Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    13/04/2020    2 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Eccoci tornate con un nuovo capitolo di LaD! Un grandissimo grazie a CrispyGarden, la mia super beta su cui posso sempre contare!

Spero che voi e le vostre famiglie stiate bene in questo periodo di quarantena, che per alcuni, purtroppo, è molto sofferto e pesante. Le nostre traduzioni sono una goccia nell'oceano, un piccolo modo di potervi stare vicino e cercare di sollevarvi un po' il morale donandovi un momento di svago. Speriamo di riuscire almeno in parte nel nostro intento.

Buona lettura e buona Pasquetta a tutti <3

Andate sul mio Tumblr e cercate #taylortot, #LaD o #LifeafterDeath per rimanere aggiornati sullo status di questa traduzione.


“Libero.”

La voce di Keith gli arrivava bassa, metallica, un ronzio nell’orecchio attraverso il trasmettitore che si trovava nel suo casco. Anche se era tranquillo, poteva sentire frustrazione e confusione in ogni sua singola parola quando esploravano l’ennesima stanza di uno stretto corridoio, che era completamente vuota, a eccezione delle file ordinate di droni disattivati.

Lance abbassò impercettibilmente il suo bayard – un taser che sentiva pesante nelle mani, rassicurante – e si voltò per guardare Keith da dietro la spalla; la sua figura non era altro che un’ombra scura e tremolante in quella luce grigia e malata. Ritornò da Lance, che aveva sorvegliato la porta mentre l’altro dava una veloce occhiata in giro. L’apprensione gli si insinuò nello stomaco come nausea, agitandosi convulsamente, portando con sé la persistente promessa di un presagio. Alle sue spalle, però, il lupo di Keith sembrava a suo agio e il suo istinto era probabilmente più acuto del suo.

“Non c’è niente neanche qui.” La voce di Krolia eruppe dal suono statico, la voce resa dura e ruvida dallo sconcerto. “Nessun segno di vita. Solo vecchi droni che sembrano offline.”

“Anche qui.” Aggiunse la voce graffiante di un membro de La Spada.

Keith emise un sospiro profondo e si portò la mano al cappuccio per toccare qualcosa situato dietro l’orecchio; la sua maschera brillò e poi scomparve. Incrociò lo sguardo di Lance con frustrazione, anche se quando parlò quel sentimento non era rivolto a lui. L’oscurità di quelle stanze e corridoi faceva apparire i suoi occhi quasi neri. “Com’è possibile che le cose in questa struttura appaiano e scompaiano a questo modo?”

Lance abbassò il suo bayard lungo il fianco, sentendolo cambiare forma nell’impugnatura che calzava perfetta nella sua mano. Aggrottò le sopracciglia perché le piccole linee sotto gli occhi di Keith erano indice di frustrazione e stanchezza e di stress concentrato. Teneva i muscoli tesi sotto l’armatura, le spalle rigide, in attesa di uno scontro che non arrivava. Lance sperava di poter fare qualcosa per farlo stare meglio, ma quella situazione era pessima, e al momento quindi non era possibile.

“Kolivan aveva ragione a essere paranoico.” Disse Krolia tramite il trasmettitore. “Chiunque stesse assorbendo energia alteana ha saputo che siamo stati qui ed è tornato per cancellare le sue tracce. Riuniamoci nella sala comandi. Inizieremo coll’entrare nel loro hard drive e vedere se ci sono delle informazioni archiviate in quei computer.”

A quel punto, Lance pensò che Pidge sarebbe dovuta venire. Non che le sue abilità si sarebbero rivelate necessariamente utili; la possibilità che ci fosse qualcosa in quei database era molto ridotta. Ma erano arrivati fin lì. Sarebbe stato uno spreco tornare a mani vuote; Lance non poté fare a meno di sperare che avrebbero trovato qualcosa. Chissà perché, ma l’assenza di pericolo gli faceva percepire il tutto come più pericoloso e lo teneva sul chi vive.

Keith emise un altro verso – più rumoroso quella volta, e un po’ più indistinto – e scattò oltre Lance, che lo seguì senza esitare. Il lupo li tallonò, una presenza rassicurante alle sue spalle. I loro passi quasi non emettevano rumore, abituati com’erano a muoversi silenziosamente da quando si erano infiltrati in quella base abbandonata, ma Lance poteva quasi sentire l’agitazione di Keith che vibrava nell’aria, facendo abbastanza rumore da coprire il silenzio.

“Ehi… dovresti rilassarti.” Disse Lance con gentilezza, e il suo bayard sparì al solito modo nell’armatura che gli copriva la coscia. Ora che si trovavano fianco a fianco, la linea sotto gli occhi di Keith era molto più marcata e le labbra di Lance si piegarono in una linea cupa.

Keith prese un respiro profondo e per un minuto Lance pensò che si sarebbe iscurito in volto o che sarebbe sbottato, ma quando espirò la sua fronte era rilassata. La linea delle sue labbra rimase dura. “Eravamo qui solo poco tempo fa. Non ha senso.”

Lance si umettò le labbra con fare assente, comprendendo la sua frustrazione tangibile. “Lo so, ma pensarci troppo non serve. Risolveremo il mistero.”

Durante il viaggio di andata, Krolia gli aveva spiegato che il tempo scorreva in modo differente lì. Che anche se lei e Keith erano stati lì solo due giorni prima da una prospettiva esterna, potevano essere passati mesi in quel luogo al centro dell’abisso. Chiunque fosse stato lì per spostare l’intera operazione poteva aver avuto a disposizione settimane contro il loro breve viaggio di due giorni.

