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Autore: Mary P_Stark    01/04/2020    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.
 
 
 
 
Érebos sedeva torvo su un piccolo spuntone di roccia, lo sguardo puntato sul tempio delle Moire – che distava solo qualche centinaio di iarde – e l’animo spezzato in due dall’ansia.

Miguel, in piedi al suo fianco, osservava pensieroso la collina ove si trovavano in quel momento, e dove Acaste stava intrecciando una corona di fiori per Zéphyros.

Il vento della primavera sembra intento a comprendere il meccanismo che creava le brezze in quella zona dell’Oltretomba e, dal suo viso, traspariva un’indubbia perplessità.

A poca distanza, Aiolos, Boreas e Nótos camminavano nervosamente avanti e indietro, mentre Euros stava tempestando Nyx di domande in merito al suo sapere su Chaos e sulle creature Ctonie.

A poco a poco, nel corso delle lunghe ore d’attesa, le divinità erano fuoriuscite dal tempio delle Moire per non impazzire, e le stesse padrone di casa uscivano spesso dalle sue mura, gli sguardi persi e pieni di dubbi.

Mai, Miguel le aveva viste così in ansia e prive delle consuete risposte che soleva leggere nei loro occhi di vegliarde.

«Non avrei mai pensato, ventidue anni fa, di poter causare un simile danno a tutti quanti» esordì il dio Ctonio, lanciando un’occhiata spiacente a Miguel.

L’anima si volse a scrutarlo, replicando con una certa ironia: “Io so solo che Alekos vive grazie a te. Il resto, è qualcosa che nessuno poteva prevedere, da quel che mi è parso di capire, perciò io mi chiedo… perché continui a incolparti per qualcosa su cui non hai avuto alcun potere decisionale?”

La divinità Ctonia sorrise fiacca e asserì per contro: «Capisco perché Athena litigava con te, a volte. Il tuo pragmatismo, se mi permetti, fa alquanto innervosire perché, se coscientemente so che tu hai ragione, quando mi lascio andare al mio subconscio, vorrei che tu non l’avessi.»

L’anima rise di gusto ed Érebos, nonostante tutto, si ritrovò a sorridere pur essendo ancora molto in ansia per Alekos.

Ricevere la richiesta di Miguel per bocca di Aiolos, lo aveva alquanto innervosito, sicuro com’era di ricevere una reprimenda dal padre del ragazzo. Miguel, come al solito, lo aveva invece sorpreso, desideroso com’era di essergli d’aiuto per tirarlo su di morale in un momento difficile.

“Voi divinità siete sempre così sicure di aver ragione che, quando succede il contrario, vi cade il mondo addosso… anche Athena appariva sdegnata quanto incredula, quando si rendeva conto di aver perso, in una discussione con me” ironizzò Miguel, e la sua luce interiore brillò di beatitudine.

Era chiaro quanto ancora l’amasse, e forse quell’amore sarebbe perdurato in eterno, ma Érebos non ne era geloso, così come Miguel non sembrava esserlo di lui. Semplicemente, ognuno di loro era stato parte – o era tutt’ora parte – della vita di Athena.

«Viviamo così a lungo da crederci infallibili, ma non lo siamo affatto» ammise suo malgrado la divinità Ctonia. «Avevo pensato, nella mia apparente superiorità di dio Ctonio, di conoscere ogni cosa sulla vita e sulla morte, e di aver soppesato ogni particolare ma, evidentemente, non avevo fatto i conti con le leggi sulle singolarità.»

“E quali sono?”

«Non ne esistono che vadano bene per tutti» asserì con mesta ironia Érebos. «Mi convinsi che, se Chaos mi avesse consentito di muovermi come stavo facendo, avrebbe anche voluto dire che non stavo commettendo azioni troppo gravi da impedirne lo svolgimento ma, a quanto pare, mi sbagliai di grosso, all’epoca.»

