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Autore: Lost In Donbass    08/04/2020    3 recensioni
Midnight Olson è ribelle, testarda, violenta, sregolata. Non ha freni, non li ha mai avuti.
Denis Shostakovich è rabbioso, sfacciato, arrogante. Non è in grado di fermare la sua vita di eccessi.
Lei è una studentessa, lui il cantante della band metalcore più in voga del momento. Non si conoscono, e se si conoscessero si odierebbero. Ma caso vuole che Richard, fratello di lei e bassista nella band di lui, si porti dietro la sorella per strapparla ai guai nei quali si è cacciata. Così i mondi di Denis e Midnight vengono in contatto, e c'è da mettersi le mani nei capelli. Tra litigate epocali, tradimenti, violenza gratuita, droga, luci della ribalta e soprattutto tanta musica metalcore, ecco a voi la storia d'amore più sregolata di sempre. Perché noi siamo il rock'n'roll e non abbiamo intenzioni di fermarci. Nemmeno da morti.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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COME FOR ME (I'M FUCKING READY)

 

CAPITOLO PRIMO: PROLOGO

You're fucking crazy, if you think that I'll ever change
I am I, I am me, I'll never change my ways
I'm a monster, and that's how I'll stay
Condemned to predetermined damnation for eternity

[Asking Alexandria – Don't Pray For Me]

 

 

Midnight

 

In quel momento, sapevo che mi stava per succedere qualcosa di brutto. Me lo sentivo sottopelle, mentre, seduta al tavolo della cucina, bevevo un bicchiere di succo d'arancia e pasticciavo il blocco degli appunti di storia. Mia madre mescolava qualcosa sul fuoco, con aria che voleva apparire distratta ma che capivo perfettamente essere preoccupata e sentivo Richard di là giocare col gatto. Apparentemente, era tutto normale, come lo era la canzone nelle cuffie, il disegnino in mezzo agli appunti, il sole che splendeva di fuori e il mestolo che girava lentamente nella zuppa. Ovviamente, era palese che qualcosa di enormemente anormale stava per succedere.

Infatti, di lì a poco, mia madre smise di mescolare la zuppa e si sedette di fronte a me. Tentai di ignorarla, ma quando anche Richard si sedette al tavolo, senza gatto in braccio, con i suoi occhi tristi e le mani impacciate, capii che quella volta il problema ero io. Quando mai non lo ero, però? Mi tolsi lentamente le cuffie e posai la matita, guardandoli con un sopracciglio alzato. La sentivi nell'aria, l'incertezza, la paura.

-Tesoro, dovremmo parlare.- disse mamma, ma la voce le tremava.

Mi appoggiai allo schienale e accavallai le gambe, con quell'aria di sfida che poco mi si addiceva ma che in quegli ultimi tempi non facevo altro che dipingermi in faccia

-Cos'ho fatto, adesso? Le medicine le prendo regolarmente, tengo la porta di camera mia aperta, vengo sempre a pranzo e una domenica sono pure venuta in chiesa.

Incrociai le braccia al petto e li vidi scambiarsi un'occhiata affranta. Non ero contenta di star facendo soffrire i miei familiari, ma non potevo fare a meno di essere così. Difficile, ribelle, forse anche cattiva, erano tutti aggettivi che mi si potevano attaccare. Non volevo metterli di fronte a scelte ardue, ma casualmente finiva sempre male per la sottoscritta e per i poveretti che dovevano sopportare me e i miei problemi all'apparenza irrisolvibili.

-Ti stai comportando benissimo.- disse subito mamma, sorridendomi, ma quel sorriso ormai era debole e tirato, sembrando più una ruga che altro – Ma noi stavamo pensando a fare qualcosa per il tuo bene.

Sbuffai e roteai gli occhi al cielo. Ci avevano provato un mucchio di volte a fare qualcosa “per il mio bene” e ogni volta era stato un dramma sempre più grande del precedente. Disegna, tesoro. E la chiesa era stata ricoperta di graffiti osceni. Prova a prendere qualche medicina. E l'overdose era dietro l'angolo. Partecipa a un club a scuola. Cacciata fuori dopo neanche un giorno di permanenza per comportamenti inadeguati.

-Mamma, ne abbiamo già parlato. Io …

-Lasciaci finire.- intervenne Richard, arrotolandosi una ciocca di capelli attorno al dito – Stavamo seriamente pensando che questa città non ti stia aiutando. Troppi brutti ricordi, troppi problemi, troppi intoppi.

