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Autore: NPC_Stories    04/04/2020    11 recensioni
Anche gli amici possono ingannare, perché è il metodo più facile per ottenere ciò che si vuole. Un elfo che ha deciso di essere amico di un drow dovrebbe semplicemente metterlo in conto - anche se sono white lies.
Pun intended.
.
Storia breve con personaggi originali (che poi sono i personaggi di quasi tutti i miei racconti)
Genere: Comico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1357 DR: Old lies


Quello stesso giorno di fine autunno, nella stessa locanda vicino a Secomber

Essere privi di sensi era lo stato mentale che più si avvicinava al sonno, una cosa con cui Llarm Sarsantyr non aveva familiarità. La sua mente vagolava in una nebbia ovattata, un luogo dove brandelli di ricordi si mescolavano a immagini oniriche, colorate da sprazzi di suoni del mondo reale che il suo udito riusciva a cogliere ma che non sapeva riconoscere.
Ai margini della sua coscienza sentiva delle voci, ma parlavano in una lingua straniera. Perché mai avrebbe dovuto ricordare, o sognare, in una lingua straniera? Nella sua fantasia sapeva che avrebbe potuto capire quelle parole, se solo si fosse sforzato un minimo, ma non riusciva a fare quel passo in più.
Poi un odore pungente di menta piperita lo riportò alla realtà con un brusco strattone.
Llarm aprì gli occhi di scatto e scoprì che il suo mondo era pieno di bianco innaturale, spezzato solo da una confusa macchia nera. In un istante la sua vista elfica si aggiustò da sola e mise a fuoco ciò che aveva davanti: il bianco era l’intonaco delle pareti interne di una stanza, la macchia nera era il volto scuro di una drow, circondato da una cascata di ricci altrettanto neri. L’elfo dei boschi reagì di scatto, si alzò seduto e cercò di tirarsi indietro. La creatura reagì più o meno nello stesso modo: sobbalzò, rovesciandosi sulle dita mezza boccetta di olio di menta, e contemporaneamente fece un saltello indietro. Per un istante si guardarono l’un l’altra con un’identica espressione di spavento, poi la drow (o mezzadrow?, si chiese Llarm) si ricompose, chiuse la boccetta dell’olio e tornò alle sue faccende come se niente fosse. Anche se con una certa rigidità.
“Avete spaventato mia nipote” lo redarguì una voce, in perfetto elfico ma con uno strano accento. Llarm abbassò gli occhi verso la fonte della voce e si rese conto di due cose: si trovava su un letto, e il drow con cui aveva combattuto era seduto a terra accanto a quel letto.
“Non sapevo… non volevo… non l’ho fatto apposta” balbettò. Si sentiva un po’ in difetto, la reazione della donna l’aveva sorpreso molto. “Perché si è spaventata?”
Il guerriero drow si strinse nelle spalle. “Perché siete un elfo.”
Llarm lo guardò senza capire. Daren sospirò con impazienza, come se avesse a che fare con un idiota.
“Credete davvero che questa cosa fra noi…” indicò sé stesso e Llarm, poi fece un gesto come a includere il mondo intero “questa animosità fra le nostre razze sia solo a senso unico? Credete che la mia famiglia non abbia paura di ritrovarsi in casa una banda di assassini elfi un giorno sì e l’altro pure?”
Il fiero elfo dei boschi aprì la bocca e la richiuse, in silenzio, perché non aveva parole per rispondere. Alla fine le trovò.
“Gli elfi non agiscono in questo modo!”
Daren sollevò un sopracciglio candido. “La maggior parte degli elfi non lo fanno, ve ne do atto. Ma siete uno sciocco se pensate che mia sorella non abbia mai subito tentativi di assassinio. E anche se quelli che ci hanno provato erano delle mele marce, nessun elfo li avrebbe fermati o biasimati. Quel che è fatto è fatto, e chi piangerebbe dei drow?”
