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Autore: _MrsSunshine_    09/04/2020    2 recensioni
[Solangelo][AU]
Nico si voltò verso la parte di tavolo occupata da Jason, Reyna, Bianca e Hazel che sorrisero complici.
- Sorpresa! – esclamarono tutti in coro
Strinse il bordo della tavolata fino a sbiancarsi le nocche, si stava mordendo le labbra, non poteva essere veramente lui.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Quasi tutti, Will Solace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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AMICI DI INTENRET 
n.a: sì, a volte mi ricordo di avere un profilo EFP, e di solito me ne ricordo in estate o DURANTE EPIDEMIE CHE MI COSTRINGONO IN CASA. Comunque, ehy, sono tornata con una Solagelo, quindi credo che sia tutto okay, no? wink wink.
Sono le due di notte e ho finito di rileggerla due volte, per non parlare dei miei occhi che stanno rotolando fuori dalle orbite, quindi se doveste trovare qualche errore vi prego di essere clementi e perdonare il mio essere una povera idiota insonne perennemente stanca.



E anche per quel giorno le lezioni erano finite tra le domande di Nico che si chiese come avesse fatto a rimanere sveglio per otto ore costellate di noiosissime spiegazioni che non gli sarebbero servite a nulla.
- Ehi, di Angelo – non si voltò continuando a camminare per la sua strada cercando un corridoio dove fosse presente almeno un professore.
Non fece in tempo a girare l’angolo che una mano gli strinse l’avambraccio in una dolorosa morsa, costringendolo a voltarsi, facendo scivolare via il cappuccio della felpa dai ribelli ciuffi neri.
- E’ considerata maleducazione non salutare -.
- Lasciami stare Andrew, non ho proprio voglia oggi – disse lui cercando di sottrarsi.
L’altro lo tenne stretto serrando maggiormente le dita. Nico sapeva che sarebbe rimasto il livido.
- Ti ho visto guardare Jackson prima, che c’è? Ora sei anche finocchio? – Nico raggelò dopo quella domanda retorica, e la sua momentanea perdita di parole diede ad Andrew e ai suoi scagnozzi la prova che stavano cercando.
- Io... io non lo sono – stava tremando, ma non gli era chiaro se per la rabbia o per preoccupazione.
- Io scommetto di sì e sai cosa facciamo a quelli come te? –Nico si guardò intorno alla disperata ricerca di qualche adulto o di uno studente che non rimanesse indifferente alle mani di Andrew arpionate al bavero della sua maglietta.
Il moro venne trascinato di peso in giardino, a quell’ora deserto tranne che per qualche persona rintanata sotto le piccole tettoie a gustarsi l’aria fresca dopo ore di noia e ossigeno consumato.
Nico venne lanciato di peso al centro del campo da basket. Sentì la propria schiena fare un rumore non esattamente rassicurante e il gomito pulsare in modo doloroso mandando quella che sembrava una scarica elettrica per tutto il corpo.
Chiuse per un secondo gli occhi e cercò di sgusciare via. Venne fermato da un piede che si poggiò con decisamente poca grazia sul suo polpoccio tenendolo a terra.
I ragazzi presenti erano andati quasi tutti via, forse troppo impauriti per intervenire o forse solamente disinteressati agli eventi.
- Hai paura? – chiese Andrew con un basso ringhio divertito. Era quello che voleva, incutere timore, ma lui non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
- No – disse Nico cercando di mantenere la testa alta.
Il pungo che arrivò dopo fu doloroso e fece sì che perdesse il precario equilibrio battendo mento e mani contro la pietra dura.
Sputò un grumo di sangue misto a saliva, risultato del morso che si era dato accidentalmente al labbro inferiore a causa della violenta collisione.
- Ammettilo che sei solo uno stupido finocchio -.
Non sapeva usare le mani e probabilmente non avrebbe avuto la forza in quel momento, di conseguenza l’unica cosa che riuscì a fare fu incassare i calci che vennero dopo chiudendosi a riccio, cercando di non dargli il piacere di ascoltare i suoi lamenti e i gemiti di dolore e provando nel mentre ad intercettare il suo polpaccio per avere una minima possibilità di farlo cadere a terra e avere il tempo di rialzarsi, possibilità che però non riuscì a cogliere.
Ad un certo punto i colpi cessarono.
- Lascialo stare o il prossimo ti colpirà in testa – Nico aprì gli occhi solo per guardare Reyna ferma a pochi metri da loro che tirava in aria un sasso per poi riprenderlo.
Andrew fece per rispondere ma l’espressione omicida della ragazza gli fece cambiare idea. Si massaggiò una spalla e poi fece cenno ai suoi di andare, per poi scappare, superando la portoricana che si sbrigò a correre da Nico.
- Come ti senti? – Reyna era una delle sue poche amiche, una delle poche che volva veramente che stesse bene. Il moro non era il solito ragazzino strano dei film che veniva preso di mira da tutti, anzi, gli studenti tenevano ad ignorarlo e basta, il suo unico problema erano quei quattro idioti.
Nico strinse i denti, anche quello gli causava un enorme male al viso.
- Mi hanno picchiato perché sono gay... – sussurrò talmente piano che non fu sicuro che Reyna l’avesse capito.
La ragazza abbassò lo sguardo per poi accarezzargli una spalla e poi i capelli, cercando di sistemarglieli sulle tempie.
- Non sono più offese verbali, queste sono percosse, devi parlarne con qualcuno, tuo padre non potrebbe chiedere un appuntamento con il preside? – propose lei.
- A mio padre non frega un cazzo di me, Hazel e Bianca non possono fare nulla e Persefone è inutile – stava di nuovo tremando dalla rabbia e sentì gli occhi diventare lucidi.
Reyna fece per dire altro ma Nico si alzò.
- Grazie, ci vediamo domani – corse via, noncurante dei muscoli che dolevano ad ogni minimo movimento, facendogli sentire come se almeno una dozzina di coltelli lo stessero trapassando da parte a parte.
Da quando la voce sulla sua omosessualità aveva cominciato a girare non aveva avuto un attimo di pace, le ragazze parlavano additandolo per i corridoi, i ragazzi lo evitavano (più del solito si intende), come se avesse una brutta malattia contagiosa, sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo prima che quegli idioti passassero dalle parole alle mani.
Smise si correre solo quando fu alla fermata del bus. Si appoggiò ad un palo del telefono per riprendere fiato mentre due vecchiette lo guardavano sconcertate, probabilmente a causa dei lividi.
Si sbrigò a calarsi nuovamente il cappuccio sugli occhi e a cacciare di tasca il telefono che si era leggermente scheggiato durante la caduta in mezzo al campo.
Trovò un messaggio e gli viene spontaneo sorridere nonostante avesse nel contempo una grande voglia di piangere per la frustrazione.
Era Will, un ragazzo che gli aveva scritto quella estate per la prima volta.
Jason e Reyna erano i suoi migliori amici, ma con Will era diverso, gli diceva veramente tutto. Era stato lui a proporgli di dire ai suoi amici del suo piccolo segreto. Lui l’aveva fatto dopo giorni d’indecisione e loro avevano sorriso e nel caso di Reyna gli arrivò anche un pugno sulla spalla per non aver parlato prima.
 
