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Autore: Danny Fan    10/04/2020    0 recensioni
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]Una pazza scommessa, un viaggio intorno al mondo, un incontro voluto dal destino. Una storia d'amore senza tempo, fra i rintocchi dell'orologio e il tè dell'India coloniale.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mar Cinese Orientale, 7 - 11 – novembre 1872.
 
Quando Passepartout fu uscito, il signor Fogg riprese la giacca per congedarsi da lei.
<< Io... >>, disse Aouda, imbarazzata nel catturare nuovamente tutta l’attenzione del gentleman, << Vi ringrazio. Davvero, non so come riuscirò un giorno a sdebitarmi, signor Fogg... >>.
<< Non pensate a questo >>, disse lui, << Ora, se mi concedete il tempo per curare la mia persona, potremmo andare in centro e cercare tutto l’occorrente che vi permetta di affrontare un viaggio così lungo in piena comodità. Avrete certamente bisogno di altri vestiti e dell’occorrente di cui necessita una signora... >>.
Aouda arrossì, << Siete troppo generoso >>.
<< Si tratta solo di buonsenso >>, liquidò Fogg, salutandola poi con garbo.
Aouda si appoggiò allo schienale della poltrona. Il suo animo era preparato a tutt’altro, ed eccola invece a poter godere ancora della compagnia e del sostegno del signor Fogg.
È un angelo. È un angelo che mi ha inviato il cielo. Come può altrimenti un uomo essere così gentile, di buon cuore e ben disposto nei confronti di una donna che ha conosciuto solo pochi giorni prima? Una generosità ancor più onesta, perchè non guidata da doppi fini.
Altri si sarebbero accontentati, e forse vantati in giro, di averla salvata, disinteressandosi poi alla sua sorte una volta portatala addirittura fuori dall’India, al sicuro. Ma no, per il signor Fogg non era abbastanza. Voleva che anche il suo avvenire fosse assicurato nella maniera più consona. Voleva saperla non solo viva, non solo al sicuro, ma anche.... felice. E questo, più di tutto, faceva battere il cuore di Aouda di immensa gratitudine. Tanta che la stessa parola cominciò a sembrarle piccola e insignificante. Non aveva mai incontrato, nè probabilmente avrebbe più conosciuto, una persona eccezionale come Phileas Fogg, ne era sicura.
 
 
Fu così che, circa un’ora dopo, si ritrovarono nel corridoio che separava i loro appartamenti, e scesero assieme diretti ai negozi del centro.
Hong Kong era una grande città inglese, ricca di mercanti e perciò, di mercanzie di ogni genere e ogni prezzo.
Il signor Fogg la aiutò a salire in palanchino, e Aouda sorrise in ringraziamento, sforzandosi di ignorare la strana sensazione di calore che le saliva dal collo come una febbre. Finse anche di non essersi resa conto che si trattava di una reazione data dalla vicinanza del compagno di viaggio, perchè l’idea la straniva. Si concesse però comunque di ammirarlo, mentre egli sedeva al suo fianco nel mezzo di trasporto dopo aver ben pagato i portatori. Dopotutto, non avrebbe potuto farne a meno, tanto piacevoli erano il suo aspetto e la sua silenziosa compagnia. Aouda si accorse che aveva anch’egli fatto il bagno prima di uscire; le era capitato di notarlo anche molto spesso durante il viaggio in piroscafo, e allora si era un po’ meravigliata, viste le correnti d’aria che spesso circolavano nei battelli, esposti ai venti marini. Il signor Fogg doveva essere di tempra molto robusta, e Aouda credeva di averlo ormai accertato guardandolo ogni tanto di sfuggita e col necessario pudore, da non temere le infreddature che potevano derivare dall’immergersi completamente in acqua così di frequente.
Il profumo neutro di un sapone casereccio le solleticò appena le narici, assieme a quello già  familiare della sua acqua di colonia. Si era anche rasato alla perfezione, sebbene la barba bionda, di due giorni al massimo, fosse quasi invisibile tanto era stata rada, quel mattino allo sbarco. A Bombay, poco prima che suo padre morisse, Aouda aveva avuto modo di incontrare gentleman con barba e baffi davvero molto, molto strani. Quelli del signor Fogg, invece, dello stesso bel biondo corposo dei capelli, erano sobri, dritti, non troppo folti. L’esuberanza, pensò divertita Aouda, davvero non si addiceva al carattere del suo compagno di viaggio.
Impiegarono un paio d’ore per fare gli acquisti, per i più discreti dei quali, il signor Fogg rimase appena fuori dalla porta del negozio, pagando in anticipo il rivenditore. Aouda comperò così due cinture igieniche, che le avrebbero consentito una maggiore comodità e capacità di movimento durante i suoi giorni particolari. Non aveva purtroppo potuto godere di un tale lusso durante la sua fuga dopo la morte del Raja, altrimenti sarebbe riuscita di sicuro a nascondersi meglio. Sospirò; quello era il passato. Nel presente, viaggiava col signor Fogg, che le offriva tutte quelle comodità senza tornaconti. Aouda cercò comunque di contenersi, in tutti i negozi che visitarono. Le riusciva naturale, anzi. La imbarazzava approfittare troppo di quella generosità, e capitò molte volte che, nella scelta fra due capi, per esempio, scegliesse quello meno opulento, o il tessuto meno costoso, che tuttavia era più che sufficiente ai suoi bisogni. Fogg però lo notò, e alla sua terza o quarta esitazione fra due abiti, entrambi stupendi, le disse, << Signora, scegliete quello che vi piace di più >>, sottintendendo di non fare complimenti o badare alle spese.
<< Io... Non vorrei approfittare troppo... >>.
<< Non voglio che siate scontenta di qualcosa durante il viaggio, perciò prendete quello che preferite >>.
<< La vostra compiacenza mi confonde >>.
<< Tutto ciò è nel mio stesso interesse >>, rispose il signor Fogg, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi, e raddrizzando un po’ la schiena, << Rientra nel mio programma >>, terminò.
Aouda pensò che quella giustificazione suonasse come una scusa bella e buona, ma lasciò correre.
In un emporio elegante, anch’egli fece delle compere per sè. Oltre a calze e camicie nuove, comperò un nuovo cappello, un cilindro nero in raso lucido, che esaminò per pochi secondi fra le mani prima di posarlo sul banco del negoziante.