Llarm arrossì, rendendosi conto che c'era del vero in quelle parole. L'odio fra le loro razze rischiava di mietere anche vittime inconsapevoli. Eppure il drow aveva avuto occasione di ucciderlo ma, nonostante quell'odio, non l'aveva fatto.

Quando Daren si era arreso, Llarm aveva rifiutato la sua resa. Aveva insistito perché il drow passasse all’attacco, l’aveva sfidato a fare del suo meglio, l’aveva provocato in modo cocciuto e infantile. Anche quando Daren aveva evitato le sue parate e gli aveva poggiato una lama contro il collo, Llarm si era rifiutato di accettare la sconfitta e aveva continuato a combattere. Una volta, due, tre. Alla fine Daren aveva perso la pazienza e con una piroetta e una finta aveva destabilizzato Llarm e gli aveva conficcato una delle sue spade nel cuore, l’altra nella gola.
L’elfo non se l’aspettava, quelle mosse erano state troppo repentine, troppo abili, il drow aveva oltrepassato le sue difese come se Llarm fosse stato un soldatino al primo giorno di addestramento. Quando le spade gemelle avevano trafitto le sue carni all'inizio non aveva voluto crederci, non pensava che il drow si sarebbe davvero spinto fino a ucciderlo, lì davanti a tutti, davanti all’altro elfo. Era stato… doloroso. Terrificante, ma soprattutto molto doloroso. Nell’istante in cui si era arreso all'evidenza era stato colto da una strana sensazione di accettazione; a quel punto si era sentito pronto ad abbracciare il freddo e la morte, ed era come se stesse accadendo a qualcun altro. Le lame invece erano diventate calde, quasi ustionanti, e gli era sembrato che vibrassero a ritmo con il battito del suo cuore.
Il suo cuore, testardamente, non si era fermato. La sua mente sì però. Il dolore, la stanchezza, il trauma e la convinzione che sarebbe morto avevano spinto il suo cervello a chiudere i battenti, e poi…
Poi si era risvegliato in una stanza bianca, davanti a una ragazza che aveva paura di lui.
Non ci voleva molto a capire che dopotutto non era morto. Le spade del suo avversario erano davvero incantate per non uccidere, come aveva promesso.
“Avete rispettato i patti” notò, ricordando le regole del duello.
Il drow rispose solo con altro silenzio.
“Essere trafitti al cuore e non morire è una sensazione stranissima, è… innaturale e doloroso” raccontò, ma non aveva un tono di rimprovero. L’elfo non era sicuro che sarebbe riuscito a modulare il tono della voce, neanche se avesse voluto farlo. Gli faceva male la gola a causa della spada che l’aveva trafitta, la sua voce suonava strana alle sue stesse orecchie.
Come se gli avesse letto nella mente, la drow dai capelli neri si ripresentò con un bicchiere e con un sorriso tremulo. Fece un paio di gesti con la mano a Daren e lui tradusse:
“Mia nipote vuole che beviate un sorso di veleno perché non le piace la vostra faccia.”

Tinefein guardò suo zio, che aveva parlato con espressione del tutto neutra, e poi guardò l’elfo che era sbiancato di colpo. Non serviva saper leggere il labiale in elfico per capire che Daren non aveva ripetuto il messaggio alla lettera.
Gli diede un calcetto per richiamare la sua attenzione, poi con uno sguardo di rimprovero ripeté i gesti che aveva già fatto, e ci aggiunse alla fine un bonario insulto.
Daren ridacchiò e ripeté la traduzione.
“Mia nipote pensa che dovreste bere dell’acqua.”

Acqua. Llarm si rese conto solo in quel momento che avrebbe ucciso per un po’ d’acqua. Di regola non si sarebbe fidato a prendere un bicchiere che gli veniva offerto da una drow, però era rimasto privo di sensi in loro presenza e nessuno gli aveva fatto del male.