Keith annuì, ma assottigliò le labbra, rimuginando su chissà cosa con quel suo volto imperscrutabile. Raggiunsero velocemente la sala comando, e Lance seguì Keith fino al pannello di controllo principale in fondo alla stanza dopo essersi accorto che erano arrivati per primi. Emise un verso di sorpresa quando Keith appoggiò con foga la mano sulla console, sbuffando frustrato quando quella rimase spenta.

Incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la schiena al muro, la testa inclinata verso il soffitto, esponendo la lunga linea del collo avvolta dalla stoffa nera della tuta. Doveva proprio mostrargli il collo a quel modo? Lance era in piedi di fianco a lui, cercando di dissimulare il fatto che stesse fissando il punto in cui la parte inferiore della sua mandibola si incontrava con il tessuto, morbida e pallida, praticamente supplicandolo di essere toccata.

“Qualcosa non va?” Gli chiese, odiando il fatto che la sua voce si fosse incrinata leggermente verso la fine, pregando che Keith non l’avesse notato. Keith era frustrato ed erano nel bel mezzo di una missione pericolosa e importante e quello non era certo il momento. Maledizione. Aveva passato gran parte del suo tempo a fissarlo e imprimerselo nella memoria da quando era tornato; non aveva motivo di esserne così affascinato in quel momento.

“È tutto alteano.” Disse Keith, la voce dura e la cosa non aiutò affatto. Perché era così figo quando era scocciato? Come poteva essere giusto? Come diavolo aveva fatto a vivere prima?

Scollò dolorosamente lo sguardo da quel vulnerabile lembo di pelle, solo per concentrarsi sulle sue spalle forti e ben piazzate. Tracciò con particolare interesse la linea della sua clavicola. “Ed è- è un male?” Disse, sforzandosi di concentrarsi.

“Sì, visto che siamo tutti Galra. Non sappiamo niente di tecnologia alteana; avremmo bisogno di Allura o Coran.”

Aveva senso… il suo sguardo affondò nell’incavo della sua gola. Lance si domandò pigramente se la persona che era prima avesse qualche tipo di conoscenza sulla tecnologia alteana dopo aver vissuto nel castello e aver passato così tanto tempo con Pidge e Hunk. “Strano che sia alteana, no?” Rifletté sovrappensiero, ad alta voce, e stava pensando principalmente ad Allura e a come tutto quel disappunto le avrebbe probabilmente spezzato il cuore, ma stava anche pensando a passare la mano sulla corazza pettorale di Keith, fremendo per quella sensazione di calore sul suo palmo. Keith si irrigidì.

“Cosa?” Gli chiese, girandosi per guardarlo.

“Io- Ho solo-” Lance balbettò per l’improvvisa intensità dell’attenzione di Keith e per il modo in cui bruciava in lui, facendogli raddrizzare le spalle. Oh wow. Sentì una vampata di calore, imbarazzato per essere stato colto sul fatto mentre infilava la mano in un immaginario vaso di biscotti, anche se Keith non poteva saperlo. Grazie a Dio aveva il casco. Si schiarì la voce. “Hai detto che gli alteani che erano qui venivano prosciugati della loro quintessenza. Quindi… questo vuol dire che chiunque sia dietro a questa storia o è alteano o ha familiarità con la loro tecnologia, giusto?”

Gli occhi di Keith si spalancarono mentre assorbiva quelle parole. “Giusto.”

Lance annuì e si appoggiò al pannello di controllo con una mano per tenersi stabile. La bocca di Keith iniziò a muoversi, seguendo quel filo di pensieri, ma venne coperto dal rumore improvviso della porta che si chiudeva. A quel movimento, a quel presentimento di finalità, entrambi si fecero tesi e Lance si allontanò dal pannello di controllo con un balzo, tenendo le mani alzate.

“Okay, che cos’ho toccato?”

La voce di Krolia li raggiunse dal trasmettitore. “Cos’è stato?”

“Le porte della sala comandi ci hanno chiuso dentro senza che le attivassimo.” Rispose Keith. Si avvicinò nuovamente alla console e ci passò sopra la mano, ma il suo tocco non produsse alcuna reazione. Il suo sguardò si spostò rapido su Lance, e Lance fu sorpreso dalla sua calma nel trovarsi intrappolato senza una chiara via di fuga. Il suo fare rilassato lo stabilizzò. “Lance, non credo che sia stato tu.” Ebbe la sensazione che Keith stesse per aggiungere qualcosa, per dire altro, ma Krolia si fece di nuovo sentire dall’auricolare.

“Conosciamo altri alteani oltre a Allura e Coran?” Chiese Krolia. Anche lei non sembrava particolarmente preoccupata.

“Non in questa realtà.” Disse Keith, e la sua espressione tagliente e pensierosa mutò. Lance non poté fare a meno di notare quanto fosse attraente. Le sue sopracciglia non avrebbero dovuto distrarlo a quel modo. Era semplicemente … era ridicolo. “No, aspetta. Non è vero.”

Krolia gli chiese spiegazioni.

“Haggar.” Rispose Keith nello stesso momento in cui Lance disse con voce chiara: “Lotor.”

Keith si girò di scatto. “Che cosa?” La sua voce era quasi perentoria, intensa, e Lance ne fu preso in contropiede, sorpreso da quello scatto improvviso.

“Lotor è… è per metà alteano.” Disse Lance, gli occhi spalancati, e non era venuto a conoscenza di persona di quell’informazione, ma Hunk gli aveva detto tutto quello che c’era da sapere sulla loro missione nello spazio. Il che includeva il loro rapporto con Lotor. E Lance, con la sua abitudine di scriversi le cose, si ricordava ogni singola informazione con una chiarezza impressionante. “È ossessionato dalla cultura alteana. È riuscito a svelare i segreti dell’alchimia alteana insieme ad Allura e a costruire una navicella con cui entrare nel campo di quintessenza con lei.”

