Prologo
30 Aprile
1980.
La stanza
era buia, fredda e sporca. Le uniche luci presenti erano quelle rossastre delle
catene magiche che comparivano ad ogni movimento dell’unico essere vivente
presente nella stanza.
Tom
Orvoloson Riddle sogghignò sul ciglio della piccola porta in legno, lo sguardo
vittorioso che si muoveva in una danza alla ricerca dell’unica presenza
interessante.
La donna era
di spalle, seduta su un letto dismesso. Guardava uno specchio, l’unica aggiunta
ornamentale presente nella stanza. I capelli rossi le arrivavano alla fine della
schiena, avvolgendola in un abbraccio quasi protettivo. La postura era rigida,
tesa. Lo era sempre stata in sua presenza.
Il sogghigno
di Tom si accentuò guardandola.
‹‹Manca
poco.››
La sua voce si diffuse nell’aria come un sibilo.
La donna non
diede segno di averlo sentito, ignorandolo come sempre da quando era diventata
sua ospite.
Nove mesi.
Nove mesi
erano passati dal giorno del suo successo più grande. Era sua.
La strega
più potente da generazioni era sua prigioniera e presto gli avrebbe regalato un
piacere ancora più immenso. Gli occhi rossi brillarono nel buio.
‹‹I
Veggenti mi hanno riferito che domani sarà il grande giorno. Riposati, dovrai
essere preparata.››
Ancora
nessuna risposta, nessun cenno, niente di niente.
Lord Voldemort
non se ne preoccupò, era abituato ai suoi silenzi.
Si voltò,
pronto ad uscire dalla stanza.
‹‹Mi
mancherai.››
La
porta si
chiuse, sigillata
dall’esterno.
Le spalle
della ragazza si rilassarono impercettibilmente. Era sola, ancora una volta.
Gli occhi
lasciarono lo specchio e si abbassarono sul ventre rigonfio.
Stupida.
Se lo
ripeteva sempre da nove mesi a quella parte. Era stata una stupida a cadere
nella sua trappola. Una sciocca ragazzina convinta delle sue capacità.
Cosa
poteva fare un comune mago mortale a lei? Come poteva solamente pensare di
essere più potente di lei?
Potente no,
ma furbo sì. Dannatamente furbo.
Maledetto.
Aveva
cercato alleati potenti. Si era abbassato a chiedere favori e stringere
alleanze per averla. E adesso lei era lì, imprigionata in una stanza e incinta
di un suo erede. Un erede estremamente potente.
Così potente
da impedirle di abortire mentre era solo un ammasso di cellule.
Disgustata
distolse lo sguardo dal suo ventre e si alzò in piedi. Le gambe magre, troppo
magre, tremarono per sostenerla. Fece pochi passi e dovette appoggiarsi al
muro. Era debole, come mai lo era stata.
Aveva
ragione. Mancava poco.
Se lo
sentiva, sapeva che stava per partorire. E di conseguenza morire. Sapeva di
essere un mero contenitore. Una volta partorito, lei non serviva più. Lui
l’avrebbe uccisa.
Ma la morte
non la spaventava, si sarebbe uccisa da sola anche prima se soltanto suo figlio
gliel’avesse permesso.
Sarà maschio
o femmina?
Se lo
chiedeva spesso ultimamente. Sperava in un maschio.
Le femmine
sono deboli. Come lei. Come sua madre.
Sentimenti
come l’odio e la vendetta non avevano mai fatto parte della sua vita fino a
nove mesi fa.
Odiava
Tom Riddle per quello che le aveva fatto.
Odiava sé
stessa per averlo sottovalutato.
Voleva
vendicarsi, desiderava che lui soffrisse quanto e più di lei.
Da quanto
si abbassava a desideri così frivoli? Così mortali?
Non le
importava saperlo, non si vergognava. Non più.
Sapeva che
presto sarebbe morto. Il solo pensiero di immaginarlo morto la riempiva di
una gioia selvaggia. Doveva morire.
Entrambi dovevano
morire. Solo in questo modo lei avrebbe raggiunto la pace.
Un tremolio,
impercettibile. I suoi occhi saettarono immediatamente verso lo specchio.