Ripensò a quanto gli aveva appena detto il guerriero: che quella famiglia diffidava degli elfi, e che nessuno avrebbe pianto la morte di un drow. Daren avrebbe potuto ucciderlo in combattimento, ma non l’aveva fatto. Ora era il suo turno di manifestare buona volontà.
Tese una mano per prendere il bicchiere. La ragazza gli sorrise come se lui avesse appena scalato una montagna, e quel sorriso lo prese in contropiede. Era così elfico. Non aveva nulla di maligno.
Lei si avvicinò, ignorò la sua mano tesa e gli portò il bicchiere alle labbra. Lo costrinse a bere solo a piccoli sorsi, aiutandolo a riprendere il controllo dei muscoli della gola.
Diola lle” la ringraziò nella sua lingua. Lei rispose solo con uno sguardo interrogativo.
“Mia nipote non comprende l’elfico” intervenne Daren. “Dovrete parlare in Comune, e dovrete farlo mentre può vedervi. Non può sentire, quindi ha bisogno di leggere le labbra.”
Llarm sussultò, perché i problemi di udito erano una patologia estremamente rara fra le creature di razza elfica. Tuttavia si piegò a quella richiesta e ripeté, più lentamente: “Vi ringrazio.”
La drow annuì e sorrise di nuovo, poi si girò a fare alcuni cenni a suo zio.
“Dice che non avete delle vere ferite, ma potreste sentire dolore residuo per un po’. Se lo desiderate vi darà una sostanza lenitiva, ma offuscherebbe la vostra mente per alcune ore. Sarebbe… ah… consigliabile farne uso solo se il dolore è molto forte.”
L’elfo dei boschi fece un cenno per richiamare la sua attenzione e poi scandì con cura: “Non sento molto dolore. Quasi nulla.”
Lei annuì con aria molto seria, come se stesse riflettendo sulla sua condizione. In quel momento Llarm capì, un po’ in ritardo, che lei era una guaritrice e che si trovavano in una specie di infermeria. C’erano ciuffetti di erbe officinali appesi a seccare alle travi del soffitto e molti scaffali ingombri di barattoli. Man mano che il dolore alla gola passava, Llarm si rese conto che l’aria era satura dell’odore di spezie e altre sostanze che non riusciva a identificare.
“Siete una guaritrice?” Le domandò, ma solo per averne conferma. Lei annuì con un sorriso fiero. L’elfo si passò una mano dietro alla testa, riflettendo sulla stranezza della vita. “Una professione insolita per una drow.”
Capì di avere detto la cosa sbagliata quando il sorriso di lei si spense e l’elfa scura assunse una posa un po’ rigida. Andò a recuperare un pezzo di ardesia liscia che teneva su un mobile e vi scrisse velocemente qualcosa con un gessetto. Alla fine mostrò la tavoletta a Llarm. C’era scritto, in alfabeto umano e con una calligrafia delicata: “E l’inquisitore è una professione insolita per un elfo!”
Llarm rimase senza parole e si sentì in imbarazzo per il commento che aveva fatto. Lei se l’era presa, era evidente, aveva perfino messo su un broncetto. In quell’istante l’elfo ebbe un’intuizione: gli passò nella mente il viso della sua stessa figlia, appena adolescente. Anche questa drow doveva essere molto giovane!
Non ci aveva pensato, e si sentì un idiota per non averlo capito prima. Questi drow erano una famiglia, quindi ovviamente c’erano dei ragazzini. Il fatto che solo la piccola mezzadrow apparisse come una bimba non significava che gli altri figli della strega fossero adulti. Le creature dal sangue elfico maturano prima nel corpo che nella mente.
Tornò a rivolgersi a Daren, in elfico. “La strega… Krystel” si corresse subito “ha anche dei figli adulti?”
“Oh, sì. Il più grande ha…” alzò gli occhi al cielo, molto concentrato mentre contava “cento…venti…cinque? No, forse centoventisei anni. Ha lasciato da tempo questa locanda, come anche la seconda e la terza figlia di Krystel. Tinefein è la più grande a essere rimasta in famiglia” raccontò, indicando la nipote con un piccolo cenno della mano “ma anche se è giovane è già una guaritrice esperta.”