Per quanto Keith fosse difficile da leggere, poteva vedere il modo in cui la sorpresa e la comprensione si scambiavano sui suoi lineamenti nella penombra. Per quanto ne sapeva, Krolia poteva aver avuto la stessa epifania dato che era in linea, ma non parlava.

“È Lotor.” Disse Keith, definitivo.

“Se n’è andato.” Disse Lance, concordando con lui, ricordandosi improvvisamente del loro ultimo incontro con Lotor. “Quando è venuto a conoscenza di dove siete stati, di quello che avete visto…” Sentì i capelli sulla nuca farsi elettrici e lo stomaco contrarsi per la preoccupazione. C’era fin troppo in quella rivelazione per pensare a tutte le implicazioni, per pensare a come l’intero team fosse stato usato e preso in giro dall’attuale imperatore Galra, per pensare a quanto Allura ci avrebbe sofferto. Tutti quei pensieri erano dentro di lui.

Quello a cui stava pensano in quel momento, nell’immediato, era quanto la loro missione fosse improvvisamente diventata molto più pericolosa.

A quanto Keith non era più al sicuro.

La voce di Krolia suonava distante anche se era lì nel suo orecchio. “Sapeva che saremmo tornati.”

“Dobbiamo andare.” Disse Keith, la voce scura e urgente, e quando posò lo sguardo su Lance per poi distoglierlo, troppo veloce perché Lance potesse provare a indovinarne il motivo o se ci fosse qualcos’altro che volesse trasmettergli. Una scintilla di quella stessa energia gli percorse la pelle, però, e l’urgenza di Keith divenne anche la sua.

“Ne sei sicuro?” Disse Krolia, e la voce rendeva evidente il fatto che stesse aggrottando la fronte. “Non abbiamo-”

“Potrebbe essere una trappola.” Disse Keith, il che era in linea con quello che stava pensando Lance. Vicino a loro, il lupo di Keith gorgogliò un ringhio basso come se fosse d’accordo con loro, e l’ansia che si agitava sotto la pelle di Lance aumentò un poco. Fece un passo per avvicinarsi a Keith, uno piccolo, quasi involontariamente, i muscoli tesi per qualcosa. Sembrò che Keith perlomeno non se ne fosse accorto, perso com’era nei suoi pensieri, e continuò: “Il team potrebbe essere in pericolo. Potrebbero aver bisogno di Lance; dobbiamo andarcene adesso.”

Non aspettò una sua risposta. Afferrò Lance per l’avambraccio e lo trascinò a sé. Lance, preso in contropiede, incespicò un poco, sentendo il calore che lo investiva a quel gesto imperioso e alla vicinanza improvvisa, la spalla premuta contro quella di Keith. Krolia stava di nuovo parlando nel trasmettitore, ma non riusciva a sentirla; stava guardando Keith che fissava negli occhi il suo lupo e poi tutto fu immerso in una luce accecante.

Il suo stomaco ebbe un sussulto, sottosopra, disorientato da quell’improvviso cambiamento nell’ambiente circostante. Vide una luce rossa e sentì delle fusa familiari sotto la pelle e non capì com’era finito lì, ma si sentiva rintontito. Fece un passo indietro sovrappensiero, appoggiando male il piede e perdendo l’equilibrio. Rimase in piedi solo grazie a quella mano che ancora lo teneva per l’avambraccio.

“C-che cosa-?” Lance si interruppe, facendo vagare lo sguardo intorno a sé fino a quando non si concentrò su Keith, che lo aveva spinto sul sedile della cabina di pilotaggio di Rosso, sporgendosi sopra di lui con uno sguardo terribilmente serio. Il peso dei suoi occhi lo inchiodò e lo ancorò a quel luogo e a quel momento.

“Il mio lupo può teletrasportarsi.”

Scusa, che cosa? “Il tuo lupo…?”

“Già. Torno subito.” Disse, la mano ancora stretta attorno al suo avambraccio. Mosse l’altra per premere rapidamente dietro il suo orecchio e ora Lance si ritrovò a fissare la funerea maschera dell’uniforme de La Spada, dagli occhi viola e alieni.

Sentì il panico farsi strada e sapeva che non lo stava nascondendo quando lo guardò con occhi spalancati. Sapeva che Keith poteva vedere ogni sua singola paura e preoccupazione sul suo volto. Il visore del suo casco non poteva nascondere la sua espressione sofferente, la sua voce spezzata. “Aspetta, dove stai andando? Non- Non farmi rimanere qui.”

Keith non si mosse, e parlò con voce più dolce, ma non meno ferma. “Devo recuperare Krolia e le altre Spade per potercene andare, ma ho bisogno di te qui.”

“Non-”

Keith gli strinse di nuovo il braccio, e quando lo lasciò andare ci fu un altro lampo di luce e Lance rimase solo nella cabina di pilotaggio. Non sapeva se doveva sentirsi arrabbiato o terrorizzato oltre ogni dire, quindi optò per una pessima combinazione delle due. Anche se quel contatto era avvenuto con strati di armatura in mezzo, poteva sentire la sensazione della mano di Keith sul suo braccio, pesante, quando si alzò per sporgersi oltre la console, osservando la base dall’alto del suo leone, e lo odiò.

“Dammi una buona ragione per non tornare indietro e prenderti a calci in culo.” Disse Lance, e la sua voce non fu per niente forte, risultando in una minaccia alquanto debole. L’unica cosa che in quel momento lo tratteneva dal frantumarsi in un milione di pezzi era il fatto che Rosso non condivideva il suo panico; non c’era una minaccia immediata, per quanto Lance la pensasse in maniera diversa.

