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Autore: Enchalott    31/03/2020    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Grazie a chi sta continuando a seguire questa lunga storia e soprattutto a chi lascia un segno del suo passaggio. Ho cambiato il nome di una delle tribù del deserto: da Antherion a Alkivion, mi piaceva di più. :) I nomi delle tribù contengono un gioco, qualcuno l'ha scoperto, sono contenta! ^^


L’interrogatorio
 
Dare Yoon procedeva quanto più lestamente possibile in arcione, nonostante le condizioni meteo pesantemente avverse, infagottato nella folta pelliccia e nel mantello cerato, che non era più sufficiente a ripararlo dalle intemperie.
Inveì contro la pioggia gelata che gli stava infeltrendo persino le ossa e diede un’occhiata al prezioso carico, assicurato con le funi alla sella del secondo cavallo.
Si trovava sufficientemente lontano da Jarlath o almeno lo pensava, giacché risultava davvero ostico orientarsi in quel grigiore monocorde, malgrado la carta più volte consultata per non smarrire la direzione. Soprattutto lo tartassava il timore di perdere il computo esatto del tempo trascorso e di non riuscire a somministrare al momento giusto l’antidoto necessario ad Aska Rei.
Dannata terra senza sole!
Cercò con lo sguardo un eventuale riparo, per compiere quella delicata operazione all’asciutto, ma il sentiero impervio passava attraverso una landa desolata e priva di protezioni naturali.
La foresta mostrava ormai i suoi margini irregolari, presto avrebbe raggiunto i rifugiati: sarebbe stato meglio far interagire con essi l’amico, che aveva già avuto occasione di conoscerli, evitando di mettere alla prova la propria scarsa diplomazia.
Si rassegnò a lasciarsi impunemente infradiciare e tirò le redini del destriero. Basta. Non avrebbe atteso oltre, mettendo a repentaglio quella vita tanto cara.
Saldò le briglie degli animali a un abete, rifugiandosi sotto i rami gocciolanti e resinosi, guardingo.
Aveva udito a distanza l’ululato raggelante dei lupi e, date le passate esperienze, non ci teneva affatto a fare la conoscenza di un nuovo branco. Doveva sbrigarsi.
Sciolse le corde con cautela e trasse di sella il corpo inerte del suo capitano.
Aska Rei giaceva incosciente, persino il suo respiro e il suo battito erano impercettibili per effetto della sostanza che aveva assunto. Pareva davvero privo di anima.
Dare Yoon lo liberò dai legacci, adagiandolo alla bell’e meglio al suolo, cercando vanamente un tratto asciutto tra le radici delle conifere. Avrebbe dovuto iniettargli il siero come Narsas gli aveva mostrato e attendere qualche minuto.
Cavò l’attrezzatura dalla bisaccia e riempì con attenzione la siringa, badando che non si sporcasse di fango.
Prima che riuscisse a infilargli l’ago nel braccio, un borbottio sordo alle sue spalle gli fece gelare il sangue. Si voltò, portando la destra all’elsa della spada, e incontrò lo sguardo aggressivo e famelico di un beathir.
Il predatore delle montagne aveva una pelliccia marrone scuro, maculata di nero, irta sulla schiena possente; le sue orecchie tondeggianti erano appiattite, segno che si stava preparando ad attaccare nell’immediato. Era di dimensioni consistenti, ma la pelle tesa sulle costole denotava la carenza di cibo a lungo subita.
“Maledizione…” imprecò l’ufficiale, appoggiando tra le pieghe degli abiti di Aska Rei quanto teneva in mano e sfoderando la lama.
La belva ringhiò e snudò le zanne ricurve, intenzionata a non lasciarsi sfuggire quell’insperato, lauto pasto. La coda corta e spessa si abbassò.
Dare Yoon si spostò con passo felpato dalla zona dove giaceva l’amico, per evitare di coinvolgerlo in un testa a testa che si preannunciava all’ultimo sangue.
Gli occhi color ruggine dell’animale lo seguirono con atroce determinazione. Si mosse a sua volta, avanzando guardingo sul terreno fradicio.
Le sue zampe a pianta larga, dotate di artigli scuri, gli permettevano di non scivolare sulla mota, cosa di cui il soldato non era altrettanto sicuro. Gli stivali, infatti, iniziarono subito ad affondare nel pantano, che traeva nutrimento dalla pioggia scrosciante.