Llarm rifletté su quell’informazione, confrontandola con la sua esperienza del mondo; per gli standard elfici un ragazzo di centoventicinque anni si poteva considerare adulto, ma appena oltre le soglie della maturità. Quella era l’età in cui la maggior parte degli elfi lasciavano il loro villaggio per fare esperienza del mondo, fosse anche un'esperienza breve. I figli della strega sembravano maturare più in fretta, forse era una cosa drow. Poi si rese conto di un altro dettaglio.
Il nome della guaritrice suonava elfico, ma nessun elfo vero l’avrebbe usato come nome.
“Tinefein?” ripeté, spostando lo sguardo dal guerriero alla ragazza. “Sul serio?”
Anche se -fein era una tipica desinenza dei nomi elfici femminili, Tine era una parola vera, era una delle declinazioni dell’aggettivo ‘silenziosa’.
La ragazza rispose con una sequela di gesti secchi, poi se ne andò stizzita, tornando ai suoi intrugli e alle sue erbe da pestare.
“Mia nipote dice: ‘che v’importa? Tanto non devo vivere fra gli elfi’. E non ha tutti i torti, visto come avete reagito alla sua presenza” tradusse Daren, svogliatamente.
Llarm distolse lo sguardo e decise che dopotutto avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi. Provò a cambiare argomento.
“Come mai siete qui?”
“Qui?” Daren ripeté la domanda senza capire. “Qui in Superficie, qui da mia sorella o qui in infermeria?”
“Qui in infermeria” chiarì l’elfo.
“Ah. Johel. Ha insistito perché mi scusassi con voi, sì, per la cosa delle… spade…”
“Johel? Intendete Johlariel Arnavel?”
Un soprannome? Sono così tanto in confidenza? Si chiese, sempre più incredulo.
“Hm, sì, lui. Dice che sono stato troppo rude e maleducato e che se non mi scuso passerò il prossimo mese a cambiare Jaylah quando si sporca” chiarì il concetto tappandosi il naso con due dita. “Non ci tengo proprio, quindi: se Johel ve lo chiede, ditegli che mi sono scusato.”
“Ma non l’avete fatto” obiettò l’elfo.
“Oh, giusto. Scusate per avervi colpito mentre continuavate a chiedermi di colpirvi. Sciocco io a non ricordarmi che quando un elfo dice una cosa intende il suo contrario.”
“Sciocco io a pensare che conosceste così bene la natura elfica” rispose Llarm sullo stesso tono sarcastico.
“A dire il vero sono in buoni rapporti con il clan Arnavel, tutta la famiglia di Johel approva la nostra amicizia.”
Llarm sbuffò in segno di incredulità, catalogandola come una delle strane vanterie del drow.
“No, sul serio… mastro Sarsantyr” lo richiamò, con un tono così sobrio che Llarm si voltò per guardarlo di nuovo in faccia. “Mettendo da parte il sarcasmo e tutto il resto, vi assicuro che non sono io, il pericolo. Ho giurato di non uccidere mai un elfo chiaro, e farò tutto il possibile per mantenere questo giuramento. Potete stare certo che butterò a terra chiunque provi ad attaccare la mia famiglia, ma non desidero portare nessuno alla morte. Krystel, per contro…”
Llarm lasciò che estrapolasse. Fino a quel momento, se gli avessero chiesto di ipotizzare chi fosse più pericoloso fra la strega e il guerriero, in base al loro carattere e alle capacità personali avrebbe puntato il dito contro Daren senza pensarci due volte.
“Krystel è una madre” concluse il suo pensiero, a beneficio dell'elfo. “Se qualcuno venisse qui a minacciare la sicurezza dei suoi figli, non scommetterei un nib di rame sulla sua vita.”