Aouda ricordò che Passepartout le aveva raccontato che, durante la fuga nella giungla, subito dopo averla salvata, le guardie della pagoda avevano esploso qualche colpo, uno dei quali aveva forato il cappello preferito del signor Fogg... mentre lo calzava!
Ebbe un brivido gelido nel rifletterci sopra; Phileas Fogg si era quasi fatto ammazzare per lei, per salvarle la vita. A vederlo in quel momento, così rilassato e più flemmatico che mai, Aouda non potè quasi credere che egli celasse un animo così avventuroso, o... sconsiderato. D’altra parte, però, egli stesso le aveva confessato una natura “spericolata” piuttosto nascosta. Si chiese quanti altri doni egli celasse, nonostante quelli che già conosceva fossero più che sufficienti per giudicare un uomo come altamente virtuoso.
Gli acquisti furono agilmente trasportati da un ragazzino sul palanchino e fino all’albergo.
Non avevano comperato molte cose, giusto quelle necessarie, perchè trasportare troppi bagagli non sarebbe stato utile alla rapidità che si esigeva dal viaggio del signor Fogg. Aouda lo mise subito in chiaro, ancor prima di visitare il primo negozio, e anche se il gentleman le aveva risposto di non preoccuparsi e di comperare tutto quello che pensava le servisse, Aouda si limitò ad altri due vestiti, un altro set di bianchieria intima, gli accessori femminili, una spazzola, del sapone, e un paio di scarpe molto comode. Il signor Fogg la pregò di comprarsi delle ulteriori pellicce e un altro scialle di lana, perchè negli Stati dell’Unione avrebbero senza dubbio trovato la neve, ed era meglio fronteggiarla con ogni mezzo possibile. Aouda vide e comprò anche una chamise in flanella morbidissima e calda, a tal proposito.
Dopo cena, rimase per alcuni minuti a fissare il piatto vuoto.
Era stata una giornata faticosa, soprattutto dal punto i vista emotivo. E l’ansia dei giorni passati si faceva sentire tutta assieme, cedendo finalmente il posto ad una rilassatezza calda e rassicurante.
<< Sembrate stanca >>, osservò Phileas Fogg, in tono discreto.
<< Un pochino >>, gli rispose Aouda, << Anzi, se volete scusarmi, credo che mi ritirerò per riposare. Voglio essere in forze per la partenza di domani >>.
L’inglese annuì, << Riposate bene e a cuor leggero >>.
Aouda gli sorrise, << Lo farò. Vi ringrazio per oggi, signor Fogg >>, e gli porse la mano.
Imperturbabile, il signor Fogg la prese e la scosse gentilmente, << Buonanotte, signora >>.
Arrossendo, Aouda si volse il più velocemente possibile e salì a passo apparentemente calmo, fino al suo appartamento.
 
 
Phileas rimase nel salone del Club’s Hotel fino al calar della sera, impegnandosi nella lettura del Times e dell’Illustrated London News.
Assorbito dagli aggiornamenti sulle vicende che capitavano in patria, riuscì ad evadere, ma non appena ripiegò e ripose l’ultimo quotidiano, la sensazione di caldo formicolio tornò a farsi sentire, così come il vividissimo ricordo della piccola mano che aveva stretto la sua.
Aouda aveva voluto salutarlo “all’inglese”. Con un saluto che denota una certa confidenza, peraltro. Un saluto fra amici, molto più comune fra due uomini che fra un uomo e una donna. Phileas si era reso conto che Aouda cercava sempre modi diversi per ringraziarlo, e che spesso si trovava in imbarazzo nel sentire il bisogno di farlo e non avere più parole per esprimersi, per non risultare ripetitiva e noiosa. Bisogno che lui considerava innecessario, ma che riflettendo su come era stata trattata quella creatura da quando il padre era venuto a mancare, era facilmente comprensibile e giustificabile, poichè rivolto alla prima persona che le manifestava un po’ dell’attenzione dovuta.
Di certo però, non era un’approfittatrice. Al contrario, era una donna squisita.
Il suo garbo, la sua modestia, l’onesta riconoscenza che leggeva ogni volta sul suo viso delicato e armonioso erano spesso travolgenti, e Phileas si rendeva conto di far sempre più fatica a mantenere i nervi saldi, quando erano insieme. Il non sapere come reagire davanti alle strambe emozioni che si ritrovava a sperimentare, lo rendeva nervoso. Non più altero come agli esordi, perchè non riusciva più ormai a mettere quel distacco fra sè e la donna, non dopo le lunghe ore passate assieme ad ascoltarla o a passeggiare con lei. C’era oramai una naturale propensione in lui, come se lei lo “addolcisse”, in un certo senso. Ovviamente, Phileas non stava facendo nulla per modificare il suo modo di fare normale. E che ragione c’era per farlo? Subire il fascino di una donna giovane e bella come Aouda era naturale, ed egli era sicuro che tempo qualche giorno, quell’euforia gli sarebbe passata. Avrebbe smesso di concentrarsi su ogni piccolo gesto di lei, di immaginarsela con uno di quei begli abiti europei addosso, di attendere i suoi sorrisi, di provare quella strana stretta allo stomaco quando ripensava a quei bruti che volevano toglierle la vita in modo così barbaro e insensato, di preoccuparsi di ogni più piccola cosa che la riguardasse. A volte riusciva a discernere le emozioni che quei pensieri o lo starle accanto gli davano. A volte erano troppo brusche e mescolate assieme da confonderlo. La sua mente subito elaborava razionalmente quegli stati d’animo. Per esempio la rabbia verso gli indù del satti, ancora latente, che lo prendeva ogni volta che qualche cosa banale gli ricordava l’accaduto, come quel pomeriggio mentre comperava il cappello, se la spiegava un po’ con l’orgoglio inglese e un po’ con l’istinto che ogni persona dotata di un pizzico di sensibilità proverebbe. Le emozioni più strettamente riguardanti Aouda, come quelle provate nel stringerle la mano, tiepida e un po’ tremante, erano chiare, ma più difficilmente discernibili. Visto che non era abituato a mostrare imbarazzo, cosa che raramente si trovava a sperimentare, o restava immobile o compiva gesti distaccati. Non lo faceva di proposito. Gli veniva spontaneo, come l’impulso di distogliere lo sguardo e concentrarsi su altro mentre lei gli rivolgeva quei grandi, bellissimi occhi neri nei quali era così facile perdersi per sempre.
