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Autore: Shora    03/04/2020    4 recensioni
Può l'amore esistere tra persone separate da secoli di differenza? E se ciò accadesse che ripercussioni avrebbe sugli anni a venire? Il destino ha deciso di unire tre ragazzi. Amore, morte, misteri... Cosa nasconde Parigi che tutti ignorano? Che segreti custodiscono le persone che ognuno di loro pensava di conoscere?
Ecco a voi il primo capitolo di quella che spero cresca e diventi una trilogia. Buona lettura e spero vi piaccia XD!
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quattro:
L’atelier di Gabreil Agrèste era qualcosa di meraviglioso. In tutta la stanza erano appesi abiti di tutte le epoche e di qualsiasi genere. Era un tripudio di colori. Sarei svenuta se la situazione non fosse stata quella che era. Il tutto si poteva descrivere con una sola parola: fe-no-me-na-le. Mi addentrai nel laboratorio e, camminando tra le creazioni dell’uomo, facevo scorrere le mani sui tessuti degli abiti. Seta, taffettà, mussola, cotone e chi più ne ha più ne metta.
«Sono davvero spettacolari.» dissi al creatore di quelle opere d’arte.
«Mi fa piacere che ti piacciono, Marinette.» mi rispose con un sorriso orgoglioso.
«Avevo letto qualcosa a proposito delle vostre sfilate, ma non immaginavo produceste vestiti di questo genere...» spiegai, mentre muovevo i vestiti dagli appendiabiti per guardarli affascinata.
«Hai cercato informazioni su di me?» domandò sorpreso.
«Più che altro su Adrien.» ammisi, osservando un capo dalle fantastiche sfumature di rosa e magenta. «Ma su Google non ho trovato nulla.» feci una piccola smorfia, ricordando il fallimento delle mie ricerche. Se poi avessi saputo che tipo era mi sarei data poca pena per quelle poche informazioni che avevo scoperto.
«Credo sia normale. Adrien non utilizza alcun social e non è mai stato mandato a scuola, ha avuto un’istruzione casalinga.» annuii. Aveva un senso dopotutto.
«A causa della sua situazione ho preferito avere sotto controllo tutto quello che gli veniva insegnato e in questo modo inserire anche materie non propriamente scolastiche. E ho avuto modo anche di avere buoni maestri di lingua straniera come tedesco ed inglese.» sembrava molto soddisfatto di questo. Si doveva ritenere un padre modello.
«Ma questo vuol dire che Adrien ha vissuto fino a sedici anni solo con maestri e lei? Nessun amico?» chiesi impressionata. Io non credevo sarei sopravvissuta tutti questi anni senza qualcuno come Alya al mio fianco.
«Diciotto.» mi corresse Gabriel. «Adrien ha diciotto anni. E comunque non e stato solo, ha avuto Chloè. Dopotutto anche lei ha dovuto avere un’educazione particolare.» non sapevo cosa fosse peggio: la solitudine o la compagnia di Chloè? Mmm… credo avrei optato per il suicidio. Complimenti per i nervi saldi di Adrien.
«Chloè però è venuta a scuola.» feci notare.
«Sì. Andrè ha preferito facesse il più possibile esperienze normali.» stavo per esaminare l’ennesimo abito quando M. Agrèste mi chiamò a rapporto.
«Marinette, puoi venire qui per favore. Devo prenderti delle misure.» mi indicò una pedana un po’ rialzata. Ci salii sopra e rimasi immobile, con le braccia stese, mentre Gabriel mi prendeva le misure della mia vita, delle mie braccia, polsi, gambe e anche del seno. Cosa mi fece diventare leggermente rossa.
«Bene.» disse dopo aver annotato tutto su un piccolo taccuino che teneva su un tavolino nell’atelier, ingombro di stoffe, spille da balia e forbici di ogni misura.
«Credo di poter riutilizzare qualche abito creato in precedenza per Chloè, che lei non ha mai voluto indossare.» si passò una mano sul mento, pensieroso. Bene, ora Chloè avrebbe avuto un motivo in più per detestarmi. Che gioia!
«Sì, credo basterà qualche modifica alle scollature, dopotutto Chloè è un po’ più piena di te.» sembrava quasi stesse parlando da solo, ma ciò non tolse che il suo commento sul mio seno mi irritò un pochino. Portavo una seconda coppa B, quasi C. Non mi pareva così piccolo. Sembrò improvvisamente ricordarsi della mia presenza. Mi sorrise.
«Hai dei polsi incredibilmente sottili, sai?»
