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Autore: platinum_rail    14/04/2020    1 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Run Boy Run


Percy non riusciva a capire.
Erano tre giorni che veniva inseguito da quelle due gorgoni.
La prima volta che gli avevano sbarrato la strada le aveva uccise facilmente, facendole a pezzi con la spada. Eppure, dopo pochi secondi, avevano incominciato a riformarsi sotto i suoi occhi inorriditi.
Il giorno dopo le aveva investite con una macchina della polizia, e il giorno seguente le aveva dato fuoco. E ogni volta, due o tre ore dopo, le aveva avute nuovamente alle calcagna.
Perciò, non gli restava che scappare.
La mattina del 19 di giugno Percy aveva dovuto rinunciare all’idea di uccidere le due sorelle, e si era dato ad una fuga disperata. Da ore ormai correva con la spada spiegata stretta in mano, ed era troppo stanco persino per continuare a guardarsi costantemente alle spalle. Era sempre stato incredibilmente veloce ed era sempre riuscito a correre per distanze estreme, più di quanto qualunque mortale avrebbe potuto fare, ma non poteva reggere a quel ritmo per tutto quel tempo.
E ormai, la maledizione di Achille era l’unica cosa che lo salvava dalla morte.
Ma erano settimane che non dormiva più di tre ore al giorno e che mangiava quel poco che poteva rubare, e il suo corpo non avrebbe retto ancora a lungo.
Era arrivato in cima ad una collina quando fermò la sua corsa disperata per un attimo.
Sapeva di essere vicino alla fine del suo viaggio, ma sapeva anche che trovare il Campo Giove non sarebbe stato facile neppure ora che era così vicino.
Alla sua sinistra, colline dorate si spiegavano morbide verso l’entroterra, e alla sua destra le pianure di Berkeley e Oakland si stendevano verso ovest in un’ampia scacchiera di quartieri, popolati di diversi milioni di persone.
Più lontano, ad ovest, la baia di San Francisco scintillava sotto la nebbia, che lasciava scoperte solo le cime dei grattacieli e i piloni del Golden Gate.
Non era la prima volta che vedeva la città. Lui era già stato là quasi tre anni prima, insieme a Grover, Thalia e Zoe, quando stava cercando Annabeth.
Il pensiero gli fece stringere il cuore. Viaggiava da sei mesi, completamente da solo salvo per il periodo trascorso con Lupa e il suo branco, e la solitudine lo aveva prosciugato più di qualunque altra cosa. Voleva disperatamente avere i suoi migliori amici accanto, e ormai era l’unico pensiero che lo spingeva a continuare.
Sospirò pesantemente, e rafforzando la presa sulla spada riprese a correre, salendo fino ad affacciarsi sul versante occidentale.
Sotto di lui c’era uno strapiombo di forse una ventina di metri, e ancora più giù ai piedi della collina c’era l’autostrada diretta a Berkeley.
Lui non aveva altre vie di fuga, perchè era salito troppo in alto. E scendere era impossibile.
Il suo istinto però gli gridava di farlo.
Percepiva della magia provenire dal tunnel che la strada scavava nella roccia, e qualcosa gli diceva di essere nel posto giusto, solo troppo in alto.
Poi, una voce familiare lo fece trasalire:
-Eccoti qua! –
Percy si allontanò di soprassalto, e per poco non cadde dallo strapiombo.
Voltandosi si ritrovò davanti Steno, la gorgone che non aveva mai smesso di sorridergli e cercare di offrirgli degli stuzzichini da un vassoio di metallo.
La scacciò con un fendente: -Dov’è tua sorella? –
-Steno! – urlò la seconda gorgone, che comparve alla destra di Percy. -Dovevi ucciderlo! –
-Oh Euriale, è così un bel ragazzo, perché non possiamo catturarlo e basta? –
-No stupida, ha ucciso Medusa! Merita la sua stessa sorte! –
-In mia difesa. – disse Percy facendo un passo indietro, la spada tesa davanti a sé. -Lei ha cercato di trasformarmi in una statua da giardino. –
-Silenzio semidio. – sibilò Euriale. -La maledizione di Achille ti ha protetto fino ad ora, ma presto troveremo il tuo punto vulnerabile e morirai. La nostra padrona ci ricompenserà immensamente… -
Percy aggrottò le sopracciglia: -Di che padrona parli? –
Aveva bisogno di distrarle. Perchè aveva un’idea, la più stupida, disperata e ridicola che gli fosse mai venuta in mente, ma avrebbe dovuto farsela bastare.