Keith gli rispose subito nell’orecchio, vicino, come sarebbe dovuto essere ma ancora fin troppo lontano. “Perché se lo fai sarò io a prenderti a calci in culo.” Disse, gracchiando nel collegamento. “Sei il nostro pilota e abbiamo bisogno di te per andarcene da qui. Rimani lì, Lance.” Lo disse come se quelle parole bastassero a spiegare tutto, ma lo resero solo più nervoso. Una via di fuga assicurata funzionava quando la mente del pilota non era completamente strapazzata dalla paura.

“Vedi- vedi di fare in fretta e basta,” biascicò, “non mi piace.” Non mi piace non poterti vedere.

Keith non aggiunse altro e forse l’avrebbe fatto, ma il suono statico del canale si fece silenzioso e un’ansia divorante e terribile gli crebbe dentro, profonda e immensa. Sapeva che il segnale poteva essere facilmente interrotto da qualunque cosa, ma non… non gli piaceva e basta. Prima le porte che avevano cercato di chiuderli dentro la sala comandi e ora la comunicazione che si interrompeva isolandolo dal resto del team da Keith. E tutto questo quando Lotor sapeva che sarebbero tornati?

Non andava bene. Non andava per niente bene… affatto bene.

“Pronto?” Sperò ad alta voce. Niente. Gli si asciugò la bocca, il panico che cresceva costante, soprattutto quando notò che la calma di Rosso si era tramutata in qualcosa di irrequieto. “Merda… Keith?” Si passò una mano sul casco con fare nervoso, come avrebbe fatto con i suoi capelli, fissando dall’alto il complesso vuoto che si estendeva sulla superfice della luna.

“Che cazzo, io- ugh!” Lance gettò la testa all’indietro per la frustrazione, muovendo le mani in gesti ampi e irritati. Ogni centimetro di lui tremava come una foglia. Alzò la voce, rivolgendosi a Rosso con una punta di rabbia. “È normale che si comporti così? O sono io che sono fortunato?”

Un senso di familiarità lo avvolse come una seconda pelle. Delle fusa basse, piene di consapevolezza, da parte di Rosso. Era normale, quindi. Ma non rendeva più semplice la situazione. A dirla tutta, era anche peggio perché significava che Lance ci aveva già dovuto avere a che fare in passato e che continuava ad averci a che fare. Che avrebbe dovuto continuare ad averci a che fare. Ogni versione di lui avrebbe dovuto avere a che fare con la stupida tendenza di Keith di fare tutto da solo. Perché, a quanto pareva, era normale. Ottimo.

La quantità di informazioni che stava raccogliendo durante quella missione era pazzesca.

Si lasciò cadere sul sedile, pestando furiosamente a terra col piede e incrociando le braccia al petto. “Diventerò pazzo.” Borbottò rivolto a se stesso, anche se Rosso lo stava ascoltando. Se fosse stato per lui, avrebbe seguito Keith, ma senza comunicazione non sarebbe riuscito a trovarlo facilmente e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era perdersi e peggiorare le cose. Dopotutto, Keith aveva detto che gli serviva lì. . Rimaneva aggrappato al suo autocontrollo per miracolo.

Non meno di un attimo più tardi, si udì uno scoppio, un rombo, fin troppo silenzioso e ovattato dalla protezione del suo leone, ma più che sentirlo con le orecchie, Lance lo sentì a pelle. Il suo cuore gli si fermò nel petto, morto, quando si sporse e vide che da un’ala della base lunare fuoriusciva del fumo; tutta la sua rabbia e paura raggiunsero il loro apice massimo.

Divenne tutta una sensazione angosciante. Era una disperazione calma e furiosa, così potente da soffocarlo, il sangue che gli pompava assordante e veloce e assordante nelle orecchie. Sentiva l’amaro in bocca e per un terribile momento la nausea che gli torceva lo stomaco minacciò di farlo vomitare violentemente. Chissà per quale motivo, ma niente di tutto quello gli importava. Fuori dal terrore incandescente che lo stava consumando, il resto di lui era il nulla. Il nulla.

I suoi occhi seguirono il fumo e si fissarono sul buco che si era aperto in quell’ala lontana della base. Per un secondo, ripensò all’agonia vertiginosa che lo aveva colpito la prima volta che aveva pensato che Keith fosse morto. La poteva vedere e sentire da molto, molto lontano, fuori dal suo corpo. Ed era anche peggio in quel momento perché Keith non era un semplice fantasma che tormentava l’eco di un lontano se stesso. Era peggio perché aveva un nome per quel volto e per quei suoi occhi scuri e le sue sopracciglia folte e quelle labbra che erano dure e morbide. Per i suoi capelli spettinati dal vento e quel suo atteggiamento calmo e sicuro di sé e per quella sua intensità così forte da mozzargli il respiro e il suo…

Lo aveva riavuto solo per due giorni. Solo due giorni.

Non era abbastanza.

Ci fu un altro rombo e quella volta assistette all’esplosione. Era più vicina, e più forte, e Lance strinse i pugni contro le cosce. Ogni parte di lui urlava perché andasse a cercare Keith. E quella forza e desiderio e terrore erano così dolorosi da lacerargli il petto da dentro con zanne e artigli, facendolo respirare a fatica. Voleva muoversi. Doveva. Ogni battito del suo cuore gli stava dicendo la stessa cosa, con la stessa bollente disperazione. Keith poteva morire. Keith poteva essere morto.

Ma Lance stava tremando nel sedile, lottando per respirare, lottando contro il desiderio di entrare in azione e fregarsene della cautela. Keith non gli aveva chiesto di restare perché lo voleva. L’aveva fatto prima che entrassero nella struttura e aveva rispettato la sua decisione di andare con loro. Il fatto che lo avesse riportato nella cabina di pilotaggio era per necessità, perché aveva bisogno di lui lì, in qualità di pilota. Non era una richiesta; era un ordine.

