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Autore: Evali    05/04/2020    2 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Amanti
 
La ragazza venne trascinata sul soppalco da due grossi  monaci, i quali la strattonarono con forza, legandole le mani dietro il palo disposto in mezzo alla struttura con una spessa corda, mentre ella piangeva e pregava.
- Oh Signore, mio Signore, perdonami!!
Abbi misericordia di me!
Proteggimi da queste fiamme!
Lascia che mi purifichino dai miei peccati!
Lasciami avvicinarmi a te!!
Lasciami unirmi a te, oh mio Signore! – urlò dimenandosi, mentre uno dei monaci accendeva una fiaccola e la alzava in alto, dinnanzi agli abitanti del villaggio che erano giunti ad assistere all’esecuzione.
- La donna qui presente, servitrice del Diavolo, che porta il nome di Clarine Helga, è condannata alla pena capitale!  - esclamò a gran voce uno dei monaci. – Le vostre ultime parole? – domandò voltandosi verso la malcapitata, nel silenzio spettrale di quella fredda mattina autunnale.
A ciò, la ragazza smise di piangere, tornò seria e guardò tutti i presenti che la fissavano da sotto il soppalco, uno per uno.
- Salvami, mio Signore.
Salvami, poiché io questa sofferenza non la merito.
In seguito, il monaco gettò la fiaccola sulla paglia sparsa attorno ai piedi di Clarine Helga, infiammandola.
Dopo i primi lamenti sommessi, cominciarono le vere e proprie atroci urla di sofferenza, un sottofondo sin troppo familiare alle orecchie degli abitanti di Bliaint.
L’intero corpo della ragazza venne avvolto dalle lingue di fuoco che si alzarono sopra la sua testa, inghiottendo e consumando la sua pelle, fino a quando non rimasero solo le ossa carbonizzate.
Padre Craig la guardò spegnersi fino all’ultimo istante, baciò il suo crocefisso appeso al collo facendosi il segno della croce, dopo di che, vide sbucare il sole da dietro le nuvole.
Blake alzò gli occhi al cielo, socchiudendo le palpebre non appena le sue iridi si scontrarono con i raggi di sole che avvolsero il suo viso. – Esattamente alla fine di ogni esecuzione, quando il condannato emette l’ultimo respiro, spunta sempre il sole – disse il ragazzo.
Padre Craig si voltò a guardarlo. – Ogni volta?
- Ogni volta.
- Chi lo avrebbe immaginato. La prima cosa di Bliaint che mi avete mostrato è stato un rogo – gli disse, vedendolo distogliere lo sguardo dal sole e portarlo su di lui, per poi voltarsi e cominciare a camminare, allontanandosi dal soppalco oramai sfollato.
Padre Craig lo seguì.
- Non ero a conoscenza che stamani ve ne sarebbe stato un altro, padre. È stato un caso.
- “Un altro”? A quanti roghi siete solito assistere? – domandò il giovane prete.
- Nell’ultimo anno quattro o cinque al mese, all’incirca.
- Sono davvero molti. Ad Armelle la soluzione del rogo è poco utilizzata.
- Abbiamo trovato qualcos’altro a cui dovrete abituarvi, padre.
- Che peccato aveva commesso la povera malcapitata?
- Credo abbia compiuto atti dissoluti o abbia avuto una condotta indecorosa. Sono i peccati più frequenti.
- Con “condotta indecorosa” cosa intendete? Ha per caso intrattenuto rapporti sessuali con un servitore del Creatore?
Blake si fermò dinnanzi ad una bancarella di mele, comprandone due, per poi voltarsi verso di lui e lanciargliene una, che il giovane prete afferrò al volo.
Quest’ultimo si stupì dei propri ottimi riflessi.
- No, padre, quello non accade mai – gli rispose Blake continuando a camminare e a dare la schiena a padre Craig, addentando la mela.
- Perché non accade mai?
- Perché nessun servitore del Diavolo guarderebbe mai con desiderio un servitore del Creatore, ma solo viceversa.
E non era affatto difficile da credere. Ora che passeggiavano per le vie affollate di metà mattinata, padre Craig poté constatare quanto tutte quelle generazioni di accoppiamenti strettamente controllati avesse influito anche sui servitori del Creatore, ovviamente non giovando loro affatto, al contrario dell’altra metà del villaggio.
Aveva avuto modo di incrociarne almeno una decina lungo la strada e li aveva ovviamente riconosciuti subito, poichè la differenza con i servitori del Diavolo era a dir poco spaventosa: per lo più erano omuncoli bassi, tarchiati, con i lineamenti del viso che parevano informi per quanto sgraziati, con pochi capelli in testa e una struttura corporea che non aveva quasi nulla di proporzionato; mentre le donne erano lievemente più piacevoli alla vista, solamente perché, in più degli uomini, possedevano una discreta quantità di capelli e delle curve quantomeno femminee.
Il giovane prete non poté fare a meno di pensare che, per quanto avesse risparmiato loro maledizioni e calamità, la divisione aveva tuttavia condannato tutti i servitori del Creatore sotto l’aspetto puramente carnale.
