Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Segui la storia  |       
Autore: Shora    30/03/2020    3 recensioni
Può l'amore esistere tra persone separate da secoli di differenza? E se ciò accadesse che ripercussioni avrebbe sugli anni a venire? Il destino ha deciso di unire tre ragazzi. Amore, morte, misteri... Cosa nasconde Parigi che tutti ignorano? Che segreti custodiscono le persone che ognuno di loro pensava di conoscere?
Ecco a voi il primo capitolo di quella che spero cresca e diventi una trilogia. Buona lettura e spero vi piaccia XD!
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo due:
Mossi due qualche passo. Ero stordita. Ero... stupefatta. Ed ero impaurita. Provai ad avvicinarmi ad una donna che mi stava passando accanto.
«Mi scusi può aiutarmi?» chiedi titubante. La tipa in questione mi lanciò uno sguardo raccapricciato come se fossi un essere orribile o un alieno e affrettò il passo, allontanandosi. Scorsi un uomo e decisi di tentare con lui.
«Avrei bisogno di aiuto. Può dirmi...» ma anche lui mi ignorò, aggiungendo un “che sfrontatezza...” sottovoce. Mi guardai intorno, cercando Chloè con lo sguardo. Lei o Adrein erano gli unici a potermi aiutare. Dopotutto anche loro avevano trapassato il muro, no? Ma sembravano scomparsi. Urtai una ragazza mentre cercavo di attraversare la strada e provare a vederci un po’ più chiaro. Quando mi girai per chiederle scusa, vidi che aveva le lacrime agli occhi. Seriamente ragazzi, cosa aveva questa gente che non andava? Non sapevo esattamente cosa cercare e quando mi sporsi oltre il parapetto per guardare il fiume mi sorpresi di quanto fosse sporco. Girandomi su me stessa mi misi in punta di piedi e cercai i due “trapassiamo-muri-come-se-niente-fosse” con lo sguardo senza successo. Come avevano fatto ad allontanarsi tanto in quei pochi secondi in cui avevo cercato di raggiungerli? Pensai che la mossa migliore fosse aspettarli davanti al muro dove eravamo passati. Tornai di nuovo alla cattedrale. Feci un profondo sospiro e decisi di appoggiarmi con la schiena alla parete. Come ci provai mi sentii sprofondare e un attimo dopo stavo cadendo di nuovo dentro Notre Dame. Con una smorfia di dolore mi massaggia l’osso sacro, che mi doleva un po’ dopo esserci caduta sopra con davvero poca grazia. Mi guardai intorno. La chiesa era praticamente vuota, tranne per me e una vecchietta su una panca che mi stava guadando costernata. La capivo, dopotutto era appena stata sputata fuori dal muro della chiesa. Prima che potesse dire o fare qualcosa, le lanciai un sorriso di scuse e mi lanciai fuori dalla cattedrale. Il telefono cominciò a squillare, ma io lo ignorai, mentre cercando di controllare il respiro e facevo un rapido check di tutto quello intorno a me. Macchine: ci sono. Persone vestite in modo normale: ci sono. Puzzo nauseante: assente (se non si calcola lo smog). Parigi era di nuovo quella di prima. Il sole mi accarezzava i capelli e il viso. Possibile fosse stata tutto un’assurda allucinazione? In fin dei conti avevo tanto studio e quel maledetto progetto mi stava togliendo il sonno. Stupido abito! Era sicuramente così. Non poteva essere altrimenti. Non si poteva mica passare attraverso i muri ed entrare in un’altra dimensione che sembrava uscita da una cartolina dell’ottocento, giusto? Giusto. Era stato solo uno stupido sogno ad occhi aperti. Il cellulare riprese a suonare.
«Sì?» risposi dopo aver letto il nome di Alya sullo schermo.
«Marinette! Non dirmi che ti eri addormentata! È la decima volta che tento di chiamarti? Siamo al parco ad aspettarti!»
«Emm… no… cioè sì… voglio dire: sto arrivando. Ho avuto solo un piccolo contrattempo.»
«Un “piccolo” contrattempo di venti minuti?» Venti che cosa? Non mi sembrava di essere stata al di là del muro per tanto tempo. Pardon… di aver sognato ad occhi aperti per così tanto tempo.
«Non preoccuparti Alya, sto arrivando.» risposi, chiudendo la chiamata.
“Sempre che non cada attraverso il marciapiede, non si sa mai...” pensai. Chiusi un attimo gli occhi assaporando i raggi del sole. Infine mi staccai dal portone e lanciai uno sguardo diffidente all’entrata della chiesa. Dopodiché mi diressi al parco.