“Vieni avanti, fetida palla di pelo…” grugnì, cercando di bilanciarsi.
Il feroce cacciatore emise il suo verso digrignante e balzò verso l’uomo senza esitazioni, agile e possente nonostante la debilitazione.
Dare Yoon si pose di tre quarti ed evitò l’assalto, calando la lama a sua volta. Mancò il bersaglio, poiché l’avversario fu più lesto a schivare, con una sorta di accorta contorsione del corpo. Riguadagnò l’equilibrio e si dispose di nuovo all’offensiva.
L’ufficiale prevenne l’iniziativa anticipando la corsa e quell’aggressione imprevista lasciò spiazzato il predatore, che non riuscì a evitare il colpo. Sul suo fianco si aprì una ferita, tuttavia troppo poco profonda per costituire un impedimento. La spada non era certo lo strumento più adatto per uccidere una bestia del genere.
“Non pensavo che mi saresti mancato così presto, Aethalas…” bofonchiò, allontanando dalla fronte il ciuffo fradicio di capelli corvini che lo infastidiva.
Il beathir grugnì di dolore, ma ignorò il taglio scarlatto, spinto dall’adrenalina, dalla disperazione e dalla fame. Se avesse vinto, l’avrebbe placata, se avesse perso non l’avrebbe più patita.
Si drizzò sulle zampe posteriori, superando il metro e ottanta di Dare Yoon e mulinando le unghie affilate a pochi centimetri dall’avversario.
Il soldato indietreggiò, sottraendosi all’eccessiva prossimità dell’animale, cercando in lui un punto debole o più esposto. Avrebbe dovuto mirare agli occhi, ma in quelle condizioni non sarebbe risultato affatto semplice.
Un’unghiata più precisa gli stracciò il mantello, segno che l’avversario era deciso a tentare il tutto per tutto pur di averlo come cena. Si fece avanti, abbassando la spada per squarciargli il ventre, ma la belva gli piombò addosso con la forza di un maglio.
Dare Yoon non resse all’impatto e sdrucciolò sulla fanghiglia, ritrovandosi le zanne aguzze a pochi centimetri dalla gola e la gravosa mole del predatore addosso. Era inchiodato a terra da quel peso pericoloso, ma fortunatamente aveva mantenuto la presa sull’impugnatura della spada. Fece forza e affondò nuovamente la lama nel fianco dell’animale, dove lo aveva colpito in precedenza, vincendo la resistenza delle ossa, e sentendola finalmente penetrare.
Il beathir ruggì per lo spasimo, scrollandosi violentemente, mentre l’uomo ancora teneva l’arma affondata per metà nel suo corpo: la spada si spezzò di schianto, rimanendo conficcata tra le costole della belva furibonda, che ancora non si decideva a morire.
Il soldato avvertì un dolore lancinante al polso sinistro e vide che il nemico gli aveva azzannato l’arto in un impeto d’ira incontrollata. Gridò, ma resistette alla fitta insopportabile, mordendosi le labbra per non cedere.
Strinse il moncone tagliente dell’arma nella destra, attendendo che il muso dell’avversario si approssimasse alla giusta distanza, e gli piantò il metallo nel collo, dal basso verso l’alto, descrivendo un semicerchio con tutte le energie rimaste.
Un fiotto di sangue caldo lo investì, macchiandogli il viso e le mani. Avrebbe voluto usarle entrambe, ma la sinistra non gli rispondeva più, forse spezzata dalla dentatura formidabile dell’animale. Resistette finché non avvertì che il rivale stava cedendo, si impose di non perdere i sensi neppure quando vide roteare davanti agli occhi un nugolo di puntini bianchi, causati dalla fatica e dalla sofferenza.
Finalmente, il beathir si rilassò, esalando l’ultimo respiro.
“Crepa, dannato!”.
Dare Yoon ansimò, sfilando la lama rotta dalla gola della belva, e prese fiato, tentando faticosamente di liberarsi da quell’oneroso peso morto.
Il polso gli inviò una stilettata spasmodica al cervello e forse fu proprio quella a restituirgli la lucidità necessaria.
Udì il secondo ringhio come ovattato da una sorta di semi incoscienza, ma si riscosse immediatamente, con un terribile presentimento nell’anima. Sgusciò stentatamente da sotto il corpo inerte del bestione, trascinandosi nel fango e nel sangue.