Stanco di riflettere, si decise a ritirarsi a sua volta. L’indomani, la partenza sarebbe stata abbastanza mattiniera.
Giunto nel suo appartamento, chiamò Passepartout, il quale però non rispose.
Phileas guardò il suo orologio. Era sera tardi, e ricordava di aver mandato il francese a fissare le cabine poche ore dopo il loro arrivo. Beh, sarà ancora fuori, pensò, senza meraviglia. Jean era un ragazzo pieno di energia e l’occasione di bisbocciare in giro per il mondo capitava una volta sola nella vita.
Senza risentimento, Phileas provvide da sè alle ultime incombenze della giornata, e andò a dormire, a mezzanotte precisa, come sempre.
 
 
Aouda stava ricontrollando che non mancasse nulla nei suoi bagagli, quando un attendente le comunicò che il signor Fogg la attendeva dabbasso per la partenza.
L’uomo si offrì di prendere la sua borsa, e Aouda scese davanti a lui, raggiungendo la sala d’ingresso dell’albergo.
Il signor Fogg stava conferendo con l’albergatore alla reception.
<< Non è rientrato, signore >>, sentì dire Aouda, mentre Fogg annuiva in silenzio.
Quando lui le si avvicinò, gli chiese, << Qualche problema? >>.
L’inglese scosse appena il capo, << Passepartout non si vede da ieri pomeriggio >>, poi aggiunse, nel notare la sua espressione impensierita, << Sarà già al porto >>. Prese da sè la borsa da viaggio col denaro e chiese che i bagagli fossero riposti in un carro. Dopodichè si diressero al porto su un palanchino.
Una volta giunti, Aouda osservò Fogg scrutare il dock con leggera gravità, come se fosse perplesso.
La aiutò a scendere dal mezzo e Aouda si allacciò al suo braccio nonappena egli fece l’ormai abituale e rapido gesto di porgerlo.
Si rivolsero ad un addetto.
<< Il Carnatic? >>, domandò Phileas Fogg.
<< Partito, signore. Ieri sera >>.
Aouda si portò la mano alla bocca con sorpresa preoccupazione.
<< Non sarebbe dovuto partire oggi? >>, chiese il gentleman, senza traccia di emozione alcuna.
<< Sì, ma ha riparato la caldaia con celerità ed è stato in grado di riprendere il mare prima del previsto >>.
Fogg annuì, quasi fra sè. Si guardò attorno per un momento, come se sperasse di veder comparire qualcuno. Aouda comprese che stava cercando traccia di Passepartout, senza troppa speranza.
Quando egli si volse di nuovo a lei, e notò il suo sguardo impensierito, le disse, con un mezzo sorriso, << È un incidente, signora, nient’altro che un incidente >>.
In quella, udirono un colpetto di tosse, e un uomo abbastanza distinto si accostò loro.
<< Scusate, signore, non siete forse, come me, uno dei passeggeri del Rangoon, arrivato ieri? >>.
<< Sì, signore >>, rispose Phileas Fogg, << Ma non ho l’onore... >>.
<< Perdonatemi, credevo di trovare qui il vostro domestico >>.
Aouda fece un mezzo passo avanti, << Sapete dov’è, signore? >>. Sapeva che intromettersi così nel discorso fra i due gentleman non era tanto consono, almeno per quanto le avesse trasmesso la donna che l’aveva educata. Era però sinceramente in pena per Passepartout, e la domanda le era sgorgata spontanea.
Il signor Fogg non sembrò turbato dal suo intervento, e nemmeno l’altro inglese, così Aouda si convinse una volta per tutte a seguire l’istinto più che le regole, da quel momento in poi.
<< Perchè? Non è con voi? >>, domandò l’interlocutore.
<< No >>, gli rispose, mogia, << Da ieri non è più ricomparso. Non si sarà, per caso, imbarcato sul Carnatic senza di noi? >>.
Phileas Fogg le rivolse un’occhiata eloquente, che le fece subito capire che anche lui stava pensando la stessa cosa.
<< Senza di voi, signora? >>, disse lo sconosciuto gentiluomo, << Ma, vogliate scusare la mia domanda, contavate dunque di partire con quel piroscafo? >>.
<< Sì, signore >>.
<< Anch’io, signora, e come vedete sono molto contrariato. Il Carnatic, una volta terminate le riparazioni, è partito da Hong Kong dodici ore prima, senza avvertire nessuno, e adesso dovremmo aspettare otto giorni prima di partire col piroscafo successivo! >>.
Otto giorni?! Aouda guardò terrificata il signor Fogg, il quale le porse il braccio, << Ma ci sono altri piroscafi, oltre il Carnatic, credo, nel porto di Hong Kong >>, e con lei si avviò, con calma, alla ricerca di un altro battello in partenza.
Aouda notò che il gentiluomo che conosceva Passepartout li seguiva da una discreta distanza.
Iniziarono a percorrere i docks. Aouda fissava il suo salvatore, il quale scandagliava col suo sguardo di ghiaccio tutte le navi.
Dopo un’ora, anche lei cominciò a partecipare attivamente alla ricerca, indicando un battello dopo l’altro.
<< E quello, signor Fogg? >>.
<< Stanno caricando >>, spiegò con pazienza lui, << Pertanto non sono in procinto di salpare >>.
Aouda annuì, e iniziò a scartare le navi che caricavano le merci a bordo, e anche quelle che scaricavano, e che erano quindi appena arrivate.
<< Quella, signor Fogg? >>.
<< Quello è un veliero, signora Aouda >>.
<< Oh. E quindi...? >>.
<< Quindi è molto, molto lento >>, rispose il gentleman, quasi divertito dalla sua ignoranza in fatto di navi, << Ci serve uno steamer, oppure... >>.
Aouda annuì, arrossendo, ma ricominciò subito a cercare.
Passarono così tre ore. Avevano percorso i docks in lungo e in largo, più volte, col signore sconosciuto alle calcagna, anche lui impegnato a cercare, probabilmente, una nave. Ma nulla. La fortuna sembrava averli abbandonati assieme al fido Passepartout.
Il signor Fogg non sembrava scoraggiato, anzi, proseguiva la ricerca con ostinazione.