Will:
Come va oggi? :)
 
Nico:
Non molto bene.
 
Gli diceva proprio tutto, compreso il suo stato d’animo, cosa che non faceva mai
Will rispose quasi immediatamente.
 
Will:
Dimmi quando posso chiamarti, così mi racconti.
 
Nico:
Fra quaranta minuti?
 
Will:
Ci sentiamo dopo
 
Nico salì in autobus e per tutto il tragitto guardò fuori dal finestrino la strada che scorreva veloce.
Il sole stava cominciando a tramontare quando arrivò a casa.
Schivò suo padre non rivolgendogli la parola. Bianca e Hazel non erano ancora a casa, una perché aveva delle ripetizioni e l’altra perché era con il suo ragazzo da qualche parte, ma con Persefone non ci fu nulla da fare.
- Nico, che cosa ti è successo? – era una donna giovane e molto bella che aveva sempre cercato di farsi accettare dai figli del suo compagno, a volte risultando persino invadente.
Gli incorniciò il viso tra le mani sottili attenta a non fargli male.
- Nulla, non preoccuparti – disse lui sospirando.
- Chi ti ha ridotto così? – insistette lei accarezzandogli i capelli.
Nico si sentiva una persona orribile, ma ogni volta che lei provava a avere dei contati con lui di quel genere, Nico finiva per pensare che lei non era sua madre e che non aveva nessun diritto di comportarsi come tale.
Scosse la testa scacciando via quel pensiero.
- Nessuno -.
Persefone fece per parlare ma Nico era già scappato in camera con gli occhi che pizzicavano nuovamente. La donna ebbe il buon senso di non seguirlo e di lasciargli i suoi spazi e lui aspettò i cinque minuti che lo separavano dal sentire la voce di Will.
Quel ragazzo era più importate di quanto volesse ammettere, il solo sentire la sua voce gli sollevava un minimo l’umore.
L’aveva visto solo in foto, ma avrebbe davvero tanto voluto averlo lì con sé.
Il display del cellulare si illuminò e lui accettò velocemente la chiamata.
- Nico, cosa succede? – la preoccupazione dell’altro gli arrivò malcelata alle orecchie.
Non sapeva da dove cominciare. Aprì più volte la bocca per parlare ma non ne uscì nulla.
 