«Emm… grazie.» speravo fosse un complimento. Mentre scendevo dalla pedana, però, tutta la mia emozione garantita dai vestiti scomparve gradualmente. Erano meravigliosi, è vero, ma non servivano per feste in maschera o per recite. Servivano per viaggiare nel passato. Dovevo imparare a muovermi con quei diavolo di vestiti. D’un tratto mi assalii l’incompleta incertezza per tutto quello che sarebbe successo da ora in avanti. Ero davvero in grado di soddisfare le loro aspettative. Considerando tutte le mie lacune, ne dubitavo.
«Senta...» cominciai titubante. M. Agrèste mi guardò in attesa. «Lei è davvero convinto che io debba partecipare a questa… emm… missione?» non sapevo nemmeno di cosa si trattava, ma sembravano tutti convinti che dovessi per forza prenderne parte, tranne per i due simpaticoni di prima.
«Ma certo Marinette, tu sei fondamentale. La Coccinella è un tassello che non può mancare.» Adrien non la pensava allo stesso modo.
«Perché?» domandai. Gabriel Agrèste assunse un’espressione un po’ strana, che stonava con tutto il comportamento bonario di prima.
«Al momento non possiamo dirti nulla rispetto a questo, né di cosa tratta esattamente la missione. Abbiamo… come dire…» sembrava un po’ in difficoltà, come se dire quelle parole gli costasse uno sforzo notevole.
<«Abbiamo avuto dei problemi con alcuni predecessori. Dobbiamo assicuraci che tu non voglia tradire nessuno di questa famiglia.» Famiglia? Quale famiglia? I due con cui dovrei collaborare mi odiano e non so nemmeno perché sono qui. Tuttavia non dissi nulla, mi limitai a sospirare.
«Non hanno tutti i torti comunque...» sussurrai. «Non sono un genio in inglese e di tedesco non so una parola… senza contare che non ho la più pallida idea di che diavolo di danza sia il minuetto!» più ripensavo a queste cose più mi irritavo. Ma proprio io dovevo essermi ritrovata in questa situazione? M. Agrèste mi mise una mano sulla spalla, cosa che mi imbarazzò più che rassicurarmi.
«Non preoccuparti, io e Andrè cercheremo di fare in modo che tu possa imparare le basi senza particolari problemi, in modo che nei tuoi primi viaggi nel passato tu non ti senta un pesce fuor d’acqua.» ammiravo davvero il suo ottimismo. A quanto pare non era a conoscenza della mia proverbiale goffaggine. Provai a cambiare argomento.
«Quando avverrà il mio primo viaggio?» chiesi.
«Quanto prima.» mi rispose Gabriel, senza darmi alcuna informazione precisa. Annuii poco convinta.
«Prima di tutto dovrai imparare a muoverti in uno di questi.» continuò mostrandomi gli abiti appesi. Tirò fuori un fantastico vestito vaporoso giallo canarino con delle rifiniture in oro attorno al corpetto e con strati di tulle dello stesso colore sulla gonna. Per poco non mi commossi. Quell’abito sarebbe stato mio?
«Ora il problema è fartelo indossare...» lo guardi confusa e poi, pian piano, compresi. Avrei dovuto spogliarmi davanti a lui. M. Agrèste si rianimò subito, come se avesse trovato l’idea del secolo.
«Vado a chiamare Chloè!» uscì così di fretta che non ebbi nemmeno tempo di fermarlo. Era sicuramente l’idea del secolo. La peggiore. Sebbene io e la mia compagna di classe non ci conoscessimo poi tanto, potevamo contare su un odio particolarmente radicato. L’unica cosa su cui forse potevamo andare d’accordo era il fatto che ci detestassimo. Mi sedetti sconsolata su una sedia posizionata davanti al piccolo tavolo da lavoro di Gabriel Agrèste. Quando la sentii non potevo immaginare parole diverse uscire dalla sua bocca.
«È ridicolo! Non capisco perché debba usare uno dei miei vestiti per esercitarsi! Non potrebbe aspettare che lei ne abbia confezionato uno adatto?!»
«Mi pareva che vi foste lamentati della sua inesperienza fino ad un attimo fa. Dovresti essere contenta che stia facendo pratica fin da subito.» commentò gelido M. Agrèste. Touche! La ragazza rimase zitta, ma quando entrò nella stanza era livida di rabbia. Saltai su come una molla. Chloè afferrò con stizza il vestito che l’uomo le porgeva e poi gli chiuse la porta in faccia. Ci fissammo reciprocamente per qualche secondo.
«Beh, che aspetti? Svestiti!» mi intimò. Mi ripresi da quel piccolo congelamento e presi a sfilarmi la mia maglietta nera e i miei jeans chiari. Rimasi in calzini ed intimo di fronte a lei, mentre il freddo del pavimento mi rendeva insensibili le dita dei piedi. Mi scrutò un attimo. Mi coprii il seno imbarazzata.
«Che vuoi?» domandai irritata per quella indagine approfondita non richiesta.