Miguel ristette in silenzio per qualche istante, lo sguardo puntato in direzione di Acaste e Zéphyros, ora impegnati a scrutare l’illusorio orizzonte dei Campi Elisi. Apparivano in ansia, le mani strette l’una nell’altra in reciproco sostegno e, pur non essendovi nessun altro contatto, tra di loro, appariva chiaro come i due giovani fossero in sintonia.

“Non conosco bene il vostro mondo, ma sono convinto di una cosa. Se l’entità che tu chiami Chaos ti permise di salvare Alekos, credo avrà un piano B anche questa volta, o non ti avrebbe concesso di fare ciò che facesti all’epoca.”

«Lo spero.»

Miguel, allora, si illuminò pieno di speranza e replicò: “Guarda tu stesso. Il Sommo Apollo mi pare molto innamorato dell’oceanina al suo fianco, eppure loro rappresentano il fuoco e l’acqua. Sono antitetici, no? Ma si amano lo stesso. La Natura, o Chaos – non voglio addentrarmi troppo in questi argomenti metafisici – ha deciso che andava bene così e, allo stesso modo, ha deciso che Alekos andava bene per il mondo. Questo è solo un… intoppo sul programma? Vogliamo vederla così?”

La divinità Ctonia osservò quindi Apollo e Clizia, giunti subito dopo l’arrivo di Poseidone, e accompagnati sia da Oceano che da Teti, equamente preoccupati per le sorti di Alekos.

Nessuno di loro aveva voluto abbandonarli e, in modo continuativo, si intervallavano tra il regno dell’Oltretomba e l’esterno per dare manforte a lui o ad Athena.

«Un intoppo.»

L’anima assentì e, nell’osservare l’arrivo a grandi passi di Ade, mormorò: “Pare in ansia anche lui.”

«Oppure, tutti questi ospiti a sorpresa lo innervosiscono» chiosò Érebos, levandosi in piedi per sorridere ad Ade e scusarsi per la loro invasione pacifica.

Ade, però, scosse una mano con fare frettoloso e replicò: «Ah, Érebos, lascia stare. Sono preoccupato tanto quanto gli altri, perciò mi fa bene avere compagnia. E tu, ragazzo, come te la passi? Reggi bene?»

Miguel annuì con fare tranquillo, dichiarandosi fiducioso sulla buona riuscita della missione.

Ade gli batté una mano sulla spalla – che era pura emanazione di energia – e, con un gran sorrisone, asserì: «Vorrei averla io, tutta questa fiducia incrollabile. Ma va già bene se ce l’hai tu, ragazzo.»

L’anima emise un risolino e, nel tornare a osservare il folto gruppo di divinità che avevano invaso i Campi Elisi, ringraziò chi di dovere per il loro affetto e la loro devozione a suo figlio. Era più che certo che questo avrebbe aiutato non poco, a salvarlo.
 
***

Lasciata Anita assieme ad Athena nella camera da letto di quest’ultima, Zeus tornò nel salotto dove, durante la giornata appena trascorsa, si erano avvicendati sia umani che divinità in un ciclo senza fine.

Il Padre degli dèi si era stupito non poco del caldo e devoto affetto dei cugini di Miguel e Felipe che, come un sol uomo – e una sola donna –, si erano intervallati accanto ad Athena per esserle di conforto.

Tutto quell’amore incondizionato e del tutto privo di secondi fini lo aveva colpito nel profondo, facendogli finalmente comprendere come, la figlia, avesse finito con l’amarli tutti indifferentemente.

Erano persone di valore, forti nonostante la loro mortalità e forse, proprio per questo, ancor più forti rispetto a loro, che potevano contare su una vita priva di limiti.

Lasciandosi stancamente andare su una poltrona – Buffy e Xena stavano dormendo in braccio a Deimos e Phobos – Zeus lanciò uno sguardo a Carlos, in piedi accanto al piano bar, e disse: «Se avete fame, faccio arrivare qualcosa.»