Al suo braccio, Aouda non sentiva la stanchezza della lunga passeggiata, nonostante si fosse accorta di come egli si fermasse spesso per timore che fosse esausta. Aouda gli rivolgeva un breve sorriso, o gli indicava un’imbarcazione, e ripartivano.
Ad un certo punto, un marinaio si accostò loro e si tolse il berretto.
<< Vostro Onore cerca un battello? >>.
<< Avete un battello in partenza? >>, rigirò la domanda Phileas Fogg.
<< Sì, Vostro Onore, un battello pilota, il 43, il migliore della flottiglia >>.
<< Cammina bene? >>.
<< Dalle otto alle nove miglia, su per giù. Volete vederlo? >>.
<< Sì >>, acconsentì interessato il signor Fogg.
Si incamminarono.
<< Vostro Onore ne sarà soddisfatto. Si tratta di una gita in mare? >>, domandò il marinaio occhieggiandola timidamente e per certo, traendo le sue conclusioni.
<< No, d’un viaggio >>, lo smontò subito il signor Fogg.
<< Un viaggio? >>.
<< Siete disposto a condurmi a Yokohama? >>.
Il marinaio si fermò di colpo e mostrò tutta la sua sorpresa, << Vostro Onore vuole scherzare? >>.
<< No. Ho mancato la partenza del Carnatic, e devo trovarmi a Yokohama non più tardi del 14, per prendere il piroscafo per San Francisco >>.
<< Mi dispiace >>, il marinaio scuoteva la testa, << Ma è impossibile >>.
<< Vi offro cento sterline al giorno e un premio di duecento sterline se  arrivo in tempo >>.
L’uomo sgranò gli occhi, << Dite sul serio? >>.
<< Molto sul serio >>, rispose Fogg.
Il marinaio chiese allora un momento per riflettere.
Nel frattempo, il signor Fogg si volse dalla sua parte, fronteggiandola, << Non avete paura, vero, signora? >>.
Aouda levò gli occhi per puntarli in quelli di lui. Lo sguardo fu fermo, incrollabile, diretto.
<< Con voi no, signor Fogg >>.
Andrei anche all’inferno assieme a voi, aggiunse irrinunciabilmente, fra sè.
Il loro sguardo condiviso durò più di quanto ci si aspettasse dopo la fine di quel breve scambio.
Un botta e risposta all’apparenza di pura cortesia, ma che Aouda comprese essere una conferma reciproca fondamentale. Phileas Fogg le stava chiedendo fiducia. E Aouda era sicura di poterla riporre in lui. Sicura come non era mai stata di niente e di nessuno. Anzi, si sarebbe sentita più indifesa sola in quella bella suite d’albergo, o nella confortevole casa di quel suo parente emigrato, che su una piccola imbarcazione in compagnia di quell’uomo che sapeva darle tutta la sicurezza di cui aveva bisogno.
Il marinaio s’era intanto riavvicinato.
<< Ebbene, pilota? >>.
<< Ebbene, Vostro Onore, non posso mettere a repentaglio nè i miei uomini, nè la mia persona, nè la vostra, in una traversata così lunga, su un’imbarcazione di sole venti tonnellate, e in questa stagione. D’altronde, non arriveremmo in tempo, perchè da Hong Kong a Yokohama ci sono 1650 miglia >>.
<< Solo 1600 >>, lo corresse il signor Fogg.
<< È lo stesso >>, fece il pilota.
Aouda vide il signor Fogg esprimere un lievissimo dissenso per l’approssimazione del marinaio, e si chiese per la prima volta da dove l’inglese avesse tratto tutte quelle conoscenze sul mare, sulle navi e sulle distanze. Certo, esistevano i libri e poteva averne letti molti in materia, ma la sua sembrava più una conoscenza pratica più che teorica. Conosceva tempistiche di navigazione su vari tipi di nave, sapeva con certezza quando si preannunciava una tempesta, e il suo disinteresse per i luoghi poteva ben essere quello di qualcuno che è già stato in quei posti molte volte, ed è stufo di vederli. Aouda sospettò che egli si fosse arricchito col mestiere di marinaio. Non c’era altra spiegazione.
<< Ma >>, stava intanto continuando il pilota, << Ci sarebbe modo di rimediare altrimenti >>.
<< Come? >>.
<< Andando a Nagasaki, all’estremità meridionale del Giappone, a 1100 miglia, oppure solo a Shangai, a 800 miglia da Hong Kong. Facendo quest’ultimo percorso, non ci allontaneremmo dalla costa cinese, e sarebbe un grande vantaggio, tanto più che le correnti tendono a trascinare verso nord >>.
<< Pilota >>, lo fermò Phileas Fogg, ora in tono leggermente spazientito, << Io devo prendere il piroscafo per l’America a Yokohama, non a Shangai o a Nagasaki >>.
<< Perchè no? >>, ribattè il pilota, << Il piroscafo per San Francisco non parte da Yokohama: fa scalo a Yokohama e Nagasaki, ma il suo porto di partenza è Shangai >>.
Fogg lo fissò impassibile, ma attento, << Siete sicuro di quello che dite? >>.
<< Sicurissimo >>.
<< E quando salpa da Shangai? >>.
<< Il giorno 11, alle sette di sera. Abbiamo dunque quattro giorni dinanzi a noi. Quattro giorni sono novantasei ore, e con una media di otto miglia l’ora, se tutto va bene, se il vento soffia da sud-est, se il mare è calmo, possiamo percorrere agevolmente le 800 miglia che ci separano da Shangai >>.
<< E potreste partire... >>.
<< Tra un’ora. Il tempo di comprare i viveri e di salpare >>.
<< Affare fatto >>, accettò senza esitazioni il signor Fogg, << Siete il padrone del battello? >>.
<< Sì >>, sorrise l’uomo, orgoglioso, << John Bunsby, padrone della Tankader >>.
<< Volete una caparra? >>.
<< Se a Vostro Onore non dispiace >>.
Il signor Fogg mise mano alla borsa, << Eccovi duecento sterline in conto >>, poi si volse dal signore che li aveva seguiti e ascoltati tutto il tempo e che egli aveva beatamente ignorato fino a quel momento, tanto che a Aouda era parso che egli non si fosse accorto del quasi pedinamento che avevano subito in quelle tre ore.
<< Signore >>, gli disse, << Se volete approfittare... >>.