Llarm capì che quella non era una minaccia. Negli occhi grigi del drow c’era solo granitica sincerità. L’elfo dei boschi ricordò la sensazione di essere circondato, ricordò i bambini umani nella taverna, ricordò gli spaventapasseri che si erano voltati al suo passaggio, ricordò come Krystel avesse ringraziato l’albero dopo averlo usato per il teletrasporto, e capì con assoluta certezza che quello era il territorio della strega e che il suo territorio si sarebbe sollevato per difenderla. Rabbrividì, la naturale reazione di un elfo davanti all’ignoto. C’erano molte cose che non capiva di lei e dei suoi metodi.
Nonostante questo, voler difendere la propria famiglia era una cosa naturale.
“Anche io ucciderei se qualcuno minacciasse mia figlia” ammise, prendendo di sorpresa il drow. Quella era la prima volta in cui Llarm Sarsantyr dimostrava una forma di comprensione, di affinità. “Non la critico per questo, ma devo sapere se Krystel ha interesse nei territori elfici o nella foresta.”
Il guerriero drow sostenne il suo sguardo per qualche attimo, tradendo genuino stupore, finché alla fine sbottò in una risatina incredula.
“Krystel? Diamine, no. Non le interessa niente del vostro territorio, so che si spinge al massimo ai bordi della foresta. Non le interessa… ma non in senso benevolo. Immaginate la più totale e sincera noncuranza.”
“Parlo a nome del mio popolo quando dico che va benissimo così.”
“Krystel non verrebbe mai nel vostro territorio a meno che non fosse specificamente invitata.”
“Ho capito” Llarm corrugò la fronte, perplesso dall’insistenza del drow.
“Avete capito? Davvero?” Daren inarcò le sopracciglia, scettico. “Krystel non verrebbe da voi senza invito, nemmeno se la vostra gente cominciasse a prendere fuoco per autocombustione e lei fosse l’ultima persona al mondo capace di creare acqua con la magia.”
Il drow lasciò all’elfo una manciata di secondi per assimilare bene il concetto. Quando alla fine Llarm fece un cenno d’assenso, Daren continuò. “Io sì. Io verrei, se la vostra gente stesse andando a fuoco. Sono una persona invadente, se qualcuno è in difficoltà mi sento responsabile.”
“E chi ve l’ha chiesto? Noi non vogliamo drow nel nostro…”
“Non me ne frega niente” lo zittì Daren. Evitò di spiegare che era giunto a questa decisione dopo aver imparato dai suoi errori passati. “Non m’importa di essere voluto o no, in ogni caso il mondo è fatto di bambini che non sanno quello che vogliono.”
“Perché dovreste aiutare degli elfi? E perché mi dite tutto questo?”
“Ve lo dico perché mi è sembrato che foste qui per indagare la mia famiglia” il drow si alzò in piedi, spazzolandosi gli abiti con le mani. Non fece in tempo a rispondere all’altra domanda, perché in quel momento qualcuno bussò e aprì la porta.
Era Krystel.
“Che sollievo, vi siete ripreso. Come vi sentite?”
Llarm si rese conto che negli ultimi minuti il dolore residuo si era attenuato fino a scomparire. “Sto bene. Sono ferito solo nell’orgoglio” ammise, alzandosi dal lettino dell’infermeria. Per un momento sentì un capogiro, ma anche quello passò in pochi secondi.
Stava per muoversi verso l’uscita, un po’ imbarazzato di aver occupato l’infermeria per niente. Non era né ferito né invalido. Tuttavia, quando provò a fare un passo, la giovane guaritrice si mise in mezzo e pretese di tastargli il polso per sentire il battito del cuore.
Llarm la lasciò fare, e per molti lunghi secondi lei gli tenne due dita sul polso, contando i battiti nel silenzio innaturale e pesante. Non c’era davvero bisogno di fare silenzio visto che la ragazza era sorda e non sarebbe stata disturbata dal rumore, ma Krystel e Daren stavano trattenendo il fiato in attesa di un responso.