Era appena uscita dalle ripetizioni d’inglese quando sentì il telefono vibrare nella tasca dei jeans.
Lo prese e guardò il nome sul display: Reyna. Era tutta la sera che provava a chiamarla.
Accettò la chiamata incastrando il telefono tra spalla e guancia.
- Reyna, cosa succede? Ero a ripetizioni – chiese sistemando i libri dentro la tracolla.
- Bianca, riguarda tuo fratello... – il cuore della ragazza saltò un battito.
- Che cosa ha fatto? Sta bene? – Nico quei giorni sembrava sempre triste e non voleva che avesse compiuto qualche sciocchezza. Da quando loro madre era morta sentiva di non potersi più fidare di nessuno se non di suo fratello.
- Non sta bene, alcuni coglioni hanno scoperto che è gay e... l’hanno picchiato oggi, ma ti prego di non uscire di testa cominciando a bombardarlo di messaggi e attenzioni, non ne ha bisogno -.
- Mi stai dicendo di calmarmi quando mio fratello è stato malmenato? – Bianca quasi cominciò a strillare non curandosi del fatto che fosse in una strada affollata e che le persone avessero appena cominciato ad uscire dalle fabbriche per tornare a casa per cena.
- Senti, sono furiosa quasi quanto te, ma in questo momento ha bisogno di un po’ di felicità e io sento di non conoscerlo abbastanza bene per capire che cosa potrebbe farlo stare meglio, quindi ti supplico: fai uno sforzo, calmati e dimmi se ti viene in mente qualcosa – Bianca era in uno stato di agitazione violenta; lei era stata tutta la giornata tra amici, lezioni in cui non aveva fatto nulla e il tutor di inglese che non era nemmeno malaccio, mentre Nico veniva picchiato per il semplice fatto di essere diverso dagli altri.
Poggiò una mano sulla fronte concentrandosi.
- Non lo vedo sorridere da così tanto e me ne sono accorta solo ora – si disse mortificata.
- Bianca, non è colpa tua -.
- Uff... parla con una persona ultimamente, mi pare di averlo sentito al telefono un paio di giorni fa, credo che abbia riso... Will, mi pare che si chiami così, ma non ne sono sicura – disse lei passandosi le dita pallide sul viso non preoccupandosi del trucco che avrebbe potuto, in quel modo, macchiarle le guance di nero.
- Devi cercare di capire chi è – disse Reyna subito.
- E come? -.
- Non lo so ma inventati qualcosa, abbiamo bisogno che Nico stia meglio e se questo Will riesce a farlo stare bene sono disposta a pagargli vitto e alloggio per quanto sarà necessario – Bianca era davvero felice che Nico potesse vantare l’amicizia di quella ragazza.
- Va bene, quando riesco ti mando un messaggio – disse.
- Okay, poi vedremo che cosa fare –.
- Ci sentiamo – e chiuse la chiamata.
Poggiò una mano sul petto tirando un respiro profondo.
Appena entrata in casa salutò formalmente suo padre, ricambiò il sorriso di Persefone e scapigliò i capelli di Hazel che se ne stava seduta sul divano davanti alla televisione, prima di salire al piano superiore.
Bussò alla porta di Nico  e quando il fratello le diede il consenso di entrare lei si fece avanti piano lasciando la porta socchiusa.
La stanza era buia, come al solito e Nico se ne stava nascosto dietro ad un libro leggendo con il sussidio di una piccola torcia, aveva sempre adorato farlo, sin da quando aveva cominciato a studiare le lettere.
 - Ehi, stai bene? – gli chiese accarezzandogli il viso solo per vederlo ritirarsi dal suo tocco come se fosse stato scottato.
- Alla grande – rispose con quello che probabilmente era sarcasmo.
Gli occhi di Bianca si posarono sul cellulare del fratello.
Non doveva uscire di testa e dargli i suoi spazi, ma la tentazione di afferrare il telefono e scappare in camera sua per cercare il numero di quel famoso Will, era forte.
- Se hai bisogno di qualcosa dimmelo – disse prima di uscire e lascialo ai suoi pensieri.
 