- Posso ben crederci – si decise a rispondere il giovane prete, cercando di tenere il passo spedito del ragazzo, per poi continuare. - Tuttavia, non è mai capitato che qualcuno andasse oltre l’aspetto esteriore?
- Non è solo una questione di aspetto esteriore, padre. La punizione per la violazione di quella legge è il rogo. Non ne vale la pena.
- È solo per voi che non ne vale la pena, o per tutti i servitori del Diavolo?
A quelle parole, Blake arrestò il suo cammino, facendo temere al giovane prete di aver azzardato troppo con le parole.
Il ragazzo si voltò a guardarlo con un sorriso fintamente ferito. – Mi state implicitamente dando del superficiale o dello spocchioso, padre?
Non era quello che voleva insinuare, ma il giovane prete si rese conto che quella fosse proprio l’impressione che la sua domanda aveva dato. – No, non volevo offendervi.
- Se mi state chiedendo se potrebbe accadermi o se io vi abbia mai pensato almeno una volta, la risposta è no, ma tutto può succedere. Non ho avuto molte occasioni di scambiare più di due parole con ragazze che servono il Creatore.
- È palese che loro siano intimoriti da voi.
- I servi del Creatore? E perché mai? Per come appariamo noi e per come appaiono loro? Date troppa importanza all’aspetto fisico, padre. Non appena vi abituerete a stare qui, farete molto meno caso a ciò.
- Allora, se non per questo, quali sono le leggi inviolabili per cui vale la pena rischiare il rogo? – domandò il giovane prete raggiungendo il vivo della questione.
A ciò, Blake gli si avvicinò, senza togliersi dal volto quello snervante sorriso. – Le violazioni che valgono il rogo coinvolgono la pratica eccessiva e sconsiderata della magia nera.
- E in cosa consisterebbe tale pratica eccessiva e sconsiderata? – domandò padre Craig, sperando con tutto il cuore di non pentirsene un secondo dopo.
- Perché date per scontato che io lo sappia, padre?
A tale risposta, il giovane prete ammutolì, guardando Blake voltarsi e dargli nuovamente le spalle, riprendendo a camminare.
- Che cosa volete fare oggi? – gli domandò il ragazzo, tranquillizzandolo cambiando discorso.
- Non so, mi affido totalmente a voi.
- Non avete alcuna preferenza? Non avete detto di essere giunto a Bliaint per sapere di più riguardo la galleria? – lo colse di nuovo in fallo il ragazzo. – Oppure preferite soddisfare prima altri tipi di curiosità – continuò Blake fermandosi nuovamente.
- Ovviamente il mio interesse primario riguarda lo studio dei metalli della vostra galleria – confermò padre Craig facendo risultare la sua voce più ferma e decisa di quanto non fosse.
- Bene, allora incamminiamoci. La galleria è dall’altra parte del villaggio, impiegheremo un bel po’ ad arrivare.  
Quando finalmente giunsero nei pressi dell’entrata della galleria sotterranea che si dispiegava nel sottosuolo per almeno un chilometro, in una porzione isolata del villaggio, padre Craig si sorprese di quanto calmo e silenzioso fosse quell’angolo di terra deserta.
Non vi era anima viva fuori dalla galleria, se non per l’unica presenza di una bambina che attendeva paziente seduta a terra, intenta a giocare con un bastoncino.
Padre Craig osservò il suo vestitino sgualcito sporco di terriccio, i capelli biondi spettinati e il bel volto abbandonato distrattamente sul palmo della manina, incurante di essersi rovinata gli abiti, incurante della natura funerea e raggelante intorno a sé.
Il giovane prete comprese immediatamente che gli abitanti di Bliaint avessero un modo unico e tutto loro di rapportarsi e comunicare con l’ambiente e con la natura.
Ne rimase incuriosito.
- Buongiorno, Bonnie – la salutò Blake sorridendole teneramente.
- Buongiorno, Blake! – esclamò ella ricambiando con un enorme sorriso, alzandosi in piedi. – Chi è l’uomo che è con te?
- Lui è padre Craig, viene da un altro villaggio, resterà con noi per qualche giorno.
Sei già andata a pregare?
- Sì, qualche ora fa. Ora aspetto che mio padre finisca di lavorare – disse spostando i suoi occhioni verso l’entrata della galleria.
- Da quanto tempo è dentro?
- Tre ore forse.
- Gli serve fare una pausa per respirare aria pulita. Vado dentro a dirgli che gli do il cambio e porto anche padre Craig con me.
- D’accordo, Blake. Ma il tuo torno non inizia a mezzogiorno? – domandò la piccola, sorprendendo il giovane prete, il quale si voltò verso la sua guida, attonito.
- Avevate messo in conto di venire qui, a prescindere da me e dalle mie preferenze su cosa fare oggi, vero? – gli domandò conoscendo già la risposta.