“Per tutti gli inferni!” sbottò.
Un altro beathir delle dimensioni del primo stava fiutando con interesse la stoffa che avvolgeva Aska Rei, raspando pericolosamente il fagotto con la zampa artigliata.
Il soldato si rimise in piedi prima che fosse troppo tardi, sperando con tutto se stesso che quella specie predatrice non gradisse banchettare con i morti apparenti.
Attirò disperatamente l’attenzione del nuovo arrivato con un urlo, andandogli incontro armato esclusivamente del proprio coraggio indomito. Strinse tra le dita quella sorta di pugnale, che era tutto ciò che restava della sua spada, e si preparò all’impatto.
L’attacco di ritorno arrivò alla velocità del fulmine e lo scaraventò a terra.
Perse la presa sull’arma e schivò per un soffio la dentatura sbavante della belva.
“Attaccare in due non è leale!” mugugnò, facendo scattare la lama che teneva nascosta nel bracciale lavorato, conscio che non sarebbe servita a molto.
Come aveva previsto il bestione non la sentì nemmeno, quando riuscì a scalfirgli la fitta pelliccia con l’unico risultato di inasprirlo ulteriormente.
Dare Yoon si diede per perso quando l’animale si erse in tutta la sua mole e lo sovrastò, ringhiante e affamato.
Improvvisamente una freccia sbucò dal nulla e si conficcò nel petto esposto del beathir, seguita da una seconda, che lo colpì alla schiena.
La belva ruggì, infastidita e distratta, abbandonando il suo obiettivo principale.
Un piccolo gruppo di uomini, abbigliati con i tre colori di Iomhar e avvolti in spessi mantelli color cobalto, sbucò dal folto degli alberi.
Tre di essi estrassero le lame di foggia nordica e attaccarono contemporaneamente il predatore, riducendolo ben presto all’inoffensività. Il quarto, quello che pareva essere il capo, si accostò al corpo disteso di Aska Rei e lo esaminò con interesse, aggrottando la fronte.
Dare Yoon si trascinò verso di lui barcollando, ancora incredulo, ma non del tutto certo di non essere caduto dalla padella nella brace.
“Vi sono debitore per la prontezza di riflessi…” disse comunque con educazione.
Gli occhi grigioverdi dell’uomo, duri come tormaline, si infransero su di lui, sospettosi.
“Aspettate a ringraziarmi” ribatté “Ambirei prima capire cosa ci fate ai margini di Taavin con un cadavere. Voi non siete di Iomhar, i vostri tratti e i vostri capelli scuri lo denunciano a chiare lettere, nonostante il sangue che vi imbratta da capo a piedi. Siete l’incarnazione di un deamhan che sta sperimentando un artificio oscuro?”.
L’ufficiale elestoryano fu tentato di scoppiare una risata, ma lo sguardo terribilmente serio e diffidente dell’interlocutore lo dissuase.
“Non scherzate” rispose prudente “Se fossi un’entità maligna non avrei avuto bisogno del vostro intervento contro un semplice animale. Me lo sarei mangiato crudo e fine del problema. Inoltre, quella persona non è defunta, bensì versa in un grave stato di salute. Se non provvedo immediatamente a curarla, morirà davvero”.
“Non c’è battito” ribatté l’uomo, rigido “Ho verificato personalmente. State mentendo”.
Dare Yoon cominciò a spazientirsi, ma si tenne forzatamente a freno.
“Siete forse un guaritore di professione per fornire con certezza assoluta una tale diagnosi?” domandò, altrettanto risoluto.
Nel frattempo, gli altri uomini avevano fatto capannello intorno a loro. Indossavano le ben note uniformi dei soldati del Nord e la cosa risultava tutt’altro che allettante. Che quel demonio di Anthos avesse cambiato idea e lo avesse mandato a cercare per fargli la pelle? No… avrebbero consentito al beathir di eseguire gratis il lavoro sporco e sicuramente non lo avrebbero aiutato.
“Tarlach” si presentò inaspettatamente il primo “Sono il comandante della Guardia reale di Iomhar. Non ho doti mediche, ma credo in ciò che vedo e il vostro compagno non respira. Continuate a sostenere il contrario, chiunque voi siate?”.
