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Autore: Dalybook04    06/04/2020    1 recensioni
Napoli, 1712
Antonio Fernandez Carriedo aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
***
-bastardo?
-dimmi Lovi
-ho fatto davvero bene a lanciarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene
***
Gli piaceva pensare fossero un regalo da parte sua, come se ogni pomodoro che cresceva gli volesse ricordare quanto lo avesse e avrebbe amato, e quanto lo amasse ancora.
***
-ve, mi dispiace fratellone. Stai tranquillo, l'amore troverà un modo
-non darmi false speranze, Feliciano. Per favore.
***
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
***
_principalmente Spamano e Gerita, con accenni molto lievi alla PruAus_
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Ludwig era sempre stato un bambino solo. Ligio al dovere, lodato da tutti gli adulti per il suo senso della responsabilità e la sua intelligenza, istruito e studioso, curioso e amante di tutto ciò che fosse scientifico e complesso. A soli dieci anni, poteva vantare una cultura e una conoscenza tale da permettergli di tenere conversazioni alla pari con professori e adulti di ogni genere. Era l'orgoglio di mamma e papà, totalmente l'opposto di suo fratello; quello che veniva presentato maggiormente agli ospiti, quello che veniva sfoggiato come un gioiello: Ludwig, il bambino prodigio, il figlio modello.
Eppure, era un bambino molto solo.
Fin dalla più tenera infanzia, gli unici giocattoli per lui interessanti erano stati i blocchetti per le costruzioni, e l'unico pupazzo che avesse mai apprezzato era quello di una figura umana, che aveva usato solo per studiare meglio anatomia. Aveva imparato a leggere a soli tre anni, e da allora non c'era stato verso di impedirgli di portarsi un libro dovunque andasse; persino lì, a casa dell'amico di suo fratello, teneva un enorme libro di biologia sotto il soprabito scuro, oltre a tanti altri libri nelle valigie. Non aveva mai giocato con gli altri bambini, sia per la posizione isolata della loro villa di famiglia, sia perché non avrebbe saputo che farci; a soli otto anni, si era autodiagnosticato una forma di quella che oggi chiameremmo ansia sociale: entrava nel panico ogni volta che doveva parlare con qualche bambino, balbettava, arrossiva e non sapeva come comportarsi o cosa fare. I giochi come acchiapparella, nascondino o pallone? Per lui erano un mistero tanto quanto la Terra al centro del sistema solare, teoria che secondo lui non aveva il minimo senso, o tanto quanto la religione. Non era credente, credeva più nei numeri che in Dio, ma si comportava come se lo fosse per non far sfigurare la sua famiglia. L'unico che sembrava curarsi di quella sua solitudine era il fratello, che lo portava con sé ogni volta che gli fosse possibile per farlo socializzare con qualche bambino, o almeno provarci.
Per questo, quando aveva visto quella piccola italiana, che poi aveva scoperto essere un lui, la sua prima reazione era stato il panico. Ma guardando in quegli occhi ambrati, Ludwig non vide nessuna traccia di giudizio; c'era una sorta di curiosità innoqua, un'attenzione assolutamente neutra, un'impazienza di conoscere e capire, ma senza malignità alcuna. Sembrava semplicemente ed essenzialmente curioso di conoscerlo; anzi, sembrava persino... affascinato, un fascino infantile certo, del tutto platonico, ma sempre un fascino che Ludwig si sentì ricambiare. Si rese conto con terrore di volerlo conoscere, anzi: di volerci fare amicizia, e se per un bambino sarebbe stata una cosa normalissima, per lui era una sfida impossibile. Sentì qualcosa agitarsi nello stomaco, qualcosa di forte, e sperò non fosse un principio di vomito o una qualche malattia orribile, e per la prima volta il suo cuore batté un po' più forte per qualcosa che non fosse l'ansia o l'attività sportiva.