L’uomo si riscosse un poco, a quelle parole e, nel lanciare uno sguardo a Felipe e a sua cugina Ariana, intenti a sistemare il caos provocato dai giochi delle gemelline, mormorò: «Sì, forse è meglio. Sfinirci non servirà a nessuno.»

Annuendo, Zeus schioccò le dita e, sul tavolo del salotto, apparvero leccornie di ogni tipo e di ogni derivazione culturale. Levatosi poi in piedi, tolse dal ripiano solo un paio di bottiglie e una ciotola dopodiché, a mo’ di spiegazione, disse: «Nettare e ambrosia non sono per i palati umani. Vi intossichereste per nulla. Li porto ad Athena perché si riprenda un poco.»

Carlos assentì, osservando pieno di meraviglia l’immensa tavolata e Felipe, nel dare di gomito alla cugina, dichiarò: «Tu volevi del pollo vindaloo, vero?»

Arcuando le sopracciglia, la donna asserì: «Oh, se c’è, ben volentieri.»

Zeus sorrise nel vederli avvicinarsi al tavolo del salone e, dopo aver raggiunto la stanza della figlia e aver bussato, si affacciò per sussurrare: «Anita, se lo desideri, c’è qualche sfiziosità per cena.»

La donna sorrise alla divinità, annuendo grata e, nel levarsi da letto dopo aver dato un bacio sulla fronte ad Athena, uscì dalla stanza per lasciarli soli.

Zeus, allora, si avvicinò al letto con passo lento, quasi imbarazzato e, dopo aver fatto apparire in una mano una coppa d’argento, servì dell’ambrosia alla figlia prima di dire: «Non c’è cibo umano che potrà ritemprarti come questo. Prendilo, e bevilo tutto.»

La dea assentì e lo accontentò, sospirando poi per il sollievo.

Che le piacesse o meno ammetterlo, era dipendente da nettare e ambrosia e, per quanto si sforzasse di cibarsene il meno possibile per non assentarsi mai da casa, le era impossibile liberarsene. Questa carenza di elementi nutritivi aveva però prodotto su di lei un rapido indebolimento.

Solo cibandosi nuovamente di nettare e ambrosia, si rese conto dei danni subiti in quei lunghi mesi di astinenza.

Carezzandole il capo mentre, come per magia, i capelli sfibrati riprendevano colore e forza per tornare al ramato di sempre, Zeus ironizzò: «Non dovevo preoccuparmi tanto di te neppure quando vivevi sotto il mio stesso tetto. Ma tu guarda!»

«Erano le tue ancelle, a farlo» sottolineò pestifera Athena, ammiccando al suo indirizzo.

«Oh, beh, poco male…» ghignò lui, esibendosi in un sorriso truffaldino. «…comunque, per il futuro, fatti una scorta, invece di restare in astinenza. Non ti fa bene. Chiama Hermes o Iris come facevi in passato, se non vuoi lasciare la casa, ma nutriti

«Lo farò» assentì Athena, lanciando poi uno sguardo alla porta. «C’è più silenzio. Sono andati a casa, gli altri?»

«Quasi tutti. Ariana ha detto che rimarrà, per stanotte, e domani torneranno Serena e Cornelia, se niente cambierà nel frattempo. Felipe è ancora qui con le gemelline, visto che Artemide è scesa al tempio delle Moire per avere novità. Immagino che Érebos non ti abbia mandato nessun messaggio, vero?»

Lei scosse il capo, asserendo: «Eravamo d’accordo che, finché non vi fossero state novità, non avrebbe dovuto preoccuparsi di chiamarmi.»

Zeus annuì, lasciandosi andare a un breve sospiro tremulo e Athena, nel prendergli una mano, disse: «Stai andando bene, davvero. Non preoccuparti di aver tralasciato qualcosa.»

«Ma io ho tralasciato qualcosa» sospirò afflitto il dio, scuotendo il capo. «Forse, se fossi andato al posto di Dioniso, avrei potuto fare pressioni su Chaos. Dopotutto, sono o non sono il Padre degli dèi?»