“Dare Yoon” rispose lui con misura, optando per la soluzione che gli si offrì come la meno sospetta “Al servizio della principessa Adara”.
I presenti si guardarono gli uni gli altri, sorpresi.
“Non credo che su questo stiate fingendo” asserì Tarlach, rinfoderando la spada “Ho sentito dire che la nostra regina ha inviato al Sud uno dei suoi…”
“Precisamente”.
“… per scortare il defunto capitano della Guardia di Elestorya in patria” continuò l’altro, ferreo “Ma ora voi affermate che questi non è morto. Credo mi dobbiate più di una spiegazione. Fatelo, prima che io inizi a dubitare anche della vostra fedeltà alla sovrana che affermate di servire”.
Scacco matto.
“Ve la fornirò con i fatti, comandante” sospirò l’ufficiale elestoryano, seccato per la conclusione della mascherata a lungo pianificata “Lasciate che mi avvicini al mio compagno, prima che per lui sia davvero troppo tardi. Come vedete, sono disarmato e dolorante. Non avete nulla da temere da parte mia. La principessa Adara mi ha ordinato di raggiungere i profughi oltre la foresta, preoccupata per la loro sorte”.
Tarlach aggrottò la fronte, ancora poco convinto. Poi fece un gesto d’assenso.
“Non è per la vostra parola” precisò “Bensì per quella della nostra generosa regina, che ha concesso a noi a fare altrettanto”.
Dare Yoon si rimangiò la rispostaccia che aveva già sulle labbra e si approssimò al luogo dove Aska Rei giaceva immobile.
“Devo solo inoculargli un medicinale” disse “Potete verificare di persona”.
Frugò febbrilmente in cerca della siringa già pronta che aveva posato prima dello scontro con il beathir, ma le sue dita incontrarono soltanto frammenti di vetro. Il prezioso antidoto, fuoriuscito dal contenitore spezzato dai denti del predatore, era soltanto una macchia indistinta sulla stoffa scura.
 
 
Due sacerdotesse Kalah affiancavano il prigioniero dalle vesti brune, ancora legato dalle funi strette dagli ardimentosi Rhevia e tenuto a bada da un paio di guerrieri Iohro. La linea nera tracciata sulla palpebra inferiore, così com’era costume della loro tribù, rendeva i loro sguardi ancora più duri e implacabili.
Il loro bailye, affiancato a Stelio e pronto a coadiuvarlo nell’interrogatorio, incrociò le braccia sul petto, deciso, facendo tintinnare gli ornamenti che indossava ai polsi.
“Temo che questo sarà molto più reticente rispetto alle simulazioni che ci imponeva il nostro comune maestro d’arme quando eravamo ragazzini…” sogghignò sagace.
“Io ricordo che una volta tu sei riuscito a far confessare un sasso posato lì per caso, Eisen… che cosa sarebbe ora questo disfattismo?” rimandò il reggente, ironico.
“Suppongo che quella roccia non fosse una creatura dell’ombra” rise il primo.
“Già…” sospirò il sovrano, abbandonando l’atteggiamento spensierato “Adesso non possiamo neppure essere certi della sabbia su cui posiamo i piedi…”.
Il Daimar si mosse, ringhiando una sequenza di efferate minacce e ottenendo in cambio una strattonata alla corda che lo imprigionava.
“I miei non hanno voglia di sopportare le tue bizze, demone” ringhiò Eisen, facendosi improvvisamente serio “Perciò ti conviene stare calmo. Chi ti ha mandato? Perché gli Anskelisia ci stanno attaccando? Rispondi!”.
La creatura sfociò in una risata gorgogliante, tutt’altro che timorosa.
“Io sono Rona” proferì sprezzante “Servo colui che vi è Nemico e che spazzerà via le vostre vite in un solo, unico alito. Non temo ciò che voi chiamate morte!”.
“Rona?” ripeté Varsya, in piedi a debita distanza “È un nome nordico… chi credi di ingannare, Daimar!? Tu non sei di Iomhar! Da quale stirpe del deserto provieni?”.
“Il mio antico appellativo è dimenticato. Abbandonato all’oblio dell’istante in cui ho rinnovato la mia lealtà al Nulla… quando giungerà il momento, non esisteranno più né Sud né Nord, distanza e tempo perderanno il loro valore… e voi morirete”.
