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Autore: _Robertino_    13/04/2020    0 recensioni
Anna e Marco, l'adolescenza, i giorni e le emozioni condivise. Tutto questo in un intreccio di avvenimenti in un percorso di crescita dei due protagonisti tra scuola e vita quotidiana.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ore 17:45 Anna svolta dal vicolo proprio mentre Marco scarica tutta la sua tensione in quel calcio al pallone che s’infrange contro il muro del vecchio rudere. Il colpo del pallone scarica a terra un ammasso di calcinacci che creano una nuvola di polvere giallastra che con il vento investe Anna. Anna fa in tempo a voltarsi e coprirsi la faccia un po’ con le mani un po’ con il braccio. Marco è una statua di sale. La sua mente si svuota e riesce solo a pensare “Bravo! Tre su tre!”. Anche Anna è impietrita e per alcuni attimi il silenzio è rotto solo dalle folate di vento che continuano ad alzare la polvere. Anche il bimbo, dopo aver raccolto il pallone, si nasconde dietro la mamma. -“Scusa...” -“Eh scusa... guarda qua, felpa mal ridotta e jeans...va beh...”. - Tutto stava andando secondo i piani per Anna. – “Aiutami almeno a pulirmi un po’, non essere un palo.” Marco si avvicinò ad Anna, tutto tremante e comincio a strofinarle le maniche e la schiena. Anna pensò al resto. -“ Allora...cosa hai da dirmi? Con cosa ti scuserai stavolta?” Marco deglutì a fatica e prese coraggio. Non aveva né una scusa, né altro da dire. Appena gli sembrò che Anna avesse riacquistato un po’ di decenza si sedette sul motorino. In silenzio. Passò un minuto, che in quella situazione sembrò infinito. Anna lo guardò attraverso gli occhiali impolverati e le si avvicinò prendendogli il braccio con una mano. -“Imbranato eri e tale sei rimasto eh... e poi con i piedi non ci sai proprio fare. Giochi a pallavolo, infatti” – sorrise per un istante e poi riprese – “ Ma quand’è che cambi, che cresci, che lasci questa ferraglia e metti la testa apposto? E pretendi anche che io ti aiuti quest’anno? Guarda...non se ne parla proprio.” -“E perché?” -“Semplice... non mi è mai andato a genio chi non si da una mossa pensando a se.” Marco si sentì un colpo in testa. Ruppe il silenzio. –“Anna ho davvero bisogno di aiuto, ma non solo a scuola, ho bisogno di aiuto per me, per essere diverso, ma tu che ne sai di me, sempre con quella testa ficcata sui libri e quel registro pieno di voti che non scendono dal 8! Anzi in qualche caso... salgono! Per finire ti dico anche che un appiglio per migliorare in casa non ce l’ho. Mio padre è sempre fuori per lavoro e mia madre si fa in quattro. Per me e per lei. Se tutto va bene ci vediamo a cena!”- Terminato questo monologo chinò la testa e sussurrò nuovamente le sue scuse. Difatti dall’anno precedente nulla era cambiato. Anna sapeva un po’ della situazione di Marco e conoscendolo, a questo punto, forse poco, immaginava che il suo essere sfrontato in certi casi lo avesse aiutato a superare le sfide che lo attendevano. Si sbagliava. In quel durissimo anno, Marco riuscì a vedere il padre camionista tre o quattro volte, per il resto del tempo si sentiva uno spirito libero e quindi al diavolo la scuola, al diavolo gli allenamenti, al diavolo ogni cosa. Tranne lo scooter. Era capace di vagare per la piccola città anche per ore. La madre, commessa del centro commerciale cittadino, era viva solo a cena o nei giorni di riposo. Ci fu molto silenzio e in quel silenzio Anna lesse tutta l’amarezza di Marco e si sentì impotente. Forse davvero aveva fatto volare via un anno, dove poteva aiutarlo. In tutto questo però gli arrivò un ultimo flash: Marco aveva rotto gli indugi e si era dichiarato. Per Anna non era ancora il momento di diventare “un cioccolatino” come si era detta allo specchio e rilanciò: - “Beh, vedo che nulla è cambiato... anzi... dovresti essere tu quello che tira avanti a casa ma niente...Marco...niente...” – Silenzio. Questo silenzio non ebbe un tempo calcolabile. Anna e Marco, timidamente si avvicinarono l’uno a l’altro passandosi a vicenda un braccio dietro la schiena. Non era un abbraccio, non era un qualcosa o forse sì, forse era uno dei tanti linguaggi che sostituiscono le scuse. Non dissero nient’altro, la luce del sole si stava spegnendo e il vento fresco aumentava. Salirono sullo scooter e lasciarono la piazzetta ormai deserta.
   
 
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