La gorgone sibilò: -La divina Gea, ovviamente. Le sue armate sono già in marcia verso sud, e quando alla Festa della Fortuna si risveglierà distruggerà gli Olimpi e tutta la loro sudicia progenie. –
Gea. La dea primordiale che nelle ultime settimane aveva iniziato a sibilargli nella testa promettendogli morte e sofferenza. Se fosse stato una persona qualunque, avrebbe già perso il lume della ragione.
-E lei ha dimostrato un particolare interesse verso di te, a ragion veduta… - mormorò Steno, ed Euriale si voltò verso di lei per scoccarle un’occhiataccia.
Percy non attese oltre.
Veloce come un lampo afferrò il vassoio di Steno e menò un fendente alla testa di Euriale, mozzandogliela. Poi colpì la sorella con il vassoio facendola svenire.
Si voltò a guardare lo strapiombo, sospirando rassegnato. Dietro di sé, Euriale si stava già riformando dalla polvere.
-Fate che funzioni. – sussurò, prima di sedersi sul vassoio e lasciarsi scivolare giù dalla collina.
Fu un miracolo riuscire ad evitare l’autostrada.
E dopo pochi ma terrificanti attimi di caduta, si schiantò in mezzo a dei cespugli, oltre la rete che separava un quartiere abitato dalla strada. E per quanto avrebbe voluto rimanere lì e svenire esausto, puntò lo sguardo sulla collina e vide le due gorgoni che ne scendevano molto più velocemente e agilmente di lui.
Si alzò con un gemito.
Zoppicò fino alla rete, e non fu difficile passare attraverso uno dei tanti squarci. Si ritrovò sul bordo della strada, con diverse macchine che gli sfrecciavano davanti.
Il suo sguardo volò ai due tunnel che l’autostrada creava nella collina.
E gli venne quasi da piangere.
In mezzo alle due corsie, c’era una terza porta scavata nella roccia. Una porta metallica con due ragazzi in armatura a sorvegliarla.
Un sincero sorriso di sollievo gli si dipinse sulle labbra, le spalle gli si rilassarono.
Era arrivato. Finalmente, dopo due mesi di viaggio, aveva trovato il Campo Giove.
-Sei stato così bravo! –
Percy trasalì nuovamente. Accanto a lui, seduta contro la rete di ferro, c’era una vecchia donna il cui aspetto lo fece rabbrividire. I capelli grigi e crespi le scendevano lungo la spalla in una lercia treccia rovinata che le contornava il viso rugoso, sporco e graffiato.
Quando gli sorrise, e Percy contò solamente quattro denti.
Poi lo sguardo del ragazzo fu attirato dal bastone che la vecchia reggeva. Era in legno secco e scheggiato, ma la punta formava l’intricata forma di un fiore di loto.
I suoi occhi si accesero di ira.
-Era?! - sibilò.
La vecchia ridacchiò: -Oh caro, come sei perspicace. Io sono Giunone, per la precisione. E dobbiamo sbrigarci, stanno per raggiungerci. –
Percy si voltò, e vide le gorgoni in cima al tetto di un palazzo. Stavano indicando nella sua direzione, prima di scomparire.
-Ha perfettamente ragione. Addio, spero di non rivederla mai più. – disse lui, pronto ad attraversare l’autostrada di corsa e senza voltarsi.
La donna però tese con incredibile velocità le dita contorte a stringerli la caviglia. Percy si irrigidì, e si voltò perforandola con uno sguardo di pura indignazione.
La vecchia semplicemente sorrise: -Percy Jackson, quanto risentimento per una povera vecchietta. Vuoi davvero lasciarmi qui? Mi ucciderebbero, quelle orribili creature… -
Percy ghignò con scherno -Un vero peccato... -
Ma Era non sembrò scomporsi nemmeno allora: -Avanti, figlio di Nettuno. Portami con te al Campo Giove. Avrai bisogno di me. –
-E cosa dovrei farmene io di una dea vecchia e maleodorante, di grazia? –
-Oh, io garantirò per te. Ti sarà tutto più facile con la benedizione di Giunone. E poi un ragazzo di buon animo come te sicuramente è disposto a compiere una buona azione. –
Il figlio di Poseidone si voltò con ansia crescente verso l'entrata del Campo Giove.
