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Autore: ShanaStoryteller    13/04/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La chiamavano Kore



Venne da lei Apollo, caldo e sorridente. Gli piaceva il suo corpo, le sue curve morbide, la pelle perfetta, il modo in cui splendeva della giovinezza e della forza della primavera. Lui era il sole e lei era la terra, ed era dai raggi del sole che lei ricavava la sua forza; sarebbe stato naturale che si amassero. Il dio era d’oro, dalla pelle ai capelli agli occhi maliziosi, e non c’era una sola parte di lui che non fosse bella come i raggi del sole che facevano capolino attraverso le foglie.

Kore non era stupida. Sapeva che Apollo non si sarebbe fermato a lei, che sarebbe stata una moglie di nome e poco altro; avrebbe giaciuto con lei e l’avrebbe adorata e poi si sarebbe annoiato di lei.

Venne da lei Ermes, dagli occhi scaltri e le mani gentili. Gli piaceva la sua mente, il suo acume, il modo in cui vedeva il mondo, come un intagliatore di pietre preziose guarderebbe uno smeraldo grezzo. Lui era ali e aria, e lei era saldamente radicata al suolo; non poteva esistere qualcuno di più opposto, ma la loro pelle aveva la stessa tonalità e le piaceva la forma delle sue labbra. Le piaceva come la considerasse suo eguale.

Ma Ermes doveva volare, passare il tempo a consegnare messaggi per Zeus e impicciarsi in affari in cui non avrebbe dovuto impicciarsi. Poteva anche essere un uomo abbastanza buono, ma non un marito.

Aveva due offerte, ognuna da parte di un dio potente, attraente e intelligente. Non c’era motivo per cui avrebbe dovuto trovarli repellenti come grasso di gallina rappreso, eppure era così.

“Non ti fai trovare spesso da sola.” Disse una voce bassa e femminile, e Kore soffocò un sospiro, voltandosi per accogliere la donna che le si stava avvicinando. Sedeva nel cuore della foresta ai piedi di un melo in fiore, ma quello non era il suo regno incontrastato.

“Non sono spesso da sola.” Ammise, osservando la dea pregna di sangue. “Immagino che non sia tuo.”

Artemide non aveva capelli abbastanza lunghi da poter lanciare oltre le spalle, ma si passò una mano tra i capelli, liberando il volto, e striandoli di rame nel mentre. “Certo che no. Spero che non fossi troppo affezionata ai cervi di questa foresta.”

“Non mi curo degli animali.” Rispose. “Dopotutto, sono la dea della primavera e dunque sono nata dalla morte. Sarebbe sciocco da parte mia rifiutare quello che mi ha generata.”

“Buffo che tu lo dica,” disse, “perché l’Olimpo intero chiacchiera di come tu stia disperatamente cercando di lasciare il santuario che ti ha generata.”

Kore inarcò un sopracciglio. Artemide era goffa con le parole, ma immaginò che non avesse mai avuto bisogno di cambiare. Pochi erano trasparenti e diretti come la cacciatrice. Sorrise. “Forse, cara cugina, è più divertente come le parole prigione e santuario si intreccino.”

Artemide incrociò le braccia e si succhiò il labbro inferiore tra i denti. “No,” disse infine, seria, “non è per niente divertente.”

Kore si sistemò la veste intorno, il verde del tessuto e quello dell’erba quasi identici. “Se sei qui per perorare la causa di tuo fratello per la mia mano, sono disposta ad ascoltarti.”

La cacciatrice sbuffò, derisoria, e Kore inarcò un sopracciglio. “Non raccomanderei mai la mano di mio fratello.” Disse. “Ci sono parti della sua anatomia che lasciano molti soddisfatti, però, se questo può rientrare nei tuoi interessi.”

“Sono una sposa più desiderabile da vergine.” Le rispose, invece di dire che il pensiero di toccare un uomo che non amava le faceva accapponare la pelle. Artemide rise come se avesse detto qualcosa di divertente ma, se era così, Kore ne ignorava la battuta.

Non sapeva se avrebbe potuto amare Ermes o Apollo, perlomeno non per l’eternità che caratterizzava la vita assurdamente lunga di un dio. Sarebbe risultato in un fare l’amore alquanto insoddisfacente, il che era forse il loro obiettivo principale nel desiderarla.

Non le piacevano le sue opzioni. Alle sue spalle, la gabbia dorata dell’esagerata protezione di sua madre e, davanti a lei, la gabbia dorata di un matrimonio senza amore.

“Kore,” disse Artemide, aggrottando le sopracciglia, “se… se vuoi sfidare Demetra, devi andare in un luogo per lei inaccessibile, un luogo dove la sua magia non ti possa raggiungere.”

“Quale potrebbe essere?” Chiese Kore, secca. “Lei è come me… tutto quello che cresce da questa terra è il nostro regno. Forse potrei nascondermi da lei nel mare, ma Poseidone non mi è amico e non ha motivo di offrirmi asilo.”

