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Autore: _aivy_demi_    10/04/2020    32 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Singing


is the answer

 
 
16 – Take care of your own stuff, ok?



«E tu che cazzo ci fai qui?»
Un’accoglienza perfetta quella di Åsli, degna degli esseri umani più detestabili.
Raon percepì l’improvviso nodo in gola che le stava bloccando il passaggio della saliva all’esofago: si stava già sentendo in ansia. Si strinse d’istinto al braccio di Tae che l’aveva accompagnata davanti all’unica possibilità disponibile. Morse il labbro con gli incisivi mandando giù finalmente il boccone, consapevole che per nessun altro motivo si sarebbe mai ripresentata subito dopo i loro trascorsi precedenti. Restava in piedi davanti alla soglia guardando il padrone di casa in cagnesco, il piede leso sospeso da terra e l’orgoglio sotto la suola dell’altra scarpa su cui tentava di stare in equilibrio in modo malfermo.
La voce dell’accompagnatore spezzò il gelido, imbarazzante silenzio che sembrava durare già fin troppo. «Ciao, avremmo davvero bisogno del tuo aiuto.»
Il ragazzo soppesò quelle parole osservando curioso l’interlocutore: il medicinale ancora non aveva fatto effetto, la testa galleggiava dolorosamente ed il contenuto liquido dello stomaco stava già premendo sul cardias. La valvola minacciava di aprirsi.
«Entrate.» Si fece da parte nonostante la nausea, lasciandoli passare con non poche perplessità. Si accomodarono in salotto mentre Raon saltellava e Tae le stringeva il fianco cercando di alleggerirne il peso e lenire il dolore. Entrambi approfittarono del divano poggiandovisi con un sospiro; lei grugnì sbuffando e maledicendo l’innata capacità di mettersi nei guai e crearne altrettanti agli altri. S’era ritrovata a rovinare la giornata ad un perfetto sconosciuto ed intensificare il post sbornia di un tizio che conosceva a malapena e che per buona parte ancora detestava.
Tranne per il bacio.
Quello ancora non aveva capito se lo odiava o meno, ma non era il momento adatto per porsi certe domande scomode. Possibile fosse così difficile trovare chiarezza nel suo cervello? Certo, sarebbe stato più semplice se in quel momento delle dita particolarmente delicate – s’era stupita a constatare quanto potessero esserlo quelle di Åsli – non le avessero sfilato una delle sneackers scolorite con una cura tale da farla rabbrividire. Tae le stava carezzando lievemente l’avambraccio in un improbabile tentativo di rilassarla e questo particolare non mancò d’essere osservato dall’altro mentre recuperava un blocchetto refrigerante dal congelatore sopra al frigorifero; lo aveva avvolto in un canovaccio da cucina con stampato un orsacchiotto con un cappello di lana ed una sciarpa al collo, uno delle tante scelte dubbie di Raon nell’acquisto della biancheria di casa, e se lo rigirò più volte tra le mani continuando a spiare i due da dietro. Chi fosse il nuovo arrivato non ne aveva idea, anche se una congettura chiarissima s’era già fatta strada nella sua mente confusa. La sua attenzione venne richiamata rapida da un gemito e un sospiro: doveva muoversi, sembrava la ragazza stesse male davvero. Le si inginocchiò di fronte notando il volto tinto di porpora. Che fossero le dita dell’altro, muovendosi ancora lente sulla sua pelle?
