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Autore: Sette Lupe    11/04/2020    0 recensioni
Malík non era un falconiere, non gli era mai interessato e non gli interessava tutt'ora diventarlo; inoltre, in tutti i piani che aveva fatto per la sua vita, proprio non c'era nulla che potesse anche solo vagamente riguardare un animale impegnativo e dispendioso da mantenere come un'aquila. Magari un pappagallo, o meglio un canarino se proprio avesse voluto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Al Mualim, Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Roberto di Sable
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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5. Gita
 
 
"Allora, sei ancora un ricamo ambulante o te li hanno tolti quei benedetti punti?"
 
Malík allontanò con uno scatto il telefono di una buona decina di centimetri dall'orecchio: Ezio aveva questa orrenda abitudine di parlare a voce troppo alta al telefono, eppure non poteva dirsi infastidito nel sentire la voce squillante dell'amico: "Sono lieto di comunicare che sono ufficialmente un uomo libero da giovedì scorso" rispose allegramente.
 
"Bene! Allora domani sei impegnato: siamo solo noi due, più mio fratello e mia sorella. Prendiamo il Serpentone e arriviamo fino al recinto di Nove Secondi, facciamo un paio di attraversamenti e poi ci fermiamo a pranzo da Adal. Ritrovo da me alle otto e mezzo con i motori già caldi!"
 
Malík ridacchiò:" Ok, allora alle nove sono lì, così devo aspettare il vostro ritardo solo mezz'ora"
 
Ezio scoppiò nella sua calda risata e concluse la telefonata con le solite promesse di come, questa volta, sarebbe invece stato super puntuale. Promesse sempre uguali a loro stesse tanto quanto l'abitudine di infrangerle.
 
Malík rinfilò il telefono in tasca e si diresse canticchiando tra sé e sé verso il garage dove custodiva il suo più prezioso tesoro per prepararlo alla gita dell'indomani. La carena blu elettrico della sua moto lo salutò con bagliori color zaffiro appena ebbe rimosso il telo protettivo strappandogli un sospiro che non sarebbe stato fuori luogo tra le labbra di un innamorato che salutava la sua bella dopo una lunga separazione.
 
Era stata decisamente una settimana fantastica: la seconda di libertà dal suo seccante fratello, al lavoro non era stato poi così tanto vessato dal suo capo, nessun intruso piumato era giunto a distruggerli casa, il giorno successivo lo aspettava una gita in moto lungo una delle strade più belle della zona per un motociclista (il "Serpentone" era un nomignolo che gli amanti delle due ruote avevano affibbiato al percorso per via delle numerose curve sinuose che lo caratterizzavano) e per giunta era previsto un tempo splendido per tutto il weekend. Anche l'idea proposta dal suo scapestrato amico di far visita a Nove Secondi era da annoverare tra le gioie che lo attendevano quel fine settimana in effetti: il vero nome di Nove Secondi non lo avevano mai scoperto, e quello affibbiatogli di comune accordo dalla combriccola di motociclisti di cui Malík faceva parte, era stato ispirato da una serie di grandi cartelli affissi ad intervalli regolari sulla staccionata del suo recinto che recitavano "Potete attraversare questo pascolo solo se impiegate meno di otto secondi a farlo. Perché al toro ne servono nove”
 
Sì, Nove Secondi era un enorme toro. Giovane, veloce, nonché straordinariamente territoriale ed irascibile. I cartelli erano apparsi dopo una sola settimana dal suo arrivo in quel pascolo (Probabilmente dopo qualche incidente con turisti troppo amanti degli animali e troppo poco istruiti sull'etologia bovina) e fino alla loro affissione in nessuno della compagnia di motociclisti aveva destato il minimo interesse.
 
Ma un cartello simile non poteva essere ignorato: a partire da quel momento, le visite al suo recinto erano diventare uno dei loro passatempi preferiti, e sembrava che anche Nove Secondi avesse finito per trovare divertente partecipare a quelle sorte di corride de recortes improvvisate… Probabilmente anche per via del fatto che veniva puntualmente ricompensato per il divertimento fornito con grandi manciate di zuccherini, frutta e verdura che venivano buttati nel recinto dai ragazzi al momento di congedarsi.
 
A proposito di animali pestiferi, chissà come se la passava Altaïr…
Malík scrollò bruscamente la testa: doveva smetterla di pensare a quell'uccellaccio. Altaïr stava bene dove stava, e il fatto di non rivederlo assicurava salute e pace ad entrambi.
 
