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Autore: Indaco_    11/04/2020    3 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Sonic rimase a fissare a bocca aperta l’avvocato al suo fianco: il plico di fogli che erano sgusciati fuori erano attraversati da righine sottili che provò inutilmente a leggere. Confuso come non mai, lanciò un’occhiata ad Amy sperando che potesse fornirgli le spiegazioni adeguate. Non capiva perché il risultato del test era passato al signor Stanghelf, cosa centrava lui con quell’argomento?
La riccia rosa iniziò ad arrovellare gli aculei confetto sulle dita e prese a respirare più velocemente del normale. Sonic roteò gli occhi stancamente, quell’espressione angosciata non la sopportava, indicavano altri problemi in vista ed in quel momento poteva persino capire il nocciolo,
< Amy? Che centra lui in tutto ques … > domandò a bassa voce con tono acceso. Gli occhi lampeggiavano di irritazione, non avrebbe voluto, ma capì perfettamente che non tutto era salito a galla. E la conferma di quello che temeva la ebbe quando la riccia sgusciò dal suo sguardo con il viso contrito e sguardo dispiaciuto.
Sonic rabbrividì: cos’altro c’era di così terribile?
L’avvocato al suo fianco, lisciandosi le falde della giacca, si alzò in piedi solennemente inforcando gli occhiali appesi al collo. Il blu, turbato dal silenzio misterioso della ragazza, non si era accorto che il leone aveva concluso il suo logorroico discorso e che ora, giustamente, toccava alla volpe difenderlo dalle accuse spregevoli. Come un automa si girò lentamente iniziando a sentire le gambe più molli del previsto: non capiva cosa stesse succedendo.
Avido di informazioni e soprattutto di chiarezza si focalizzò sul suo difensore che iniziò a parlare senza alcun tipo di timore.
< In merito a quanto elencato dal mio collega, riguardo alle vicende che il mio cliente ha dovuto affrontare, ho una giustificazione a tutto: i spiacevoli eventi quotidiani che sono avvenuti sono completamente frutto di sfortunate coincidenze. Nulla è stato fatto per procurare un danno al piccolo, anzi. Ogni azione eseguita è stata fatta per puro amore verso il loro figlioletto > esclamò sicurissimo di sé, gonfiando persino il petto tanto era orgoglioso di quelle parole.
Fu interrotto subito dal martelletto che venne sbattuto con puntiglio
< le ricordo che Justin non è il figlio del suo cliente avvocato Stanghelf > lo interruppe la civetta tamburellando nervosa le dita sul ripiano. E fu in quel momento che la volpe sorrise sorniona, un sorriso talmente furbo che fece rabbrividire persino il leone, seduto dall’altra parte delle due corsie.
Guardando un attimo i fogli che teneva in mano, si ricompose e sospirò paziente, con l’espressione di chi la sapeva lunga, molto lunga.
< Ed è proprio qui che sbaglia onorevole. I miei clienti sono i genitori biologici di Justin e perciò gli unici e legittimi tutori del piccolo. E questo test può confermarlo, se vuole controllare di persona > continuò sicuro portando la busta dinanzi alla civetta sorpresa da quella notizia. Ritornando al suo posto con passo deciso e sicuro, iniziò a raccontare la lunga storia dei genitori e del loro piccolo. Di come e perché Amy e Justin fossero fuggiti da Gout City e di come erano arrivati fino a quel giorno.
Sonic, bianco come un lenzuolo, non riusciva neppure a reagire a quella narrazione. Non poteva far altro che ascoltare incredulo l’intero e dettagliato racconto, diventando più bianco ogni qualvolta che fuoriusciva una notizia o un evento che non conosceva.
Il riccio non ascoltò le parole del giudice e dell’avvocato di Jason, aveva ben altro per la testa: era padre. Era il padre del piccolo.
Ed Amy glielo aveva nascosto per quattro lunghissimi anni. Semplicemente, aveva deciso di non dirglielo fregandosene completamene di lui e del fatto che il cinquanta per cento del piccolo era stato creato per merito suo. Si sentiva completamente perso dopo quella novità e soprattutto si sentiva ferito in modo mai provato prima. La paura e il desiderio più grande che potesse sognare e desiderare si era avverato: Justin in quei pochi minuti si era legato indissolubilmente a lui, un legame così potente e contemporaneamente così fragile da fargli rotolare lo stomaco dall’ansia. E adesso chi glielo avrebbe detto? E soprattutto come avrebbe potuto esercitare “la professione” non sapendo praticamente nulla di cosa e come fare? E soprattutto, come avrebbe potuto perdonare quella ragazza che gli aveva nascosto il loro figlio per ben quattro anni?