Il ragazzo gli sorrise in risposta, porgendogli dei vestiti malandati, sporchi di terra e di chissà cos’altro, insieme ad un telo nelle stesse condizioni, recuperati da un sacco disposto accanto all’entrata. – Esatto, padre. Devo farmi vivo ogni tanto, inoltre, il lavoro qui alla galleria non mi disturba tanto quanto vi ho fatto credere, tutt’altro. Lo trovo molto produttivo – gli disse, cominciando a togliersi il mantello e ad infilarlo in un altro sacco, evidentemente contenente i vestiti puliti. – Siete mai stato sottoterra, padre?
- No, mai.
- Allora sarà dura la prima volta. Se non volete sporcarvi la vostra bella tunica, infilatevi questi.
Il telo dovete legarvelo intorno a naso e bocca, per evitare di respirare meno polveri possibili e altre sostanze, alcune sono velenose e molto dannose per la salute. Purtroppo non possiamo proteggere anche gli occhi.
- Velenose …? – ripeté il prete cominciando già a sudare freddo. – Non mi avevate informato di ciò …
- Mi sarà passato di mente. Non fate quella faccia, vi basterà respirare il meno possibile quando sarete là sotto. Trattenete il fiato per almeno trenta secondi ogni due minuti, legatevi bene il telo intorno a naso e bocca, e seguite me. Per il resto, non dovete preoccuparvi.
Oh, un’altra cosa: là dentro incontrerete un buio che non avete mai visto prima, un nero totalizzante che non ha nulla a che vedere con un paesaggio notturno. Dovrete orientarvi grazie al tatto e alle piccole lanterne che porteremo con noi – concluse prendendo una delle boccette disposte ordinatamente in una cassa e accendendola con facilità, per poi porgerla a padre Craig, il quale si era già infilato i vestiti sporchi sopra la tunica.
Quando anche Blake terminò di prepararsi, questo si accovacciò dinnanzi alla bambina e le sorrise. – Hai trovato un sasso appuntito per me, Bonnie? – le domandò.
Bonnie annuì e infilò la manina nella tasca della sottanella per prenderlo, ma, inaspettatamente, non lo trovò. – Dov’è finito? – si lamentò. – Ricordo di averlo messo proprio qui…
- Aspetta, so io dov’è – la rassicurò Blake infilando la mano nella sua di tasca, e tirando fuori esattamente il sasso che Bonnie riconobbe.
- Come hai fatto a …?
A ciò, il ragazzo chiuse la mano destra a pugno con il sasso dentro, poi avvicinò l’altra mano all’orecchio di Bonnie, la mosse come per afferrare qualcosa, e vi tirò fuori lo stesso sasso, il quale era miracolosamente scomparso dall’interno  della mano destra.
Padre Craig sgranò gli occhi, così come Bonnie, la quale batté le manine entusiasta. – Come hai fatto?? Mi piace questo nuovo trucchetto!
- Ne sono lieto. Dopodomani te ne mostrerò un altro – le promise il ragazzo sorridendole ancora, per poi legarsi il telo intorno a bocca e naso, afferrare una delle boccette luminose dalle mani di padre Craig e dirigersi verso l’entrata della galleria.
- Sudate sempre così spesso, padre?
- Come avete fatto a … far scomparire il sasso in quel modo?
- È solo un banale trucchetto – lo liquidò il ragazzo abbassandosi per infilarsi nella bassa e stretta entrata, facendo strada al suo ospite.
Non appena mise piede in quel buco nero, che sembrava senza fine, il giovane prete provò un insopportabile sensazione di soffocamento, insieme alla prorompente esigenza di tossire fino a consumarsi il petto.
Camminò cauto, alla cieca, seguendo i contorni della figura slanciata e lievemente illuminata di Blake.
Alzò la boccetta luminosa all’altezza della sua testa per scorgere l’ambiente intorno a sé, trovando solamente pareti di terra nere, umide e imperniate di un odore quasi nauseante per quanto intenso.
Guardandosi intorno mentre camminava e si abituava all’aria consumata, al caldo, al sudore e alla vista offuscata, si accorse che quella galleria fosse molto più ampia di quanto si aspettava: in larghezza, sarebbero potuti entrare in tre o quattro e proseguire affiancati. In altezza invece, era piuttosto opprimente, poiché il “soffitto” era lontano solo qualche spanna dalla testa di padre Craig, mentre si distanziava appena uno o due dita da quella di Blake.
Nel cammino incrociarono altri lavoratori al suo interno, i quali continuarono a scavare con dedizione come se nulla fosse quando li sorpassarono.
Quando finalmente il ragazzo arrestò le sue falcate, per poco il giovane prete non gli andò a sbattere contro la schiena.
- Blake, possiamo tornare indietro per oggi? Mi sta cominciando a mancare l’aria … - provò a comunicare con lui padre Craig, ormai sul punto di cedimento.
Gli girava la testa a causa delle polveri che stava respirando, ne era certo.