Athena gli sorrise comprensiva, replicando: «Se ho capito bene cos’è Chaos, dubito si sarebbe preoccupato di ascoltarti, se non avesse voluto. Ha più potere di noi tutti messi insieme, no?»

Zeus storse il naso, di fronte a quella certezza, e borbottò: «Mi fai sentire inutile, così.»

«Non lo sei. Davvero» ammiccò la dea, lasciandosi poi andare contro i cuscini prima di aggiungere: «Ora cercherò di facilitare le cose a Hypnos e mi calmerò. E’ passato anche prima, assieme a Morpheus, ma non sono riusciti a combinare nulla.»

«Lascia che ti portino via per qualche ora. Al fortino penso io» le promise il padre, carezzandole la fronte per poi spegnere la abat-jour e uscire dalla sua stanza.

Una volta nel corridoio, Zeus si lasciò andare a un lungo, pesante sospiro, lasciando che le ansie e il peso emotivo accumulato in quell’interminabile giornata, cadessero infine sulle sue spalle.

Rendersi conto di quanto fosse stato difficile sorreggere la figlia, fu umiliante. Non era davvero abituato a fare la parte del padre, e la colpa era interamente sua, non dei suoi figli.

Tutto si poteva dire, di loro, ma non che non avessero tentato, nei secoli, di instaurare un rapporto maturo con lui, ma ogni tentativo era caduto nel vuoto.

Non faceva specie che, giunta al limite dell’esasperazione, sua figlia – la creatura che lui stesso aveva plasmato e cresciuto in sé – fosse fuggita per rifugiarsi nel mondo degli umani.

Quando infine risollevò lo sguardo, conscio delle proprie pecche e dei suoi limiti come padre, Zeus si ritrovò a fissare il volto turbato di Carlos, fermo a pochi passi da lui.

«Come sta?» domandò l’uomo, indicando con un cenno la porta chiusa.

«E’ provata ma, piuttosto che cedere, distruggerebbe interi continenti» cercò di ironizzare Zeus.

Carlos assentì, sorridendo appena, e mormorò: «Avrà preso dal padre.»

«Può darsi» dichiarò Zeus, sollevando un sopracciglio con aria leggermente sorpresa.

Era forse la prima volta che lui e Carlos si parlavano come persone civili, e la cosa lo lasciava alquanto perplesso. Sapere che il nipote era in pericolo, però, doveva aver fatto sotterrare l’ascia di guerra persino al volitivo seņor Rodriguez. Stavano combattendo la stessa guerra, dopotutto.

Insieme, quindi, tornarono nel salotto e lì si avvidero della presenza di Artemide che, nell’incrociare lo sguardo del padre, si limitò a un dissenso secco e senza parole.

Nessuna novità. Tutto era ancora fermo.

Presa in braccio Buffy, la dea si limitò a dire: «Noi torniamo domattina. Adesso andiamo a mettere a letto queste due pesti. Dalle facce di Deimos e Phobos, devono averli ridotti a uno straccio.»

I diretti interessati si limitarono a sbadigliare dopo essersi rialzati da terra e, nel dare dei buffetti sulle guance alle bimbe addormentate, dissero coralmente: «Sono simpatiche, e ci siamo divertiti… ma sono davvero delle pesti. Crediamo di avere morsi un po’ ovunque.»

«Tendono a essere cannibali, quando possono permetterselo» ironizzò imbarazzata Artemide, aggiungendo subito dopo: «Buonanotte a tutti.»

Felipe abbracciò padre e madre prima di seguire la moglie e, dopo che l’auto della coppia si fu allontanata dalla villa, Anita disse: «Credo che andrò a sdraiarmi anch’io. Se c’è bisogno di me, chiamatemi.»

Carlos assentì e, dopo essersi seduto sul divano, accese il TV a basso volume e si posizionò su un canale sportivo; in quel momento, stavano dando una partita di baseball.