L’incredulità si trasformò velocemente in delusione e la delusione, di minuto in minuto, si incendiò divenendo ben presto rabbia. Le sue mani si chiusero a pugno iniziando a stringere le dita contro i palmi.
Accanto a lui, la ragazza non riusciva a staccare gli occhi dal riccio, pensando realmente che stavolta il blu avrebbe chiuso completamente qualsivoglia rapporto con lei. E non poteva dargli torto: sebbene fosse rimasta incerta per i primi anni, negli ultimi due, giorno dopo giorno, aveva capito perfettamente chi era il padre del piccino.
La ragazza non parlò né si mosse, rimase in un compostissimo silenzio riflettendo su cosa avrebbe mai potuto dire o fare dopo quel giorno. Avrebbe tanto voluto fargli sapere perché si era comportata in quel modo ma la situazione non lo permetteva.
Nessuna parola avrebbe potuto colmare quello che aveva fatto e anche se ci fosse stata l’occasione, Sonic, giustamente, non avrebbe voluto nemmeno vederla.

Attorno a loro la situazione era leggermente degenerata: Jason si era alzato in piedi rabbioso e aveva urlato che il risultato del test era completamente falso, incredulo, inoltre, per aver ospitato nella sua casa un figlio non suo. Il leone, stupito da quel colpo basso, tentò inutilmente altre vie di uscita per il suo cliente ma non ci fu nulla da fare. Il test era autentico e reale, numerosi timbri accertavano l’ufficiosità di quelle carte.
La giudice, esasperata dalla situazione e soprattutto dalle urla che provenivano dal finto padre, non verificò nemmeno i fogli contenuti, ma sbatté il martello furibonda cercando di riportare la calma all’interno dell’aula.
La volpe verde, in piedi e ben diritto, osservava con evidente entusiasmo l’intera scena non aspettando altro che il verdetto. Attraverso le lenti degli occhiali rotondi, i suoi occhi sbeffeggiavano gli “avversari”. Soddisfattissimo del lavoro svolto, non riuscì a trattenere un sorriso vittorioso nei confronti del collega, talmente impreparato a quella notizia che la criniera ben curata si sciupò irrimediabilmente.
La civetta, riuscendo a ristabilire un minimo di ordine, raccolse tutte le carte sparpagliate e le impilò ben bene con piccoli colpetti sul bancone. Lo sguardo impenetrabile fisso sui documenti indicava che la faccenda stava venendo ben calcolata. Chiudendo gli occhi gialli sembrò sollevata di essere arrivata alla fine di quell’udienza. La toga nera, lunga fino ai piedi, oscillò quando si alzò in piedi.
Riprendendo la calma persa, con tono autoritario osservò entrambe le parti come per decidere a chi dar torto e chi far vincere. E dopo aver sbattuto il martello sulla piccola piattaforma di legno alzò le spalle e annunciò la decisione.
< Il bambino è affidato ai genitori legittimi: il signor Sonic the Hedgehog e la signora Amy Rose. Per quanto riguarda il rapporto con il signor Jason è assolutamente priorità dei genitori, fino al raggiungimento della maggiore età, occuparsi di questo aspetto. Dichiaro che l’udienza è conclusa. > e raccogliendo i pochi oggetti che aveva adagiato sulla scrivania, uscì a passi lenti dalla sala.
L’atmosfera era tesa come corda di violino. Il signor Stanghelf esibendo soddisfatto un sorriso per la vittoria, si accorse solo in quel momento che era l’unico che stava festeggiando. I suoi clienti erano seduti sulle panchine con delle facce stravolte e per nulla contente.
Amy, accanto a Sonic, era protesa verso la sua direzione ma totalmente staccata dal ragazzo. Gli occhi lucidi minacciavano di versare qualche lacrima e l’espressione dispiaciuta suggerivano all’avvocato una terribile ipotesi.  
Jason dalla rabbia sbatté un pauroso pugno sullo schienale del banco facendolo tremare e spaventando persino il leone suo avvocato. Gli occhi fiammeggianti fulminarono la ragazza rosa seduta a meno di dieci metri da lui accanto al nuovo compagno. Gli aveva mentito e si era approfittata dei suoi beni: casa, soldi, alimenti. Aveva architettato tutto pur di condividere le sue ricchezze. Con un ringhio di rabbia marciò fuori dall’aula maledicendola per come si era comportata.  