“Piantala di farneticare, razza di fanatico!” esclamò Eisen, poco propenso a farsi prendere in giro “Chi ti ha impresso il marchio triangolare? Che intenzioni ha Laras?”.
“Laras…” ripeté la creatura con compatimento, sfociando in una freddezza diversa da quella mantenuta fino a quel momento “Il portavoce dell’ottava tribù non è che uno strumento volto a un fine… non possiede la nobiltà di Rona e neppure lo sguardo orgogliosamente sanguigno di un deamhan… mira a una ricompensa concreta, si crogiola in un’illusione fatta di stolte brame umane… sarà accontentato…” ghignò.
Zheule aggrottò la fronte, angosciato nell’udire quella parola straniera.
“Quale differenza passerebbe lui e te, dunque?” lo provocò il bailye Iohro “Fammi capire, non siete entrambi identica feccia con un brutto segno dipinto in faccia?”.
Il prigioniero fremette di sdegno e le funi che lo bloccavano si tesero scricchiolando.
“Rona è sempre esistito!” ruggì, astioso “Presto non avrà più bisogno dell’infimo involucro di carne nel quale è ospitato! Laras è solo un cane fedele, un misero sulluhat!”.
“Che significa?” incalzò Stelio, facendo segno alle sacerdotesse di stare pronte.
La creatura non rispose, limitandosi a replicare la propria cavernosa risata.
“Sguardo di cenere…?” tradusse Varsya dubbioso.
“Maestà” intervenne rispettosamente Anshar “Dei due individui che guidavano l’attacco odierno, quello che sono stato costretto a uccidere non aveva le iridi scarlatte. La sua vista era spenta, come se non fosse del tutto cosciente di sé nonostante la forza eccezionale che ho sperimentato. Era in qualche misura diverso… strano… ma pur sempre un uomo”.
“Se è così, il fatto si connette all’episodio cui hanno assistito i miei yafandi” interloquì Ayonira, meditabonda “Esistono forse due tipi di Anskelisia, tra i quali alcuni sono semplicemente asserviti all’ombra e gli altri…”.
“… sono l’ombra!” completò ragazzo, agghiacciato dalla supposizione.
Stelio spalancò gli occhi, raggelato dalla probabile verità.
Il prigioniero si mosse e, nonostante la benda annodata sugli occhi, dal suo sguardo occultato emanò un brillio maligno. Rise ancora, sicuro di sé.
“Hai provato piacere a uccidere, non è vero, giovane bailye?” mormorò suadente “Rona lo ha avvertito con chiarezza quando il tuo pugnale ha spezzato senza pietà la vita del suo servitore…”.
Il portavoce dei Rhevia si irrigidì.
“È comprensibile… è… così umano, come il feroce desiderio di vendetta che ti porti dentro… È giusto ripagare il sangue con il sangue…”.
“Non ascoltarlo, Anshar!” raccomandò Stelio, facendo segno agli Iohro di far tacere a forza il demone maligno che tentava di usare il proprio potere seduttivo.
“Forse è meglio che io scelga di parlare con voi, reggente di Elestorya” continuò il deamhan “Certamente vorrete sapere di vostro figlio, che Rona ben conosce…”.
“Non ti ascolterò!” sbottò il sovrano, pur sconvolto.
“Il principe ereditario ha il dono dell’antica gente… e il cuore del nostro prescelto”.
“Tappategli la bocca!” ordinò Eisen, perentorio.
“Potete anche tagliarmi la lingua” sibilò Rona “Le mie parole passano attraverso il sangue, perché non contengono falsità… Lo sapevate, dentro di voi, maestà? Non avreste mai dovuto desiderare una Thaisa per generare…”.
Stelio non riuscì a replicare, pallido e fremente.
“È come dici, Daimar!!” gridò improvvisamente Anshar, serrando i pugni con rabbia.
Tutti i presenti si girarono verso di lui, stupefatti. L’essere oscuro si zittì, interessato.
“È umano desiderare la rivalsa! Ma non è affatto giusto, come credi di poter sostenere!” continuò il ragazzo “Lo affermi, ma non lo comprendi, perché sei un adepto dell’oscurità! Io, a differenza tua, posso scegliere! Quindi no! Non ho tratto soddisfazione alcuna dall’essere stato costretto a interrompere una vita per preservare la mia! Non sarà mai così per me!”.