- Perché io? – chiese Hazel con gli occhioni dorati sgranati.
Bianca le aveva appena chiesto di sottrarre il cellulare a suo fratello e consegnarglielo e giustamente Hazel si stava ponendo delle domande su tutta quella faccenda.
- Perché devo sapere una cosa importate, se glielo rubassi io mi ammazzerebbe senza esitazioni, a te non farà nulla – Hazel non era molto convinta e nemmeno Bianca a dirla tutta, ma non sapeva come altro fare: essendo la sorella maggiore Nico tendeva ad attaccarla e talvolta le loro discussioni si trasformavano in incontri di lotta libera in cui era concesso qualsiasi colpo, mentre con Hazel, più piccola e dall’aria tanto gracile, c’erano solo abbracci e tanto affetto.
- Ma perché non glielo chiedi e basta? -.
- Haz, ti prego – Bianca contò sulla sua ultima arma: la pena che facevano i suoi occhioni scuri e la flebile resistenza di Hazel agli stessi.
- Se muoio non ti voglio al mio funerale – disse la ragazza.
Hazel entrò in punta di piedi della stanza del fratello che stava dormendo beatamente nel suo letto.
Le faceva strano vedere lo zigomo violaceo e il labbro spaccato, ma cercò di non farci caso e afferrare il telefono che sostava sul comodino, messo a caricare.
Lo staccò dal filo e poi con passo felpato uscì dalla stanza appoggiando la porta.
Consegnò l’oggetto a Bianca e lei prese subito a smanettarci, sapeva la password di Nico, come sapeva qualsiasi cosa di lui, come ogni buona sorella attenta e soprattutto ficcanaso.
- Puoi andare – disse mentre si scriveva il numero, notando che Hazel continuava a sbirciare curiosa lo schermo.
- Mi hai tirata dentro ormai -.
 
Era pomeriggio inoltrato quando Will ricevette una chiamata da un numero sconosciuto.
- Pronto? – chiese.
- Will Solace? – era una voce femminile, molto dolce e armoniosa con un accento parecchio famigliare.
- Sì, sono io, con chi parlo? -.
 - Bianca di Angelo, la sorella maggiore di Nico – Will per un attimo sentì l’ansia avere un picco.
Nico gli aveva parlato del suo stare male, aveva pianto anche al telefono dicendogli che voleva che non fossero così distanti. Che la sorella l’avesse chiamato per dirgli di stargli lontano in quanto non faceva altro che aggiungere dolore a quello che già il più piccolo doveva sopportare?
- E’...è successo qualcosa? -.
- Credo che tu sia al corrente del fatto che Nico non sta bene ultimamente e sembra che l’unico che sia stato capace di farlo stare un po’ meglio sia stato tu, quindi volevo proporti una cosetta – disse Bianca.
- Del tipo? -.
- Questa sera ti compro un biglietto per New York e fra una settimana, il giorno del compleanno di Nico, tu ti presenterai urlando qualcosa come “sorpresa!” – disse lei. Più che una richiesta quello sembrava un ordine, aveva gli stessi modi del fratello.
- Aspetta, non è una cosa facile, bisogna organizzarsi, dove andrei a dormire, scusa? E Poi non ho i soldi necessari per un volo Santa Cruz – New York – disse lui.
- Ma sei sordo? Il biglietto lo prendo io, non mi devi dare nulla, è come se fossi un regalo, so che non è molto raffinato sputartelo in faccia così, ma credo che sia la cosa giusta, per quanto riguarda l’alloggio non preoccuparti, c’è un amico di Nico che ha dato la disponibilità ad accoglierti per un paio di giorni dopo che gli ho spiegato le circostanze, è un bravo ragazzo, te lo giuro -.
- Come dovrei fare con la scuola? -.
- La salti, Nico qua non vive più, ti prego – era così accorata che Will sentì la pena stringergli il cuore; stava solo cercando di far star bene il suo fratellino. Era una cosa carina, nonostante gli avesse appena dato del regalo di compleanno.
- Okay, verrò, credo che mio padre non avrà nulla da ridire quando gli spiegherò la situazione -.
 
