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Autore: Aysa R Snow    02/04/2020    0 recensioni
Non tutti abbiamo la fortuna, di trovare la persona giusta, e non perderla.
Tutti abbiamo perso, c'è chi perde qualcosa, chi perde qualcuno.
Lei, ha perso la sfida più importante della sua vita: non perdere la sua persona giusta.
Ma se invece, la sfida più importante della sua vita, fosse riuscire a vincere il dolore che ormai è diventato un peso troppo ingombrante?
Questa è la storia di Arianna, o come lei ama farsi chiamare, Aria.
Perché lei è così.
Leggera e pura come l'aria che respiri in alta montagna.
Questa, non è una classica e semplice storia d'amore.
Questa, è una battaglia.
Da una parte c'è l'amore, dall'altra la vita.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non lasciarti prendere dallo sconforto, e in secondo luogo non trasformarlo in un atteggiamento permanente.

-Osho

 

Le mie labbra si piegano leggermente all'insù.
Lo stupore si fa largo sul mio viso senza che io riesca ad impedirlo.
Jonas, nonostante i miei sforzi, era riuscito a scorgere dentro di me.
Più di quanto probabilmente lui stesso immaginava di poter fare. 
Improvvisamente mi rendo conto di aver lasciato cadere ogni difesa. Mi rendo conto di essere terribilmente stanca di fingere che non ci sia un peso enorme sul mio stomaco e mi sento più che sollevata di poter concedere a me stessa -anche solo momentaneamente- una tregua e lasciar che le mie difese crollino.
In meno di un minuto i muri costruiti in tutti questi anni sono crollati al suolo. 
Sento gli occhi pizzicare, e subito distolgo lo sguardo.

"Quando sono arrivata qui avevo intenzione di chiudere finalmente un capitolo della mia vita. 
Un capitolo abbastanza breve, ma che vissuto sulla propria pelle sembrava durare secoli. 
So che è brutto da dire, ma il luogo che fino a qualche tempo fa chiamavo casa non mi ha regalato molti momenti felici.
Anzi, se proprio devo essere sincera i miei ricordi più belli li custodisce la candida neve della Norvegia." interrompo il mio racconto, provando a rivivere uno ad uno tutti i bei ricordi di quella fuga programmata un po' a caso.

Jonas sospira e inizia a guidare. 
Picchietta ritmicamente i polpastrelli sul volante. 
Lo vedo scuotere leggerete il capo e sospirare, ma non do importanza a niente di tutto ciò, perché la mia mente è già altrove.
Non posso fare a meno di ripensare a Davide, e a tutto quello che abbiamo fatto.

Sembra incredibile, ma grazie a lui ho capito tante cose di me.
Passare del tempo con lui è stato come un insight.

Cose che prima sembravano non avere un motivo o una logica, improvvisamente, hanno avuto senso. 
Come quando provi a fare un esercizio di matematica, ma questo ti sembra talmente difficile da risultati privo di un procedimento logico.
Poi però, un giorno senza nessun motivo apparente, quella definizione e quella spiegazione hanno un senso. 
Come se una lampadina ti si accendesse dentro la testa facendoti trovare la risposta ad ogni problema.

E tu sei fermo, che fissi l'esercizio svolto chiedendoti com'è possibile che tu non ci sia arrivato prima.

Davide era la mia lampadina, la mia torcia.
Il suo essere spontaneo represso dalla voglia di voler mettere davanti a sé prima il bene degli altri mi portò ad avere speranza. 
Forse non tutto era perso, forse questa società ha ancora qualche possibilità.

Il mio flusso di pensieri viene interrotto dal rumore del motore che si spegne. 
E in pochi secondi, ammasso nuovamente tutti i miei ricordi nell'angolo più nascosto del mio cuore.

L'immagine del volto sorridente di Davide mi resta impresso dietro le palpebre nonostante ciò, non permettendomi comunque di mettere da parte tutto quello che da anni provo a chiudere ermeticamente da qualche parte giù, nella mia anima.

Mi spazzolo il vestito, anche se non serviva ed apro la portiera.

"Scusami" sussurro senza distogliere lo sguardo dalla strada "non volevo rovinarti la serata. Forse non avrei dovuto accettare di venire." faccio un mezzo sorriso che però non contagia Jonas.