<< Signore >>, rispose l’altro, senza esitare, ma allo stesso tempo un poco imbarazzato dalla gentilezza del gentleman, << Stavo appunto per chiedervi questo favore >>.
<< Bene. Tra mezzora saremo a bordo >>.
Fu allora che Aouda strinse di più il braccio del suo salvatore, << Ma quel povero giovane... >>, mormorò, riferendosi a Passepartout.
<< Farò per lui tutto quello che potrò >>, promise il signor Fogg, riaccompagnandola verso il palanchino, col quale si diressero agli uffici della polizia di Hong Kong e all’ufficio del consolato francese. In entrambi i luoghi, il gentleman fornì i connotati di Passepartout e una somma di denaro per rimpatriarlo nel caso si fosse presentato là.
Si recarono quindi di nuovo al porto, dove raggiunsero quello che a Aouda sembrò un veliero molto piccolo, che stazionava all’ancora.
Salendo a bordo, Aouda notò che il signor Fogg osservava con compiacimento i particolari della goletta, gli ottoni lucenti, la buona velatura, le ferrature galvanizzate e il ponte pulito e bianco, che denotavano molta cura da parte del capitano.
Il passeggero al quale il signor Fogg stava offrendo un passaggio era già a bordo, così si fece tutto per salpare, e in dieci minuti, la goletta stava lasciando il porto.
Aouda e il signor Fogg, che si erano seduti sul ponte, si sporsero entrambi nel medesimo istante sulla banchina, come per assicurarsi che Passepartout non comparisse d’improvviso. Ci fu un attimo di imbarazzo nella consapevolezza di quella sincronia, di azione e di pensiero, poi il signor Fogg disse, senza guardarla, << Si sarà imbarcato sul Carnatic pensando che fossimo a bordo anche noi >>.
<< Sì >>, mormorò Aouda.
<< Non vi preoccupate, se il suo nomignolo è ben meritato, se la caverà >>.
Ed in silenzio, guardarono Hong Kong sparire all’orizzonte.
 
 
Verso il tramonto, la nave prese il largo.
Aouda si era seduta a prua, e gustava quel momento della giornata così selvaggio e romantico, nel quale il sole scompariva inghiottito dal mare un po’ capriccioso.
Poco distanti, il capitano Bunsby e il signor Fogg stavano scambiando alcune parole. Quest’ultimo si era raccomandato la massima velocità, mentre il pilota si era detto fiducioso, e aveva dato alcune spiegazioni tecniche. Fogg lo aveva ascoltato, poi aveva commentato “è il vostro mestiere, non il mio”.
Aouda si era voltata a guardarlo, senza essere vista, con un sorriso sospettoso per quelle parole sibilline. Il sorriso però si dissolse lentamente sul suo viso quando i suoi occhi incontrarono la figura del gentleman, di fianco a quella del capitano, del quale imitava perfettamente la postura. Phileas Fogg, anzi, al contrario di Bunsby che si reggeva ad una cima, manteneva un equilibrio perfetto stando semplicemente con le gambe un poco divaricate e le braccia conserte contro il dondolio insistente del mare. Aouda si volse celermente di nuovo al largo. Il cuore però continuò a martellarle nel petto, e lo stomaco le si strinse di una emozione che le risultava incomprensibile.
Perchè mi sento così ogni volta che lo guardo? Può davvero la gratitudine suscitare sensazioni così violente?
Chiuse gli occhi per calmarsi, e poco dopo si focalizzò sulla bella vela bianca che portava la nave come un grande uccello sui flutti spumosi.
 
 
<< È il vostro mestiere, non il mio >>, disse Phileas, puntando lo sguardo all’orizzonte.
Laggiù, le onde imperversavano alte. Il mare non sarebbe stato clemente, durante quella traversata.
Per lui non era un problema, ma per Aouda? Sì, la giovane sopportava bene il mare agitato, ma quello non era un piroscafo, bensì una goletta a vela. Sarebbe stata sballottata come un tappo di sughero.
Preoccupato, si volse a guardarla.
Era seduta a prua, a terra sul ponte, con le ampie gonne dell’abito che le si allargavano attorno.
Phileas riusciva a vedere il suo profilo, la sua figura circonfusa dall’oro e dall’arancio del tramonto che si rifletteva sul mare. La vista gli tolse il fiato.
È stupenda, pensò. Non poteva non pensarlo. Era qualcosa di talmente evidente, da essere innegabile.
E se la sua bellezza non era abbastanza, che dire del suo coraggio nel seguirlo in quella traversata?
Aouda era calma, il viso contro la brezza marina che gonfiava la vela maestra, e sembrava spingersi verso un futuro ignoto con tutta la fiducia possibile. Quella fiducia, l’aveva riposta in lui. E per tutto l’oro del mondo, Phileas l’avrebbe giustificata.
L’8 novembre, ci fu un po’ di mare grosso, ma nulla di preoccupante.
Il signor Fix, che divideva con loro la traversata, si unì a loro per la colazione dopo che Phileas ebbe insistito. Lo sfortunato passeggero soffriva molto il mare, ma Phileas gli consigliò di mangiare, cosa che avrebbe attenuato un poco il suo malessere.
Nel pomeriggio, fu molto chiaro che una tempesta di vento era in arrivo. Il cielo, sebbene non presagisse pioggia, era brumoso, e il sole tramontò in una nebbia rossa, altro segno chiaro dell’approssimarsi di un fortunale. Il vento però avrebbe soffiato verso nord, così Phileas si consultò col capitano e convenirono di non ammainare le vele, per farsi spingere in direzione di Shangai.
Alcune ore dopo, fu chiaro che la tempesta avrebbe portato anche acqua. Così, mentre Bunsby faceba ammainare, e prendeva tutte le precauzioni per evitare che l’acqua penetrasse nello scafo, Phileas andò da Aouda, che sedeva, come sua abitudine, nei pressi della prua. Riparata da una panca, stavolta, vista la forza del vento.
<< Signora >>.
Lei si alzò, lisciandosi le gonne.
<< Una tempesta in arrivo. Il capitano consiglia di stare sottocoperta >>.
Aouda annuì, ma rimase a guardarlo, << E voi, signor Fogg, rimarrete sul ponte? >>.
Phileas annuì, << Se posso pregarvi di fare lo stesso... >>.