Artemide alzò le spalle e le sue labbra presero una piega di ironia. Scrocchiò il collo da entrambi i lati e si incamminò verso dove era venuta, ma non prima di averle detto da dietro la spalla: “Immagino che un luogo del genere non esista Kore, dea della primavera, nata dalla morte e da Demetra.”

Kore rimase immobile per lungo tempo, fissando il posto dove si trovava Artemide.

Forse non era poi così goffa con le parole.

 
~

Sfuggire allo sguardo attento di sua madre si era sempre rivelata un’impresa mostruosa, e lo era diventata ancora di più dopo le voci sulle sue proposte di matrimonio, ma ce la fece comunque. Trovò il fiume Stige e lo seguì controcorrente, superando tutti i cartelli che l’avvertivano che si era avventurata troppo in là, ignorando il pizzicore sulla pelle quando attraversò la soglia tra quello e l’altro mondo.

Incontrò quasi subito una figura incappucciata, in piedi di fianco a una piccola barca. “Caronte.” Lo salutò con sicurezza. Tentò di sbirciare sotto il suo cappuccio, ma lui voltò la testa e riuscì a darle comunque l’impressione di guardarla male, anche se non poteva vedere il suo volto. “Ho bisogno di un passaggio per attraversare il fiume.”

“Non sei morta, mia dea e signora.” Disse.

Gli porse una piccola moneta luccicante. “Posso pagare.”

“Non sei morta,” ripeté, “non posso trasportarti.”

Fu quasi sul punto di perdere le staffe, ma riuscì a mantenere un ferreo controllo sulla sua collera e a riflettere. Caronte non aveva detto che non le era permesso entrare negli inferi, solo che non l’avrebbe trasportata sulla sua barca. Diede un’occhiata alla corrente del fiume. Era talmente potente e veloce da ribollire di schiuma grigia e la stessa acqua era nera, o forse il colore era solo dovuto a qualunque cosa si trovasse sul suo letto. Lambì la superficie con la mano e la pelle della punta delle dita si ricoprì di bruciature e piaghe.

“Posso nuotare?” Gli chiese.

“Non ci sono regole che impediscano l’impossibile.” Le disse, ma le sue spalle si fecero tese, come se fosse nervoso.

Kore non era nervosa. Se fosse sopravvissuta sarebbe entrata negli inferi, e se fosse morta Caronte non avrebbe avuto altra scelta se non trasportarla sulla sua barca.

Si tolse la veste; l’avrebbe solo appesantita e intralciata. “Mia dea e signora,” disse Caronte, e Kore avrebbe quasi detto che sembrava nel panico, “La prego, non-”

Si tuffò nel fiume.

Bruciava ovunque, un dolore incandescente per cui avrebbe voluto urlare, ma non aveva interesse a scoprire che cosa le sarebbe accaduto se avesse inghiottito di quella presunta acqua. La corrente la contrastava ad ogni bracciata e i suoi muscoli erano tesi nello sforzo per non farsi trascinare via. Era difficile oltre ogni immaginazione, la cosa più difficile che avesse mai fatto, ma si aggrappò alla riva con mani screpolate, issando il suo corpo sanguinolento a terra.

Tutto il suo corpo era un’unica ferita pulsante. Forse avrebbe dovuto dare ascolto a Caronte prima di tuffarsi frettolosamente nel fiume, ma era troppo tardi per i rimpianti.

“Sei pazza?” Le chiese una voce di tuono, e si sentì sollevare da braccia forti che la strinsero salda contro un petto muscoloso.

Si costrinse ad aprire gli occhi, e l’uomo che la stava fissando severo aveva i capelli color della notte stellata e la pelle chiara come ossa. Il suo naso era lungo e affilato, la bocca larga e fina. L’unica traccia di colore era data dai suoi occhi di un verde talmente scuro da restituirle il suo sguardo. Lei sollevò una mano e la posò sulla sua guancia; l’acqua che le era rimasta addosso sembrava non ferirlo come aveva fatto con lei. “Ade.” Disse, e tutto le doleva tanto quanto prima, ma la sua pelle le dava conforto. La pelle del palmo della sua mano, quando la tolse, era guarita.

Era adirato con lei, ma il suo tocco era gentile. Kore non vestiva un singolo indumento, ma non la sbirciò né toccò in modo inappropriato; si limitò a tirarla a sé, usando la manica della sua veste per asciugarle l’acqua bruciante dal volto. “Sì, folle dea, sono Ade.”

Non intendeva incontrarlo, solo nascondersi nel suo regno fino a quando non avesse escogitato un piano migliore. Eppure, le piaceva già, un sentimento repentino e infantile, uno che non ricordava di aver mai provato prima.

Si voltò contro il suo petto ed emise un sospiro soddisfatto, felice di seguirlo ovunque avesse voluto portarla.

“Mi chiamano Kore.”



Note dell'autrice: 
Spero che vi sia piaciuta!
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