Reputò tremendamente fastidioso quel gesto.
Straordinariamente irritante.
Richiamò Tae all’attenzione con aria di sufficienza facendogli cenno di scansarsi e poggiò l’involto alla caviglia che si mostrava visibilmente gonfia. Lei gemette di nuovo stringendo d’impulso l’avambraccio dell’altro.
«Fa male?» L’apprensione palesata in modo tanto chiaro non era prerogativa certo di Åsli ma era fin troppo stanco per poter far finta di non preoccuparsi troppo per la gente, per lei. Al diavolo, si disse, avrebbe capito prima o poi cosa scatenasse in lui quella ragazza imbranata, un maschiaccio sempre fuori posto, proprio come in quel momento.
Ci sarebbe arrivato forse, dopo averla vista lontana da quel tizio.
Il più lontano possibile.
Al Polo ad esempio, o sull’Himalaya. Non aveva una casa dove tornare? Sorrise ironico ai propri pensieri strappato con poca delicatezza da essi da un’imprecazione diretta per una domanda tanto inutile; Tae scoppiò a ridere tentando di mascherare la reazione spontanea quanto inappropriata. Lei rise di rimando massaggiandosi accanto alla caviglia e il padrone di casa, beh, lui odiava già l’ospite, ma in qualche modo ad ogni azione lo detestava sempre di più; sussurrò un “ma che cazzo vuole questo” prima di rivolgersi a lei.
«Allora, tomboy,» ancora quel soprannome stupidissimo che scatenò nella diretta interessata un moto di stizza tale che la spinse ad allungare il piede per tirargli un calcio, fallendo miseramente; «ho un mal di testa terribile, e vorrei solo andarmene a dormire. Invece sono qui a tenerti del ghiaccio su una caviglia grossa come una zampogna. Si può sapere cosa diavolo hai combinato questa volta?»
«Senti, primadonna di sto cazzo, qui non sei l’unico ad aver avuto una giornata di merda, eh.»
«Mi scusi, signorina Finezza, immagino che le terribili avventure sue e del cavaliere senza macchia che abbiamo qui, siano degne di un’epopea da tramandare ai posteri. Mi dica dunque, come posso rendere meno deleterio il suo tempo passato in compagnia di questo umile essere umano, che non ha di meglio da offrire che del misero refrigerio?»
«Lo vedi? Vedi perché non volevo venire qui?» Lei indicò il ragazzo con il pollice, rivolgendosi a Tae, «ma senti le stronzate che dice, o me lo sto immaginando solo io?»
Se avesse riso, Åsli avrebbe tentato di torcergli il collo, ne era sicuro; già a prima vista l’aveva odiato profondamente, ma ora la faccenda stava degenerando. “Se ridi ti strozzo.” Se lo ripeteva continuamente, e in cuor suo sapeva che l’altro in qualche modo aveva recepito il messaggio.
Si fece serio Tae invece, tanto da voler prendere in mano la situazione prima di vederli attaccarsi come cani randagi. «È stata colpa mia.»
Si voltarono entrambi nella sua direzione.
«È caduta per colpa mia.»
Era ufficiale: dall’iniziale antipatia al mancato apprezzamento totale fu un solo passo. Le parole uscite dalla bocca dell’altro fecero ribollire il sangue di Åsli nelle vene; sentiva la rabbia muoversi insieme alla bile rimescolandogli le costole e la pressione. «Tu cosa? Razza d-»