Tuttavia, il ragazzo parve quasi non udirlo, poiché alzò la boccetta all’altezza della sua testa e cominciò a cercare qualcosa con gli occhi, fin quando non individuò un punto preciso.
A ciò, iniziò a scavare su quella leggera rientranza con solo l’ausilio delle mani, spostando la terra con cura e precisione, come se si trattasse di una rara e leggera polvere.
Padre Craig si concentrò sul movimento delle sue mani, per non pensare alle sue vie respiratorie intoppate di chissà quale sostanza velenosa.
Trascorso qualche minuto a scavare, Blake tirò fuori dalla terra un cristallo che quasi accecò la vista del giovane prete, nonostante fosse parzialmente ancora celato dal terriccio.
Il ragazzo cercò di pulirlo il più possibile con le dita, avvicinandolo al giovane padre, il quale fissò quella pietra luminosa quasi ipnotizzato.
Era grezza e informe, scandagliata e sicuramente tagliente, di un colore misto tra il rosa vivo e il bianco.
- Tenetela – gli disse Blake porgendogliela, per poi tirare fuori dalla tasca il sasso appuntito che gli aveva dato Bonnie, e sporgersi verso la parete piana e terrosa che li affiancava, cominciando a tracciare dei solchi piccoli e precisi che, solo dopo qualche secondo e affilando la vista, padre Craig riconobbe come numeri e altri segni matematici.
Ma non appena gli occhi del giovane prete misero a fuoco l’intera superficie della parete sulla quale Blake stava scrivendo, spalancò gli occhi scuri: era totalmente colma di operazioni matematiche rimaste incise lì, sul terreno, chissà da quanto.
- Blake … - sussurrò perplesso, non riuscendo a staccare gli occhi dal ragazzo intento ad arricchire ancora quell’immenso quadro di segni. – Avete scritto voi tutte queste … annotazioni? Che cosa? Che cosa significano tutte queste operazioni?
- Siamo distanti 57 piedi dall’entrata della galleria, inclinati leggermente ad Est.
In questa posizione ho trovato 38 cristalli sepolti nel terreno, ad una distanza media di circa 4/5 pollici ognuno, disposti in profondità differenti – spiegò il ragazzo continuando a scrivere numeri su numeri.
- Non avete ancora risposto alla mia domanda. Questa parete è colma di misure.
Blake non gli rispose, terminò di tracciare le sue operazioni, poi si allontanò un po’ per osservare le sue aggiunte a distanza.
Solo allora, si voltò verso il giovane prete.
– Lo faccio ogni volta che trovo un nuovo cristallo o un nuovo metallo.
In realtà, lo faccio per quasi tutto.
È difficile da spiegare in due parole, padre, ma è più forte di me.
Mi serve per stilare delle previsioni – gli rispose semplicemente mentre il giovane prete si avvicinava alla parete e osservava il tutto da vicino.
- Il vostro è un dono? – gli domandò improvvisamente, voltandosi a guardarlo.
Il ragazzo, prima di rispondergli, si abbassò il telo scoprendo naso e bocca, inspirando a pieni polmoni.
- Non direi.
Alcuni lo ritengono un flagello.
 
Arley Judith sistemò le ultime pergamene nel ripiano dedicato ad una delle decine di sezioni presenti.
Oramai era quasi notte inoltrata e la biblioteca del monastero era ancor più vuota di quanto lo fosse di solito.
Percorse gli ultimi scalini della scala di legno utilizzata per raggiungere i ripiani più alti, tenendo il candelabro per in equilibrio sulla mano destra e i libri sulla sinistra.
Non appena mise piede a terra, si accorse che le fossero cadute delle pergamene a terra nel riordinare.
A ciò, si abbassò, le raccolse e le aprì per verificarne catalogazione.
Sfogliando le prime due, riconobbe immediatamente su che sezione andassero disposte, ma quando aprì la terza e cominciò a leggerne il contenuto, sbiancò.
Avvicinò il candelabro a la carta ingiallita e all’inchiostro sbiadito, ma non appena si rese conto che quella lettera fosse troppo lunga per essere letta in piedi, scese la scalinata che l’avrebbe condotto alla sala lettura e prese posto su una delle sedie.
Il rumore dei tacchi che cozzavano con il pavimento di marmo rimbombava per tutto l’edificio.
“Mio Signore,
ti scrivo questa lettera perché non ho nessuno con cui confessarmi e sento che le preghiere che ti rivolgo non bastano, poiché la mia mente è troppo colma e io sempre troppo stanca per ricordarmi tutto ciò che vorrei dirti.
Ho deciso di unirmi a questo monastero, divenendo una tua servitrice in ogni aspetto della mia vita, ma ora sto cominciando ad avere dei ripensamenti.
Per me è indescrivibilmente difficile imprimere queste parole su carta, poiché l’amore che nutro per te ha sempre superato e supera ancora ogni cosa, mio Dio e Creatore.
Tuttavia, devo farlo proprio per il profondo ardore che mi lega a te.
Ho peccato, Padre.
Ho commesso un peccato che merita il rogo.
