Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Il cactus infelice    30/03/2020    2 recensioni
Una raccolta di oneshot e drabble ispirata alle vicende di Estate 2020. Alcune storie le potete capire anche senza aver letto la serie madre, ma in caso, se avete voglia e pazienza, recuperatela. La trovate sul mio profilo.
I personaggi appartengono tutti a J.K. Rowling con alcune eccezioni. Non è tutto Canon.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Harry Potter, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa one-shot ha una quantità di angst che fa paura persino a me, ma era da un po’ che volevo scriverlo.
Buona lettura e preparate i fazzoletti.


***  


CURA


“Oggi Ginny viene a trovarti, vero?”

Harry si mise più comodo sulla poltrona, le gambe piegate e le ginocchia strette al petto. Alzò lo sguardo sulla sua terapeuta, ma solo per una frazione di secondi, poi lo riabbassò di nuovo, riponendo il mento sulle ginocchia. 

Oh sì, oggi era il grande giorno. Finalmente dopo sei mesi avrebbe rivisto la sua ragazza. Era ancora la sua ragazza? O aveva deciso di andare avanti senza di lui? In fondo, lei era là fuori a godersi il mondo e lui rinchiuso lì dentro a combattere i propri demoni interiori. 

Non l’avrebbe biasimata se avesse deciso di lasciarlo e non venire. Ma gli avrebbe fatto male, quello sì. 

“Ti va di parlare di Ginny?” gli chiese ancora la sua terapeuta. 

Senza alzare gli occhi dal pavimento e senza abbassare le gambe, Harry disse: “No, non mi va”. 

“Okay”.

Silenzio. 

Si sentiva solo il ticchettio dell'orologio a cucù dell’ufficio di Christine. Ma chi diamine teneva un aggeggio del genere nel proprio ufficio? Harry lo avrebbe fatto esplodere o gli avrebbe tirato qualcosa addosso. Ma non aveva la bacchetta. Non ti lasciavano tenere la bacchetta in quel posto. 

“Vuoi che parliamo della tua infanzia? Parliamo di Dudley?”

Harry scosse il capo. Christine cercava a tutti i costi di tirargli fuori qualcosa, ma lui non aveva voglia di parlare, di affrontare quell’incubo che era stato il suo passato o il disastro che era il suo presente. La bomba che c’era nella sua testa. 

Gli avevano tolto tutto, le sue pillole e le sue siringhe, le uniche cose con cui riusciva ad andare avanti. 

E ora gli toccava affrontare il caos che si era accumulato nella sua testa, un macigno o un’inondazione di ricordi di persone che aveva visto morire, morire per colpa sua. 

“Harry”, chiamò Christine, piano, mettendo da parte il taccuino e protendendosi verso di lui, osservandolo come se si aspettasse che esplodesse da un momento all’altro. 

Ma Harry non ne aveva voglia, non aveva voglia di arrabbiarsi e urlare come avrebbe fatto un tempo - quando era più giovane e meno distrutto - non aveva voglia di parlare di se stesso o della sua maledetta infanzia. Aveva già percorso tutto quello, incontro dopo incontro, seduta dopo seduta, lì con Christine e negli incontri di gruppo. 

“Stavi andando bene”, disse Christine. 

Non mandare a puttane tutto ora. Questo non lo disse ma Harry sapeva che quelle erano le parole che dovevano accompagnare l’osservazione iniziale. 

“Oggi tocca al settimo passo, giusto?”

Harry annuì. Il settimo passo dei dodici passi che la riabilitazione da una dipendenza richiedeva. 

“So che ce la puoi fare. Ho fiducia in te”. 

Era un bene che Christine avesse fiducia in lui quando lui stesso non ce l’aveva?

Era stato così anche durante la guerra e aveva deluso tante persone. 

Era stanco. 


Harry arrivò nella sala delle visite senza neanche rendersene conto, i suoi piedi lo avevano portato lì in automatico. 

Non pensava davvero di trovarci Ginny e non voleva davvero trovarsi con un cuore spezzato in aggiunta a tutti i suoi problemi. 

Tuttavia perlustrò la stanza con occhi avidi, scorrendoli tra i vari pazienti e i loro cari che parlavano o si abbracciavano e la vide lì, seduta sul divano che si guardava attorno, sicuramente sentendosi un po’ fuori luogo e Harry poteva capirlo, quel posto non era per lei. Lei non doveva trovarsi lì, in quel posto per persone rotte.