«Devi toglierti il reggiseno Dupein-Cheng.» mi disse. Arrossii fino alla punta delle orecchie.
«È proprio necessario?»
«Certo, le donne all’epoca non lo portavano e il vestito è stato creato per poter essere portato in questo modo.» scandì le parole come se parlasse con qualcuno di molto stupido. Controvoglia mi tolsi l'indumento. Notai Chloè distogliere lo sguardo e porgermi l’abito. Mi aiutò ad infilarlo, senza che soffocassi in un tutto quel tulle, seta e chissà quale altro tessuto. Dopodiché passò al corpetto. Strinse con forza i lacci sul retro del vestito, strizzandomi il petto e togliendomi il respiro.
«Ti ci abituerai.» fu il suo unico commento al rantolo poco elegante che era uscito dalle mie labbra. Lo speravo davvero. Quando mi guardai allo specchio, però, rimasi sorpresa. Ero davvero io? Ero davvero… beh… wow! Mi rimirai un altro po’, sorridendo.
«Ovviamente i capelli andrebbero acconciati in maniera diversa, ma essendo solo una prova non ha senso perdere tempo.» mi disse il riflesso di Chloè. In quel momento qualcuno bussò alla porta e prima che potemmo dire “avanti” quel qualcuno entrò nella stanza. Il sorriso della ragazza si fece raggirante e io non dubitai nemmeno di un secondo di chi fosse entrato. Adrien. Mi inviò uno sguardo divertito.
«Sei pronta per essere presentata a Luigi XVI?» notai sorpresa che non mi stava prendendo in giro. Stava cercando davvero di scherzare con me. Sorrisi a mia, volta ignorando l’occhiata sorpresa che la ragazza mandava ad entrambi.
«Certo, scommetto che i codini erano molto in voga all’epoca.» ridacchiai indicando la mia acconciatura, forse un po’ infantile per i miei sedici anni.
«Ero certo sapessi che erano la moda dell’epoca.» rise anche lui. Che bella risata aveva. Peccato averla sentita dopo quella caterva di insulti. Quando rideva poi gli si formava una fossetta sulla sinistra che gli dava un non so che di adorabile. Anche Chloè si cimentò in una risatina, ma sembrava più una sfogo isterico. Mi aggirò e si aggrappo al braccio di Adrien, deviando la sua attenzione su di lei.
«Non dovresti deconcentrarla, sta cercando di camminare come si deve!» lo rimproverò dolcemente. Feci una smorfia. Già che c’era poteva dargli anche un buffetto sulla guancia e chiamarlo con un orribile vezzeggiativo. Me la immaginavo proprio mentre lo chiamava “paperotto”! Mi morsi il labbro per non scoppiare a ridere. Qualcosa che mi diceva che non l’avrebbero presa bene. Specie Chloè.
«Avanti fate passare.» dissi sgarbata. Almeno potevano evitare di fare i piccioncini davanti a me. Si scostarono e io li superai. Beh dai non era mica… caddi, incimpando nell’orlo del vestito. Come non detto. Sentii Chloè scoppiare a ridere malignamente. Cavoli doveva essere stata una caduta spettacolare da come se la rideva di gusto. Maledizione. Ce la facevo a non rendermi ridicola per più di dieci minuti? Digrignai i denti. Una mano si materializzò davanti ai miei occhi. L’afferrai senza pensare e all'improvviso mi trovai davanti al viso di Adrien. Vicino. Troppo vicino. Feci un passo indietro senza però lasciargli la mano.
«Grazie.» dissi, un po’ rossa. Mi aspettavo una risposta di scherno. Forse anche cattiva. Ero pronta a tutto tranne al suo sorriso che fece spegnare la voce di Chloè. Non era proprio un sorriso amichevole. Era più compassionevole. Ma lo consideravo un passo aventi all'essere paragonata ad una blatta.
«Non preoccuparti.» mi rispose. «Chloè la prima volta che ha indossato un vestito del genere è ruzzolata giù per le mie scale.» Come prego?! La regina infallibile non era così infallibile allora! Mi voltai verso di lei con il sorriso sulle labbra. Lei teneva le braccia incrociate all’altezza del seno e la fronte aggrottata. Incredibile, era bella pure così.
«Non è stato divertente. Mi sono rotta un polso.» ribatté nervosa. Ah sì, mi ricordavo! Era venuta a scuola per un periodo con il polso rotto qualche anno fa. Non aveva voluto dire a nessuno come se lo era rotto e ora la capivo. Non l’avrei detto nemmeno io. Allargai il mio sorriso fino a renderlo estremamente zuccheroso.
«Tranquilla.» le dissi, mentre passavo le mani sul vestito per togliere la polvere.
«Capita anche alle migliori.» in cambio ricevetti un’occhiataccia.

  
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