La missione è più importante di me, gli aveva detto Keith.

Ora pensava di aver capito, anche se non voleva. Anche se ogni singola cellula del suo corpo lo pregava del contrario. Tutti coloro che si trovavano laggiù in quella base contavano su di lui per portarli via di lì vivi. Keith contava su di lui per portarli via di lì vivi.

Il suo respiro era caldo e nauseante dentro il casco, rendendo ogni secondo che passava più insopportabile del precedente. “Keith?” Tentò di nuovo, nel caso in cui si fosse immaginato la perdita di segnale nel loro trasmettitore, la voce dura e tesa. Silenzio. I suoi occhi continuarono a scrutare la base sotto di lui, cercando un movimento di qualunque tipo.

Deglutì a dispetto del nodo di emozioni che aveva in gola; le nocche gli dolevano da quanto stava stringendo le mani a pugno ancora più forte. “Keith.” Non era tanto una domanda quanto più un ordine. Non riusciva a respirare con quel cazzo di casco. “Per favore.” Lo sussurrò come una litania. Come se la sola forza del suo desiderio potesse farlo avverare se solo avesse supplicato abbastanza. “Per favore, per favore, per favore.” Torna. Torna. Torna.

Chinò il capo, tremante, costringendosi a prendere dei respiri profondi e cercando di fare del suo meglio per non andare nel panico. Sobbalzò al rumore di un’altra esplosione che sconquassò l’aria. Rosso era incredibilmente calmo, il che lo aiutava ad alimentare la sua decisione di rimanere in sé, nonostante percepisse una strana tensione nell’energia che gli saettava sottopelle. Il legame tra il leone e Keith non era svanito del tutto, ma non era nemmeno così forte da resistere a distanza; Lance, quindi, si faceva forza con quella speranza titubante, ma non vi riponeva la sua più totale fiducia. Aveva la sensazione che nemmeno Rosso ci credesse così tanto.

Estese le braccia e afferrò i comandi con entrambe le mani. Il suo respiro non si era fatto per niente più controllato, ma non poteva sopportare l’idea delle comunicazioni che tornavano online a sua insaputa, dunque si tenne il casco addosso. Era una tortura. Stava soffocando. Non era possibile che aspettasse da ore, ma gli sembrava così mentre stringeva le mani e richiamava una parvenza di controllo.

Cercò di non concentrarsi su quello che avrebbe fatto se Keith non fosse tornato… Se fosse rimasto lì seduto ad aspettare per ore… Ad aspettare in eterno.

Scosse la testa, sbarazzandosi di quei pensieri, terrorizzato all’idea di addentrarsi in quel territorio pericoloso. Il panico lo avrebbe mangiato vivo e poi avrebbe fatto qualcosa di cui si sarebbe pentito…

Ci fu un’altra esplosione e quella volta era molto più vicina, praticamente lì dove si trovava. Rosso ruggì e Lance si raddrizzò, allontanando il leone mentre una crepa si apriva sotto di loro, sgretolando il suolo della luna in una voragine poco profonda che continuava ad allargarsi.

“Merda.” Disse tra i denti con foga, pilotando Rosso vicino alla base e lontano dalla voragine con quanta più cautela possibile. Perfino dove teneva stretti i comandi poteva sentire le mani tremare e, nonostante la sua decisione di poco prima, non sarebbe resistito a lungo… non poteva aspettare ancora, non quando l’intera luna stava cadendo a pezzi. Sarebbe stato costretto a fare qualcosa di stupido. Merda, non riusciva a respirare; faceva così caldo con quell’elmo addosso… non riusciva a respirare

In quel momento, vide un lampo bianco dietro il sedile del pilota e girò la testa di scatto, ritrovandosi il lupo ricoperto da un groviglio di braccia e due corpi stesi a terra. Il sollievo che provò fu immediato e al tempo stesso così debilitante che il calore nei suoi occhi traboccò.

Si tolse il casco con uno strattone e lo lasciò cadere a terra con un suono sordo e rumoroso, non curandosi del fatto che fosse rotolato via. Il corpo in cima all’altro si mise carponi. Lance sentì una fitta al cuore quando vide l’espressione del volto di Keith, incrociando il suo sguardo. La sua maschera era sparita, aveva una guancia imbrattata di sangue, il volto sporco di cenere. I suoi occhi scuri erano brucianti, anche con quella distanza tra loro, ed erano fuoco e calore. Lance non aveva mai visto niente di più bello in tutta la sua vita.

“Portaci via di qui, Lance.” Disse con la gola secca.

Senza aggiungere altro, fece ruotare il sedile e mise Rosso in moto, sollevandosi subito in aria e portandoli lontano dalla luna, squassata da un’altra esplosione. “Krolia sta bene?” Chiese Lance, e aveva il volto bagnato ma la sua voce era ferma. Aveva bisogno di vedere Keith, ma era quello il motivo per cui si trovava lì, per essere il loro pilota. Era il motivo per cui era rimasto. Tremava e poteva sentirlo; non sarebbe riuscito a fermarlo neanche se ci avesse provato. Non andare da Keith in quello stesso istante era la cosa più difficile che avesse mai fatto nella sua fottuta vita.

“Sta bene.” Rispose Keith, così calmo che Lance gli credette senza indugio. Faceva rumore, rovistava in giro, lasciava cadere a terra pezzi della sua armatura, emettendo suoni metallici. L’energia di Rosso era calda ed elettrica sulla sua pelle e il lupo uggiolava commosso.