La sera ero stesa sul letto. Mi sentivo sfinita. Forse avevo del sonno arretrato. Tuttavia questo non si faceva sentire, sembrava si fosse fatto improvvisamente timido. Mi girai verso il muro, raggomitolandomi sotto le coperte. Dopo quello strano evento la giornata si era svolta senza spiacevoli sorprese. Al porco avevamo improvvisato un picnic, ascoltando musica e chiacchierando sotto a quel bel sole che oggi aveva scaldato i nostri corpi e anche il mio cuore. La primavera è la mia stagione preferita e stare fuori tra i fiori e con quella temperatura tiepida mi rallegrava sempre. A cena ero stata con i miei genitori. Un pasto normale con del cibo normale. Nulla di stravagante. Ovviamente non raccontai a nessuno quello che mi era successo. Sembrava assurdo a me, fosse un sogno o meno, figuriamoci raccontarlo agli altri.
“Sai mamma, oggi ho attraversato un muro dentro Notre Dame, tornando forse indietro nel tempo!” Suonava così bene! Come i deliri di una pazza. In sottofondo ai miei pensieri sentivo parlare i miei genitori di sotto. Strano, in genere non andavano mai a letto dopo di me, anzi, spesso si ritiravano prima di quanto facessi io. Rimasi sdraiata in attesa di uno sbadiglio che non voleva arrivare, quando un urlo mi fece trasalire. Mia mamma stava gridando contro qualcuno. Dubitavo fosse mia padre, a meno che non avesse rivestito di farina la loro camera in un disperato tentativo di romanticismo. Ma dubitavo anche quello. Non riuscii bene a distinguere quello che stava dicendo, ma sembrava davvero infuriata. Con cautela scesi dal letto e in punta di piedi mi avvicinai alla botola che mi avrebbe condotto di sotto. Sentii altre voce, insieme a quella irata di mia madre. Una tra l’altro molto familiare. Mi affacciai. Ma che diamine…? Quella voce familiare era di Chloè? Non aveva ragioni per venire a casa mia. Oltre che essere solo compagne di classe non ci stavamo nemmeno troppo simpatiche per il semplice fatto che se la tirava un po’ troppo, per i miei gusti.
«Ma perché adesso? Ha solo sedici anni!» sentii la voce di madre tremare.
«Il fatto che sia cresciuta così tanto lontano dalla nostra associazione è un ulteriore problema.» disse un uomo. Aveva una voce fredda, tagliente. Provai un istintivo brivido.
«L’abbiamo vista con i nostri occhi.» si intromise un ragazzo.
«Tutto questo è assolutamente ridicolo!» si inserì Chloè. Ah già dimenticavo: “ridicolo” è la sua parola preferita.
«Sabine per colpa tua la ragazza è completamente impreparata.» continuò l’uomo ignorando l’entrata nella conversazione della ragazza.
«Non ti permesso di darmi del tu, Agrèste!» schiocco la lingua irritata mia madre.
«Stiamo solo perdendo tempo.» riprese il ragazzo. «Propongo di entrare in camera sua e parlare direttamente con lei.» Emm… chi è il maniaco che sarebbe entrato nella stanza di una ragazza di notte? Per parlare di cosa poi.
«Hai ragione Adrien.» convenne il tizio dalla voce glaciale. Un attimo! Adrien? Agrèste? Stavo cominciando ad unire dei puntini. Mi guardai brevemente. Cavoli! La mia entrata in scena si sarebbe svolta in pigiama evidentemente.
«Cosa sta succedendo qui?» domandai, sbucando nel salotto stranamente affollato. Una serie di sguardi si posarono su di me. Tutta l'intraprendenza che avevo scomparve all’istante. Sul serio, avrei potuto fare di meglio. Tipo rimanere nel mio letto e aspettare che i miei genitori cacciassero quelle persone fuori di casa. La mia ultima frase sembrava detta da Bugs Bunny mentre addenta la sua carota. Non che abbia problemi con i conigli umanoidi o con le carote, ma certamente quella era l’uscita meno azzeccata per la situazione. Chloè sbuffò, spuntando un “ridicolo” fra i denti. Adrien mi guardava come si guardano gli scarafaggi, con le mani saldamente piantate nelle tasche. L’altro uomo, l’altro Agrèste, che supponevo fosse il padre del ragazzo di fianco a lui, mi squadrò come se fossi un raro oggetto da esposizione. Cosa che non mi lusingò più dello sguardo di suo figlio.
«Sul serio, speravo che la Coccinella fosse un po’ più avvenente...» sospirò il ragazzo. Come scusa? Che cafone!
«Guarda che ho un nome! Mi chiamo Marinette, non coccinella!» indignata per il fatto che nessuno gli avesse detto nulla. Non si poteva essere tutti belli come lui o Chloè. Lui alzò gli occhi al cielo.
«Non ci credo, non sa davvero nulla...» Mio Dio, ma qualcuno voleva spiegarmi o avevano intenzione di ricoprirmi solo di insulti e lasciare le frasi a metà. Non stavo capendo nulla.
«Marinette.» mi chiamò mia madre. Spostai il mio sguardo verso di lei e mi sorpresi di vedere i suoi occhi lucidi. Non avevo mai visto mia madre in questo stato. Mio padre, che era rimasto fermo fino a quel momento le cinse una spalla con la mano e lei gli lanciò un’occhiata carica di riconoscimento.
