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Autore: LilithGrace    13/04/2020    1 recensioni
"Ci sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare".
(Oriana Fallaci)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Decisi che questa situazione non avrebbe avuto ripercussioni sul lavoro, né sull’amicizia con Jonathan; il suo era un modo come un altro per difendermi da un fantasma funesto che non mi aveva dato pace negli anni più belli della mia vita.
Wow, sono stata amica di Robin e neanche me ne ero accorta… Probabilmente ci sarei potuta arrivare.
No, non è vero. Stavo mentendo a me stessa, di nuovo, stavo cercando di addossarmi la colpa di qualcosa di cui non ero causa, come se mi servisse per forza puntare il dito contro di me. Se avessi saputo della sua seconda vita sarei stata capace di 'salvarlo'? 
Presi il mio smartphone e iniziai a scrivere una bozza di quello che doveva essere un messaggio per il mio amico. Dopo mille correzioni ero giunta alla versione definitiva:

“Ciao Jo,
so di non essermi fatta sentire per qualche giorno, ma avevo bisogno di metabolizzare tutto… forse la cosa che più mi ha spiazzata è stata la storia dell’uccellino, quella mi ha sconvolta.
A parte gli scherzi, volevo solo dirti che so che hai agito solo per proteggermi e, conoscendoti, so che sarai stato in ansia per me. La mia assenza ti avrà portato a pensare al peggio, ma sappi che sto bene, non mi sono mossa da casa mia neanche per mangiare…
A proposito di mangiare, venite a cena da me tu e Dick? Vi cucinerò il miglior cibo cinese del mondo <3
A voce parleremo meglio. Vi aspetto.”



Premuto il tasto invio, attesi con impazienza una risposta che non tardò ad arrivare: un semplice “ci saremo” che però valse più di qualsiasi altra risposta.


Ci ritrovammo lì a chiacchierare, chi con una bella porzione di ravioli alla griglia, chi con i noodles, come se la serata dell’altro giorno non ci fosse stata, come se stessimo ripartendo da zero.
“Dunque, come avete potuto tenermi nascosta questa cosa? È la cosa più figa del mondo dopo la notizia che mio fratello era riuscito a preparare un toast senza far saltare in aria la cucina… ho insegnato una tecnica di Judo ad un piccolo pettirosso. Roba da matti!”, scoppiai a ridere di cuore e loro fecero lo stesso.
“Poi il piccolo pettirosso potrebbe averla insegnata a Batman. Batman potrebbe aver imparato qualcosa da te… non ti lusinga la cosa?”, chiese Dick.
“Molto, appena lo becco in giro gli chiederò di ringraziarmi… a proposito: come avevo accennato a Jonathan, non sono andata a cercare Red Hood. Non mi interessa vederlo, né sentirlo; quello non è Jason, è solo il suo involucro. Per quanto mi riguarda potrebbe anche star ascoltando questa conversazione, ma non mi importa. Tanto se è Jason, sa già dove vivo e se non lo è, lo scoprirebbe comunque”
“Ti vedo più tranquilla…”, sussurrò Jonathan accarezzandomi la spalla.
“Beh ora che so che Jason non era un coglione qualunque, credo che il mio scheletro nell’armadio sia meno pesante. Grazie per aver scelto di dirmelo alla fine…”
“Non gli chiederai di togliersi l’elmo?”
Sbuffai di gusto: “Conoscendolo, avrà ancora quei capelli, quella faccia e se legge ancora i romanzi classici, posso affermare con assoluta certezza che farà qualcosa di assurdamente drammatico, tipo…”
“...tipo tenere la maschera di Robin sotto il casco”.
“Esatto! Ma ditemi, voi che l’avete visto… ha ancora quei capelli? E il viso com’è?”
I due si guardarono con intesa e sorrisero, come per dire «almeno questo glielo possiamo concedere, basta bugie ed omissioni»: “Sì” cominciò Jonathan, “ha esattamente la stessa faccia da schiaffi, solo che ormai ha vent’anni e quindi ha i tratti del viso più maturi, quasi da uomo”, ascoltavo totalmente assorbita dalla voce di Jo, come una bambina che ascoltava la sua storia preferita narrata da un cantastorie.
La serata proseguì tra scherzi e risate, così com’era iniziata: dopotutto era impossibile non ridere con Dick, aveva sempre la battuta pronta, qualche frase demenziale o gioco di parole altrettanto demenziale.