Quando il fratello lo trascinò via, si sentì persino dispiaciuto, e rimase imbambolato a fissare il punto dove prima c'era stata quella piccola figura. Per la prima volta fu richiamato all'attenzione per ben due volte, e sentì di nuovo quel mal di stomaco all'idea di giocare con lei, che sfociò nella confusione e nel panico quando scoprì si trattasse di un lui.
Lui si era... lui si era sentito attratto da un bambino.
Era un qualcosa di così impensabile, così assurdo e inimmaginabile, che si ritrovò a negare tutto e a darsi dello sciocco.
Ma quando si ritrovò nella stessa stanza con lui, Feliciano, sentì un panico del tutto nuovo stringergli la bocca dello stomaco, e un'ansia diversa da qualsiasi altra cosa avesse mai provato prima invadergli il cuore e scaldargli le guance.
-vee, come ti chiami?
-parli tedesco?- domanda stupida, ma il biondino era sorpreso. Com'era possibile che un piccolo servo di Napoli parlasse tedesco?
-sì, ve, quando ero piccolo ho passato anni a Venezia e a Trento con il mio papà, e lì si parla tedesco.
-quindi...- si schiarì la voce, sentendo le manine sudare -la tua prima lingua è il tedesco?
-no, ve, è il veneto- con un sorriso gli si avvicinò e gli tese la mano -io sono Feliciano.
-L-Ludwig- riuscì a dire, stringendogliela.
-veee, che vuoi fare? Giocare?
-oh, ehm, io non... non so come si faccia.
-ve, ma come? Sembri così intelligente! Sai anche leggere!
-tu non sei capace?
-no, ve, ma vorrei imparare.
-potrei... potrei insegnarti io- all'istante, Ludwig si pentì. Sarebbe sembrato presuntuoso? Arrogante? Ora quel bambino tanto bello lo avrebbe odiato!
-sì! Ve, che bello!- lo abbracciò, facendogli esplodere il cuore. Nessuno che non fosse della sua famiglia lo aveva mai abbracciato, e anche lì erano sempre stati abbracci di circostanza. L'unico a dimostrargli un affetto sincero era Gilbert, che gli tirava sempre le guance, facendogli male. Non aveva mai ricevuto un abbraccio così spontaneo e sincero, e sentì tutto il suo corpo andare a fuoco, e si chiese cosa significasse, temendo, per la prima volta in tutta la sua vita, di sapere.

-Loviiiiiii- urlò Antonio, cercando l'altro in giro per la casa. Non era particolarmente grande, ma l'italiano sembrava scomparso. Era andato a cercare lui e Feliciano per chiedere al più piccolo se volesse giocare con il fratellino di Gilbert, non che avesse dubbi sulla risposta, mentre i due tedeschi erano andati nelle loro camere a sistemarsi, visto che sarebbero rimasti lì qualche tempo.
Raggiunse il giardino e cominciò a girare finché non sentì una risata in lontananza.
-ve, ve, fratellone guarda! Ho trovato una farfalla, guarda che bella!- stava urlando Feliciano a suo fratello, che se ne stava seduto sotto un albero, con un (adorabile) broncio in viso.
-eccovi!- esclamò lo spagnolo, raggiungendoli e sedendosi accanto a Lovino, passandogli un braccio intorno alle spalle e spettinandogli i capelli; quello si scostò malamente.
-Feli, ti andrebbe di giocare con il fratellino di Gilbert?- al bambino si illuminarono gli occhi.
-ve, sì!
Antonio ridacchiò -è in una delle camere degli ospiti, sai dove sono, no? Bene, vai, e mi raccomando: bussa prima di entrare.
-va bene, fratellone Antonio- esclamò Feliciano, per poi correre via.
-sbaglio o mi ha chiamato fratellone?
-si è messo in testa che ci sposeremo- Lovino roteò gli occhi.
-perché, non è così?- Antonio rise e baciò l'altro sulla tempia -penso che staresti benissimo in abito bianco.
-sai che è impossibile, non sparare cazzate- brontolò Lovino, seppellendo il viso abbronzato tra le ginocchia.
