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Autore: Eneri_Mess    09/04/2020    2 recensioni
Trafalgar Law cadde di faccia sul letto e non si rialzò fino alla sveglia della mattina seguente.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Lamette
Fandom: One Piece
Richiesta da: Yellow Canadair
Numero parole: 954
Rating: SAFE
Note: Modern!AU con accenni alla situazione attuale in real life. 


Stay strong



 

Trafalgar Law cadde di faccia sul letto e non si rialzò fino alla sveglia della mattina seguente. 

La sveglia arrivò anche troppo presto, alle sei, e il ragazzo la soffocò sotto al cuscino, nel tentativo maldestro di fingere che non esistesse. Ma dopo la suoneria, tenuta bassa perché era un suono così fastidioso che bastava la prima mezza nota a svegliarlo, attaccò anche la vibrazione e Law non poté continuare a ignorarla. 

Per un lungo minuto considerò di arrendersi. 

C’erano muscoli del suo corpo che imploravano pietà per la stanchezza, zone del suo cervello che forzavano il black out, e in generale il suo spirito si stava piegando alle ore, ai minuti sfibranti di ogni interminabile giornata - o turno, visto come avesse perso la cognizione del tempo e potevano essere le tre di giorno o di notte indistintamente. 

Si alzò lo stesso, con un gemito molto umano e incespicando nei propri piedi, sbandando al buio contro la porta per andare in bagno. Questo gli servì a svegliarsi. Per quanto fosse solo, in un appartamento che ormai viveva solo col pensiero, ricacciò in gola quella debolezza, seppellendola da qualche parte. La doccia fredda lo aiutò a riprendere i contatti con la realtà e svegliarlo dal torpore. 

La parte davvero disastrosa di quella situazione era il cibo. 

Stava mangiando poco e da schifo, a orari variabili e mai fissi. Il suo frigorifero era pressoché vuoto, e gli alimenti che rientravano in quel “pressoché” erano o in scadenza o scaduti. 

La vera tragedia era il barattolo del caffè. Tre dita scarse di polvere e poi il fondo. Il concetto di spesa si era alienato dal cervello di Law e il solo concepirlo gli faceva anche più male dei muscoli tesi. Si sforzò di non pensarci e si dedicò a farsi un lungo caffè. Aveva giusto altri venti minuti prima di doversi preparare e uscire. 

Ci mancò poco che si strozzasse con il primo sorso quando sentì un fracasso provenire dal balcone. Qualcosa aveva colpito la tapparella abbassata senza alcun preavviso. 

Mollando la sacra tazza di caffè sul tavolo della cucina, Law si precipitò alla porta finestra, tirando su la serranda con un tiro netto. 

La prima cosa che vide, e che aveva fatto quel casino, fu uno scarpone. Un enorme anfibio nero logoro che sembrava avere su per giù dieci anni. La seconda cosa che entrò nel suo campo visivo tirando su lo sguardo, furono invece i suoi due vicini dirimpettai. 

Kidd se ne stava ritto con le braccia incrociate, il sorriso strafottente marchio di fabbrica, i capelli tirati su con una fascia che sembrava essere stata trovata al buio per i motivi sgargianti anni ‘80. Di fianco a lui, il suo coinquilino e amico da sempre, Killer, dava l’idea di essere super imbarazzato e intento a chiedere scusa. 

Law uscì sul balcone prendendo il pesante scarpone in mano e guardando i due come solo un medico che aveva barattato ore di sonno e di vita per turni senza fine poteva guardare un cretino (Kidd, perché era sicuramente una sua idea) fiero della propria impresa. Uno sguardo, quello di Law, col più limpido istinto omicida a memoria di uomo. 

«Ehi, Trafalgar!» gridò Kidd dall’altro lato della strada, come se non fosse già stato notato e non fossero appena le sette del mattino. «Ti abbiamo fatto un regalo! Magari ti tira un po’ su che hai la stessa cera di quel vecchio anfibio!» 

Lo stesso vecchio anfibio che Law stava per rilanciargli mirando alla faccia, ma Killer gli gesticolò qualcosa che pure i neuroni arrivati del moro riuscirono a interpretare con un “guarda dentro”.

Law spostò l’attenzione sullo stivale in pelle, squadrandolo senza capire, complice la stanchezza. Finì col rovesciare l’anfibio e della roba si mosse al suo interno, cadendo sulle piastrelle del balcone. In ordine: un sacchetto alimentare con quelli che sembravano dei pancake, un pacco di caffè nuovo e una confezione di lamette. 

«Non c’è bisogno che ringrazi!» urlò di nuovo Kidd, ridendosela tronfio, anche se finalmente qualcuno dei vicini lo prese a parolacce, intimandogli di abbassare il tono. Minacce a cui il “Capitano” del quartiere non prestò il minimo interesse, continuando. «Vai a fare una colazione decente! I pancake di Killer sono la cosa migliore che potrai mangiare da qui alla fine della quarantena!» assicurò, battendo una manona sulle spalle del coinquilino. «E caffeinomane come sei, sicuro sarai agli sgoccioli con le dosi, vero? Fatti anche la barba o non ti scoperò più quando tutto ‘sto casino sarà finito!» 

Se qualcuno del vicinato aveva ancora dubbi sulla loro relazione, alle sette del mattino di quel giorno qualsiasi di Aprile del 2020, Kidd fugò qualsiasi dubbio. 

Ma Law era troppo stanco; tenere a bada le emozioni, con una soglia dell’attenzione messa a dura prova dalla situazione corrente, rischiava di inficiare il suo autocontrollo e dare sfogo a quella parte di lui che avrebbe dato il più grande tesoro del mondo in quel preciso momento, pur di poter avere una sola notte con quello stronzo pomposo del proprio ragazzo. Era più di un mese che l’unica interazione che avevano era quella di prendersi a parolacce dal balcone, e a volte, causa turni infiniti di Law in ospedale, neanche quello. 

«Che c’è medicastro, ti sei commosso!?» rise Kidd, con lo stesso tono canzonatorio, ma un sorriso più morbido, di qualcuno contento di aver fatto centro. 

Trafalgar raccolse le varie cose e si girò per rientrare in casa, ma non prima di aver alzato un dito medio verso l’altro ragazzo. 

«Buona giornata, Eustass-ya» salutò, abbastanza forte da farsi sentire. «Non segarti troppo pensando a me. Grazie dei pancake.»

«Ohi stronzo, aspetta! Ridammi l’anfibio!»

«Tanto non puoi uscire, non ti serve.»

   
 
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