Tuttavia, non ho potuto farne a meno.
Mi strapperei i capelli e le membra se potessi, ma la tortura non rientra nelle tue misericordiose punizioni.
Sento che c’è qualcosa che non va, Padre, ma non posso parlarne con nessuno, neanche con lui.
Si chiama Ailean Michel, l’ho conosciuto due mesi fa, quando è entrato in questo monastero nonostante fosse del credo opposto, per assistere ad un battesimo.
Non parlo mai con i servitori del Diavolo, Padre, perché vivo qui dentro, e questo non è posto per loro.
Ma quel giorno lui si è sentito male, io l’ho visto, perciò l’ho accompagnato fuori, lontano dalla folla, senza disturbare la funzione.
Non riesco a pentirmene, Padre, ed è questo ciò che mi fa stare peggio.
Perché siamo condannati a servire due signori differenti? Qual è il dio giusto da adorare?
Com’è possibile che tu o il Diavolo non disapproviate questo trattamento, ricevere solo una parte delle anime del villaggio, dividendole con qualcun altro?
Come potete accettare di venire amati a metà?
Io credo in te, Padre, ma rispetto anche il suo, di credo.
Quel giorno, fuori dal monastero, abbiamo parlato molto.
Era un vero tentatore, Padre, come lo sono molti di loro, ma non in senso meschino o malsano.
Non era solo la sua bellezza, ma anche il suo modo di parlarmi.
Mi attraeva come una calamita, e, per qualche motivo, mi trovava affine a lui, una persona con la quale parlare, parlare per ore, ridere, trascorrere del tempo senza secondi fini.
Ha cominciato a visitare il monastero per venire a trovarmi e portarmi a passeggiare per il villaggio, e, con l’andar del tempo, è accaduto qualcosa.
Vederlo è diventata un’esigenza alla quale non riesco a fare a meno, ho cominciato a trovare ogni tipo di scusa per visitare la cattedrale dei servitori del Diavolo, per aver modo di incontrarlo almeno lì, nel luogo adatto a lui.
L’amore non è qualcosa che può sottostare al nostro controllo. Accade e basta.
Per questo mi resta ancora più difficile capire come possa essere giusto venire costretti a servire un padrone piuttosto che un altro, forzando il proprio cuore ad amare qualcuno che, altrimenti, non avrebbe ricevuto nulla da noi.
Io ti amo, Padre, più di qualsiasi altra cosa.
Ma amo anche lui, nonostante non dovrei. Non dovrei perché sono una monaca, e perché serviamo due signori differenti.
Non ho ancora ceduto ai peccati della carne, Padre, ma sento di essere oramai particolarmente debole sotto questo aspetto.
La tentazione è diventata insopportabile.
Perché deve essere una tentazione? Perché non potrebbe essere solamente un puro desiderio di donare il proprio corpo e di ricevere quello dell’altro?
A noi non importa del nostro aspetto esteriore, poiché, anche se fossimo stati fisicamente del tutto diversi, sono certa sarebbe accaduto lo stesso e nessuno mi toglierà questa convinzione.
Come molti altri, è uno stregone.
L’ho visto fare cose che avrebbero spaventato buona parte degli abitanti del villaggio, soprattutto tra i tuoi servitori, come lo sono io.
Tuttavia, non ha spaventato me, anzi.
Ha compiuto rituali di magia nera dinnanzi ai miei occhi, un giorno si è fatto un lungo taglio per tutto l’avambraccio con un pugnale, ha rivoltato gli occhi e la testa all’indietro e ha cominciato ad urlare in una lingua che non conosco.
Eppure, mentre lo osservavo fare tutto ciò, senza distogliere mai lo sguardo, così come è accaduto molte altre volte, non desideravo altro che restargli accanto per tutto il tempo che mi rimane.
È davvero così sbagliato?
È davvero così sbagliato scegliere di spontanea volontà?
Io ti amo, Padre.
Ti amo, ma non sono più certa che tutto ciò sia giusto.
Ho come un magone, un male allo stomaco che non vuole darmi tregua, quando penso a tutto questo.
Forse l’unico rimedio al mio malessere è confessare tutto ed essere punita.
D’altronde, è quello che merito.
Non rimarrò una peccatrice impunita.
Madre Florence Kayce”
Judith rilesse quelle ultime frasi più e più volte, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato per quasi tutto il tempo della lettura.
Improvvisamente, un moto di realizzazione e di curiosità la invase da capo a piedi.
Si alzò e si diresse verso l’uscita della biblioteca per poi raggiungere quella del monastero e prendere un po’ d’aria; ma non appena mise piede nell’immensa sala d’ingresso, notò una sola figura incappucciata presente, nel silenzio e nel buio dell’edificio.
Un brivido di aspettativa le corse lunga la schiena, mentre si avvicinava a quella presenza, la quale attese pazientemente che gli fu dinnanzi.