-Lovinito, che hai?
-niente.
-ho fatto qualcosa di sbagliato?
-te ne sei andato senza salutare- brontolò Lovino.
-eh?
-prima, sei scappato da quel crucco del tuo amico senza neanche salutarmi, brutto stronzo!- borbottò, guardandolo male.
-aw, sei così carino quando ti ingelosisci, Lovinito!- esclamò Antonio, con un certo deja-vu, stringendo l'altro a sé -ma puoi stare tranquillo, Gil è il mio migliore amico, tutto qui!
-è un dannatissimo crucco- brontolò Lovino.
-eh?
-crucco. Un tedesco- spiegò l'italiano -gli unici peggiori degli spagnoli sono i tedeschi.
-io però sono l'eccezione, no?
-infatti tu sei peggiore anche dei crucchi.
-Loviiii! Tanto lo so che mi aaaaaami tanto.
Lovino mugugnò qualcosa, poi si strinse a lui.
-non ti montare la testa, bastardo, ho solo freddo- chiarì, seppellendo il viso nella sua spalla e chiudendo gli occhi. Antonio sorrise stringendolo a sé, e mentalmente benedisse il freddo di dicembre per la prima volta nella sua vita. Lui aveva sempre amato l'estate, il caldo, il sole, le spiagge della Spagna e i lunghi bagni in mare, ma avrebbe sopportato il freddo per poter stringere l'altro a quel modo. Non aveva mai immaginato di innamorarsi in inverno: quei mesi sembravano troppo freddi per lasciare spazio a un sentimento così forte. E invece, si rese conto con sorpresa, si stava proprio innamorando, e profondamente anche. Si era detto che avrebbe avuto decine e decine di amanti, che si sarebbe divertito il più possibile, ma perché avere decine di amanti se era riuscito ad ottenerne uno che ne valeva milioni?
-volevi che ti salutassi?
-volevo che non scappassi via in quel modo- brontolò, sollevando il viso e guardandolo.
-hai ragione, scusami. Come posso farmi perdonare?- gli sorrise, avvicinandosi e sfregando il naso contro quello arrossato del più piccolo.
-andiamo dentro- sussurrò Lovino, assonnato -ho freddo e voglio dormire.
-ma dentro c'è altra gente- replicò -non possiamo farci vedere insieme, non così, ci denuncerebbero.
Lovino sembrò pensarci, poi annuì -allora restiamo qui. Ma continuo ad avere freddo.
Antonio sorrise -a quello ci penso io, Lovi!- esclamò, cominciando a riempirlo di baci; sulle guance, sulla punta del naso rosso, sul collo, sulla spalla, ovunque riuscisse ad arrivare, meno che le labbra: quelle erano il dessert, da lasciare per ultime.
-no fermo! Fermo mi fa il solle...- e scoppiò a ridere, forte, cercando di allontanarlo da sé ma senza provarci davvero -bastardo smettila!
Antonio gli afferrò le mani e le intrecciò alle sue, allora l'altro, cercando di scappare a quella dolce tortura, arretrò fino a ritrovarsi sdraiato a terra, con lo spagnolo addosso che continuava a baciarlo e ad accarezzargli i fianchi. Stanco di tutto quello, e forse anche con la speranza inconscia di avere qualcosa in più, non che l'avrebbe mai ammesso, Lovino liberò una mano con uno strattone e avvicinò a sé il viso dell'altro, fino a baciarlo; e finalmente quella bocca fu di nuovo sulla sua, quelle labbra tra le sue, quel senso di invincibilità e di pace lo invase ancora, insieme a quel calore così denso e profondo, come se qualcuno gli avesse versato del miele caldo nelle vene al posto del sangue. Finalmente, Lovino si sentì nuovamente perfetto, quasi che il mondo fosse tornato improvvisamente in pace e si fosse fermato in quel singolo istante, quasi che tutto continuasse ad andare e solo loro si fossero presi una pausa per loro stessi. Non sentì più niente tranne quel bacio, quelle mani calde che si erano intrufolate sotto la sua maglia e gli stavano accarezzando la schiena, la bocca di Antonio che, staccatasi dalla sua, lo stava baciando sul collo: baci lenti, passionali, diversi dalla divertita innocenza di prima. C'erano una sensualità e un desiderio nuovi, che mandavano brividi di piacere lungo la schiena di Lovino dritti fino al cervello, tanto che a stento riusciva a trattenere i gemiti.
