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Autore: LilithGrace    02/04/2020    1 recensioni
"Ci sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare".
(Oriana Fallaci)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Ho ambientato questa ff durante i l’arco narrativo del ritorno di Jason Todd a Gotham City.
Non mi sono basata solo sul fumetto “Under the Hood” o solo sul film “Under the Red Hood”, bensì ho fatto un mix tra i due, prendendomi anche qualche piccola ‘licenza poetica’. XD
Nel corso della storia ci saranno anche riferimenti alla miniserie “Lost Days” che parla di come Jason ha affrontato il periodo che intercorre tra la sua resurrezione e il suo ritorno a Gotham (ovviamente sarà segnalato).

Vorrei spendere due parole sul mio OC: per il personaggio di Grace Lilywhite mi sono ispirata a Major Lilywhite, della serie tv “iZombie”. Come lui, infatti, la mia Grace è un assistente sociale che farebbe di tutto pur di difendere e proteggere i ragazzi di cui si occupa. Ho deciso di mantenere il cognome di Major poiché la sua traduzione (azzardata) è “giglio bianco” e rivedo il mio pg nel significato simbolico del giglio bianco (tra i vari significati, mi sono soffermata in particolare sui significati di purezza, lealtà e amore che ritroverete nei suoi gesti e comportamenti); è una ragazza introversa, impulsiva e determinata, ma anche profondamente ferita cosa che spesso la porterà ad avere delle vere e proprie crisi, arrivando anche a dubitare di sé e delle sue capacità.

Spero che questo “esperimento” possa essere di vostro gradimento e chiedo scusa a chi è molto più esperto di me in fumetti e universo DC, essendo che per me è ancora tutto da scoprire.
Jason è il mio personaggio preferito quindi mi sono concentrata un po’ di più su di lui e la sua storia (perdonatemi eventuali errori). ^^”

Le critiche, ovviamente, sono ben accette purché siano costruttive <3
Basta chiacchiere e vi lascio alla lettura di questo primo capitolo.
Grace ^^

***

L’età adolescenziale è quel momento della vita in cui si transita dall’essere bambino, all’essere adulto. È in quell’età che si iniziano a fare le prime esperienze, le prime vere scelte importanti.
È durante l’adolescenza che si inizia a fare i conti con una realtà che non sempre è rose e fiori: i primi amori, le prime delusioni. Si inizia a prendere consapevolezza della morte, ci si comincia ad interrogare su cosa ci sia dopo di essa e si inizia a combattere con un macigno tanto astratto quanto pesante: il lutto.
Il lutto è uno di quegli eventi che ti tormenterà per sempre e che, nonostante si possa provare ad elaborare, non riuscirai mai a lasciartelo alle spalle… piuttosto impari a conviverci.        


Ho conosciuto il mio primo amore, all’età di quindici anni. Il suo nome era Jason.
La sua perdita per me è stata una bella botta ed ancora oggi, dopo cinque anni, difficile da accettare.
I miei, per aiutarmi, mi consigliarono di vedere uno specialista, ma mi sono sempre rifiutata… volevo rimanere chiusa in me stessa perché odiavo l’idea di qualcuno che potesse scavarmi nel profondo, mi faceva sentire vulnerabile.
L’unico aiuto valido è stato quello di JayJay, il mio cagnolone: a furia di parlargliene, ho imparato a convivere con il suo ricordo.

Ormai sono una ragazza indipendente, vivo in un piccolo appartamento nel centro di Gotham.
Lavoro come tirocinante presso una struttura di recupero per ragazzi definiti banalmente dalla società difficili: ragazzi che hanno intrapreso la strada della tossicodipendenza, ragazzi che hanno frequentato compagnie sbagliate… io? Io li ascolto, li rassicuro, li sprono a migliorarsi.

In particolare, ho legato con una ragazza di nome Judith, con cui ho instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia; scoperta la sua tossicodipendenza, la famiglia l’ha completamente abbandonata a sé stessa. Io sono l’unica persona su cui può contare.
È stata lei a parlarmi la prima volta di un certo Red Hood, presentandomelo come nuovo super criminale della città, colui che aveva preso il comando sui giri di droga e armi di Black Mask.
Era pulita da quattordici mesi e il fatto che fosse così informata su questo nuovo giro di droga mi aveva fatto nascere il sospetto che si fosse cacciata nuovamente nei pasticci.



°°°
 
“Posso parlare con il vostro capo?”
Nessuna risposta, ma solo un doloroso strattonamento all’interno di una sala, mani saldamente legate dietro la schiena ed una bellissima pistola puntata alla tempia.
Questo atteggiamento impulsivo non si addiceva ad una ragazza di vent’anni che si occupava di tenere i ragazzi fuori dai guai.