<< Sì, io... >>.
<< Non sarà piacevole, vi avverto. Però sottocoperta sarà anche peggio. Forse non vi bagnerete, ma sareste sballottata avanti e indietro in uno spazio angusto. Correte il rischio di infortunarvi, senza contare che vi potrebbero piovere addosso piccoli oggetti e tutto ciò che non è ancorato allo scafo >>.
<< Rimarrò sul ponte con voi, allora >>, gli disse, immediata, lei.
Phileas annuì, << State vicino a me >>.
 
 
La tempesta si scatenò alle otto di sera.
Aouda non poteva dire di essere tranquilla. Vedere il mare così agitato da una distanza tanto vicina, era impressionante. La Tankader le parve un piccolo guscio di noce nel momento in cui venne sollevata dalle onde e spinta verso nord. Il vento era talmente violento da frustare i loro abiti e produrre un suono acuto, sibilante. Il signor Fix, gli occhi spauriti, si era ancorato con una corda ad una delle barre per paura di essere trascinato in mare dalla forza degli elementi.
Aouda si era mantenuta, come raccomandazione, vicino a Phileas Fogg.
Egli si era tolto la giacca e la cravatta di seta, e fissava il fulcro della tempesta, come a volerla valutare.
Aouda non ebbe l’impressione che fosse preoccupato, nemmeno quando il mare iniziò a trascinare l’imbarcazione in ogni direzione, sollevandola e facendola ricadere sui flutti. Molte volte, il capitano Bunsby dovette manovrare per impedire alla goletta di essere travolta dalle muraglie d’acqua che si ergevano da poppa. Allora, gli spruzzi arrivavano sul punte in veri e propri torrenti d’acqua, capaci di rovesciare una persona fuoribordo, se troppo vicina ai parapetti.
Aouda però si rese conto che il signor Fogg aveva scelto la porzione del ponte più sicura possibile. Non erano affatto riparati dalle mareggiate, ma se anche fossero caduti, avrebbero avuto il tempo di rialzarsi e afferrarsi a delle cime.
Egli era calmo. Imperturbabile. Come se conoscesse a memoria ogni dondolio delle onde.
Se pure Aouda avesse pensato di avere un po’ di paura, questa scompariva nel guardare il gentleman, nell’ammirarne il sangue freddo. Cercò di essere degna di lui, e di affrontare in modo impavido quell’imprevisto.
Col calar della notte, la tempesta aumentò ancora d’intensità, diventando davvero spaventosa.
Nulla però si modificò nel comportamento del signor Fogg. Solo, dovettero reggersi a loro volta a delle cime, e il movimento dell’imbarcazione non consentì più un equilibrio decente a nessuno di loro.
Tutt’attorno a loro, le tenebre, squarciate a intervalli da lampi che illuminavano di viola i flutti sconvolti dai venti e dalle correnti.
Aouda si sentiva esausta, come mai lo era stata.
Continuava a stringere la cima con due mani, ed era completamente zuppa. Da sottocoperta, però sentiva il rumore di giare, oggetti di rame e altri utensili che cadevano dai loro posti, e comprese che il signor Fogg aveva avuto ragione a non voler abbandonare il ponte, nonostante tutto.
Mentre pensava così, tutto d’un tratto, il mare si sollevò proprio davanti a lei.
L’onda sembrava immensa. Bunsby virò, limitando i danni, ma la coda del cavallone si rovesciò con piena potenza sul ponte, sollevandosi poi in uno spruzzo sferzante. Aouda chiuse gli occhi e si voltò un poco, pronta a ricevere quello schiaffo d’acqua, salvo sorprendersi quando non sentì che qualche goccia sul volto. Riaprì subito gli occhi e si rese conto che il signor Fogg l’aveva protetta col suo corpo da quella potente annaffiata. Egli l’aveva chiusa fra sè e la parete della cabina, sulla quale premevano in perno le sue braccia tese, fradice come il resto della sua persona. Non erano mai stati così vicini. Aouda lo fissò negli occhi, ed egli fece altrettanto. Rimasero così, come ipnotizzati, per innumerevoli secondi, quasi non esistesse più la piccola Tankader e la terribile tempesta.
Gli occhi del signor Fogg erano celesti, incredibilmente chiari e limpidi nella poca luce che proveniva dalla barca. Il loro sguardo era fermo, incrollabile.
<< State bene? >>, le chiese, alzando la voce per farsi sentire sopra il fragore del vento.
Aouda annuì, senza riuscire a parlare.
<< Tenete duro >>, disse allora, aprendo quella rassicurante gabbia attorno a lei.
Aouda non riuscì a pensare ad altro, quella notte.
La tempesta imperversò ancora ore, e numerose altre volte il signor Fogg si precipitò su di lei per proteggerla dagli spruzzi, ma Aouda non potè più concentrarsi sulla propria paura o sullo sfinimento.
Non le era mai capitato nella vita di essere protetta a quel modo, in una maniera così... fisica. Non sapeva come mai, ma la sua mente le rimandava continuamente quell’immagine, come in un sogno, probabilmente a causa del sonno e delle fatiche.
Comparve il giorno, ma la tempesta non accennò a cessare.
Aouda, sfinita, si reggeva alla sua cima, solo per non crollare sul ponte. Ogni volta che le onde la minacciavano, il signor Fogg accorreva. Aouda vide che anche lui portava in volto i segni della stanchezza, ma le energie dell’uomo sembravano doppie rispetto alle sue o a quelle del povero signor Fix.
Aouda non aveva la forza per lamentarsi, ma fra sè pensava di continuo: Sta per finire? Voglia il cielo che finisca presto...
Ma la tempesta proseguì tutta la giornata, per calmarsi solo al calar del sole.
Allora, Aouda mollò la cima e si lasciò andare seduta sul ponte, la testa pesante e le membra dolenti.
Phileas Fogg le si accostò, piegandosi sulle ginocchia davanti a lei.
<< È passata >>.
Aouda annuì, e levò gli occhi su di lui, chiaramente prostrato non meno degli altri.
<< Riposatevi qualche minuto. Poi potrete mangiare qualcosa >>.
Lei annuì, e si appoggiò contro la parete della cabina, piombando subito in un sonno scomodo, ma necessario.