- Reyna, te l’ho detto non voglio feste! – esclamò Nico dopo che la sua amica lo ebbe caricato in macchina di peso e allacciato la cintura come avrebbe fatto una mamma premurosa, probabilmente quello era stato lo stesso trattamento che era toccato a Jason seduto al suo fianco.
Reyna si mise alla guida.
- Levati quel broncio di Angelo, sei molto meno carino – disse fissandolo nello specchietto retrovisore prima di partire in quarta.
Nico non capì quale idea malata avesse spinto Jason a lasciar guidare Reyna.
- Reyna Dio! Hai superato tre semafori rossi! – urlò Jason.
- Non sei autorizzato a lamentarti, ce l’hai messa tu lì! – disse Nico aggrappato al sedile come se da quello dipendesse la sua stessa vita, e molto probabilmente era così. Reyna era spericolata alla guida e non guardava in faccia nessuno, ma quello era esagerato persino per i suoi standard. Sembrava quasi che la loro fosse una corsa disperata contro il tempo.
- Fratello, mi ha rapito -.
Quando Reyna si fermò nel parcheggio davanti alla pizzeria Nico cominciò a ringraziare un dio in cui non credeva e Jason sembrò sciogliersi sul sedile.
- Di che vi lamentate non ho preso nessun idrante stavolta – disse lei scendendo e aprendo le portiere ad entrambi.
Reyna non era una ragazza allegra di natura, anzi di solito aveva una gioia paragonabile  a quella dell’italiano, ma quel giorno era talmente felice da riuscire dare a Nico l’impressione che sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro.
Entrati nella pizzeria Nico trovò ad un tavolo seduti: le sue sorelle, Percy Jackson, Frank Zhang, Leo Valdez, Piper McLean e Annabeth Chase.
- Ehi, Neeks, vieni a sederti, sono già passati due volte a chiederci di ordinare! – lo invitò Percy con un sorriso.
Nico venne fatto sedere a forza a capotavola e Hazel gli infilò un capellino a punta viola in testa.
Non voleva festeggiare l’aveva esplicitamente detto sia alla minore che alla maggiore, ma se erano brave a fare una cosa quelle due, era ignorare le richieste del fratello.
Era stato picchiato una settimana prima e si era sorbito i litigi tra Persefone e suo padre in quanto lei diceva che era il caso di parlare con il preside e far rimanere il moro a casa per riprendersi mentre Ade voleva che il figlio combattesse le proprie battaglie e disse che non sarebbe andato da nessuna parte se ci fosse stato sempre lui ad aiutarlo per una qualsiasi minima cosa.
E quella discussione aveva fatto scattare anche quella tra Ade e Bianca in quanto la sorella aveva espresso tutto lo schifo che gli faceva il proprio padre che non voleva aiutare il suo unico figlio maschio nemmeno per una cosa seria come quella, venendo appoggiata in pieno da Persefone.
E tutto quello durante la cena. Era stato un dibattito talmente accesso che Hazel aveva sussurrato quella che forse era una preghiera, stringendo il ciondolo a forma di croce che aveva al collo.
- Siete pronti? – chiese il cameriere.
Tutti cominciarono ad ordinare la propria pizza.
- E il festeggiato? E’ a dieta? – chiese il cameriere con un sorriso.
Nico si rese conto che mancava solo lui e che tutti i suoi amici lo stavano fissando con sorrisi di incoraggiamento. Era irritante, persino Jason e Reyna che sapevano quanto odiasse il compatimento degli altri avevano quello sguardo rattristato che si mette su quando si guarda un caso senza speranza.
- Io... -.
- Lui la prende margherita con wurstel e patatine, niente salse – Nico si voltò così velocemente da far scrocchiare le vertebre del collo con un macabro crack.
Proprio dietro di lui se ne stava Will con quel suo sorriso bianchissimo e in quel momento decisamente imbarazzato, la pelle abbronzata da surfista californiano, e un fiocco da pacchetto regalo in testa tra i riccioli biondi.
Nico si voltò verso la parte di tavolo occupata da Jason, Reyna, Bianca e Hazel che sorrisero complici.
- Sorpresa! – esclamarono tutti in coro
Strinse il bordo della tavolata fino a sbiancarsi le nocche, si stava mordendo le labbra, non poteva essere veramente lui.
- Ehi, Neeks, tutto okay? Ho sbagliato l’ordine? – lo prese in giro Will chinandosi alla sua altezza.
Nico gli spinse via la faccia facendolo ridere.
- Perché non uscite un secondo? – propose Hazel.
In qualche modo Nico si ritrovò all’aperto con lui, sotto un cielo stellato con il vento che soffiava gentilmente ma in maniera gelida.
- Sei veramente qui? – chiese Nico in un balbettio. Non riusciva a crederci, aveva passato notti ad immaginarsi quel momento, ma non la sensazione che portava: sentiva le famose farfalle nello stomaco e la bocca secca, per non parlare del cuore che stava scalpitando, quasi a volergli lasciare il petto per andarsene altrove.
Will gli prese una mano poggiandosela sulla guancia calda.
- Che dici? -.
Nico lo abbracciò di slancio affondandogli la faccia nell’incavo del collo, era così felice che scoppiò a piangere tra veri e propri singulti, quasi senza riprendere fiato.
- Scusa, sto rovinando tutto...è che... sono così sollevato... – e la sua voce venne soffocata nuovamente da altri singhiozzi mentre si passava compulsivamente le maniche della felpa di almeno due taglie più grandi sugli occhi.
- Non preoccuparti, è perfetto – disse Will tranquillamente tirandolo di nuovo a se passandogli una mano tra i capelli scuri. – Sei molto fortunato, le tue sorelle e i tuoi amici ti amano molto -.
- Lo so – disse Nico quando riuscì a non far tremare la voce. – Ti sei fatto cinque ore e mezza di volo solo per vedermi? -.
- Cinque ore e dodici minuti – lo corresse continuando a stringerlo a sé.
Nico poggiò la guancia sul suo petto ascoltando il battito irregolare del suo cuore, anche se non lo dava a vedere anche lui era molto agitato.
-Le tue sorelle il regalo te l’hanno fatto – disse staccandosi il fiocco dai capelli facendo sorridere Nico con ancora le guance rigate di lacrime. – Vuoi il mio ora? -.
- Mi hai anche fatto un regalo? – chiese Nico. – Qualcosa meglio di tutta questa situazione? -.
- Non lo so, chiudi gli occhi – disse in maniera giocosa Will.
Nico fece come gli venne chiesto aspettando che l’altro gli desse il permesso di guardare.
Quando sentì le labbra di Will sulle sue però spalancò le palpebre di scatto.
Ci fu un secondo di esitazione e timore ma poi ricambiò il bacio decidendo che dopo quella settimana quella felicità se la meritava.
Strinse le braccia intorno al collo del ragazzo mentre lui si abbassava leggermente sulle proprie ginocchia.
 