"Non mi interessa più di tanto della serata.
Cioè, l'avrei passata volentieri con te, ma non è questo il punto." annuisco, comprendendo bene cosa volesse dire. 
Jonas è un libro aperto, e non è difficile intravedere la delusione sul suo volto.

"Ti va di entrare?" chiedo quasi sottovoce.
Mi volto a guardarlo e per un attimo nei suoi occhi sembrano brillare.

"No, non voglio disturbare." la sua voce tentenna, non è ciò che vuole. 
Vorrei dirgli che in realtà non disturba, anzi vorrei tanto non dover tornare in quella casa, da sola.
Vorrei non dover restare in quella casa tremendamente silenziosa.
Odio talmente tanto restare lì dentro da sola che dopo mezz'ora passata nel silenzio sola con il rumore del mio respiro mi vien voglia di urlare a squarciagola.

Ma non lo faccio, semplicemente scendo dall'auto chiudendo lo sportello.

Odio quella casa, odio ogni angolo, finestra. Odio ogni singola piastrella di quell'abitazione. Odio come ogni millimetro di ogni sua singola stanza mi ricordi ciò che ho perso.

Sto per arrivare alla porta quando mi fermo sul posto e dopo qualche secondo di incertezza tento con un altro invito.

"Sai, potremmo mangiare qualcosa. 
Non abbiamo ancora cenato, e credo di avere tutto il necessario per preparare un piatto italiano che sicuramente apprezzerai." sorrido, e mi rendo conto di star sperando con tutta me stessa che accetti.

Jonas posa le mani sulle sue gambe e sorride "d'accordo, va bene." esce dall'auto e mi raggiunge.

Era da tanto che non mi sentivo così... felice.

"Quindi, ricapitolando: fai bollire l'acqua, aggiungi la pasta, la fai cuocere facendo attenzione a non esagerare e poi dopo averla scolata aggiungi il guanciale rosolato e sopra... uovo crudo?" chiede un po' perplesso. 
Ricordo ancora quando mia madre mi disse che aggiungere l'uovo con la fiamma ancora accesa era da considerarsi un sacrilegio.

"Beh, spegni e lo versi sopra. 
Poi mescoli e un po' si cuoce comunque." prendo due piatti e divido tutto in due porzioni.

"Devo ammettere che sembra buona."osservo Jonas scrutare il suo piatto come se si trovasse dinnanzi ad un'opera d'arte. 
Beh, forse la carbonara è un'opera d'arte. 
Jonas si ficca in bocca una forchetta di pasta e dalla sua bocca fuoriesce un verso che è un misto tra un sospiro estasiato e un grugnito. 
Non posso fare a meno di sorridere.

"Come mai proprio la Norvegia?" la domanda di Jonas arriva come uno schiaffo in pieno viso. 
Era ovvio che me lo avrebbe chiesto, ma un conto è vedere ciò solo come una possibilità non ancora realizzata, un altro è ritrovarsi a dover dare una risposta.

Potrei mentire, ed evitare ancora per un po' di affrontare una questione inevitabile. 
Non solo per sedare i dubbi e le curiosità di Jonas, ma anche per rendermi conto effettivamente che cosa sto facendo.

"Ero al secondo anno, il liceo non era così male dopotutto, ora che ci penso." decido di non farlo, di non rimandare ancora questa cosa.
Ne ho bisogno.

"Incontrai un ragazzo. Sai quei tipi belli e tenebrosi che si vedono nei film? Quei ragazzi un po' problematici. 
Ecco, probabilmente molti lo consideravano tale. 
Io però, la pensavo diversamente." sposto lo sguardo sulla parete oltre la figura di Jonas.

Prendo un respiro profondo provando a mandar giù il groppo formatosi in gola.

Mi concentro su una foto, l'unica foto che ho di Davide. 
Ci siamo io e lui, comodamente seduti in veranda.

Ripenso ad una sera in cui ero talmente preoccupata delle conseguenze della nostra fuga che mi ritrovai a pesare di tornare a casa col primo volo. 
Allo stesso tempo però non volevo. 
Ricordo che Davide si mise a sedere accanto a me, sul divanetto e mi passò un braccio sulle spalle ed io appoggiai la testa contro il suo petto.