Zeus, allora, squadrò i due figli di Ares e Afrodite, domandando loro: «Voi che fate, ragazzi?»

«Restiamo finché papà e mamma non tornano dall’Oltretomba, poi andiamo a trovare Eros. Esculapio ci ha detto che possiamo andare in clinica, finalmente. Pare che sia riuscito ad annullare gli effetti delle frecce di piombo che nostro fratello ha voluto testare su se stesso.»

Il Padre degli dèi sospirò esasperato, borbottando: «Ma tu guarda quel ragazzo… ma che gli è saltato in mente, di provare sulla sua pelle proprio quelle frecce?»

«Temeva fossero troppo potenti, perché taluni uomini finivano con il rimanere talmente invischiati dall’odio da diventare pericolosi e violenti, così ne ha controllato la portata…» scrollò le spalle Deimos. «…e c’è rimasto dentro con capra e cavoli.»

«Farete venire i capelli bianchi a vostra madre, di questo passo» brontolò Zeus, dando una pacca sulla schiena a entrambi, mentre i giovani uscivano ridacchianti da casa.

Carlos osservò silenzioso l’intera scena e soltanto quando le due divinità furono scomparse, si arrischiò a chiedere: «Parliamo del bimbo alato con le frecce d’oro?»

Zeus ghignò divertito e replicò: «Eros non è più un bimbo da tempo immemore e, di sicuro, non va in giro con un pareo intorno ai fianchi e un arco in mano. Quel ragazzo è alto come una pertica, ha muscoli dappertutto ed è ossessionato da un ballerino italiano di nome Roberto Bolle.»

L’uomo fece tanto d’occhi, sinceramente confuso, ed esalò: «Ma… e Psiche?»

Il dio rise, scuotendo una mano nel sedersi a sua volta sul divano, prima di dire: «Oh, …non ossessionato in quel senso! E’ ossessionato dal suo fisico! Vuole diventare come lui, e Psiche gli fa da personal trainer… o meglio, gli faceva, prima che quello sciocco provasse su di sé il potere delle sue frecce di piombo.»

«Ho quasi paura a chiedere… quanto tempo fa divenne ossessionato da questo ballerino?» tentennò Carlos.

«Direi che fu una sorta di Pesce d’Aprile, il suo, visto che la fissazione cominciò il primo Aprile del duemila e quattro. Lo vide ballare in Vaticano, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II e, da lì, non capì più nulla» scrollò le spalle Zeus. «Quell’anno iniziò gli allenamenti per tonificare i muscoli giusti e, al tempo stesso, provò un nuovo tipo di frecce per il suo arco, lavorando assieme a Efesto per creare una nuova lega che tenesse il passo coi tempi. Sai, la faccenda degli acciai temprati e cose del genere. Ha una fissa per queste cose. Morale della favola, nel tentativo di capire se le nuove leghe andassero bene per i mortali millennials, fece un autentico casino.»

Carlos sospirò incredulo e Zeus, grattandosi pensoso una guancia, terminò di dire: «Inutile aggiungere che Afrodite andò su tutte le furie, Ares gli diede dell’imbecille e Psiche iniziò a piangere come una vite tagliata. Alla fine, Apollo decise che fosse il caso di interpellare anche suo figlio Esculapio, ben più esperto di lui, per quel che riguarda gli avvelenamenti. E’ in cura da allora.»

L’uomo deglutì a fatica, esalando: «Doveva essere un gran bel… veleno

«Eros non è mai stato un tipo dalle mezze misure e, di solito, la sua maniacalità sfociava in progetti ben riusciti… ma quella volta sbagliò davvero la composizione chimica della freccia, e ne nacque un’autentica arma di distruzione di massa, se così la vogliamo vedere» ammise Zeus.

Carlos sospirò, mormorando: «E’ proprio vero che, per voi, il tempo è del tutto relativo. Se uno di noi fosse in cura da… da quanto, di preciso?»

«Dal duemilasei» lo informò Zeus, sorprendendolo.