- Levati dalle palle – disse Bianca con decisamente poca grazia spingendo via Percy che si era messo tra lei e la visuale.
I clienti li stavano guardando tutti male in quanto si erano accalcati dietro l’angolo della vetrina per ammirare la scena tra i due, persino quelli meno propensi ad intenerirsi lasciarono andare un sospiro.
- Leo, ti devi togliere – e anche Leo finì a terra per mano di Piper.
- Cavolo quanto sono carini! – disse Hazel coprendosi la bocca con le mani per poi stritolare Frank lasciandogli un bacio sulla guancia per avere il piacere di osservarlo avvampare imbarazzato.
- Non capisco il labiale, ma non si sono appena detti “ti amo”? – chiese Jason che là in mezzo sembrava quello più contento dell’evoluzione ultima degli eventi.
- Jason, ti scoppieranno le ovaie, calmati – lo prese in giro Piper afferrandolo per le spalle.
- Se ne stanno andando? – chiese Leo confuso ancora steso a terra, probabilmente anche lì aveva trovato una buona visibilità.
- Dio, non credo di essere pronta a lasciarlo andare via così – disse Bianca pensierosa mordendosi l’unghia del pollice.
- Davvero? – chiese Reyna alzando un sopracciglio.
- Certo che no, so già cosa indossare al loro matrimonio – commentò la maggiore dei di Angelo ritornando al tavolo.
 
   
 
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