Raon scattò verso Tae spingendo il petto del ragazzo all’indietro con mano tesa ma tremante. Non s’era ancora chiesta il motivo di una reazione simile, si era mossa come una molla nel momento in cui aveva intuito le intenzioni dell’altro e una possibile reazione fisica. Lo fulminò con pupille taglienti e le iridi vivaci brillavano di una determinazione particolare, accesa, sentita.
Una determinazione che non era per lui, bensì per un semplice nessuno dal taglio di occhi come il suo.
«Lascialo stare. Sono stata io, sai che sono un’imbranata.» Lei aveva tentato di addolcire la situazione modellando il tono di voce con un pizzico di ironia e una spolverata di tenera sbadataggine, ma la mano non s’era spostata dalla maglietta nera spiegazzata e più grande, troppo grande per il corpo di Åsli. «Gli sono semplicemente andata addosso, e il risultato è questo. Mi spiace davvero, non volevo creare tutto questo casino.» La voce si era tramutata in poco più di un sussurro, si sentiva in colpa e sapeva d’averli coinvolti entrambi nel risultato di una semplice disattenzione; perché allora sentiva l’improvviso bisogno di piangere? Tremò nell’avvicinare al petto entrambe le mani in un gesto protettivo nei propri confronti.
«Ehi ehi, tranquilla, guarda che è tutto a posto, vero?» Tae si voltò verso l’altro che stava osservando muto le reazioni instabili della ragazza; stava cambiando tutto troppo in fretta e lui era ancora completamente rincretinito dai bagordi della sera precedente, di cui tra l’altro ricordava ancora poco o nulla.
«Sì, ovvio, beh sì, certo che sì.» Si stava mangiando le parole tentando di tranquillizzare lei, sentiva d’aver bisogno di calmarsi e riprendere fiato. Forse le lacrime agli angoli degli occhi di Raon, o le mani dello sconosciuto che la stavano toccando con incomprensibile familiarità, o entrambi. Avrebbe bevuto volentieri un bicchiere o due per stemperare il fastidio che ribolliva nelle viscere ma no, non poteva a causa dell’antidolorifico assunto poco prima. Inspirò. Si sarebbe concentrato sulle proprie congetture più avanti, da solo, prima di andarsene a letto. Decise di sviare l’argomento e distrarre i presenti: buon viso a cattivo gioco, doveva accantonare momentaneamente l’astio naturale e prepotente che quel tizio stava alimentando, consumando la sua pazienza.
«Hai bisogno di qualcosa? Che ne so, da bere, o una pastiglia contro il dolore…»
«Beh, in realtà…» si fermò diventando completamente rossa in volto, «dovrei andare in bagno.»
Tae si sollevò subito proponendosi di darle una mano ma l’altro lo bloccò al posto con un’occhiata truce: che tipo di libertà confidenziali si stava prendendo in casa sua? Sottolineò il concetto con un paio di parole sibilate a denti stretti aiutandola ad alzarsi camminandole accanto e sostenendola. Assicurandosi di essersi allontanato abbastanza dal salone diede fiato alla propria perplessità.
«Lo conosci?»
«In verità no, però si è propos… ahi, ahi ahia cazzo…» si bloccò a metà corridoio riprendendo fiato per poi ripartire con lentezza, «dicevo, si è proposto di accompagnarmi a casa ma lì non c’era nessuno, e io avevo bisogno di una mano.»
Si fermò davanti alla porta del bagno mentre ancora lui le cingeva il fianco con più forza del dovuto, presa che si fece ferrea nel momento in cui lei confessò: «quindi ho pensato a te.»


