di lei con il proprio. Lei sentì il proprio cuore battere con una tale violenza che temette di spezzarsi le costole, o di collassare definitivamente. Forse sarebbero accadute entrambe le cose se Ben avesse azzerato quella ridicola distanza che separava le loro labbra.
Ma non fu così.
Lo vide fermarsi, quasi pietrificato, per poi allontanarsi. Osservò il suo sguardo farsi di nuovo cupo e rifugiarsi dietro una nuova maschera d’impassibilità e indifferenza.
Rey si sentì morire.
In un attimo Ben fu in piedi, le diede le spalle e cominciò ad allontanarsi in lunghe e gravose falcate.
La ragazza, incapace di dare un senso a tutto ciò, si alzò a fatica. Avrebbe voluto rincorrerlo, ma le gambe si rifiutarono di obbedirle, stordite tanto quanto lei. Sentì le proprie labbra tremare.
“Ben…”
Non fece in tempo a dire nient’altro.
Se n’era già andato.
 
***
 
Quella notte Rey si rigirò nel letto per ore, incapace di far fronte alla propria delusione. Non faceva altro che rivedere il volto di Ben, il modo in cui si era avvicinato a lei per poi allontanarsi all’improvviso e sparire nel nulla.
Continuava a rievocare ogni secondo del loro incontro, analizzando ogni espressione, ogni gesto, anche il più insignificante. Anzi, soprattutto i più insignificanti.
Non si dava pace.
Per un breve istante aveva riassaggiato quel briciolo di immensa felicità che aveva provato su Exegol. Aveva quasi toccato le nuvole bianche che la sovrastavano… ma aveva mancato la presa, e la caduta era stata tremenda.
Ben non l’aveva solo rifiutata nel modo più bieco possibile, no. Aveva preso tutta la fiducia che lei gli aveva donato e l’aveva stracciata, facendola a brandelli senza alcun riguardo.
Quella non era stata neanche la parte peggiore. No, il peggio era venuto dopo, quando la rabbia aveva fatto posto alla comprensione, ricordandole quella tremenda verità che continuava a tenere nascosta da quando lui era riapparso come fantasma di Forza.
Ben era morto.
Per quanto si sforzasse di illudersi, beandosi della sua vicinanza e della possibilità di toccarlo, lui non poteva tornare in vita. La sua esistenza era finita, il loro tempo terminato.
Le lacrime cominciarono a rigarle il volto, scendendo copiose sul cuscino. 
Aveva già iniziato ad albeggiare quando la stanchezza ebbe la meglio su tutto il resto.
Rey naufragò in un sonno cupo e agitato. Sognò un pianeta fatto solo d’acqua, un oceano immenso, privo di terraferma. Era totalmente diverso dal mare che aveva visto su Ahch-To: quello che aveva davanti agli occhi non aveva tutte le sfumature del verde e del blu, era solo nero e violaceo. Il ruggito delle onde e della pioggia le feriva i timpani.
Chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare sott’acqua. Non riusciva più a muoversi, si sentiva svuotata da ogni energia.
Immagini sconnesse le assediarono la mente, facendosi largo nel buio.
Vide lunghi cilindri trasparenti, digitigradi dal collo lungo e dagli occhi sproporzionati. Un liquido fosforescente la travolse, trasformandosi in sangue viscido e caldo.
Vi erano dei bambini dentro i cilindri, immobili come cadaveri, grottesche riproduzioni di feti troppo grandi. E in mezzo a loro c’era lei stessa, che guardava altre decine di Rey che la fissavano a loro volta, tutte uguali, tutte con lo stesso sguardo.
Allungò una mano per sfiorare la ragazza che le stava davanti, ma le dita si sfaldarono davanti ai suoi occhi, sbriciolandosi come carta nel deserto. Le sue braccia si trasformarono in polvere. Rey venne affogò nella sua stessa angoscia, mentre il sangue, quasi violaceo, le riempiva la bocca e le narici.
Si svegliò urlando. Fu investita da un conato di vomito e per un attimo temette di rigurgitare sangue. Il sudore le imperlava la pelle facendola tremare di freddo.
Si tirò la coperta fin sotto il mento. Le dita artigliavano la stoffa in preda all’affanno. Il cuore le batteva furiosamente nelle orecchie, rendendola incapace di razionalizzare l’incubo e di liberarsene.
Rimase immobile per quelle che le parvero ore.
Il battito cardiaco rallentò, lasciandola esausta e svuotata. Eppure continuava ad esserci troppa confusione, troppo rumore. Una parola continuava a rimbombarle nel cranio. Un nome a lei sconosciuto e privo di significato, che non aveva intenzione di liberarla dal delirio del sogno.
Kamino.




Angolino oscuro dell'autrice:
Sono molto dispiaciuta per il ritardo ma, paradossalmente, da quando è iniziata la quarantena non ho più molto tempo da dedicare alla scrittura. Anche per il prossimo capitolo, purtroppo, ci vorrà un po', vi chiedo di portare pazienza.
Volevo fare un appunto riguardo a Finn: è stato confermato dai piani alti che si tratta di un force sensitive, ovvero è capace di percepire chiaramente la presenza della Forza, pur non potendola usare. Mi sembrava doveroso scriverlo :)
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui e, in particolar modo, tutti coloro che danno il loro contributo a questa storia. Infinitamente grazie!
Che la Forza sia con voi,
Helmwige
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Helmwige