Lance fece andare Rosso ancora più veloce finché non furono a distanza di sicurezza, abbastanza lontani perché le esplosioni non potessero ferirli; poi, inserì il pilota automatico e si precipitò dalla sedia, mezzo inciampando, mentre si asciugava le lacrime dal volto. Erano entrambi seduti, Krolia appoggiata con la schiena alla parete e Keith che trafficava con il kit di primo soccorso, che si trovava in uno scompartimento vicino, e sembrava che stessero… che stessero bene. E Keith, lui stava bene.

“Cos’è successo?” Chiese Lance, perché non poteva non chiederlo e perché il volto di Keith era più inespressivo del solito, le labbra serrate. Non gli piaceva.

“Mi sono ferita alla spalla quando è crollato il corridoio.” Disse Krolia, la voce roca per il dolore e le palpebre pesanti.

Keith non gli rivolse neanche uno sguardo. “Lance, dammi una mano.”

Lance fu al suo fianco prima ancora che avesse finito di chiederglielo. Tolse l’armatura della spalla e scostò il tessuto della tuta, rivelando una ferita sanguinante da cui sgorgava sangue rosso e denso, ma non sembrava grave. Il respiro di Keith si regolarizzò un poco a quella vista, ma Lance sentiva ancora un qualcosa di caldo e spietato che gli sgorgava nel petto. Non riusciva a darci un nome, ma aveva capito che era connesso direttamente a Keith. Come gran parte della sua vita.

“Stai bene?” Gli chiese piano mentre Krolia chiudeva gli occhi per un momento.

“Sto bene.” Gli rispose, e anche se il suo tono era sbrigativo, aveva un che di simile alla gentilezza. “Abbiamo perso uno dei nostri, ma il mio lupo è riuscito a portare il resto delle Spade al sicuro nella stiva.”

Poteva essere Keith, pensò Lance mentre Keith iniziava a pulire la ferita. Era un pensiero orribile, sentire sollievo all’idea che se qualcuno era morto, non era Keith. Ma lo provava. Era così forte che se non fosse stato già in ginocchio, sarebbe crollato a terra. Se non avesse già ricacciato indietro le lacrime, avrebbe pianto. Poteva essere Keith.

Al momento, sentiva un calore denso raccogliersi negli occhi e fissò con intensità le mani di Keith, ancora guantate, che pulivano il sangue. “Mi dispiace.” Disse Lance, piano.

“No.” Disse Keith, improvvisamente brusco, e Lance fece una smorfia. Aspettò che aggiungesse altro, ma Keith rimase in silenzio, e così si chiese se quella fosse stata la cosa sbagliata da dire. Keith fasciò abilmente la scomoda ferita; Lance poteva vedere che ci era abituato e fu improvvisamente sconvolto dal fatto che fosse abituato a quel tipo di attività.

“Come la senti?” Mormorò Keith, allontanandosi da Krolia e ispezionandola velocemente.

“Bene. Ho avuto di peggio.” Disse, riuscendo a rivolgergli un flebile sorriso. Era un’espressione così fragile e tenera su qualcuno che Lance aveva visto solo fare facce stoiche, e di certo non era qualcosa che avrebbe dovuto vedere. Ma gli occhi di lei si posarono su Lance, rivolgendo anche a lui un’occhiata dolce. “Keith si è slogato una caviglia.”

“Krolia!” Keith per poco non sbottò, ed era un’interazione così banale che Lance per poco non si dimenticò della situazione in cui si trovavano. Quasi. Se, forse, Krolia non avesse menzionato che Keith era rimasto ferito.

Aggrottò le sopracciglia e lo guardò; Keith stava guardando storto sua madre. “Sei ferito?” Si sorprese dal controllo che aveva sulle sue stesse parole, considerato quanto era stato vicino a perdere il controllo pochi minuti fa. Il lupo emise un uggiolio e si acciambellò vicino a Krolia, appoggiandole il muso imbrattato sulle cosce, come a voler rispondere alla domanda di Lance.

Keith sospirò pesantemente, rifiutandosi ancora di guardarlo. “È solo una storta.”

“Bisognerebbe comunque fasciarla.” Gli disse Lance, e perché diavolo la sua voce doveva tremolare a quel modo? In quel momento? Keith era tornato e stava bene e sì, forse si era fatto un po’ male, ma avrebbe potuto morire e non era successo quindi… quindi perché si sentiva ancora così fragile?

“Sto bene, Lance.”

“Per favore.”

Quelle parole gli fecero guadagnare un’occhiata. Finalmente. Keith spostò lo sguardo su di lui quasi subito dopo quelle sue patetiche parole e Lance si domandò se le chiazze bagnate sulle sue guance erano così evidenti o se erano palesi solo a lui perché gli facevano sentire freddo alla faccia. Fece del suo meglio per mantenere la sua espressione neutrale per bilanciare il tremolio della sua voce, ma era impossibile dire se ci fosse riuscito mentre Keith lo fissava.

Lance incontrò il suo sguardo senza paura perché l’unica cosa che era mai riuscito a fare era guardarlo e quella cosa non era cambiata affatto. “Scusami.” Disse istintivamente. “Forse… Non so se mi sto spingendo troppo oltre e mi dispiace se è così. Se… se non vuoi che ti aiuti, mi sta bene, ma dovresti prenderti cura di te.”

La postura di Keith si rilassò un poco, anche se il suo volto rimase impassibile. “Va bene.”

Lance poté sentire le spalle afflosciarsi e si lasciò sfuggire un sospiro, sentendo un sorriso farsi strada sul suo volto. “Okay. Okay, bene.”