Aveva ragione. Birmingham era stata per me un calderone di traumi che si erano succeduti uno dopo l'altro, lasciandomi lo straccio che ero in quel momento. La rabbia mai davvero repressa verso una società che non comprendevo e che non faceva niente per aiutarmi. Il rischio di overdose sempre a un passo, dopo che avevo malauguratamente fatto amicizia con un tizio chiamato Worsnop, capelli rossi e pancia da birra, che ti vendeva un sacco di roba fantastica che ti fotteva il cervello. Il momento folle in cui cercavo sesso non protetto, selvaggio e disinibito in ogni ragazzo un minimo carino che trovavo per strada. La depressione nella quale ero sprofondata, la mia abulia e il mio grezzo tentativo di suicidio. La violenza che non riuscivo a contenere sottopelle. Ero un caso perso, la ragazza sbagliata da cui tutti tentavano di stare a distanza, lo scarto sociale, l'errore generazionale. Non ero niente di bello per nessuno, se non la ragazzina coi capelli tinti e le magliette di band metalcore che usava fare graffiti volgari dovunque e che riversava il suo odio dappertutto. Anche su sé stessa.

-E dove vorreste spedirmi a vivere?- ringhiai – Da zia Sue, in California? O da zio Sean, a Cork? Volete allontanarmi il più possibile da qui perché vi siete stufati di me?

-Smettila.- sbottò mamma, facendo una smorfia – Tesoro, noi non ci stuferemo mai di te. E non vogliamo mandarti a vivere né da zia Sue né da zio Sean. Volevamo solamente proporti una sorta di … vacanza?

Mi misi a ridere, passandomi una mano tra i capelli

-Mamma, sei seria? In vacanza? Io? Quando sono praticamente agli arresti domiciliari con tutti quei dannati assistenti sociali che mi perseguitano?

-Lo fanno per il tuo bene. E comunque …

-Non si tratta di una vacanza normale. Anche perché, diciamocelo, chissà cosa combineresti.- mentre parlava Richard non sorrideva. Da bambini prendeva sempre le mie difese ma in quel momento, obbiettivamente, era già una grazia che non mi avesse strangolato per tutti i problemi che causavo.

-Volete mandarmi in collegio?!

-L'ultima volta che ci abbiamo provato, ti hanno mandato via dopo un giorno.- ricordò stancamente mamma – No, cara, è una cosa diversa.

-Vieni con me.- concluse Richard, e l'ombra di un sorriso gli attraversò il viso.

-Come?

-A Londra. Vieni a stare da me.

Io, a casa di Richard, non c'ero mai stata, sempre troppo impegnata a cercare di autodistruggermi qui a Birmingham per poter pensare di fare visita al fratello perfetto nella capitale. Ma il problema era un altro: Richard era famoso. Magari non a livello planetario, ma era comunque il bassista della band metalcore più in voga del momento. Cosa ci avrei fatto io a casa sua, in mezzo alla gente che frequentava, in un mondo nuovo che non comprendevo, a dibattermi come un pesce in una dimensione che mi era nuova e completamente estranea? Sapevo, dentro di me, che non ne sarebbe uscito niente di buono, né per me, né per Richard. Io non potevo essere controllata, non potevo essere messa in catene da nessuno perché avrei comunque trovato un modo per spezzare ogni legame e buttarmi a capofitto in un inferno che mi stava già tirando per i piedi quando andavo a dormire.

-Non ci voglio venire.- dissi, fredda.

-Le tue capacità decisionali di adesso sono pari a zero.- ribatté Richard – Tu vieni. Fine della storia.

Spalancai gli occhi, e stavo già per mettermi a urlare tutto il mio disappunto che mia madre mi afferò la mano

-Cara, lo stiamo facendo per te. Pensa che bello, poter stare a Londra, lontano da tutto quello che ti ha fatto del male …

-Mamma, sono io la causa dei problemi, non gli altri.

-Non importa.- si frappose nuovamente Richard – Abbiamo deciso che starai da me. Ascoltami, sorella: andrà tutto bene. Al massimo, vedila come una nuova occasione per pasticciare muri nuovi.

Ci scambiammo un sorriso di traverso che non avrebbe convinto nessuno e mamma aveva un'aria così stanca da farmi sentire straordinariamente in colpa, ma poi io tornai a incrociare le braccia

-Non capisco perché, però.

-Perché Birmingham ti sta rovinando, e noi non lo possiamo permettere.

Richard indugiò nell'accendersi una sigaretta, ma poi, come ricordandosi che c'era la mamma lì, la rimise nel pacchetto. Guardai a lungo mamma e fratello maggiore, dondolando i piedi. Non avevo nessuna voglia di andare a Londra, non quando il mio percorso di autodistruzione stava funzionando così bene, lì, a casa, ma contemporaneamente potevo figurarmi un altro percorso di morte londinese, che sarebbe stato ancora più rapido, distruttivo e invasivo di quello lento e soffocante intrapreso a Birmingham. A Londra avrei avuto tutte le possibilità del mondo di strafogarmi di vizi, molto di più di quanto potessi fare a casa mia, con Worsnop e le sue sostanze di bassa lega, con i ricordi soffocanti ad ogni angolo. Mi passai una mano tra i capelli e poi annuii

-Va bene.