Judith gli sorrise, alzando il candelabro tra i loro volti. – Siete qui per un motivo in particolare, signore? – gli domandò come aveva già fatto decine di volte prima di quella notte, per evitare di non destare sospetti nel caso qualcuno dei monaci li stesse spiando.
Il ragazzo di fronte a lei, senza scoprirsi ancora il volto dal cappuccio, le rispose. – Vorrei confessarmi, signorina Judith.
La ragazza annuì e si avviò per prima verso una delle salette confessionali, come faceva sempre.
Entrò nella porticina che l’avrebbe condotta nel lato del confessore e attese che anche il fedele prendesse posto di fronte a lei, al di là della rete lievemente oscurante.
Quando anche il ragazzo incappucciato si fu accomodato, Judith parlò, pronunciando le solite parole di rito. - In assenza dei monaci del monastero in cui vi trovate, sarò io il vostro confessore, ufficialmente incaricato dai padri di questa cattedrale.
Ditemi, fedele, qual è il vostro nome?
- Van Naren – rispose il ragazzo facendosi il segno della croce.
- Ditemi, Van Naren, qual è il peccato che volete confessare? – gli domandò in un sussurro.
- Mi sono innamorato di una donna.
Una donna del credo opposto.
- Siete sicuro di essere innamorato di lei? Potrebbe essere solo un’infatuazione? Un attimo di debolezza?
Il fedele fece trascorrere alcuni interminabili secondi prima di risponderle, nei quali si tolse il cappuccio, scoprendo il volto, ma mantenendo lo sguardo basso. Egli era un ragazzo con la testa tonda, un grosso naso a patata, una rada barbetta bionda, la bocca piccola e sottile, degli occhi chiari e sporgenti, e pochi capelli schiacciati e lucidi.
- No, non è infatuazione, né debolezza – rispose.
- Siete sicuro che ella non vi abbia sedotto con l’inganno, solo grazie al sua bellezza? – gli chiese alzando lo sguardo, osservando ogni suo più piccolo movimento e cambiamento di espressione attraverso la rete, poi continuò. – Le servitrici del Diavolo sono bellissime, a differenza di quelle del Creatore. È per tale motivo che non avete scelto una delle vostre donne? È per questo che avete guardato lei, invece di guardare coloro che potevate e potete avere?
Il ragazzo deglutì e tremò, facendo trascorrere un’altra lunga pausa prima di fornire una risposta.
- No, non è quello.
Ella è la donna più bella che abbia mai visto, anche tra le stesse serve del Diavolo.
Ai miei occhi, nessuna creatura al mondo sarebbe in grado di raggiungere neanche metà della perfezione che Dio ha donato a lei.
Tuttavia, non l’amo per il suo aspetto.
L’amo perché è dieci, anzi cento volte più intelligente di me.
A tali parole, Judith accennò un dolce sorriso.
- L’amo perché è coraggiosa, non ha bisogno che qualcuno la difenda, è benissimo in grado di farlo da sé.
L’amo perché, nonostante sia molto giovane, è totalmente indipendente e non permette che nessuno violi i suoi spazi.
L’amo perché è raffinata e sfrontata insieme, non teme i giudizi altrui, è furba e allo stesso tempo altruista.
L’amo perché la sua voce soave, melodiosa ed energica è linfa per le mie povere orecchie.
L’amo perché, malgrado i miei numerosi difetti, malgrado il mio aspetto orribile, lei, miracolosamente, ricambia i miei sentimenti, e i suoi occhi sono solo per me, nonostante ella potrebbe avere chiunque.
L’amo perché quando sono con lei, solo quando sono con lei, vedo la luce del mio Signore.
Solo quando sono con lei raggiungo l’immortalità promessa – detto ciò, per la prima volta da quando era entrato nella cattedrale, alzò gli occhi verso di lei, trovando la forza di guardarla e di reggere il suo sguardo.
- Questo è un peccato imperdonabile, Van Naren. Ve ne rendete conto? – gli rispose Judith con un tono di voce più distaccato e duro di quanto avrebbe voluto.
- Sì, me ne rendo conto.
- Qual è il nome di questa donna? – gli domandò vedendolo vacillare, trattenersi con tutte le sue forze per continuare a mantenere il contatto visivo con lei, per restare seduto su quella sedia, senza cedere alla tentazione.
A ciò, per incoraggiarlo, Judith avvicinò maggiormente il volto alla rete, bucando quell’ostacolo metallico che li separava con il suo sguardo penetrante di pura ossidiana, muovendo lentamente le labbra grandi e umide per ripetergli la stessa domanda, ma molto più lentamente rispetto alla prima volta. – Qual è il nome della donna, Van Naren?
In seguito a quell’ennesima provocazione, ogni stralcio di volontà del ragazzo venne meno, facendogli muovere il corpo con una velocità e una foga senza eguali.
Uscì dal suo lato della cabina e si fiondò nell’altro, sfondando la tenda rossa che copriva quasi totalmente la figura della sua amata, afferrandole le cosce celate dal lungo abito che indossava, saggiandone la consistenza morbida e soda, per poi prenderla in braccio, trascinandosela addosso mentre divorava la sua dolcissima bocca incantatrice, mordendole le carnose labbra tumide come se da esse scorresse il nettare più buono del mondo.