Il prigioniero grugnì, come se quei termini franchi e limpidi lo avessero disgustato nel profondo. Ma si riprese immediatamente.
“Lilah e Ishat… le tue care sorelle…” sussurrò mellifluo “Il loro sangue sparso sulla rena, i loro corpi profanati, le loro grida strazianti… meritano forse di rimanere invendicate? Da chi hai ereditato quest’animo vile, Anshar? Da quel vigliacco di tuo padre o da quella sgualdrina di tua madre?”.
Il giovane Rhevia fremette, portando la mano alla stola color corallo che gli definiva la vita e stringendo le dita sul manico del pugnale.
“Non ascoltarlo!” gridò Ayonira, angosciata, impugnando il bastone anulato.
Il ragazzo estrasse l’arma dal fodero e il demone sorrise, tagliente come un rasoio, certo di essere andato a segno nell’intimità scossa del suo facile bersaglio, che così avrebbe offerto scientemente il fianco alla sua corruzione oscura.
Anshar calò la lama e si ferì il palmo della sinistra. Lasciò che alcune stille di sangue cadessero sulla sabbia, sotto gli occhi sbalorditi di tutti gli astanti.
“Giudicalo dalla sfumatura” ribatté impavido, mentre cocenti lacrime di dolore andavano a mischiarsi alle gocce già sparse al suolo “Perché io non voglio che tu mi tanga. Perché sono libero di soffrire senza odiare!”.
Rona urlò di risentimento e ira, come se qualcuno lo avesse ustionato con un ferro rovente. L’incanto maligno si spezzò e il bagliore cremisi che lo aveva ammantato si estinse di colpo. Non fece in tempo a replicare.
“Hai fatto male ad incarnarti in un maschio” sbottò Ayonira, seccata, rifilandogli un poderoso colpo di bastone all’inguine.
Il prigioniero si afflosciò con un gemito soffocato, rotolandosi a terra.
“Prendetelo!” ordinò prontamente Varsya alle due sacerdotesse Kalah “Vediamo quanto è abile a sfuggire al vero dono dell’antica gente!”.
Le due donne lo afferrarono per le braccia, immobilizzandolo, e precipitarono nella visione, resistendo a quel contatto ripugnante.
Stelio stracciò un lembo di stoffa dal proprio mantello e si avvicinò al portavoce dei Rhevia, ancora fieramente in piedi davanti al demone che lo aveva tentato, con il sangue che gli scorreva tra le dita strette a pugno e le lacrime che gli sgorgavano copiose dagli occhi sfumati di giada.
“Anshar” pronunciò con riguardo infinito, annodandogli la benda improvvisata alla mano ferita “Ben fatto. Ci hai strappati a un pericolo insidioso e fallace”.
“Io…” mormorò lui, arrossendo, riavendosi dal cedimento emotivo e asciugandosi il viso con evidente imbarazzo “Io ho solo palesato ciò che sentivo…”.
“Sì” continuò il reggente, stringendogli l’avambraccio “È il tuo cuore puro che ha sconfitto il Daimar. Tutti noi proviamo sentimenti negativi, ma sono le nostre scelte che consentono o impediscono loro di avere presa definitiva sulla nostra anima. Il demone ha giocato sporco con te, facendo leva sulla tua recente sofferenza, invece tu hai reagito decidendo di non farti trasportare dall’ira sulla via più semplice. Sono fiero di te, bailye… e anche i tuoi cari lo sarebbero”.
Il ragazzo sorrise con modestia, onorato da tanta stima, espressa parimenti dagli sguardi calorosi di approvazione degli altri capitribù.
“C’è una cosa che mi preoccupa non poco” esordì a quel punto Zheule, impensierito “Quell’abominio ha parlato di Shion, di mia figlia e della mia gente in termini che mi hanno fatto gelare il sangue. Se è vero che sfrutta la verità per poi torcerla ai propri fini, vorrei davvero sapere che cosa stava sottintendendo…”.
“Già…” esalò Stelio, parimenti angosciato “Spero che le sacerdotesse Kalah riescano a cavarne qualcosa”.
Varsya sospirò e la sua espressione si fece infinitamente addolorata.
“A qualcosa posso rispondere io” affermò, serissimo “Ha a che vedere con il cosiddetto traditore del sangue, quello che le veggenti Aethalas hanno segnalato prima dell’inizio di tutto questo. Maestà, ne abbiamo parlato già in altre occasioni”.