Alla fine Tinefein lo lasciò andare con un sorriso sollevato. Fece alcuni gesti e questa volta fu la strega a tradurre per lei.
“Mia figlia dice che il battito è regolare. Il vostro cuore è forte e si è ripreso dal trauma.”
Il mio cuore senza dubbio, pensò Llarm senza falsa modestia. Sapeva di essere forte e in buona salute. Ma la mia mente si riprenderà dal trauma di essermi reso ridicolo?
“Penso di avervi rubato anche troppo tempo. Presto tornerò al mio villaggio, ma prima c’è ancora una cosa che vorrei discutere con voi.”
Krystel annuì, perché aveva una vaga idea di cosa potesse essere.

Mentre Krystel e Llarm Sarsantyr parlavano in privato nel giardino interno della locanda, Daren e Johel si ritrovarono nel cortile esterno, fuori dall’infermeria, dove anche i bambini umani si erano nuovamente radunati. Quei giovani rampolli pieni di belle speranze avevano recuperato delle spade di legno da addestramento, e appena videro Daren si affollarono subito intorno ai due elfi chiedendo a gran voce di insegnare loro a combattere.
“Va bene, va bene” il drow cercò di tenerli a distanza stendendo le braccia. “Lo so, vi devo insegnare, lo sto facendo tutti gli anni, me lo ricordo! E voi, ricordate le regole?”
La maggior parte dei ragazzi e anche qualche ragazza alzarono le spade di legno al cielo con un grido di esultanza. Tutti conoscevano le regole. L’apprendista che si fosse distinto di più nel corso della stagione sarebbe tornato a casa con una vera spada di metallo. Un’arma da adulti che avrebbe potuto usare per proteggere la sua casa negli anni a seguire.
Daren li guardò con un sorriso soddisfatto. Erano umani, destinati a fare i contadini, non sarebbero mai diventati un granché bravi. Però lui nel corso delle sue avventure aveva raccattato un sacco di armi dai nemici che aveva sconfitto: spesso erano appartenute a briganti o a individui ancora più loschi. Regalare un’arma come premio al miglior apprendista era un ottimo modo per spronare i bambini a dare il meglio, e gli sembrava giusto mettere a frutto quelle spade per uno scopo più nobile, come proteggere il territorio di sua sorella.
“Molto bene, allora dividetevi in due gruppi. I più piccoli con me, i più grandi con Johlariel. Imparerete a tirare con l’arco ora che siete abbastanza alti.”
Un piccoletto con le orecchie vagamente a punta e i capelli ricci si avvicinò trotterellando.
“Scusate… signore… io sono un halfling. Ho dieci anni, dovrei stare con i grandi, ma sono troppo basso per l’arco” borbottò.
“Oh, Ricry! Sì, mi ricordo di te.” Daren si chinò e gli mise una mano sulla spalla. “Tu resta con me, ti insegnerò a colpire alle caviglie” sussurrò in tono complice.

Llarm e Krystel passeggiavano nel giardino interno, davanti alla casa privata della strega. Forse lei lo aveva condotto lì solo per mostrargli il suo splendido orologio floreale, o forse era per restare a portata di udito nel caso in cui la bambina si fosse svegliata nel suo lettino senza la mamma e si fosse messa a piangere.
“Volevate chiedermi qualcosa?” Ricapitolò, per rompere il silenzio.
L’elfo lasciò correre lo sguardo sul giardino, per prendere tempo. L’orologio floreale nel complesso era molto bello, ma in quel momento si stavano aprendo dei fiori viola piuttosto insulsi. Ciononostante, il suo animo elfico ne apprezzò la simmetria e la fragranza.
Un tempo avrebbe pensato che qualcuno capace di creare una composizione così bella non potesse essere malvagio, ma aveva studiato che anche i drow più abbietti avevano uno spiccato senso estetico.