Dal canto suo, Judith ricambiò la sua adorazione e dedizione baciandolo passionalmente, offrendogli il suo bel corpo sinuoso e curvilineo, lasciandogli libero accesso, permettendogli di saggiarla e toccarla in qualsiasi modo gradisse.
Percepì le mani del ragazzo percorrerla ovunque, strisciare sul tessuto leggero del vestito con impetuose carezze, riscoprendola come faceva quasi ogni notte, come fosse la prima.
Quando la foga del momento passò e Judith riuscì a placare quel bisogno intenso e febbricitante che avvolgeva l’amato, con le sue ardenti, lente e rassicuranti attenzioni da donna, Van Naren si calmò a sua volta, trasformando quella violenta frenesia in passionali e profonde effusioni, prendendosi tutto il suo tempo per perdersi nel profumo, nel sapore e nella sostanza di quel corpo che con tanta insistenza e premura invadeva i suoi sogni ogni notte. Immerse il viso nei lunghi e voluminosi capelli rossi di Arley Judith, ispirandone l’essenza con respiri regolari e a pieni polmoni, chiudendo gli occhi, godendosi le dita della ragazza che danzavano sulle sue spalle, la stretta nella quale il suo busto era imprigionato dalle cosce che lo tenevano ancorato a lei.
Fece strisciare la mano su tutta la curva della sua schiena e poggiò l’altra sul collo niveo e in tensione, tenendolo fermo con tutta la delicatezza possibile mentre faceva scorrere la bocca e la lingua sulle ossa sporgenti della gola e delle clavicole.
Tuttavia, quando le dita di Van Naren si infiltrarono inconsciamente bisognose sotto la stoffa del vestito di Arley Judith, risalendo la gamba verso l’altro, quest’ultima lo bloccò.
- Van, fermo – gli disse gentilmente, prendendogli il polso con la mano e allontanandolo. – Stai andando troppo oltre …
- Oh, scusami … - rispose egli mortificato, alzando il volto per guardarla. – Non ho saputo controllarmi, cercherò di stare attento.
- Non preoccuparti – lo rassicurò ella.
- Quanto sei bella, amore mio … - sussurrò adorante il ragazzo, sentendola sorridere piano. – Non ne hai neanche vagamente idea … - continuò.
- Abbassa la voce – lo spronò lei con dolcezza, lasciandogli lenti baci sulla tempia.
- Oh, Arley … non riesco più a resistere senza vederti per un’intera giornata.
Potrei morire un giorno o l’altro … - sibilò stringendola ancora a sé, quasi sull’orlo delle lacrime.
- Shhh, andrà tutto bene, Van – lo consolò abbracciandolo forte.
- Non possiamo andare avanti così. Non possiamo continuare a vederci  di nascosto. I monaci potrebbero scoprirci …
- Vivo qui da dieci anni, Van, conosco bene i loro orari. A quest’ora dormono tutti.
- Non è questo, Arley. Sono sull’orlo dell’esasperazione. Vorrei urlare ai quattro venti quanto ti amo, vorrei sposarti e avere dei figli con te perché non vedo altro che te, dovunque io mi volti, vedo te, sempre – le disse guardandola con gli occhi lucidi.
Judith gli accarezzò le guance, prendendo un profondo respiro per non cedere a sua volta alle lacrime.
Erano mesi che andavano avanti così, silenziosi e discreti come due insetti in uno scantinato, prudenti, previdenti, in maniacale allerta per sfuggire ad occhi indiscreti, pena il rogo nella piazza.
Anche lei era stanca, sfinita da quella situazione.
Non lo avevano deciso loro.
Era accaduto e basta.
A ciò, le tornò in mente qualcosa di importante, qualcosa che l’abituale visita notturna e il piacevole assalto del suo amato le avevano temporaneamente fatto dimenticare.
- Ho letto una lettera, poco prima che arrivassi, mentre riordinavo in biblioteca. Una vecchia lettera – gli disse continuando a calmarlo accarezzandogli il volto e i radi capelli.
Il ragazzo la guardò interrogativo, in attesa che continuasse.
- Non so come ci sia finita lì, sicuramente la monaca che l’ha scritta ha vissuto e servito per anni in questo monastero e l’ha ben nascosta, indecisa se consegnarsi o no alle autorità.
- Consegnarsi per cosa?
- Colei che l’ha scritta, una servitrice del Creatore, era innamorata di un servitore del Diavolo.
Van Naren sgranò gli occhi in risposta.
- Mi tremavano le dita e gli occhi mentre leggevo le sue parole, Van.
Mi è sembrato quasi di averle scritte io, con le mie mani.
Non siamo stati i primi, né gli unici, Van.
Non so che fine abbiano fatto quella donna e il suo amante,  ma so che non sono pazza e non lo sei neanche tu.