Sonic era in un mondo a sé, con il viso rivolto verso terra sembrava fissare il vuoto con espressione disgustata e rabbiosa.  Il blu non aveva mai provato una simile rabbia in vita sua. Il cuore gli batteva così forte nel petto che sembrava volesse saltar fuori lui stesso. Un sentimento così simile all’odio invadeva ogni sua singola parte: i pugni tremanti ben serrati sulle ginocchia schioccarono più e più volte.
La riccia non riusciva a parlare, la lingua e la bocca arida di parole le permettevano appena di deglutire e respirare. Che scuse fornirgli per quello che era successo? Non sapeva nemmeno da dove tirar fuori la faccia tosta per giustificarsi: si era comportata in modo terribile, sia nei confronti di Sonic, sia nei confronti di Justin.
La volpe verde, accanto a loro, era chiusa in perfetto silenzio, con le sopracciglia aggrottate e gli occhialini rotondi poggiati sulla punta del naso. Aveva capito benissimo la situazione: Amy non gliela aveva detto. E ora il ragazzo si trovava in un punto terribile: d’un tratto padre, tutti i punti saldi nella sua vita erano stati spazzati via dalla nuova, enorme, mastodontica presenza: suo figlio Justin. Decise di salutarli velocemente e di lasciarli soli, per il pagamento avrebbe contatto il suo fidato cliente per mail.

Nella testa del riccio tutto vorticava furiosamente, tutto il puzzle composto da bugie e mezze verità si completò nel giro di attimo facendogli salire i nervi a fior di pelle. Di una cosa era certo: Amy non sarebbe stata perdonata, neppure con tutto il buonsenso che aveva conservato. L’espressione insapore sul suo volto si trasformò in una smorfia rabbiosa con cui si rivolse alla riccia, furioso come mai era stato.
< BUGIARDA! FALSA! Come hai potuto farci una cosa del genere!? > gridò a pieni polmoni nella sala vuota. La voce gli divenne d’un tratto roca, rendendo i suoi insulti ancor più pesanti e crudeli. Alzandosi in piedi di scatto, rischiò persino di rovesciare il banco su cui erano seduti.
< Come hai potuto? L’ hai nascosto a me! A lui! L’hai obbligato a considerare suo padre quel pezzo di merda! Come hai potuto tenere quella maschera di gioia sapendo cosa ci stavi facendo? > gridò con disprezzo totalmente fuori di sé. La rabbia gli fece apparire una vena pulsante sul collo mentre le pupille si ridussero a due fessure non più grandi di due piccole biglie.
Amy sgusciò dal banco e a testa bassa raccolse quelle parole una a una. La rabbia e il disprezzo che il riccio riversava su di lei la laceravano di dolore, mai aveva creduto di arrivare ad un livello così basso con lui.
Il ragazzo digrignò i denti  e strinse le palpebre fino a serrarle, le parole che gli risalivano dalla gola a getto continuo non erano certo delicate o galanti e faticò parecchio a tenerle per sè. 
Raccogliendo di fretta la giacca la piegò su un braccio e si rivolse alla rosa senza nemmeno degnarla di uno sguardo
< ora tu farai le valigie e te ne andrai da casa mia. Vai dove vuoi, non mi interessa. Justin resterà con me e tu non ti avvicinerai a lui > ordinò con freddezza e calcolatissime parole. Detto ciò, gli girò le spalle e con una lunga falcata marciò verso l’uscita della sala.
Amy si riscosse solamente quando sentì quelle ultime parole. Scuotendo la testa incredula lo seguì fuori dalla sala a passo veloce cercando di rimanere al passo
< Sonic! Mi dispiace, mi dispiace veramente di tutto questo! Posso capire che al momento tu non voglia nemmeno parlargli ma no, non se ne parla nemmeno. Justin verrà con me, non resterà con te, ha bisogno di sua madre ed inoltre non lo conosci così bene! > esclamò a voce alta pur di richiamare l’attenzione del ragazzo. Riuscì nel suo intento: Sonic si girò furioso e l’aggredì con rabbia
< certo che non lo conosco! Me l’hai nascosto per quattro anni Amy! Quattro fottutissimi anni che non torneranno indietro! Ora è arrivato  il mio turno e se pensi che da oggi in poi ti lascerò anche per un solo giorno carta bianca, ti sbagli di grosso > ringhiò minaccioso sforzandosi di non gridare.
Amy non ebbe il tempo di replicare perché il riccio sparì un secondo dopo in una scia blu, lasciandola sola nella sala principale. La riccia rimase pietrificata sul posto, congelata dalla volontà del ragazzo e dall’ assurda idea di tenere il piccolo separato da lei.