“Non so cosa pensare di voi” decise per un approccio diretto e sincero. “Nulla di quanto ho visto oggi suggerisce che siate una nemica del popolo elfico.”
“Non lo sono” confermò pacatamente lei. “Il mio rapporto con gli elfi è sempre stato altalenante. Ho avuto amici elfi e… nemici elfi, anche se non per mia scelta. Ma sono stanca, mastro Sarsantyr. Ho più di duecentocinquant’anni e sono stanca. Voglio solo vivere la mia vita in pace, e ignorare il vostro popolo finché mi è possibile.”
“Ma non avete ignorato mio cugino Aesar?” Indagò lui, andando dritto al punto.
Krystel gli lanciò uno sguardo interrogativo, come se il nome non le dicesse nulla. Poi, dopo una frazione di secondo, tradì un’espressione rivelatrice.
“Oh, Aesar. Non ricordavo che fosse questo il suo nome. È passato molto tempo, come se la cava?”
“Come… se la… cava?” Ripeté l’elfo, che non aveva familiarità con certe espressioni colloquiali della lingua Comune.
“Sta bene? La sua vita procede in modo regolare?”
Llarm rimase sorpreso da quelle domande puntuali, sembrava quasi che la strega fosse una guaritrice che cerca di fare una diagnosi.
“Sì, conduce una vita normale ed è in buona salute. Ma non è sempre stato così, vero? C’è stato un periodo in cui Aesar si allontanava nella notte, di nascosto: spariva per giorni andando chissà dove. Aveva sempre quello sguardo febbrile, come…” lasciò la frase volutamente in sospeso, ma ciò che stava pensando era ‘come se fosse irretito da una stregoneria’.
Krystel non raccolse la provocazione.
“Parlate di eventi di mezzo secolo fa” gli ricordò con poco tatto.
“Dunque non negate?”
“Non nego di averlo conosciuto. Aveva un problema e l’ho aiutato a guarire.”
“E questo è tutto?” Llarm non sembrava convinto. “È vero, Aesar è guarito, e dopo molte insistenze mi ha confessato malvolentieri che veniva a trovare una delle vostre figlie” la pungolò.
“Credeva di essere innamorato di mia figlia Kore, che a quell’epoca era una ragazzina di cinquant’anni. Non era colpa di vostro cugino. Non era colpa di nessuno in realtà. Kore l’aveva trovato in fin di vita e l’aveva salvato con la magia, ma a causa della sua inesperienza l’aveva inavvertitamente legato a sé. Lui aveva creduto che fosse amore, perché il suo animo elfico non riusciva a darsi altra spiegazione. Ma quell’amore era diventato un’ossessione e io l’ho aiutato a liberarsene, per il bene di mia figlia e anche suo.”
Llarm cercò i suoi occhi per capire se stesse mentendo, ma lei sostenne il suo sguardo con estrema franchezza. Alla fine l’elfo dovette arrendersi.
“Ma se era solo questo, perché mi ha sempre mentito al riguardo?”
“Perché si sentiva in imbarazzo?” Ipotizzò la strega. “Perché sono affari privati? Secondo quale principio vostro cugino deve rispondere a voi?”
“E perché allora voi me l’avete detto?”
Krystel sorrise, ma non era un sorriso gentile.
“Perché dirvi la verità è il modo più semplice per proteggere la mia famiglia, e perché vostro cugino ha traumatizzato la mia bambina. Non è più stata la stessa dopo quella storia. Non gli devo proprio nulla.”
L’elfo dei boschi accettò anche questa risposta e capì che Daren non aveva tutti i torti riguardo a sua sorella. Era meglio non finire nel suo libro nero.
“Ho abusato del vostro tempo. Tornerò al mio villaggio” decise improvvisamente.
Krystel accettò la sua affermazione con un cenno del capo. “E io vi accompagnerò con un incantesimo fino al limitare occidentale della foresta, in modo da facilitarvi il viaggio.”

   
 
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