CAPITOLO
16
Se
lo era detto e ripetuto innumerevoli volte. Non meritava Ojiro e non era giusto
forzarlo, in nessun modo e per nessuna ragione.
Eppure,
quando il giorno dopo lo rivide a scuola, con gli occhi segnati dall’insonnia,
non riuscì più a pensare di stare zitto ed aspettare.
Lo
aveva baciato lui, quindi forse poteva sperare e peccare un poco di presunzione
nel pensare che poteva anche aiutarlo. Se poteva dissipare anche un solo
dubbio, qualcosa di piccolo...perché non farlo.
Glielo
doveva.
Per
questo approfittò subito della lentezza di Ojiro, alla fine della giornata
scolastica, nel mettere tutto quanto in cartella. Di solito si sbrigava, pur di
non far aspettare troppo Shoji e Sato, ma quel giorno
gli sembrava quasi scarico. Come a rallentatore.
Anche
durante le lezione, pur avendo in mano la penna per tutto il tempo, aveva
scritto pochissimo. Quasi nulla. Era lampante non riuscisse a stare dietro la ti
parlantina di Present Mic.
“Ojiro?”
Il
sobbalzo fu così improvviso e violento che l’astuccio che Ojiro aveva ancora in
mano si schiantò a terra.
Shinsou
si abbassò subito a recuperarlo, prima ancora che potesse piegarsi Ojiro per
farlo. Glielo passò quasi con timore, ancora inginocchiato accanto al banco,
guardandolo dal basso.
Facendosi
più piccolo possibile, timido.
“Ojiro
possiamo...possiamo parlare un attimo? Da soli?”
Mashirao
lo fissò a lungo, si perse in quegli occhi viola lucidi, quegli occhi che
ultimamente l’avevano fatto penare così tanto, che lo avevano portato a
rivangare e ricordare cose che forse non avrebbe voluto ricordare.
Eppure
erano così belli, quegli occhi. Non per il colore, no, per quello che
trasmettevano.
Un
pentimento totale e sincero.
Annuì,
alla fine, mordendosi nuovamente il labbro. Lo sapeva che gliel’avrebbe
chiesto, era ovvio, per questo era stato così nervoso per tutta la mattina,
assente. Pensieroso.
Ma
se non fosse venuto Shinsou, prima o poi sarebbe stato lui ad andarlo a
cercare.
Per
se stesso.
“Shoji-kun?” chiamò, e quando l’altro si affacciò dalla
porta dell’aula si sforzò di abbozzare un sorriso, “Andate pure avanti. Io vi
raggiungo più tardi.”
Shoji in un
primo momento non disse nulla, limitandosi a fissare Shinsou che se ne stava
ancora nella stessa posizione accovacciata, gli occhi puntati al pavimento
adesso. Scambiò appena un’occhiata con Satou, poi
annuì. “Va bene. Ti aspettiamo al dormitorio, allora.”
“Sì.
A dopo.”
Shinsou
si alzò solo quando lo fece anche Ojiro, dopo aver finito di sistemare le
ultime cose in cartella.
Fecero
la strada in silenzio, fino al cortile sul retro.
A
quell’ora non c’era nessuno perché tutti quanti si stavano già dirigendo verso
il dormitorio, per riposare o studiare.
C’era
tranquillità, in totale contrasto con quello che Ojiro aveva nella testa,
invece.
Il
caos totale.
Avrebbe
voluto riuscire a tranquillizzarsi, sapere che cosa rispondere a quelle che
sarebbero state le domande di Shinsou, ma non ne era in grado. Non lo sapeva
neanche lui.
C’erano
cose che semplicemente non si potevano controllare, come i sentimenti. Ma
comprenderli un po’ forse l’avrebbe fatto sentire meglio.
Invece
era nella confusione più assoluta, e non sapeva più che fare, o dire.
Non
aveva spiegazioni logiche a quello che provava. Niente di tutto quello era
logico.
“Mi
dispiace per ieri,” mormorò alla fine, gli occhi fissi sul pavimento, “Scusa,
davvero, non so che...non so.”
“Non
è per quello,” sussurrò anche Shinsou, grattandosi la nuca. Non si sarebbe mai
lamentato di un bacio di Ojiro, rubato o meno che fosse.
Tutta
quella situazione era iniziata proprio perché lui lo desiderava, in fondo.
Non
era lì per lamentarsi. Era solo preoccupato.
Da
morire.
“Non
devi scusarti, Ojiro. Però...Io credevo che non volessi.”
Mashirao
strinse le labbra fra loro, “Anche io lo pensavo.”
Ma...
Lo
lasciò sospeso nell’aria, senza più continuare.