Tutto era confuso nella mia testa, iniziai a ripercorrere tutti i momenti che mi avevano portato a compiere quel gesto: Judith, la sua tossico dipendenza, la paura che fosse tornata a drogarsi, la paura di aver fallito di nuovo.  
I miei pensieri furono interrotti da un rumore di passi, passi leggeri nonostante la massa notevole, giacca da motociclista e un elmetto rosso.
“A cosa devo la sua visita?”, mi chiese con tono piuttosto tranquillo.
“Preferirei parlarne in privato senza la presenza dei suoi uomini. Può perquisirmi, non troverà microfoni, cimici, armi né registratori. Sono venuta di mia volontà e per di più sono sola”. Con un cenno fece uscire il suo sottoposto. Mi schiarii la voce: “So che probabilmente non gliene fregherà nulla, ma ci provo lo stesso tanto non ho nulla da perdere a parte la vita. So da fonti molto vicine a me che governa il traffico di droga di Gotham… sa’, lavoro in un centro frequentato da ragazzi in difficoltà, situazioni difficili a casa o con problemi di tossicodipendenza. Sono molto giovani e volevo chiederle se può tenere il suo favoloso traffico lontano dai miei ragazzi… so anche che per lei potrebbero essere prede facili, ma hanno un futuro… potrebbero avere una vita normale ed io voglio che loro siano felici”.
Si girò verso di me ed ovviamente la mia faccia interrogativa non gli era sfuggita: “Hai avuto coraggio a venire qui da me sola, senza armi…”
Si avvicinò con andatura sicura e nel mentre aveva estratto da una custodia legata alla coscia un coltello con una lama ondulata, un kriss malesiano, che già stavo immaginando nel mio stomaco.
Chiusi gli occhi istintivamente e iniziai a borbottare qualcosa tipo: “lo sapevo, ho detto a Jason di essere un emerito imbecille e poi mi sto facendo ammazzare anche io. Perfetto. Ma che esempio sto dando?”.
Aprii gli occhi e mi stupii del fatto che in realtà mi avesse solo liberata dalle corde: “quindi tu vorresti che io dicessi ai miei uomini di non spacciare ai ragazzi, dico bene?” annuii e basta.
Non ebbi il coraggio di replicare. “Come ti chiami?” mi chiese: “Grace Lilywhite”.
Si bloccò per un istante. Non che stesse facendo chissà cosa, ma notai una certa tensione nei suoi movimenti: “non mi saprei come ricambiare il suo favore perché non ho nulla... Già, non ho nulla… ho sbagliato a venire qui” dissi con tono agitato: “Non dirò a nessuno dove si trova e su questo può credermi… sa’ qual è il mio punto debole, sa’ il mio nome e non farei nulla che possa nuocere ai miei ragazzi… uno non sono riuscita a salvarlo e la cosa mi tormenta ormai da cinque anni” feci per alzarmi, ma mi bloccò il polso con una presa salda, troppo salda per la mia pelle delicata. Avrei voluto dirgli che mi stava facendo male, ma non osai. “In cambio del favore, mi basta il tuo silenzio”.
Liberò la presa, non dissi nulla, mi voltai e tornai a casa di corsa.


Una volta sul letto, mi trovai a fissare la parete a riflettere su ciò che avevo fatto e a domandarmi fino a che punto mi sarei spinta per proteggere i miei ragazzi.
Iniziai a pensare, a riflettere, a maledirmi per aver scelto quella vita che probabilmente sarebbe iniziata a pesarmi prima del tempo a causa della mia troppa sensibilità.
Sospirai e cercai di incoraggiarmi, a dirmi che quel che avevo fatto quella scelta per evitare che altri ragazzi perdessero di vista definitivamente la loro vita.
Riaffiorò il ricordo di Jason, di come ci eravamo conosciuti e di come la sua morte mi aveva portata a scegliere quel lavoro.

Uno dei miei hobby è sempre stato leggere, mi piaceva andare in una biblioteca piuttosto tranquilla, una di quelle aperte ad ogni ora del giorno e della notte. Ricordo ancora che aspetto aveva la prima volta che l’ho visto, con i suoi capelli corvini, occhi verdeazzurri, qualche livido qua e là… Era seduto a leggere nell’angolo più appartato e silenzioso, un posto che piaceva anche a me occupare.
Mi accomodai accanto a lui con il mio libro e questo semplice gesto aveva attirato la sua attenzione: parola dopo parola, giorno dopo giorno, diventammo inseparabili. Decidemmo che quello sarebbe stato il nostro posticino segreto, il luogo dove ci saremmo recati quando avremmo sentito l’uno la mancanza dell’altro.
Poi quei piccoli lividi iniziarono a diventare vere e proprie tumefazioni sul viso, sul corpo…labbra spaccate. Più chiedevo spiegazioni, più mi venivano negate. Iniziai a pensare che avesse cominciato a frequentare brutte compagnie o che il suo temperamento impulsivo l’avesse fatto mettere nei pasticci.
Poi la sua morte.
Il suo funerale.
Dio, il suo funerale… non ricordo molto di quel giorno, solo che ero terribilmente arrabbiata e che avrei voluto dire qualcosa, ma riuscii a dire solo che era morto con un ridicolissimo taglio di capelli e che il loro colore era un nero così dannatamente intenso da sembrare… finto? Sì, sembravano tinti e che l’avrebbero preso in giro anche all’aldilà.


 
  
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