Tae soppesava l’area della stanza con i piedi passo dopo passo riflettendo su come fosse stato davvero un imprevisto assurdo quello in cui era stato coinvolto: stava aiutando una sconosciuta in casa di uno sconosciuto che dava l’aria di essere un emerito stronzo dalla simpatia completamente assente. La situazione stava diventando surreale, soprattutto nell’essere a conoscenza di quel particolare, quel  particolare non propriamente trascurabile recepito dalle prime conversazioni con Raon. Adorava i pettegolezzi, le storie complicate, e non disdegnava di provar un certo piacere nel ficcanasare nelle vite degli altri; questo suo essere un grande impiccione, perché incapace di farsi i fatti suoi in maniera viscerale, lo aveva portato a formulare tante e tali congetture su quei due da portarlo a fotografarseli insieme nei più svariati momenti. Lavorava molto di fantasia e credeva fossero perfetti assieme proprio perché tanto diversi da risultare quasi complementari. Lui sapeva del bacio, lei ricordava il bacio, l’altro però sicuramente no.
Ne era certo, come si è certi del sole che sorge ad est al mattino. Ne era certo perché sapeva leggere le espressioni delle persone, sapeva andare al di là di semplici congetture ed era capace di capire molto di più da un gesto che non dalle parole pronunciate. Ad un semplice sguardo Åsli era tranquillo in presenza di Raon, mentre lei era agitata, troppo per aver accantonato la faccenda del loro contatto intimo. Quella consapevolezza lavorava nel suo cervello rapidamente, intarsiando trame complesse dove quell’informazione era il punto focale, la svolta in un rapporto. Stava pregustando ipotetici colpi di scena, cavilli, litigi sotto la pioggia battente, notti insonni a piangere per la disperazione, amori difficili con risvolti ancora più complessi.
Tutto quanto nell’arco di pochi secondi.
La sua fantasia non aveva limiti.
Notò una cornice in un angolo della sala, un piccolo riquadro d’argento che custodiva una fotografia con una famiglia ritratta in un giardino; curioso, pensò, come non c’entrasse nulla con il proprietario di casa, visto e considerato che le persone ritratte avevano lineamenti differenti da quelli del padrone di casa, comuni invece allo stesso Tae. Incuriosito da una tale stranezza osservò meglio la bambina al centro della foto, riconoscendone Raon: era uguale, soltanto in versione miniaturizzata. «Cosa ci fa lui con questa?» Se la rigirò un paio di volte tra le mani, curioso, per nulla imbarazzato. Se la sarebbe portata a casa volentieri soltanto per tentare di capirci di più.
«Senti, non è che potresti andartene? Posso gestire io la faccenda qui adesso. Aspetta, cosa stai facendo? Mettila giù.»
Åsli era tornato da solo, lasciando la giusta privacy alla ragazza; trovò Tae a toccare le sue cose, in casa sua… un ragazzo di cui non sapeva nulla si stava permettendo di lasciare impronte qui e lì nel suo quotidiano, nell’intimità di quelle quattro mura. Lo stava maledicendo, avrebbe voluto volentieri spezzargli le dita.
«Ehi, non è come sembra.»
«Allora appoggia quella foto ed esci. Ora.»
«Non fare il permaloso, dai. Stavo solo guardando.» Tae sorrideva complice. «Come mai ce l’hai tu? Non mi risulta viviate sotto lo stesso tetto, dovrebbe essere sua, giusto?»
Dal corridoio la voce di Raon arrivava lontana, stizzita: stava giustamente chiedendo un aiuto per poter uscire dal bagno e tornare in sala.
«Io adesso vado, ti conviene sparire prima che torni.»
L’altro alzò le braccia in segno di resa, giustificando il gesto con pura sincerità: «sul serio, ero solo curioso. Me ne vado me ne vado, ma non prima di averla salutata.»
«Non farti più vedere qui da me.»
«Sei forse geloso?»
Åsli rise, punto sul vivo; rise perché aveva dannatamente ragione.
«Quindi secondo te io dovrei sparire solo perché lo dici tu. Interessante. Hai detto che non sarei più dovuto venire qui. Allora nessuno mi vieta di continuare a vederla. Ottimo. Ora scusami, ma qualcuno ha bisogno di una mano di là, e stavolta ci vado io. Ah, non guardarmi così, non mi interessa, sai? È più divertente vedere come reagisci tu alle provocazioni. Chissà cosa direbbe lei, se sapesse di piacerti.»
Che stronzata, pensò lui.
Una grandissima cazzata.
Allora perché la sola idea che l‘ospite irritante potesse dirle una cosa del genere gli urtava tanto i nervi?





Note dell’autrice (che ha finalmente trovato la giusta colonna sonora per la storia, yeeh!):
Ohhhh ma quanto è benefico scrivere di Raon, Åsli e Tae? Si cominciano a delineare le dinamiche di questi tre, e penso siano molto diverse da ciò che vi aspettavate fin dall’inizio.
Vero?
Vero??
VERO??
Comunque spero questa storia sia in grado di soddisfarvi nella lettura almeno quanto me nello scriverla, perché è davvero intrigante per me mandare avanti questo progetto in maniera tanto ispirata. Mi auguro di trovarvi sempre in tanti qui, a supportarmi come fate sempre con parole gentili, entusiaste, anche con la sola presenza e lettura silenziosa. Siete preziosissimi, sappiatelo!
P.s. la mia dolcissima BloodyWolf ha aggiornato l’aesthetic inserendoci anche Tae, non sono adorabili? Grazie tesoro!
Alla prossima,
-Stefy- 
   
 
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