Siamo umani, peccatori, creature in carne ed ossa degne del perdono del tuo dio e del mio dio.
Sono loro, gli uomini, che ci vogliono divisi.
Il Creatore non rigetterà la tua anima e il Diavolo non rigetterà la mia.
- Come puoi dire tutto ciò …?
Solo perché hai letto le parole di una donna disperata almeno quanto noi? – le domandò Van lasciando la presa sulle sue gambe, allontanandosi di poco. – E poi, come puoi sapere che non fosse totalmente sedotta e soggiogata da lui?
A ciò, Judith lo fulminò con gli occhi. – Vorresti dire che io ti ho sedotto e soggiogato …?
- No, tra noi non è accaduto, ma è facile che un servitore del Creatore guardi con desiderio il corpo di un servo del Diavolo e ne divenga dipendente e assuefatto.
Quello non è amore, ma desiderio carnale.
- Beh, non è quello che è accaduto a lei, così come non è accaduto a te – rispose ella con convinzione.
- Non lo so, Arley. Non vedo comunque come la storia di quella donna possa farci sentire meglio.
- Non capisci proprio? Siamo dalla parte della ragione, Van.
Non stiamo facendo nulla di sbagliato, lo pensavo anche prima, ma ora ne ho la conferma.
C’è qualcosa di marcio, di veramente marcio nel sistema e nelle leggi di Bliaint instaurate da Allister Chaim.
A ciò, Van Naren impietrì, si fiondò nuovamente addosso all’oggetto del suo amore e le tappò la bocca, spaventato.
- Non devi mai più dire una cosa del genere.
Mai, Judith, anche se non c’è nessuno che può sentirti.
Non riuscirei mai a sopportare anche solo di rischiare di perderti – la supplicò poggiando la fronte su quella di lei, mentre faceva scorrere via la mano da quelle labbra tanto desiderate e la infilava tra i capelli rossi.
Ella gli accennò un sorriso in risposta.
- Perché finisce sempre che sei tu a consolare me, nonostante io sia più grande? – le chiese lui rilassandosi in un sorriso a sua volta.
- Perché sono più matura e consapevole io.
Conosco meglio te e conosco meglio il mondo – rispose con elegante impudenza ella.
A quelle parole, egli la baciò ancora e ancora. – Quando sarà il tuo battesimo? – le domandò a fior di labbra.
- I monaci mi stanno spingendo a temporeggiare – rispose la ragazza.
- Perché?
- Non vogliono farmi nuovamente mettere piede là dentro, se non per pregare.
- Per quello che è accaduto quando eri bambina?
Ella annuì, per nulla turbata.
- E tu cosa ne pensi? Insomma, dovresti rivederli e …
- Li rivedo comunque ogni mattina, quando mi reco lì a pregare – lo interruppe Judith.
- Lo so, ma durante il tuo battesimo ti troveresti faccia a faccia con loro, dovreste avere un contatto diretto.
Inoltre, sei sicura che non ce ne fossero altri come lui …? – domandò Van Naren abbassando la voce.
- Non posso averne la certezza.
Se ce ne fossero altri, immagino che i genitori di molti bambini se ne sarebbero già accorti – rispose lei incerta. – Ma sono sicura che, prima di me, quell’uomo avesse fatto le stesse cose ad altri bambini - aggiunse.
- Perché lo pensi?
A ciò, ella gli perforò nuovamente lo sguardo con le sue iridi nere.
- Gliel’ho letto negli occhi, Van.
Mentre mi accarezzava, mi baciava e scendeva con la bocca ovunque riuscisse ad arrivare.
Mormorava parole che era abituato a dire, a ripetere infinite volte: “Il nostro Signore ti perdonerà per essere troppo bella, ti perdonerà per avermi spinto a fare quello che ti sto facendo, ti perdonerà solo se non lo dici a nessuno.”
Van inghiottì un groppo di saliva amara, abbracciandola a sé con cura, cercando di seppellire quelle parole in fondo, nella sua mente, ripetendosi che quel monaco fosse morto e che il suo tesoro prezioso ora era al sicuro, stretto a sè.
- Oh Arley, Arley … - sussurrò, sentendola irrigidirsi tra le sue braccia, ma subito ritranquillizzarsi un secondo dopo.
- Ripetilo di nuovo – lo spronò ella, ponendosi con il volto di fronte al suo, facendo toccare le punte dei loro nasi.
- Che c’è? Ti ricorda qualcosa?
- Forse … ma non ne sono certa – rispose la ragazza chiudendo gli occhi, cercando di concentrarsi, ma non trovando nulla nei suoi ricordi.
- Oh Arley, Arley … - ripeté allora Van Naren, fissando ogni dettaglio del viso dell’amata a quella vicinanza. - … qual è stato il momento più bello della tua vita? – continuò, scandendo ogni parola quasi come fosse un mantra, una preghiera.
Ella sorrise in risposta, riaprendo gli occhi. – Da bambina. Quando ho ucciso quel monaco con le mie mani.
 
 
 
 
 
   
 
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