Lo specchio
iniziò a tremare e una luce bianca illuminò la stanza. Si coprì gli occhi,
ormai abituati al buio pesto, e aspettò che la luce si affievolisse. Quando
riaprì gli occhi una donna era comparsa nella stanza.
Lunghi capelli
bianchi sottili e una corporatura esile, eterea. La pelle chiara risplendeva di
luce propria. Un viso ovale, una bocca sottile piegata in un sorriso enigmatico
e occhi celesti, talmente chiari da sembrare quasi bianchi. Tutto in quella
donna urlava magia.
La ragazza
la guardò intensamente e per qualche minuto prima di parlare.
‹‹Sei
sicura?››
La sua voce
era sottile, leggera, quasi rauca. Da quanto non parlava? Troppo.
Il sorriso
della donna si accentuò e si limitò ad annuire.
‹‹Come
posso sapere che mi hai detto la verità?››
‹‹Devi
fidarti di me. È l’unica cosa che puoi fare.››
La voce
della donna era calda e ammaliante, melodica. Con passi lenti e aggraziati si
avvicinò alla ragazza e le prese le mani, dolcemente.
‹‹So
che hai paura, mia cara. Ma è l’unica cosa da fare. Devi
fidarti di me.››
‹‹Riuscirai
ad ucciderlo?››
La donna
s'irrigidì, guardandola negli occhi. Il sorriso si fece gelido.
‹‹Sono
potente bambina mia, più di te. Più di chiunque altro in realtà. Morirà non
appena uscirà dalla protezione del tuo ventre. Fidati di me Maeve, non hai
altra scelta.››
Maeve distolse lo sguardo dal viso della donna. Gli occhi viola furono percorsi
da un lampo. Il dubbio travolse la mente della ragazza, mentre gli occhi si
posarono di nuovo sul ventre. La donna aveva ragione. Lei non aveva
scelta.
Riprese a parlare poco dopo, sempre tenendo lo sguardo fisso sul ventre. ‹‹Io
morirò.››
Non era una domanda, ma la donna in bianco annuì lievemente. Il suo sorriso
tornò ad essere il sorriso rassicurante che l'aveva portata a fidarsi di lei. ‹‹Ti
turba?››
Maeve alzò lo sguardo e per la prima volta la guardò fissa negli occhi. Non
c'era più traccia di alcun dubbio, al contrario il suo sguardo era freddo,
deciso. ‹‹No.
Non temo la morte.››
La donna annuì, accondiscendente. ‹‹Dobbiamo andare, manca poco. E
presto Lui tornerà. Quando tutto sarà finito avrai finalmente
la tua vendetta e... ››
Maeve non
seppe mai cosa avrebbe avuto oltre alla vendetta perché un suo rantolo bloccò
la donna.
La ragazza
si era piegata su sé stessa, una mano sul ventre e le spalle tremanti.
‹‹Manca
davvero poco.›› Sussurrò tremante.
La donna
annuì, improvvisamente seria.
Si abbassò
al suo fianco e le prese le mani. Dalla sua figura una luce bianca si sprigionò
lentamente fino ad arrivare ad avvolgerle entrambe. Le catene attaccate alla
giovane si spenserò immediatamente e caddero a terra prive di vita. La luce
divenne accecante e poi si spense.
La stanza fu
di nuovo buia. Vuota come non lo era mai stata.
Lord
Voldemort entrò nella stanza alle prime luci dell’alba.
Lo stupore
nel trovarla vuota durò un istante e si trasformò in rabbia.
Feroce.
Violenta.
Un solo
pensiero coerente.
Sarà mia.
Poi esplose.
La mattina
del 1° Maggio 1980 una violenta esplosione fece svegliare i cittadini di
Cullington.
Quando le
polveri e la nebbia si diradarono, i più curiosi riuscirono a vedere che della
vecchia casa sulla collina non rimaneva nulla.
Soltanto cenere.
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NdA: Non ho mai scritto una storia in vita mia e non so per quale ragione ho deciso di iniziare con una long.
La storia è nella mia testa da mesi ormai e spero di riuscire a trascriverla correttamente.
Qualsiasi critica, o consiglio, è bene accetta.