Una vita dopo, le sembrò, si sentì tirare delicatamente in piedi, e sollevare in braccio. Ebbe una reazione di spavento, lì per lì, ma poi riconobbe il profumo della colonia, e si rilassò completamente, il capo abbandonato sull’ampia spalla del signor Fogg. Aouda cercò di rimanere sveglia, per aggrapparsi alla bella sensazione fisica che la stava invadendo, ma fu impossibile, e ripiombò immediatamente nel sonno.
Si risvegliò forse parecchie ore dopo. Stranita, scoprì trovarsi nella cuccetta della cabina, mentre i pallidissimi raggi del sole annunciavano l’alba del 10 novembre.
Rimase sotto le calde coperte. Ne aveva quattro addosso, e non indossava più il vestito, ma solo la sottogonna e la camiciola in flanella, un po’ umidiccia. L’abito rosso era posato su una sedia rimessa in piedi nel disordine assoluto della cabina, e appariva ancora completamente zuppo.
Aouda si schermì, nascondendo metà della testa sotto le coltri. Il signor Fogg l’aveva portata a letto e le aveva tolto il vestito. Certo, c’erano ancora moltissimi strati di tessuto a protezione della sua pelle nuda, ma l’idea era capace comunque di innervosirla. Positivamente. Allora le tornarono in mente i pochi attimi nei quali si era destata e aveva capito di essere fra le sue braccia. Si crogiolò nel fuggevole ricordo del calore di quel corpo solido, nonostante gli strati di abiti fradici che entrambi indossavano. Gli sembrava di avergli posato la mano sul petto e di aver afferrato il tessuto sdrucito della sua camicia nel pugno, come per chiedergli, senza ragionare, di continuare a stringerla a sè.
Aouda si mise di botto a sedere e si andò a lavare la faccia, solo per scoprire che brocca e lavamano erano franati a terra e si erano infranti durante il fortunale. Si diede allora degli schiaffetti sulla faccia, per costringersi a smetterla di fare quei pensieri.
Per il cielo, ma cosa vado a pensare?! Si rimproverò duramente. Il signor Fogg voleva solo impedire che mi prendessi una polmonite, restando a dormire tutta bagnata sul ponte della barca! Questo lo avrebbe fatto ritardare non poco, se avesse anche duvuto cercarmi un medico! Aouda, cielo, sei una donna adulta. Smettila di fantasticare come un’adolescente. E poi, quale deplorevole debolezza, essere così sfinita da non riuscire a raggiungere sulle proprie gambe il letto!
Dopo essersi pulita dalla salsedine come potè, cercò la borsa, indossò un altro vestito e aprì i capelli perchè asciugassero. Quando ebbe finito la toletta, il sole era ormai sorto, ed ella uscì sul ponte.
La giornata era splendida. La Tankader veleggiava a tutta velocità e di nuovo le sembrò un bell’uccello libero di librarsi nel vento.
A passo lento, raggiunse la prua, dove scorse, seduto su un barile accanto ad un tavolo di legno, il signor Fogg intento a mangiare. Aouda lo osservò per una manciata di minuti senza essere vista, e sorrise fra sè per la voracità del gentleman, che sembrava non toccasse cibo da un mese, tanta era la foga, seppur molto composta, con cui attaccava la sua porzione di conserve e biscotti.
Quando la avvistò, immediatamente prese a masticare più lentamente, e si mise un pugno davanti alla bocca per ingoiare più velocemente possibile.
Nel frattempo, Aouda, divertita, gli si avvicinò.
Il signor Fogg bevve un sorso d’acqua prima di schiarirsi la voce, << Buongiorno, signora Aouda >>.
<< Buongiorno >>.
<< Volete mangiare? >>.
<< Oh, sì. Ho molto appetito, vi confesso >>.
<< È naturale >>, argomentò lui, << Non è stata una notte facile >>, e sospirò.
Mangiarono per un po’ assieme, quindi egli riprese, in tono alquanto sommesso.
<< Signora, mi dispiace di avervi costretta ad un viaggio in simili condizioni. Spero vogliate perdonare questa scelta, dettata dalla fretta >>.
Aouda gli sorrise e gli posò, forse audacemente, non seppe dire, la mano sul braccio, << Non dovete scusarvi. Signor Fogg, quando ho accettato di venire con voi in Europa, sapevo che avevate molta premura, ma ho accettato lo stesso. Non vi preoccupate per me. Piuttosto, vorrei scusarmi per avervi costretto ad assistermi, ieri... >>.
Phileas Fogg distolse lo sguardo e si volse al mare, fingendo di guardare l’orizzonte, << Ma no... Il buonsenso... >>, mormorò, senza finire la frase.
Aouda comprese il suo imbarazzo. Si trovò anche lei a provarlo per l’ennesima volta, ed entrambi rimasero per un po’ in silenzio, finendo di mangiare.
Al termine del pasto, si sedettero a prua, sotto il sole, di modo da cancellare dalle ossa tutta l’umidità accumulata la giornata precedente. La Tankader aveva perduto nella tempesta le comode seggiole di cui era dotata, così furono costretti ad accomodarsi sul nudo ponte, sopra una coperta ben distesa, le spalle appoggiate contro la parete della cabina.
Assorta, e un poco agitata, Aouda ripensava continuamente ai momenti della notte prima, quando aveva beneficiato della protezione del gentleman, il quale adesso se ne stava seduto spalla a spalla con lei, dopo essersi accomodato in modo alquanto rigido. Di certo, sorrise Aouda fra sè, egli non era abituato ad usare il pavimento come sedile!
Trascorsero alcuni minuti in silenzio, quando il capitano John Bunsby li addocchiò e disse, << Ah, finalmente! Cominciavo a pensare che Vostro Onore fosse una macchina, che non ha bisogno di dormire! >>.
Spiazzata, Aouda si voltò appena verso il signor Fogg, e scoprì che egli si era addormentato, le braccia conserte, la testa contro la parete. Aouda provò una fitta di tenerezza mista a qualcosa che non seppe decifrare. Bizzarro, visto che si trattava delle sue stesse emozioni.
<< Lo avete spento voi, signora? >>, continuò a ironizzare garbatamente Bunsby.
<< Volete dire che stanotte, cessata la tempesta, non è andato a dormire? >>.
<< No, signora. Ha insistito per aiutare gli uomini e me a riassettare la rotta. Parola mia, se egli non è un marinaio, allora io sono la regina Vittoria >>.