«Marinette.» ripeté con voce più ferma. «È per caso successo qualcosa che non ci hai detto oggi?» mi guardavano con una serietà preoccupante. Sentii le gambe farsi molli. Ma sì, alla fine non ci avevo creduto nemmeno io che fosse un sogno ad occhi aperti. Quello che non avevo creduto erano che c’erano disposte reputare le mie seguenti affermazioni come vere. Fissai alternativamente il gruppetto di persone nel mio salotto e i miei genitori.
«Cosa… cosa volete dire?» avevo la bocca secca. Cosa sarebbe successo una volta detto quello accaduto dentro la chiesa? Chi erano quelle persone? Chi era davvero Chloè? Cosa volevano?
«Sai benissimo a cosa ci stiamo riferendo.» la mia compagna di classe mi trafisse con lo sguardo. «Hai attraversato dopo di noi il passaggio per il 1832 a Notre Dame. Prova negarlo.» Voleva dire che il muro era una specie di macchina del tempo? Aveva incrociato le braccia al petto. Sarebbe stato molto più facile risponderle, magari a tono, se avesse avuto indosso quella bomboniera rossa di quel pomeriggio o se avesse avuto i capelli in disordine. Ma ovviamente era perfetta. I capelli perfettamente in ordine, in una morbida coda scintillante di tutte le tonalità di biondo ed era vestita in maniera impeccabile, con semplice vestito al ginocchio blu notte. Abbassai lo sguardo intimidita dai suoi occhi che mandavano lampi.
«Ti abbiamo vista.» insistette. Non potevo più negarlo.
«Sì.» risposi. «Ma non sapevo fosse vietato, non volevo. Per favore non arrestatemi!» ora era il mio turno di avere le lacrime agli occhi. Lo sguardo allibito dei presenti mi fece capire che dovevo aver appena detto una assurdità.
«Non siamo qui per arrestarti, sciocca ragazzina.» mi specificò molto gentilmente Adrien.
«Marinette, forse è il caso che vieni con noi. Adesso. Non possiamo aspettare un minuto di più.» mi disse M. Agrèste. Adesso? Alle undici di sera? Per andare dove poi. No no. Io non mi muovevo di casa.
«Credo che a questo punto sia possibile aspettare anche domani mattina.» intervenne mia madre. Giusto, io stavo dalla sua parte.
«Ridicolo...» disse solo Chloè.
«Sabine...» il padre di Adrien sembrava sfinito. Mia madre mi si avvicinò e mi mise le mani sulle spalle, come per evitare che mi portassero via con la forza.
«Marinette a bisogno di dormire. Le cose le si possono essere spiegate anche domani mattina con tutta la calma e cerimoniosità che necessitano.» Ehi con calma. Prima di tutto: domani mattina non c’era scuola? Secondo: chi ha detto che sarei voluta andare con quella gente? Certo volevo sapere che cosa stava succedendo, ma di certo se qualcuno si presenta in casa tua a tarda notte non ispira fiducia, no? Non fidavo di nessuno di loro. Nemmeno di Chloè. Adesso mi sembrava di avere davanti una perfetta estranea. Nessuno degli estranei però sembrava condividere l’idea di mia madre. Lei strinse un po’ la presa sulla mie spalle.
«Ha già aspettato sedici anni, qualche ora non farà differenza.» Osservai mio padre con la coda dell’occhio. Non aveva detto nulla dall’inizio della conversazione. Sembrava impietrito. Provai una profonda pena per i miei genitori. Non capivo cosa stava succedendo, ma loro non erano più contenti di me. M. Agrèste fece un profondo sospiro sconfitto.
«Va bene Sabine. Ma domani alle nove voglio te, tua figlia e tuo… marito, se vuole partecipare, a casa mia.» lanciò uno sguardo di sbieco alla figura di mio padre.
«Cercheremo di essere puntuali.» mia madre si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era un gesto nervoso che faceva solo quando era sotto pressione.
«Non abusare della mia pazienza.» la minacciò M. Agrèste, fulminando mia madre con i suoi prodigiosi occhi azzurri. Detto ciò si voltò e posò una mano sulla schiena di suo figlio, per intimargli di andarsene. Adrien mi lanciò un ultimo sorriso sarcastico.
«A proposito. Bella mise Coccinella.» arrossì. Ma chi si credeva di essere, dannazione?! Chloè mi lanciò un ultimo sguardo tra l’esasperato e il disprezzo e con un imperioso gesto si voltò, gettandosi i capelli all’indietro. Mi aspettai quasi sibilasse un “ridicolo” da un momento all’altro. Una volta usciti, mia madre fece un profondo e lungo sospiro. Mio padre sembrò riprendesi dalla sua paralisi e si lasciò cadere sulla poltrona accanto a lui. Mia mamma gli si avvicinò e si inginocchiò vicino a lui.
«Sapevamo che tutto questo sarebbe successo, Tom.» Vidi una lacrima scendergli sulla guancia.
«Non possiamo più proteggerla.»

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Shora