La pace di Malík era indubbia, per quanto riguardava Altaïr invece, quelle erano state due settimane di duro lavoro: come molti animali che convivono a stretto contatto con gli umani, Altaïr aveva una seppur vaga idea di cosa significasse lavorare. Sapeva che Il Padre nutriva lui ed i suoi simili con galline, piccioni conigli e porcellini d'india che lui stesso allevava; sapeva anche che però, per crescere e nutrire questi ultimi, Il Padre scambiava il cibo che loro mangiavano con dei pezzetti di carta che otteneva facendo fare ad Altaïr alcune cose: in quelle due settimane in particolare avevano spaventato uccelli. Ad Altaïr piaceva rincorrere piccioni e storni (non li prendeva quasi mai perché Il Padre diceva che mangiare le loro carni avrebbe potuto farlo ammalare e gli portava via immediatamente ogni preda che riuscisse ad acchiappare); Il Padre lo svegliava prima dell'alba, lo metteva in macchina nel suo posto preferito e gli faceva guardare il panorama mentre lo portava in giro fino al tramonto. Visitavano frutteti, campi appena seminati, aeroporti e anche qualche magazzino dove il compito di Altaïr era sostanzialmente fare il bullo finché gli uccelli indesiderati non avessero pensato che quello ora era il suo territorio di caccia, decidendo quindi che era meglio abbandonare la zona per non cadere vittima dei suoi attacchi.
 
Divertente, ma anche molto stancante.
 
Finalmente, dopo quella che gli era parsa un'eternità, l'automobile che veniva tutti i giorni a prendere lui ed Il Padre non arrivò più e quest'ultimo si presentò a mattino inoltrato ad aprire le porte delle voliere senza chiamarlo. Era il segnale che il lavoro era finito e Altaïr poteva andare dove gli pareva. Rimase ugualmente nei paraggi per un paio di giorni per assicurarsi che Il Padre non avesse davvero più bisogno di lui, perché era ben conscio del fatto che lui in particolare era una delle principali fonti di guadagno del Padre, ed era quindi sua responsabilità primaria fare quanto in suo potere per il sostentamento della Famiglia.
 
Malík però ora poteva tornare ad essere nei suoi pensieri, quindi, il terzo giorno di inattività della rocca, scelse la corrente d'aria più adatta a raggiungere la casa del ragazzo e si allontanò rapidamente dalle alte mura della sua casa.
 
Trovò il suo obbiettivo nel vialetto di casa, intento a preparare per la partenza uno di quei buffi mezzi di trasporto su cui gli umani talvolta amano salire a cavalcioni; stridette un saluto ma Malík lo ignorò platealmente e, senza guardare verso il cielo nemmeno una volta, si infilò una specie di uovo di plastica in testa ed accese il motore della motocicletta (giusto, moto, era così che si chiamavano quegli affari). La prima reazione dell'aquila fu di indignazione e di rabbia: come osava ignorarlo in maniera tanto insolente?! Poi però ricordò Rauf, una delle aquile più esperte ed anziane della Famiglia, e come lo avesse istruito sulle limitate capacità degli umani: le povere creature avevano un pessimo udito ed erano praticamente cieche; inoltre non avevano l'istinto di levare lo sguardo al cielo per rilevare eventuali pericoli provenienti dall'alto, del resto avevano pochissimi predatori, quindi solo gli umani addestrati a prendersi cura del loro popolo controllavano regolarmente quanto accadeva sopra le loro teste. Era pertanto plausibile che Malík non lo avesse udito e ancor meno visto.
Poco male decise: lo avrebbe seguito dall'alto e gli avrebbe fatto una bella sorpresa appena si fosse fermato in qualche punto dove fosse stato facile atterrare.
 
La prima sosta di Malík non offriva una tale possibilità: la grande casa davanti a cui aveva parcheggiato la moto era in un punto dove il vento formavano fastidiosi vortici d'aria a bassa quota; in più il giardino era presidiato da una sgangherata e rumorosa banda di cagnacci di grossa taglia che avrebbero scatenato sicuramente un pandemonio nel vederlo e gli avrebbero rovinato la sorpresa. Tanto più che Malík era entrato subito nella costruzione che non presentava finestre aperte accessibili. Quindi all'aquila non rimase che restare in quota descrivendo pigri circoli sopra la magione e tenendo d'occhio la motocicletta di Malík.
 
Dopo quasi un'ora, Altaïr aveva quasi perso le speranze di vedere il suo nuovo umano preferito uscire da quella maledetta casa quando eccolo sbucare accompagnato da altri tre bipedi che saltellavano e zigavano come conigli in amore. La strada che scelsero di percorrere lui la conosceva abbastanza bene, e sapeva come avrebbe dovuto attendere parecchio prima di trovare un posto per atterrare.
 
Non aveva abbastanza pazienza per questo, quindi decise che avrebbe cambiato strategia: scese di quota prendendo velocità, ed al momento giusto si tuffò tra gli alberi che formavano una volta sopra la strada per sbucare alle spalle del piccolo gruppo di motociclisti.
  
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