Aouda guardò di nuovo con una punta di preoccupazione il compagno di viaggio, il cui capo stava scivolando lentamente di lato, fino a posarsi mollemente sulla sua spalla. Aouda si irrigidì, ma ben presto si rilassò, chiudendo a sua volta gli occhi. Sentì sulla guancia la morbida carezza dei capelli di lui, il loro odore di salsedine e di vento marino. Si colpevolizzò, ma assaporò comunque quegli attimi di vicinanza reciproca, di delicato contatto. Pochi istanti dopo, però, il gentleman si radrizzò con un mezzo singulto.
<< Chiedo scusa >>, mormorò, levandosi in piedi nel rendersi conto di aver ceduto al sonno senza accorgersene.
Aouda si alzò a sua volta, << Non c’è nulla di cui scusarsi, signor Fogg. Andate a riposare con più comodità, ne avete bisogno >>.
Egli cercò di dire qualcosa, ma le sue labbra si mossero invano, quindi annuì e si ritirò con passo misurato.
Aouda rimase sul ponte svariate ore, riflettendo. Era confusa, e provava una sorta di strana malinconia. Doveva riconsiderare ciò che provava per il suo salvatore? Forse no. Era sicura che la gratitudine fosse uno dei sentimenti principali del suo stato d’animo verso di lui, ma assieme stava crescendo qualcosa di sconosciuto, che Aouda non sapeva come chiamare. Poteva essere attrazione? Sì, può essere. Doveva essere franca. Il signor Fogg era come un problema che lei voleva risolvere. Voleva arrivare in fondo. Capire. Inoltre, non riusciva a pensare di separarsi da lui, un giorno. Sì, forse avrebbe risieduto in Inghilterra e sarebbero rimasti in contatto, ma mai più tutti i giorni, così come durante quel viaggio. A Aouda non interessava trovarsi in situazioni spiacevoli come quella della notte scorsa. Sì, era stata spaventata, sfinita, a disagio. Ma non le sembrava una cosa poi così drammatica, visto che poteva dividere quei momenti con Phileas Fogg, che lui era lì con lei. Si rammaricava, anzi, di causargli non poche grane. Durante la tempesta, infatti, egli aveva senza dubbio fatto il doppio della fatica, perchè non solo stava badando a se stesso, ma anche e soprattutto a lei. Una tale devozione comportava certamente un dispendio di energie, soprattutto mentali, davvero notevole. Senza contare che tutta la sua abituale routine era saltata; non c’era più stata un’ora dei pasti o un’ora per dormire.
Povero Phileas! Aouda sorrise fra sè, aggrottando le sopracciglia e riappoggiandosi alla parete, mentre il sole del mattino la scaldava.
 
 
Phileas si destò di soprassalto e si volse a guardare dall’oblò.
La luce del sole gli fece capire che era probabilmente pomeriggio inoltrato.
Con un lento sospiro si rimise giù e si schermò la vista con un braccio, preda di un lungo attimo di confusione data dal sonno interrotto. Un sonno pesante, poco riposante, che lo lasciò con la testa che girava. L’attimo dopo, ricordò di essersi addormentato sul ponte accanto alla signora Aouda. Spostò il braccio e si portò entrambe le mani al viso. Che vergogna. Lei era stata molto carina nel liquidare la questione, ma comunque, i fatti erano quelli. Deplorevole mancanza di autocontrollo. Come poteva essergli capitata una cosa del genere? Per quanto distrutto potesse essere, non si era mai addormentato così di botto. Certo, era capitato durante il viaggio di dover dormire nello scompartimento assieme agli altri, ma era sempre accaduto quando era l’ora di dormire. Sul ponte, poco prima non era stato nè il luogo nè il momento opportuno. Si girò su un lato. Era a causa di Aouda. Lei lo rendeva esausto. E non dal punto di vista fisico, quello proprio no, ma da quello delle emozioni. Troppe, tutte assieme, tutte diverse. Troppa fatica per mantenerle imbrigliate, per ignorarle, per minimizzarle. Internamente, egli era sconvolto. Proprio come quelle cabine dopo la tempesta. Più cercava di mettere ordine, e più saltavano fuori altre cose spuntate da chissà che antro. Aouda lo turbava e lo rilassava al tempo stesso. Come poteva essere fisicamente possibile?
Si mise a sedere sulla branda e guardò il panciotto che ancora indossava. Ormai era tutto rovinato. Se lo sfilò, alzandosi poi alla ricerca della borsa, per cavarne una camicia nuova. Il sale iniziava a irritargli la pelle. Mentre si cambiava, ripensò alla notte della tempesta, quando aveva impedito che la povera Aouda venisse investita dall’onda di marea. I suoi occhi grandi che lo guardavano, ipnotizzandolo. Non era riuscito a distogliere subito lo sguardo, e quei laghi, molto più dell’acqua di mare, lo avevano quasi affogato. Era allora emerso un impulso che ricordava a stento, sebbene non così antico come invece gli pareva. Un impulso che diceva, risoluto, “bacia questa donna”. E per un attimo, Phileas ricordava di aver addirittura pensato di cedergli. Per fortuna era successo all’inizio della lunga giornata di burrasca, quando era ancora abbastanza lucido da respingere un’idea tanto dannatamente assurda. Se fosse davvero successo, come avrebbe reagito la signora? Avrebbe creduto che questo inglese, approfittatore, non certamente anziano, ma più vecchio di lei, stesse cercando di ingraziarsela con carinerie per ottenere da lei uno scopo poco morale. Phileas serrò con forza gli occhi a quell’idea. Grazie al cielo aveva saputo domarsi. Non sei nella posizione adatta, Phileas, per farle la corte. La signora ha bisogno di assistenza, non di attenzioni inopportune e sicuramente indesiderate, si disse con fermezza, indossando una camicia di cotone e un panciotto di velluto color crema sotto la redingote. Visto che gli sembrava ancora pomeriggio, si mise anche la cravatta in seta bianca, fermandola con l’apposita spilla in madreperla, senza l’aiuto dello specchio. Naturalmente, prese anche l’orologio.
Quando fu pronto, mise la mano sulla maniglia, osservando le lancette che ticchettavano e segnavano quasi le quattro. Attese che scoccassero per aprire la porta.
Passerà.
Tutto passa.
 
 
  
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