-ricordi quel che ti ho detto ieri?- gli sussurrò, mordendogli e successivamente baciandogli un lembo di pelle sotto l'orecchio -ho detto che voglio conoscere il sapore di ogni tuo centrimetro di pelle -gli morse il lobo -forse dovrei cominciare ora, Lovi, che ne dici?
Lovino mugolò qualcosa, stringendolo a sé e baciandolo ancora. Quello era troppo, troppo in una sola volta, ma era così bello che non sapeva se si sarebbe potuto fermare in tempo; e a ben pensarci, era l'ultima cosa che voleva. Fermarsi sarebbe stata la cosa migliore da fare, e magari continuare in un luogo più sicuro, ma come dire di no? Come faceva a dire di no a tutto quello, quando quelle stesse labbra che gli facevano perdere la testa si erano infilate sotto la sua maglia e gli stavano riempiendo il ventre piatto di baci lenti e sempre più profondi?
-A-Antonio- provò ad ammonirlo, ma tutto ciò che gli uscì dalle labbra fu un sospiro.
-che c'è, Lovinito? Vuoi che mi fermi?- lo spagnolo poggiò la fronte alla sua e gli sfiorò le labbra con le sue, con l'ansia di essersi spinto troppo oltre che gli attanagliava lo stomaco e gli mozzava il respiro. Lovino scosse la testa, puntando gli occhi, liquidi dal desiderio, nei suoi, la cui pupilla era tanto dilatata che il bel verde dell'iride sembrava annegarci dentro. L'italiano gli accarezzò i ricci bruni con una mano, e sospirò piano.
-no, non... non voglio che tu ti fermi- con un sorriso malandrino, Antonio immerse il viso nel suo collo e riprese a baciare, mordere, leccare e farlo uscire di testa -mh... a-aspetta- gli uscì un qualcosa a metà di una supplica e un gemito; continuò quando l'altro si staccò guardandolo confuso -non qui, potrebbero... - perse un attimo il filo del discorso, immergendosi un attimo di troppo in quegli occhi praticamente neri e pieni di lui; deglutì -potrebbero vederci- conluse a fatica, ma Antonio rise, scostandogli una ciocca di capelli dal viso rosso.
-tranquillo, Lovinito. Siamo in un angolo nascosto, stanno tutti lavorando o dormendo- gli baciò la guancia -e poi non voglio fare tutto, quella sarà speciale, e prima ti chiederò il permesso almeno dieci volte e sarai tu a decidere quando e dove.
-non dovremmo decidere insieme?
-ma sei tu quello che ci metterà il cu...- si interruppe, ma solo perché Lovino gli aveva tirato un coppino dritto sulla nuca, ancora più rosso.
-pervertito! E poi chi ti dice che non sarai tu a prenderlo, eh?
Antonio lo guardò come se fosse impazzito.
-amore... dai, sii serio- Lovino si imbronciò, ma si dovette rimangiare il broncio quando l'altro lo baciò ancora; un bacio più bagnato, spinto, che fece infiammare le guance del ragazzo, e non solo quelle -ora voglio solo farti stare bene- gli sussurrò all'orecchio -se facessi qualcosa che non vada, fermami subito, va bene?- gli baciò la fronte -ora rilassati e lasciami fare, ti va?
-sì ma sbrigati, che mi si sta afflosciando- ribatté Lovino sbuffando; sbuffo che, un secondo dopo, si trasformò in un nuovo gemito che proprio non era riuscito a controllare.
   
 
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