Doveva arrivare là. Ad ogni costo.
E doveva tornare a casa. Da Annabeth.
-Come crede. Prego, mi segua. –
La vecchia rise, e il suono non fece che accrescere il fastidio che Percy provava.
-Ragazzo, non posso camminare in queste condizioni. – disse, sollevando i bordi distrutti della gonna. Aveva i piedi gonfi, rossi e pieni di tagli.
Il ragazzo le rivolse un'occhiataccia, ma non si oppose. Non che ne avesse il tempo.
Si chinò quindi a sollevare la dea tra le braccia, con un braccio stretto sotto alle sue ginocchia ossute e uno intorno alla sua vita.
Lei ridacchiò contenta, avvolgendogli le mani callose intorno al collo.
Percy, cercando di ignorare l’alito fetido della dea, attraversò la prima corsia.
I clacson gli fischiarono nelle orecchie, qualcuno gli urlò qualcosa che si perse nel vento.
Percy si voltò, e vide le gorgoni fermarsi bruscamente al margine dell’autostrada a pochi metri dietro di lui. Accelerò la sua corsa, sfrecciando tra le macchine nonostante il peso della vecchia donna tra le braccia.
Arrivò fino alla linea di mezzeria, e non si fermò. Continuò a correre verso la porta sul fianco della collina, e vide le due sentinelle muoversi nervosamente.
Erano due soldati in armatura con gli elmi a coprirgli il viso. Percy pensò che quella a destra dovesse essere una ragazza, per via del fisico minuto e i lunghi capelli ricci e castani che le spuntavano da sotto l’elmo. Sulla sinistra invece c’era un ragazzo, massiccio e con l’arco in mano.
Lo vide incoccare una freccia.
-Aspetta, fermo! – gli urlò Percy, ma il ragazzo non stava mirando a lui. La freccia si scagliò oltre la sua testa, e il figlio di Poseidone sentì una delle gorgoni gemere alle sue spalle.
Arrivò alla porta col fiato corto: -Grazie! – ansimò.
-Frank! – disse la ragazza rivolta al compagno. -Dobbiamo farli entrare! –
-La porta non le fermerà. – ridacchiò Era. -Avanti, Percy Jackson. Dobbiamo attraversare il tunnel e poi il fiume. –
-Percy Jackson? – ripetè la ragazza, sfilandosi l’elmo. Aveva la pelle scura, i capelli ricci e castani e gli occhi color dell’oro.  Sembrava più giovane di lui, forse sui tredici anni.
-Sì, piacere. – le sorrise nervosamente. -Possiamo andare? –
L’altro ragazzo, Frank, annuì aprendo la porta. -Avanti entrate. Hazel, andiamo. –
-Io le trattengo, voi andate. – disse sicura, la lancia puntata di fronte a sé.
-Hazel sei impazzita?! – protestò l’amico.
-Vai! – gli urlò lei.
Frank imprecò in latino, prima di fare cenno a Percy di seguirlo.
Il figlio di Poseidone si infilò nello stretto passaggio illuminato da alcune tremolanti lampadine sul soffitto, e corse al seguito di quel ragazzo di nome Frank.
Quando puntò lo sguardo davanti a sé, vide la lontana fine del tunnel, un minuscolo punto di luce calda.
D’un tratto, Hazel gridò alle loro spalle.
Percy si bloccò sul posto, e pensò di disfarsi di Era e correre in suo soccorso. Ma poi tutto il tunnel fu scosso da una frana. Percy sentì le gorgoni gridare, e la luce ormai lontana dell’entrata venne oscurata dalla polvere.
-Non dovremmo andare da lei? – chiese preoccupato.
-Oh, se la caverà… spero — rispose Frank. — È brava sottoterra. Andiamo! Siamo quasi arrivati. – li incitò.
Percy gemette, i muscoli stremati e tremanti che faticavano a reggerlo in piedi.
Un attimo dopo, furono inondati dalla luce del sole.
Percy si fermò, sbalordito. Sotto di loro si stendeva un’ampia vallata di colline e pianure verdi e rigogliose, contornata dal corso di un fiume limpido.