Keith sospirò di nuovo e afferrò il kit di pronto soccorso, trascinandosi all’indietro fino a quando non poggiò la schiena alla parete opposta della cabina, e poi si tolse lo stivale. Parlò con Krolia di quello che dovevano fare – bisognava tornare subito al Castello e informare tutti su Lotor prima di poter portare le Spade al loro quartier generale – ma Lance era inginocchiato a terra e fissava quel cerchio violaceo che circondava la caviglia di Keith. Era scuro nella luce rossa del leone e sembrava far male, e Lance si domandò, brevemente, se c’era qualcosa che avrebbe potuto fare per evitare che Keith si fosse fatto male.

E fu in quel momento che accadde.

Ci fu una luce pulsante che tremolò sopra di loro e Lance non si trovava più nel leone. Non capiva dove si trovava ed era successo tutto così in fretta… era così confuso. Stava guardando Keith e Krolia accucciati vicino a un fuoco e il lupo era piccolo e stavano ridendo di qualcosa ed era successo tutto così in fretta. Svanì prima che potesse capire che cos’aveva visto ed era di nuovo nel leone, con gli occhi spalancati, ritrovando Keith dove si trovava prima.

“Cosa-”

“È l’abisso quantico.” Rispose Keith prima ancora che glielo chiedesse. “La distorsione temporale mostra pezzi del passato e del futuro.” La sua voce si interruppe di colpo quando si mise a fasciarsi la caviglia, nascondendo l’ematoma dietro a una fasciatura così bianca da risultare quasi brillante. Sollevò lo sguardo su Lance. “Mostra i ricordi.”

Ricordi, pensò Lance ciecamente. Ricordi. “Perché… perché non ne abbiamo visti all’andata?”

“Forse le onde ci hanno mancato.” Mormorò Krolia, passando la mano sulla testa del lupo. “Dobbiamo fare attenzione; possono rallentare la nostra avanzata e dobbiamo tornare indietro in fretta.”

Keith finì di sistemare la sua caviglia e si rimise lo stivale con un sussulto. Si poteva intuire la sua stanchezza da quello, nel modo in cui si sedeva a quel modo sul pavimento con la testa reclinata addosso alla parete. “Non appena saremo fuori da questo campo, potremo chiamare il Castello e avvertire Voltron. Il viaggio di ritorno non sarà certo più veloce di quello di andata.”

Lance voleva sedersi di fianco a lui, ma non pensava che fosse giusto. Strinse di nuovo le mani a pugno contro la dura superficie dell’armatura che gli copriva le cosce e poi si alzò per tornare al sedile del pilota con dolorosa riluttanza. Non si aspettava una conversazione né compagnia, quindi sobbalzò quando notò Keith con la coda dell’occhio.

“Che stai facendo? Dovresti rimanere seduto.” Lance gli lanciò una breve occhiata, indifeso davanti a quel magnetismo che richiamava la sua attenzione.

“Sto bene. Non è neanche una brutta storta.”

Lance sentì il cuore perdere un battito perché era più vicino di quello che si aspettava. “Sembrava brutta.”

“Lance, tu stai bene?” La voce di Keith era così calma che lo riportò all’oscurità della stanza di Keith, a quella rassicurante mano sulla sua schiena, anche se imbarazzata. Rabbrividì e alzò lo sguardo e il suo primo istinto fu quello di mentire. Di fingere. Si domandò se fosse semplicemente una parte intrinseca di chi era, nel profondo, se era sempre stato qualcuno che non riusciva ad affrontare la verità senza farne una questione più importante di quella che era.

Aprì la bocca per rispondere, e non lo sapeva ancora, se gli avrebbe detto la verità e quello che pensava o se avrebbe mentito, ma non aveva importanza. Perché ci fu un altro lampo di luce e Lance non si trovava più nella cabina di pilotaggio.

Si trovava nel Castello dei Leoni, in uno dei molti corridoi, con Shiro e Allura che gli facevano strada, e c’era un intenso odore di fumo nell’aria. La scena di fronte a lui era separata dal suo stesso corpo e lo sapeva perché stava guardando se stesso. Il Lance nel suo ricordo era accasciato addosso a Keith, molto più indietro degli altri due, con la testa abbandonata sulla spalla dell’altro e gli occhi semichiusi. Sembrava fin troppo sfinito da una battaglia perché si trattasse di un ricordo felice, e Keith sosteneva il peso di Lance con braccia sicure.

“Ehi, sei ancora con me, super cecchino?” Disse Keith, e il Lance che stava osservando quello che stava succedendo sobbalzò per la dolcezza che c’era nella sua voce.

“Non siamo mai stati insieme, mullet.” Arrivò la sua risposta, rauca.

“Non devi essere ferito troppo gravemente se fai battute stupide.”

“No, ti giuro che mi sento ancora morire.”

Keith soffocò quella che poteva essere una risata, ma c’era un che di tirato nella sua espressione, un qualcosa di sbagliato nel modo in cui piegava le labbra. “La prossima volta pensaci prima di soddisfare il tuo complesso da eroe.”

“Non lo dirai quando sarà il tuo il culo che salverò.” Gemette il Lance tra le braccia di Keith, e questi lo strinse di più a sé per reggerlo meglio.

“Non ho bisogno che mi salvi.” Disse Keith.

“Lo vedremo.”

E la scena cambiò e Lance guardava Keith, lì, nella cabina di pilotaggio di Rosso, di nuovo. Keith lo fissava, il volto contratto, ma teneva occhi spalancati e c’era… c’era qualcosa nella sua espressione che era improvvisamente vulnerabile. La luce rossa si posava sul suo volto dolcemente, smussando gli angoli duri della sua mascella e l’angolo acuto del suo naso, rendendo i suoi occhi più scuri che mai. Scuri abbastanza da poterci cadere dentro e sparire per sempre.