«Un bel po’, a quanto pare. Comunque, dubito che ne abbia risentito a livello fisico.»

Zeus dissentì, ammettendo: «Capisco cosa intendi e sì, non ci facciamo molti scrupoli, da quel punto di vista. Abbiamo dalla nostra una vita eterna che ci permette di commettere anche sciocchezze, cosa che a voi non è concessa. Questo, però, ci rende più …distaccati da tutto e da tutti, oserei dire, e ora mi rendo conto di quanto, questa nostra …mia estraneità alle vicende umane mi renda inadeguato a sostenere emotivamente mia figlia.»

«Non stai andando malaccio» chiosò Carlos, abbozzando un sorriso.

Zeus rispose al sorriso con un cenno grato del capo dopodiché, fiacco, si lasciò andare contro lo schienale del divano per osservare la partita.

Non se ne intendeva molto, di sport moderni, ma aveva più o meno capito le regole del baseball e, in quel momento, aveva bisogno di pensare a qualcosa di leggero e tranquillo, che non avesse a che fare con il nipote.

Il solo pensiero di soffermarsi a rimuginare su quanto stava succedendo, lo atterriva a tal punto da non comprendere più come comportarsi.

Non sapere nulla lo uccideva, così come il rendersi conto di dovere molto alla famiglia umana di Athena, ben più in grado di lui di prendersi cura dei propri cari.

Passandosi una mano sul volto, Zeus si piegò in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia e, preso il capo tra le mani, sospirò sconfitto: «Non so davvero che altro fare, per lei.»

«Perché, oggettivamente, non si può fare altro» ammise dopo alcuni attimi Carlos, giocherellando con il telecomando senza badare ai programmi che scorrevano sul TV. «Nessun potere al mondo può togliere il dolore di una madre in pena per il proprio figlio. Nessuno. Si può solo star loro accanto.»

«E’ la prima volta che mi sento così impotente in tutta la mia esistenza» borbottò Zeus, scuotendo il capo.

«Lo immagino. Fa schifo» chiosò Carlos, fermando la sua corsa da un canale all’altro quando trovò un film in particolare. «Ecco. Questo fa al caso nostro.»

«Cosa sarebbe?»

«La Storia Fantastica. E’ abbastanza folle da strapparci per qualche ora a questa follia ancor più grande» dichiarò Carlos con un mezzo sorriso.

Fu così che Zeus e Carlos si ritrovarono ad ascoltare le storie avventurose di Westley e Bottondoro, tra combattimenti a fil di spada, dialoghi ai limiti dell’assurdo e il classico vissero felici e contenti.
 
***

Dioniso osservava ansioso la stella gorgogliante e frenetica che rappresentava Alekos e, nel rivolgersi a Chaos – ora divenuto un uomo possente e dal volto fiero – il dio domandò: «Quanto credi durerà la discesa di Eris nel subconscio di Alekos?»

«Tutto dipenderà da quanto, il ragazzo, riuscirà a dominarsi e a dominare il suo lato divino. Se soccomberà alla sua parte immortale – che crea questo scompiglio – prima dell’arrivo di Eris, tutto sarà vano, perciò non ho una risposta da darti» dichiarò Chaos, lo sguardo d’ambra puntato sulla stella come una fiera sulla propria preda.

Dioniso assentì suo malgrado e, con un sorriso di scuse a Chaos, dichiarò: «Beh, io non starò qui ad aspettare che Eris torni. Le andrò incontro.»

Ciò detto, allungò una mano per lasciarsi risucchiare dalla stella ma, con suo sommo rammarico, questa lo rifiutò, spedendolo lungo riverso sulla superficie uniformemente bianca che li circondava.

Chaos allora lo fissò spiacente, mormorando: «Non sei tu a dover partecipare a questa parte della battaglia. Solo Eris e Alekos devono fronteggiarsi.»