Mi accarezzava la guancia con il pollice senza dire nulla. 
Sapevo perfettamente che se solo glielo avessi chiesto, lui mi avrebbe riportata a casa all'istante. 
Presi la sua mano e intrecciai le mie dita con le sue. 
Sentivo un vuoto nello stomaco, che aumentò quando lui mi strinse a se così forte che quasi non riuscivo a respirare. 
Mi resi conto che ormai Davide non era più solo un amico, e probabilmente neanche io ero più solo un'amica. 
Mi voltai per guardarlo e fu impossibile per me non vedere le sue guance umide. 
Appoggiai la mia fronte alla sua, accarezzandogli piano il capo.

Poche volte ho visto Davide fragile, ma quella sera era diverso. 
Percepivo la precarietà della situazione come se fosse un macigno che faceva pressione sul mio petto. La sentivamo entrambi, sapevamo di avere una scadenza.

Sapevamo perfettamente di esserci chiusi in una bolla che presto sarebbe scoppiata lasciandoci devastati.

Lo sapevamo, ma non ci importava.

Avrei voluto più tempo, forse così io e Davide avremmo potuto avere di più.

"Cos'è che gli altri non avevano visto?" domanda piano Jonas.
La sua voce è bassa, come se avesse il timore di svegliarmi dal mio stato di trance.

"In realtà era un ragazzo semplice, con tutti i problemi che un diciottenne può avere più altri problemi che di solito un diciottenne non ha." sospiro quasi involontariamente. È passato molto tempo dall'ultima volta che ho parlato di Davide. 
In realtà è passato molto tempo anche dall'accaduto.
Eppure, nonostante io stessa ritenga assurdo tutto ciò, ancora non riesco a lasciarlo andare. 
Anzi, rettifico, io ancora non voglio lasciarlo andare.

Qualcuno probabilmente potrebbe pensare che io non sappia elaborare il lutto, o che semplicemente mi rifiuto di farlo.

Ma il mio problema in realtà è la paura. 
Paura di cambiare, di dovermi adattare e adeguare ad una nuova realtà o vita dove io sono qui e Davide è tre metri sotto terra.

Perché io so perfettamente che Davide è morto, andato. Non c'è più niente da fare. 
So che non posso far niente per cambiare ciò e so che non tornerà ma non ho mai voluto adeguarmi a ciò. 
Ho preferito mettere da parte l'accaduto, rimandando di giorni in giorno la resa dei conti.

"Sono anni che ci provo" sussurro portando le ginocchia al petto e appoggiandoci sopra il mento. 
Stringo le gambe con le braccia, come se così facendo, potessi scoprire.

Improvvisamente mi rendo conto di essere seduta esattamente come quando tornai a casa dall'ospedale. 
Rimasi a fissare lo stufato preparato da Olaf pensando a tutti i momenti passati con Davide mentre dentro di me sentivo crescere e avanzare la paura e la rassegnazione.

Scuoto leggermente la testa "sono anni che provo a lasciarlo andare."

-I want you here

An ache
So deep
That I
Can hardly breathe
This pain
Can't be imagined
Will it ever heal?
Ooh... ooh...
Your hand
So small
Held a strand of my hair
So strong
All I could do
Was keep believing
Was that enough?
Is anyone there?
wanna scream
Is this a dream?
How could this happen,
Happen to me?
This isn't fair
This nightmare
This kind of torture
I just can't bear
want you here
want you here
Ooh... ooh...
waited so long
For you to come
Then you were here
And now you're gone
was not prepared
For you to leave me
Oh this is misery
Are you still there?
wanna scream
Is this a dream?
How could this happen,
Happen to me?
This isn't fair
This nightmare
This kind of torture
I just can't bear
want you here
want you here
God help me,
God help me,
God help me
Breathe
wanna scream
Is this a dream?
How could this happen,
Happen to me?
This isn't fair
This nightmare
This kind of torture
I just can't bear
want you here
want you here
Ooh... ooh...
An ache
So deep
That I
Can hardly breathe

 

   
 
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