Quando mi trovai da sola, mi soffermai a pensare su come potesse essere ora il viso di Jason, basandomi sulla descrizione del mio amico. Cominciai ad interrogarmi su come fossero i suoi occhi, se erano ancora così tanto verdeazzurri e limpidi da parlare da soli o se erano diventati come quelli degli psicopatici dei film.
Ogni volta che ripesavo alla storia della decapitazione, non potevo far a meno di ricollegarlo ad Hannibal Lecter o al tipo di “Shining”, ero sicura che il vecchio Jason non avrebbe mai ucciso nessuno. Mai.

Come si suole dire, la curiosità è donna ed essendo tale, ero anche abbastanza contraddittoria: avevo detto di voler ricordare Jason come quando aveva sedici anni, ma ora invece ero curiosa di vedere com’era a vent’anni. Per scacciare quel pensiero assurdo, uscii di casa e andai nel nostro posticino segreto, mi avrebbe aiutato a mantenere un bel ricordo di quel ragazzo adolescente un po’ scapestrato.
Mi mancavano quelle pareti, quell’odore tipico delle biblioteche, di fogli ed inchiostro; andai nel corridoio dei classici della letteratura inglese e mi imbattei nello spazio dedicato ad una delle mie scrittrici preferite: Jane Austen.
Presi “Orgoglio e Pregiudizio” e mi sedetti per terra, ai piedi degli scaffali.
Avvertii un’ombra, una presenza dietro di me e non tardai a capire chi fosse. Un bel po’ prevedibile.
“Perché ti fai chiamare Cappuccio Rosso e non Elmetto Rosso? Oppure Caschetto Rosso… sai, sembri Cappuccetto Rosso, la bimba con la mantellina che va dalla nonna e viene mangiata dal lupo. Perdi di credibilità… a confronto le mie ciabattine a coniglietto fanno più paura. Anzi no, mia madre fa più paura… sì, lei fa più paura decisamente”.
“Non ho venduto io la droga alla ragazza”.
“Certo, ci sto credendo”.
“Quelli che vendevano la droga accanto al liceo, a Kellington Avenue, non saranno più un problema. Le mie direttive erano altre e loro non le hanno seguite”.
Mi bloccai e chiusi il libro rumorosamente: “Avrai sicuramente decapitato anche loro…”.
“Vuoi i particolari?”
“Non vorrei vomitare la cena su di te, potrebbe rovinarsi quel copricapo idiota che indossi… non vorrei perdessi del tutto la tua già poca credibilità”, volevo ferirlo, pungerlo nell’orgoglio. Perché volevo trattarlo male? Non ne avevo la più pallida idea, volevo solo che sparisse di nuovo, lontano da me, dal mio mondo, la mia città.
“Il fatto che stia portando pazienza non significa che tu debba insultarmi a tuo piacimento”
“Beh che ci vuoi fare, sono particolarmente infastidita dalla tua presenza, hai disturbando la mia lettura”.

Sentii un click e notai dei movimenti dietro di me.
Si era tolto l’elmo.
Non ebbi il coraggio di voltarmi.
Sentii una presa forte al mio braccio, tanto forte da farmi voltare, ma tenni il viso basso e gli occhi nascosti. Con l’altra mano mi alzò il viso costringendomi a guardarlo. Mi venne un colpo. I capelli erano gli stessi, corvini e ribelli, gli occhi erano espressivi come ricordavo ed esprimevano rabbia, frustrazione, dolore ed anche tristezza, delusione; il viso era come lo ricordavo, ma più maturo… da uomo, come mi aveva detto Jonathan.
I miei occhi non riuscivano a smettere di guardarlo, erano spalancati e increduli.  Si staccò poco dopo, riprese il casco e andò via… solo allora ricominciai a respirare.

Composi un messaggio a Dick: -“Avevate ragione, ha ancora quel taglio assurdo di capelli”.
  
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