Scuotendo la testa avanzò nella sala per imboccare l’uscita e poter capire dove si fosse diretto. Lanciando una profonda e accurata occhiata alla strada e ai principali svincoli sperò di vedere il guizzo blu, cosa che però non avvenne.
Vide invece la spider blu notte uscire dal parcheggio per addentrarsi in mezzo al traffico con meno scioltezza del solito.
Intuendo le intenzioni de ragazzo, di slancio si precipitò sulle scale stringendo la borsa al petto e cercando di correre il più velocemente possibile per quello che le era possibile con quei tacchi. Doveva raggiungere la baby sitter prima di lui, a qualsiasi costo. Forse il traffico poteva regalarle qualche buon minuto in più, ma lei doveva correre fino allo sfinimento.
La riccia, che ancora ricordava la pianta della città, prese la strada più corta e correndo in modo ridicolo a causa delle scarpe si diresse dritta verso la casa della ragazza a cui aveva affidato il suo piccino.
L’equilibrio precario e il dolore che quelle scarpe le procuravano la obbligavano a fermarsi ogni venti metri rallentando il suo percorso. Il cuore sembrava volesse schizzarle fuori dal petto e le caviglie le tremavano dallo sforzo di mantenersi in piedi. Non poteva lasciarsi fregare il figlioletto in questo modo, per quanto Sonic potesse essere il suo legittimo padre non poteva certo strapparglielo dalle mani così all’improvviso.

Dopo un tempo che parve non finire mai, quasi venti minuti più tardi, la riccia raggiunse a fatica la casa della sua baby sitter Mel: una sedicenne con un ampio sorriso, timidissima che, a quanto Blaze le aveva riferito, se la cavava benissimo con qualsiasi cucciolo. La casa rosata di fronte a lei presentava vasi di fiori praticamente ovunque. e sulla porta se ne stava appesa una ghirlanda dagli eccessivi, sgargianti colori, carica di coccarde e nastrini vari. La rosa trasse un lungo sospiro e si rimise in ordine i capelli prima di premere il citofono. Forse ce l’aveva fatta, forse era riuscita realmente ad anticiparlo. Nell’esatto momento in cui formulò quella domanda la porta venne spalancata e la ragazzina di qualche ora prima, mise fuori la testa con un sorriso carico di imbarazzo.
< Ciao Amy! > mormorò a bassa voce l’adolescente scostandosi i cappelli ricci dal volto. La dolcezza del suo sorriso tranquillizzò la ragazza che trasse un profondo sospiro prima di parlare,
< ciao Mel , sono venuta a prendere Justin > mormorò con un sorriso costruito sperando con tutta se stessa di aver superato, almeno in quello, il ragazzo blu. La ragazza assunse uno sguardo confuso e le gote le si arrossarono, e guardandosi attorno come per assicurarsi che non ci fosse nessuno, le rispose confusa
< Justin non è qui, è passato suo padre a prenderlo > le spiegò con calma cercando di mascherare il suo enorme stupore. Amy sospirò e portò una mano sul volto con aria grave, che avrebbe fatto ora? Doveva tornare a casa e sperare di trovarli già là.
< Tutto bene? > mormorò la ragazza osservandola con sincera preoccupazione: lo sguardo stanco, l’abbigliamento ricercato ma terribilmente in disordine era piuttosto strano.
Amy si riscosse e sorrise distratta,
< certo, certo, probabilmente si è dimenticato di avvisarmi. Ti devo qualcosa? > continuò sbattendo le palpebre e tornando a concentrarsi. La ragazza con un sorriso scosse la testa ricciuta. Amy si sistemò la mise e le fece un segno di saluto con la mano
< ok, grazie e buona giornata > concluse con gentilezza allontanandosi. Il saluto fu ricambiato e la porta venne chiusa con la stessa delicatezza.

La riccia a piccoli passi si incamminò verso casa, o meglio, verso la sua ex casa. La sua testa somigliava ad un enorme laghetto dove i problemi nuotavano disperatamente ingarbugliandosi e riproducendosi a gogò. Se Sonic non l’avesse davvero perdonata doveva organizzare la sua vita nel giro di qualche giorno: doveva trovare un lavoro, una casa, doveva accordarsi con il padre del piccolo. Il senso di nausea le ribaltò lo stomaco.