Gli ricordò il Campo Mezzosangue. Un mondo segreto, nascosto ai mortali, protetto dalla magia. Al centro sorgeva città bianca e maestosa, che cresceva intorno ad una grande piazza. Oltre questa, la valle era costellata da piccoli templi, anfiteatri e arene.
Sotto di loro, il fiume scorreva impetuoso.
-Beh… questo è il Campo Giove. – disse Frank con orgoglio.
Un'attimo dopo però, dietro di loro, Hazel irruppe alla luce del sole coperta di polvere e terra.
-Stanno arrivando. – disse stremata. -Le ho solo rallentate… Dobbiamo attraversare il fiume.–
Era si intromise, sorridendo a Percy con occhi adoranti:
-Oh sì, che idea fantastica. Non lasciare però che mi si bagno il vestito, ragazzo. –
Percy avrebbe voluto risponderle a tono, ma frenò la lingua appena in tempo.
Corsero giù dalla collina, verso il fiume, e Percy impedì alle gambe di cedergli solo grazie ad una ferrea forza di volontà.
Quando mise piede nel fiume, sentì la stanchezza scivolargli dalle membra, l’acqua lo fece sentire di nuovo vivo.
Quando arrivò alla sponda opposta, si fermò osservando nervosamente la fila di sentinelle che avanzò verso di loro.
Percy però si dovette voltare quando sentì Hazel gridare al suo fianco, e sussultò.
Frank era ancora in mezzo al fiume.
E inevitabilmente, le gorgoni lo raggiunsero, affondando gli artigli nelle spalle e facendolo gridare di dolore. Le sentinelle avevano le frecce incoccate, ma Percy sapeva che temevano di colpire il ragazzo.
Puntò quindi gli occhi sul fiume.
Sentì la sua forza piegata al suo volere, una sensazione così inebriante e fortificante che lo fece sorridere involontariamente.
L’acqua si sollevò improvvisamente intorno a Frank, e con precisione innaturale si abbatté sulle gorgoni strappandole via dal suo corpo.
Percy sentì i ragazzi dietro di lui arretrare gridando, ma non distolse lo sguardo dal fiume. I suoi occhi brillavano scuri e verdi come un mare in tempesta.
L’acqua si avvolse spietata sul corpo delle due creature e le portò in alto, muovendosi come un serpente che si innalza verso il cielo. Poi, con un movimento repertino, la colonna d’acqua si schiantò verso il basso, sbattendo fatalmente le gorgoni sul fondo del fiume.
I loro resti si dispersero nella corrente rabbiosa, il rumore dell’acqua che scorreva era l’unica cosa che rompeva il silenzio che era piombato tra i semidei.
Percy rimase immobile sulla riva, ancora stringendo la vecchia tra le braccia, e i suoi occhi si spensero.
Frank barcollò in avanti, lo sguardo incredulo fisso sul figlio di Poseidone. Nessuno fiatò, nemmeno quando Percy si voltò verso i romani alle sue spalle.
Le sentinelle erano state raggiunte da altre decine di ragazzi, che lo guardavano con gli occhi spalancati.
-Che viaggio incantevole! – esclamò gracchiante la vecchia tra le sue braccia, e Percy la guardò sprezzante.
Senza avvertimento, lasciò la presa su di lei aspettando con ansia di vederla cadere rovinosamente a terra.
Ma non appena il corpo debole della vecchia donna sfiorò il terreno, si trasformò.
Percy si allontanò trasalendo, guardandola risplendere mentre cresceva in una dea alta più di due metri che indossava un abito azzurro e una pelle di capra sulle spalle. Era bellissima, gli occhi solenni e il volto severo contornato dai lunghi capelli castani.
Tutti i romani si inginocchiarono immediatamente nonostante la sorpresa.
Hazel emise un gemito di stupore: -Giunone… -
Percy invece rimase l’unico in piedi, ma non aggiunse una parola.
La dea sorrise compiaciuta: -Romani, vi presento il figlio di Nettuno. Il suo destino è nelle vostre mani. Presto arriverà la Festa della Fortuna, e la Morte dovrà essere liberata prima di allora se vorrete vincere la battaglia che vi attende. So che non mi deluderete. – concluse, prima di scomparire.
I romani intorno a Percy si voltarono immediatamente verso di lui, gli sguardi increduli e le bocce spalancate. Nessunò fiatò. Percy invece osservò con cauta curiosità la folla di soldati, prima di voltarsi verso Hazel e Frank accanto a lui. Loro tentarono di sorridergli, ma i loro occhi tradivano il loro nervosismo.