Scuotendo la mano dolente, Dioniso domandò turbato: «In che senso, fronteggiarsi

«Eris dovrà compiere una scelta, e questa scelta la metterà di fronte ai due lati di Alekos. Quale che sia, dovrà fronteggiare uno dei due, ma solo lei potrà decidere se scontrarsi con il suo lato umano, o quello divino.»

«Piuttosto che fronteggiarlo, si farà ammazzare!» sbottò Dioniso. «Perché non gliel’hai detto? Ma soprattutto… perché non l’hai detto a me?!»

Balzando in piedi con rinnovato vigore, Dioniso tentò di nuovo di avvicinarti alla stella ma, stavolta, Chaos glielo impedì, trattenendolo a un braccio prima di asserire: «Come già ti dissi, grazie a te ha tutte le armi per fronteggiare questa battaglia, ma deve farlo da sola.»

«Ma io l’ho già lasciata sola un’altra volta!» replicò piccato Dioniso, mettendo finalmente a parole tutte le sue paure. «Per tutta la mia esistenza sono stato superficiale e guascone, mi sono solo interessato ai miei sollazzi e a quelli di coloro che volevano divertirsi con me. Non ho mai pensato di offrirmi a qualcuno in modo disinteressato, ma solo per il mio piacere personale… solo una volta avrei voluto farlo, ma mi ritrassi per paura.»

Ciò detto, reclinò colpevole il capo e aggiunse mogio: «Mi dissi che, poiché avevo tanto sofferto in gioventù, non valesse la pena di spendersi così tanto per conquistare una donna, e che sarebbe stato più semplice accontentarsi delle mille e più che avrei potuto avere con il semplice schiocco delle dita.»

«Eris avrebbe richiesto più di uno schiocco, vero?» ipotizzò Chaos, sorridendo sghembo.

Dioniso rise nonostante tutto, replicando: «Avrei dovuto consumarmi le dita, con lei, a forza di schioccare!»

Chaos annuì, limitandosi a dire: «Ora, temi che questa scelta possa portarti via per sempre l’unica persona che ha saputo scuoterti dalla tua vita di sollazzi?»

Dioniso preferì non esprimersi, ma Chaos non ne ebbe bisogno. Sapeva dei suoi figli molto più di quanto loro stessi conoscessero del proprio Io, e conosceva i reconditi segreti del dio al suo fianco.

L’infanzia rubata, la follia giovanile e la maturità passata negli eccessi più sfrenati, avevano reso Dioniso una creatura amabile e piena di vita, così da controbilanciare i dolori subiti. Ciò aveva creato in lui un istinto di conservazione piuttosto radicato che, allo stesso tempo, lo aveva tenuto lontano da colei che Dioniso aveva sentito come degna controparte di se stesso.

Ora, con la vita di Alekos nelle mani di Eris, Dioniso si sentiva defraudato di qualcosa che sentiva come proprio, e non poteva fare nulla per impedire che le cose si sviluppassero dinanzi ai suoi occhi.

«Volevo portare gioia nella sua triste vita. Sbagliavo, forse?» mormorò Dioniso, gli occhi dolenti puntati sulla stella rilucente.

«No. Ma perché non lo facesti?»

«Perché sono un vile idiota… e ora ho paura di un ragazzo e di ciò che rappresenta per Eris» si irrise Dioniso, passandosi nervosamente una mano tra i riccioli castano dorati. «Sono una ben misera divinità.»

«Sei ciò di cui Eris aveva bisogno ora» replicò criptico Chaos, lasciandolo nel dubbio.

Che mai aveva voluto dire, Chaos, con quelle parole?







N.d.A: ogni divinità - o umano - sta cercando di affrontare al meglio la situazione di stallo anche perché, tolti Chaos e Dioniso che hanno dinanzi agli occhi ciò che sta accadendo, nessun altro può immaginare neppure lontanamente la gravità della situazione. Riuscirà Eris a passare sopra al fatto di dover combattere contro Alekos, o si lascerà andare al suo pessimismo innato? 
 
  
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