Prendendo il telefono con ansia digitò il numero del neo papà: doveva assolutamente sapere cosa aveva intenzione di dire al piccino o, peggio ancora, cosa gli avesse detto.Il riccio in quel momento non era in sé, giustamente, tutte quelle notizie apprese in meno di due ore l’avevano semplicemente mandato a k.o.  Avrebbe potuto benissimo, perciò, raccontare in modo soggettivo la verità sui fatti accaduti e dare così a Justin un’idea sbagliata dell’intera situazione. Il cellulare squillò regolare: uno, due, tre, quattro … la riccia contò fino a sette prima che la chiamata venne bruscamente interrotta dalla segreteria telefonica. Con un sospiro spazientito non le rimase che tornare nella casa da cui era stata esiliata e dove avrebbe trovato il suo piccolo.


Impiegò molto più tempo del previsto a raggiungere la casa: un po’ per le scarpe, un po’ per la stanchezza e un po’ per quel problema che le toglieva energia. Quando vide da lontano la casetta immacolata protetta dal muro di mattoni rossi, il suo cuore per certi versi esultò. Avvicinandosi al cancello con indecisione, spiò tra le sbarre in cerca di qualsiasi movimento all’interno della dimora che le confermasse che i due fossero in casa. Ma diversamente da quello che si aspettava il garage era ancora aperto e la casa era immersa nel silenzio. Il suo cuore iniziò a battere più forte, lanciando occhiate a destra e a sinistra sperava di vedere la macchina blu spuntare dal nulla. Nervosa ed in ansia provò a schiacciare inutilmente il citofono, temeva che Sonic avesse realmente intenzione di tenersi il piccolo. Quell’idea orribile trovò terreno fertile dentro di lei iniziando a crescere a velocità paurosa. Afferrato il cellulare con le mani tremanti compose nuovamente il suo numero e lo chiamò insistentemente per quattro volte di seguito. Non avrebbe mollato nemmeno morta, quel riccio avrebbe risposto nolente o volente.
< Che c’è? > gli ringhiò nervoso  dopo la quinta telefonata di seguito, scazzato e furioso come non mai. Il motore dell’auto su di giri era talmente forte che Amy quasi si spaventò immaginando la velocità con cui stava viaggiando il figlioletto . Quel tono di voce servì solamente a far infuriare la ragazza che preso coraggio alzò la voce anch’essa arrivando a gridare al telefono
< riportalo indietro Sonic! Non azzardarti nemmeno a portarmelo via! Dove sei? Ha bisogno di me! Come hai potuto ..? >, Sonic sospirò profondamente per non distogliere la concentrazione dalla sua corsa e rallentò appena solo per diminuire il rombo del veicolo.
< Di cosa stai parlando? > le domandò con evidente fastidio abbassando la voce per arginare la chiamata. Se avesse nuovamente urlato in quel modo le sue orecchie si sarebbero spappolate.
< Di c-cosa sto parlando? Mio figlio Sonic! Justin! Portalo qui entro tre secondi altrimenti … >
< Altrimenti cosa? NOSTRO figlio Amy, nostro, non dimenticartene come hai fatto in questi ultimi quattro anni! E poi, madre snaturata che sei, tuo figlio è ancora dalla baby sitter, se sforzassi quella testolina rosa te ne ricorderesti > la rimbeccò con astio e una nota maligna nella voce.
Amy si zittì per qualche secondo, stangata da quell’offesa cruda e sottile per ritornare all’attacco un attimo dopo.
< razza di bugiardo! Sono appena stata da lei e mi ha detto che sei passato a prenderlo tu! Torna indietro, immediatamente! > esclamò alzando ancor di più la voce.
Sonic allontanò il cellulare dall’orecchio infastidito, sì, sarebbe rimasto sordo a furia di urla. Ma un piccolo dettaglio gli fece mettere da parte il rancore: la baby sitter diceva di non avere Justin, lui nemmeno e Amy idem.
La preoccupazione gli salì a livello della gola soffocandogli la rabbia che aveva nutrito fino a quel momento
< Amy, io non ho Justin. Sei andata seriamente da Mel? >  la interrogò valutando l’affidabilità della ragazza. Dall’altra parte della linea Amy rimase impietrita da quella risposta captando immediatamente la nota sconcertata e seria di quelle parole
< certo che sì! Mi ha detto che è venuto a ritirarlo suo padre! > gli rispose confusa.
Il respiro si mozzò nella gola di entrambi e la terribile ipotesi che formularono all’unisono li riempì di puro terrore.
Amy non riuscì a trattenere un grido di disperazione.


Spazio autrice: Non ho molto da dire in queste righe, auguro tanta forza e coraggio a chi ha la sfortuna di essere ammalato o ha familiari malati. 
Baci.
Indaco
  
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