-Va bene che vieni?

-Sì. Vengo a Londra. Ci sto.

Mamma sembrava molto felice, ma potevo vedere perfettamente come Richard fosse, da un lato sollevato, dall'altro messo in allerta dalla mia rapidità a cedere.

Osservai mamma che si alzava e andava di là mentre Richard mi si sedeva vicino. Aveva gli occhi molto segnati, molto più dell'ultima volta che l'avevo visto, affondati in un trucco pesante, e i denti ingialliti dalla nicotina.

-Senti, lo capisci che lo stiamo facendo per te?

-Certo.

Non lo guardavo mentre mi parlava, ma lui mi afferrò le spalle e mi costrinse a concentrarmi sul suo viso magro.

-Ti conosco, e conosco quell'espressione. Lo so cosa stai pensando. Ti stai già progettando una nuova via di distruzione a Londra, ma sappi già in partenza che non lo permetterò.

Avrei tanto voluto che lui avesse ragione. Avrei tanto voluto che mi salvasse, che mi proteggesse, che mi facesse diventare una ragazza normale, che mi rimettesse in carreggiata, eppure sapevo che da qualche parte dentro di me c'era qualcosa che lottava affinché io rimanessi la bastarda, il mostro, la depravata ragazzina che non aveva niente altro che la sua musica e il suo odio. Ero uno stupida, e lo sapevo benissimo. Una viziata, una cretina, un rigetto naturale di una società che non aveva più niente da dire. Volevo cambiare, ma non ce la facevo. Avevo provato a lottare contro me stessa, ma ogni volta ero caduta al suolo e mi ero fatta sempre più male. Mi ero convinta di essere un caso perso, di essere persa, oramai, in un mondo che sapevo prima o poi mi avrebbe uccisa. Mi odiavo, mi aborrivo da sola proprio per non essere in grado di essere forte e combattere contro tutto. Ero debole, e Richard lo sapeva. Ero da buttare via, me l'ero sempre detto.

-Richard … scusa.- sussurrai, abbassando la testa.

Lui sospirò rumorosamente e mi accarezzò i capelli, facendomi un lieve massaggio alla nuca.

-Ne uscirai in qualche modo.

-Ho paura di no. Ho paura di essere ormai troppo oltre.

-Non si è mai troppo oltre.- mi sorrise, col suo sorriso storto e cedette all'impulso di fumare – Mi prometti che ti impegnerai?

-Ci proverò. Scusami. E poi la mamma non vuole che fumi.

Fece una smorfia e mi scompigliò i capelli

-Fai le valigie che domani si parte. E non fare la moralista, non ci riesci bene.

-Richard …

-Sì?

-I tuoi compagni di band come sono?

-Simpatici, invadenti, rumorosi e straordinariamente fedeli al sottoscritto. Quindi preparati, non avrai vita semplice. Vorrano sapere tutto di te e ti controlleranno. In qualche modo ne uscirai, sorella.

Mi strinse affettuosamente la spalla e io sorrisi appena, alzandomi. Non ero molto stabile sulle gambe in quel momento.

-Sarà meglio che vada a fare i bagagli, allora.

Lui mi sorrise, ma proprio nel momento in cui stavo uscendo dalla stanza, la sua voce mi richiamò indietro.

-L'unica cosa è che … senti, quando andremo a Londra, stai lontana da Denis.

-Chi è?

-Il nostro cantante.

-E perché devo stargli lontana?

Lui tentennò un attimo, prima di scrollare le spalle e alzarsi

-Non è la migliore delle influenze. Non girargli troppo in giro.

Detto questo, uscì anche lui dalla cucina e io rimasi lì, all'inizio delle scale, a pensare a quello che mi aveva detto.

Chissà come mai, e maledetta me, non vedevo l'ora di conoscerlo, questo Denis.

***
Ciao! Eccoci qui con una nuova storia, dove ho voluto combinare la mia passione per il metalcore con una bella storia d'amore come vorrei che accadesse a me. Spero che vi sia piaciuta, mi raccomando, recensite, ci tengo moltissimo. Non so ancora bene che sviluppi prenderà ma per adesso lasciamo perdere ahah - il titolo è tratto dalla canzone Come For Me dei New Years Day. Che non sarà un capolavoro ma che è carinissima.
Baci e Stay Metal
Charlie xx

 

 

 

  
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