Per la prima volta, Lance vedeva una crepa nella sua armatura e prese un respiro lento, impazzendo dalla voglia di infiltrarsi in quella fessura e allargarla. Voleva metterci dentro le mani, aprirla a forza e capire almeno quello che stava pensando Keith.

“Che cos’era?” Chiese Lance piano, la voce sconnessa, inciampando malamente sull’ultima parola. Poteva ancora sentire quella familiarità che bruciava tra loro in quel ricordo, l’affiatamento, la travolgente bolla di sicurezza che gli aveva fatto provare. Non… non sembrava affatto una rivalità e lo rendeva così confuso perché non era quello che gli era stato detto fin dal principio. Che lui e Keith erano opposti e che non andavano spesso d’accordo e gli era così difficile crederlo in quel momento.

Il fatto che Keith si fosse girato, spostando lo sguardo da un’altra parte, passando i denti sul labbro inferiore, non aiutava affatto. “Un ricordo.” Disse, dopo un lungo momento.

“Era… era normale per noi?” Chiese Lance, quasi con fervore, tenendo a bada le mille domande che quel singolo ricordo era riuscito a evocare.

Keith sorrise a quelle parole, un leggero tic nell’angolo delle labbra, per poi rivolgergli uno sguardo di sbieco. “Non proprio.”

Non proprio. Ma era stato qualcosa. “Mi hanno sempre detto che eri… voglio dire, che non andavamo d’accordo, ma…” La sua voce si affievolì. Quanto poteva considerarsi troppo dopo aver visto quella cosa? “Keith, non è vero, giusto?”

Keith si immobilizzò e Lance sentì un violento strattone al cuore al suono tremolante del suo sospiro improvviso. La crepa nella sua maschera si allargò ancora di più e Lance non capiva che cosa avesse fatto per scatenare quel tipo di reazione, ma Keith si era voltato e lo stava guardando con un’espressione che non gli aveva mai visto prima. Era troppo aliena sul suo volto perché Lance potesse identificarla, ma continuava a spronargli il cuore in un galoppo irregolare.

“Non andavamo d’accordo all’inizio.” Disse Keith infine, e la sua voce era quasi simile a quella del ricordo, ma era più secca. Crepata. Distrutta. Teneva lo sguardo aperto e anche con del sangue in faccia rimaneva così dolorosamente bello anche in quel momento, in quel precisi momento. Lance dovette combattere il bisogno di allungare la mano e scostare i suoi capelli da dove gli ricadevano dolcemente sul ponte del naso. “Le cose sono cambiate quando sono diventato il pilota del leone nero.”

Lance sentiva un calore nel petto, una stretta, un senso di pienezza e riusciva a malapena a respirare. “Quali cose?”

E Keith si appoggiò al sedile, i gomiti attorno allo schienale mentre spostava il peso, guardando in basso verso di lui con un’intensità tale che Lance non capiva come faceva a essere lì seduto ancora tutto d’un pezzo. “Possiamo parlarne più tardi, Lance?”

Voleva dirgli di no. Voleva afferrarlo per il cappuccio della sua tuta e farsi raccontare tutto del loro passato insieme. Gli era venuto in mente che nessuno sapeva chi fossero. Non separati e sicuramente non insieme. Hunk, il suo migliore amico, non sapeva quanto amasse Keith. Non sapeva che lo avesse amato affatto, quindi come… come avrebbe potuto sapere qualcosa del suo rapporto con Keith? Com’era possibile che Lance non avesse capito prima che nessuno capisse com’erano loro due?

Era conscio del fatto che non erano soli e che avevano delle cose decisamente importanti di cui occuparsi fintantoché Rosso si avvicinava alla fine del campo quantico. Erano queste le sole cose che lo bloccavano dall’appiccicarsi a lui e supplicarlo per avere delle risposte.

“Certo.” Gli rispose Lance.

Keith annuì e poi, con una sicurezza ritrovata disse: “...volevo ringraziarti.”

“Per cosa?”

“Per fidarti di me.” Keith lo menzionò con fare disimpegnato, come se non fosse stato importante, ma il calore di entrambe le sue frasi colò sulla pelle di Lance come miele.

“Non mi devi ringraziare per quello. Mi sono sempre fidato di te.” Gli disse Lance con onestà, perché anche senza i suoi ricordi ne era sicuro. Anche quando rimanersene buono nella cabina di pilotaggio aveva messo alla prova la sua stessa pazienza, sapeva che non se ne sarebbe potuto andare.

Keith sbatté le palpebre e girò il volto di lato; il suo respiro si fece nuovamente insicuro, abbastanza forte da poterlo sentire e il cuore di Lance reagì allo stesso modo di prima. Scacciò il calore crescente nel suo corpo, cercò di pensare a qualunque cosa, tipo a cosa avesse fatto Lotor o al tipo di problemi che avrebbe causato. Ma anche quando Keith ritornò a sedersi di fianco a Krolia, poteva ancora vedere nella sua mente il volto di Keith senza quella maschera.

Il suo cuore non smetteva di battere.

Cioè…

Ma che cavolo di rivalità era quella? Maledizione.


Note dell’autrice:
lmao. Scusate per il ritardo nell’update! Ho dovuto riscrivere questo capitolo più e più volte solo perché non riuscivo a decidermi, maledizione a me, su che cosa avrebbe fatto Lance LOL. Ho perfino pensato che forse sarebbe stato Keith a tornare con una ferita più grave. Quindi ci sono stati molti cambi nel mentre. Ma. Sono abbastanza contenta di come è venuto fuori, sinceramente, quindi sono felicissima di poterlo finalmente postare! Spero che vi piaccia; grazie, come sempre, per il vostro sostegno! Mi rendete lo scrivere questa storia molto più divertente!

   
 
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