Shinsou
avrebbe voluto estorcergli tutto con le pinze, perché così non poteva neanche
aiutarlo.
Ma
non era il caso. Doveva lasciargli i suoi spazi. Anche a costo di aspettare
tutto il giorno. O più di un giorno.
“Quando
sei stato male ho pensato fosse meschino non aiutarti solo perché ti avevo
chiesto di non toccarmi, anche perché quando sono tornato nella stanza tu
dormivi,” iniziò Ojiro, legandosi la coda alla vita e stringendosi nello stesso
momento nelle braccia.
Allora
aveva ragione, Shinsou. Era stato Ojiro. E quindi, volente o meno l’aveva
toccato, quel giorno.
“Ho
fatto qualcosa...”
“No.
Te l’ho detto, dormivi.”
“Non
capisco. Scusami, Ojiro, ma proprio non capisco,” ammise alla fine, perplesso,
“Ho pensato che ce l’avessi di nuovo con me, e sarebbe stato giusto. Ma quello
che hai fatto ieri mi confonde.”
Ojiro
si coprì gli occhi con le mani, ben strette a pugno. Il pennacchio della coda,
che teneva stretta alla vita, a darsi piccole pacche sulla schiena. “Sapessi
quanto confonde me...”
Hitoshi
assunse un’espressione stupita solo per un breve attimo, poi aggrottò le
sopracciglia.
Aveva
pensato fosse utopistico pensarlo –sperarlo-, ma
forse era così.
Forse
Ojiro provava qualcosa.
Per
questo era così confuso, spaesato, per questo l’aveva baciato. Per provare.
Per
questo aveva detto quella frase, quel giorno.
Non voglio
tu sparisca dalla mia vita.
E
per questo non lo aveva denunciato.
Perché
provava qualcosa per lui.
Per
questo non gli dava corda, per questo a differenza di tutti manteneva le
distanze da lui fin da principio.
Se
solo l’avesse capito o sospettato prima, anche solo per un attimo, non
l’avrebbe mai fatto. Mai.
Ma
ormai era tardi, per quello.
“Ascolta,
Ojiro...posso?”
Gli
lasciò il tempo di pensare e capire, ma non appena, seppur impercettibilmente,
Mashirao annuì, Shinsou gli prese entrambi i polsi fra le mani e lo costrinse a
staccare i pugni dal volto. A scoprirsi.
Era
quello che doveva fare, da adesso in poi.
Scoprirsi.
Altrimenti
non sarebbe riuscito ad arrivare a nulla, temeva. Poteva aiutarlo, in quello.
Lo sperava, almeno.
“Mi
puoi guardare un attimo?”
Mashirao
sospirò. Aveva ancora i polsi bloccati dalla presa delicata di Hitoshi, e il
calore di quelle mani così grandi gli si irradiò fino alle guance. Alzò gli
occhi piano, ma alla fine catturò le iridi violacee di Shinsou, perdendocisi.
E
per qualche ragione gli diedero un senso di pace.
Shinsou
si ritrovò a sorridere, un sorriso vero, dolcissimo, che non aveva nulla dei
suoi soliti sogghigni. E Ojiro, per un attimo, sentì chiaramente un crampo allo
stomaco a quell’espressione.
E
un pizzico di felicità.
“Possiamo...fare
una cosa,” azzardò allora Hitoshi, senza distogliere lo sguardo né cambiando
espressione.
Quel
velo di lacrime fu come una carezza per Mashirao, che d’istinto sciolse la
presa della coda su se stesso e l’allungò verso di lui, sfiorandogli la guancia
con l’estremità pelosa.
“Cosa?”
Hitoshi
trattenne per un attimo il respiro, “Potremmo...se sono io a confonderti, per
qualche ragione, potremmo provare a passare un po’ di tempo insieme, invece di
ignorarci a forza. Così...Il silenzio non può aiutarti a capire. Finora non ti
ha aiutato, no?”
“Già.
Non lo ha fatto.”
“Allora...potremmo.
E se deciderai che è stato solo un attimo di confusione, non ti parlerò mai
più.”
Mashirao
rimase in silenzio solo pochi istanti, prima di annuire.
Per
qualche assurda ragione, la stretta allo stomaco non si era allentata affatto,
dopo quella proposta. Eppure, non faceva male. Era quasi piacevole.
Una
coccola, come la stretta di Shinsou sui suoi polsi, che adesso sembrava quasi
una carezza.
“Va bene,” sussurrò quindi. Se solo quello lo
faceva sentire così, forse la risposta ce l’aveva già? Forse era lui, invece, a
non volerla vedere?
“Sì. Va bene.”