Eppure non poteva fare a meno di sentirsi sollevato. Ginny non lo aveva dimenticato. 

Come se si fosse sentita il suo sguardo addosso, la ragazza alzò la testa e lo vide lì in piedi, fermo sulla soglia, a guardarla come un uomo innamorato. 

E lo era, un uomo innamorato.

Poi gli sorrise, un sorriso bello, puro, proprio come lo ricordava. 

Ginny era proprio come la ricordava.

Si trovò a sorridere anche lui ed era un vero atto di magia potente perché non pensava di essere ancora capace di sorridere.

“Harry”, sussurrò lei alzandosi di colpo quando lui la raggiunse vicino al divano. 

Poi si sedettero insieme, finalmente riuniti. 

Tutti e due si guardavano come se non credessero ai propri occhi. 

“Sei qui”, disse Harry, la voce roca per averla usata poco quel giorno.

“Certo che sono qui”, rispose lei stringendogli le mani. “Dove altro dovrei essere?”

A casa tua, non qui con me, ma con un altro uomo che può renderti felice, pensò Harry. Ma non lo disse. Non disse niente. 

“Sei mesi, ricordi? Ti ho promesso che sarei venuta a trovarti dopo sei mesi”, continuò Ginny quando non ottenne risposta.

Harry le strinse le mani incapace di dire qualunque cosa. Si aggrappava a quelle mani come a un salvagente. E lo erano, in quel momento. 

“Gin, io…”, cominciò Harry, ma si bloccò di colpo. Aveva le parole sulla punta della lingua ma non sapeva come dirle senza che sembrassero stupide. 

Ginny liberò una mano dalla presa e la portò sul suo viso asciugandogli una lacrima che stava scendendo. 

Harry non si era nemmeno accorto di star piangendo.

“Gin”, riprovo, spostando la mano della ragazza e stringendola di nuovo. 

“Cosa c’è, tesoro, cosa c’è?” 

Harry fissò gli occhi su Ginny. Quanto era bella. 

“Perdonami”, mormorò lui a bassa voce ma lei lo udì comunque.

“Oh, Harry, non hai nulla da farti perdonare. Non è colpa tua”.

Ora le lacrime di Harry scendevano copiose rendendogli difficile vedere, ma non aveva il coraggio di togliere le mani dalla stretta della ragazza per asciugarle. 

Eccolo lì, il settimo passo. Il perdono. Il perdono era il passo fondamentale perché ogni drogato era colpevole di qualcosa. 

“No, Gin, tu… Ho bisogno che mi perdoni. Ho bisogno che mi perdoni”. 

Ginny pensò subito che il suo ragazzo stesse dicendo cose a caso, ma poi la consapevolezza la colpi. Ne aveva bisogno, Harry aveva bisogno di quello. 

“Oh, tesoro, certo che ti perdono. Certo che ti perdono”, disse cercando di trattenere la commozione. 

Gli si avvicinò e appoggiò la propria fronte contro quella di Harry desiderando ardentemente baciarlo ma non sapendo se lui avrebbe voluto. 

Fu allora che Harry esplose; spostò le mani sui fianchi di Ginny, e lasciò che le lacrime gli cadessero senza freni, bagnandogli le guance e infrangendosi contro i pantaloni. 

“Sei qui, Gin, sei qui e io non ti merito. Tu meriti di essere felice e io sono solo…”.

“Shhh”, lo zittì lei portando le mani sulle sue scapole per spingerlo verso di sé e permettergli di affondare il viso nell’incavo del suo collo. Non voleva sentire quelle parole senza senso per lei.

“Non dire così. Io ti amo e non smetterò mai di amarti e tu meriti tutto l’amore è la felicità di questo mondo”, gli disse, stringendolo sempre più forte a ogni singhiozzo. Ginny raramente aveva pianto nella sua vita, reputandosi una ragazza forte e non incline alla commozione ma in quel momento si trovava davvero in difficoltà a trattenere le lacrime, proprio come Harry. 

E Harry, mentre lasciava andare anni e anni di dolore in quelle lacrime nell’abbraccio di Ginny, si sentì un po’ meno stanco. 


*** 

Che ne pensate? Fatemi sapere nei commenti.

C.


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Il cactus infelice