“Lo rammento” annuì il re “Mi hai più volte espresso con onestà la tua convinzione”.
“È così” continuò l’uomo, rammaricato “Sapete tutti che i Thaisa sono la tribù più antica del deserto, quella che si dice discenda direttamente dal sangue di Amathira. Un retaggio che portano con virtù e onore. Tuttavia, è secoli che i Guardiani del Mare attendono, com’è loro assegnato, il manifestarsi della Profezia e di tutto ciò che è ad essa connesso: in particolare, l’apparizione del cosiddetto traditore, il responsabile diretto della maledizione, che le nostre sacerdotesse indicano come di sangue reale”.
“Stai dicendo che, sposando il reggente, Eudiya era destinata a mettere al mondo l’essere che avrebbe remato contro la Profezia per un losco fine risalente a millenni orsono?” sbottò Zheule, esterrefatto.
“No, lungi da me il voler attribuire una simile, offensiva interpretazione” si scusò Varsya “Gli Aethalas hanno semplicemente presunto che un membro della famiglia reale - in particolare uno dei tre eredi, che portano anche il retaggio Thaisa - potesse inconsapevolmente risultare il prescelto da un’essenza maligna in attesa di riscatto. Un inconsapevole bersaglio, non un rinnegato per cosciente scelta pregressa. Abbiamo vegliato, purtroppo inutilmente. I miei uomini a Erinna sono stati uccisi e il principe è stato coinvolto, nonostante i nostri tentativi di proteggerlo. Sono desolato, maestà… la responsabilità è mia”.
“Non è vero, Varsya” corresse il reggente “Noi all’inizio non ti abbiamo né creduto né ascoltato come avremmo dovuto. Sfortunatamente, l’oscurità è stata più sottile e più scaltra di noi… e soprattutto, a quanto riferisce Dionissa, più concreta”.
“Il Traditore degli dei…” ammise Zheule con un sospiro rassegnato “Se si tratta di Ishkur, fratello gemello di Amathira, se è come sostengono con probabilità le sacerdotesse Kalah… anche lui possiede lo stesso sangue della dea, non dobbiamo dimenticarlo. Forse l’eredità di cui siamo davvero portatori è la sua”.
Stelio strinse i pugni, angosciato.
“Ma questo che cosa potrebbe avere a che fare con il principe Shion?” esclamò Eisen, infastidito dagli eccessivi misteri e da quanto non riusciva a comprendere.
Il reggente scosse la testa, crucciato, mentre né Varsya né Zheule riuscirono a trovare una risposta diversa da quella urticante che si materializzò loro nella mente.
“Non possiamo affidarci alle fragili ali di uno strik” affermò Stelio “È imperativo contattare Erinna per aggiornare Eudiya. Inoltre, Dionissa non ha più inviato notizie, temo che i suoi messaggeri siano stati ostacolati o che nutra le mie stesse perplessità e non voglia rischiare. Tuttavia, lei sa certamente più di noi e comunque ha la facoltà di contattare Adara a Iomhar. Non possiamo più aspettare!”.
“Chiederò a Ilyon di partire” propose Zheule “Conosce il deserto come le sue tasche e mi pare il più adatto all’ambasceria”.
“Tuo figlio ci serve qui” mormorò il re “Ogni guerriero è indispensabile ora, non possiamo togliere alcuna difesa a Zerf, almeno per adesso”.
I capitribù si guardarono reciprocamente, valutando silenziosamente le opportunità.
“Ci sono notizie da Alkivion e Haltaki?”.
“Per ora no, altezza” replicò Varsya, rammaricato.
“Allora andrò io” disse Anshar con sicurezza.
“Non posso permetterlo” replicò Stelio “Se dovesse accaderti qualcosa, i Rhevia rimarrebbero privi della loro guida…”.
“La mia gente è fedele a voi, maestà. È vostra, come lo sono io. Lasciate che raggiunga la capitale in vostra vece, non vi deluderò”.
“Su questo non ci sono dubbi, giovane bailye” sorrise il sovrano “Sia come desideri. La responsabilità della tua tribù diverrà mia, è tutto ciò che posso prometterti se assumi sulle tue spalle questa missione delicata”.
Il ragazzo si inchinò con gratitudine
   
 
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