Per un attimo, Percy ricordò le parole di Lupa.
Non possono sapere chi sei o da dove vieni. Ti ucciderebbero.
Poi, una ragazza si fece avanti dalla folla.
Era alta, dai capelli lunghi e scuri e gli occhi neri come ebano. Aveva indosso un’armatura e un mantello viola. Da come si muoveva, dal suo abbigliamento così appariscente e dal suo sguardo Percy capì che dovesse essere un capo.
Guardandola, giurò persino di averla già vista, ma non seppe né dove né quando.
-Un figlio di Nettuno, portatoci da Giunone. – disse con freddezza lei, studiandolo attentamente. -Qual è il tuo nome? –
Percy la guardò negli occhi: -Percy Jackson. –
Gli occhi della ragazza si illuminarono per un secondo di risentimento, o forse amarezza, ma riuscì a nasconderlo in fretta. Percy pensò di aver avuto ragione: aveva già incontrato quella ragazza, e dal suo sguardo non doveva essere stato in circostanze felici.
-Io sono Reyna, pretore della Dodicesima Legione. – rispose lei, lo sguardo severo.
Percy non aggiunse altro, e sentì le voci alle spalle di Reyna farsi più alte e concitate.
La ragazza dai capelli scuri si voltò alla sua destra.
-Hazel, portalo dentro. Voglio interrogarlo ai Principia. Poi potrà andare da Ottaviano. Sempre se non si rivelasse un nemico da uccidere. –
 
Quando arrivarono ai Principia, Percy rimase a bocca aperta.
Era un palazzo a due piani di marmo bianco con il portico colonnato, sorvegliato da dei Centurioni in armatura. Sopra la porta svettava un vessillo viola.
Il ragazzo pensò con un amaro sorriso che Annabeth avrebbe amato quel posto.
Reyna si voltò verso di lui. Hazel e Frank li avevano accompagnati fin lì, camminando al fianco di Percy in silenzio.
-Hazel, tu vieni con noi. Voglio sentire da te quello che è successo. – ordinò. -Tu Frank, vai in armeria. Ti chiamerò se necessario. –
Frank strabuzzò gli occhi: -Ma Reyna, Percy mi ha salvato la vita, vorrei… -
-Io vorrei invece ricordarti che hai già causato abbastanza problemi questa settimana. Per di più, sei ancora in probatio. – disse, guardandolo severa.
Il ragazzo arrossì fino alla punta delle orecchie, prima di congedarsi con un veloce cenno del capo.
Reyna non aggiunse altro.
Li guidò all’interno del palazzo, in una grande sala che si estendeva in lungo sotto ad un soffitto maestoso dove il mosaico di Romolo e Remo sotto la loro madre Lupa scintillava di mille colori. Il pavimento era di marmo levigato e i muri erano ricoperti di drappi di velluto rosso scuro. Al centro della stanza c’era un tavolo ingombro di pergamene, quaderni e computer e con solo due sedie dalla spalliera alta.
Al fianco di quest’ultime due levrieri di metallo sedevano immobili, uno d’oro e uno d’argento.
Reyna aggirò la scrivania e si sedette con grazia su una delle due sedie, mentre Hazel si fermò di fronte al tavolo.
Percy la imitò.
-Raccontami la tua storia, Percy Jackson. Ti avverto, se menti, i miei cani lo sapranno. E non gli piacciono i bugiardi. – disse Reyna, o meglio, ordinò.
Percy lanciò uno sguardo confuso alle due statue vicino ai troni.
In quel preciso istante, i levrieri si mossero, ringhiando e scuotendo la testa con gli occhi che luccicavano rossi come il sangue.
Percy non lo diede a vedere, ma questo lo innervosì. Doveva trovare un modo di compiacere Reyna e i suoi levrieri di metallo senza però firmare la sua condanna a morte.
Era sempre stato bravo a mentire, e nonostante non gli piacesse farlo sapeva di non avere altra scelta. Pregò solo che gli dei lo aiutassero.
Compi la tua missione. Solo allora potrai rivelarti.
Pensa a quello che è successo a Jason.
-Non ricordo nulla della mia vita. – mormorò. -Qualche mese fa mi sono svegliato in una villa romana distrutta, e Lupa mi ha trovato. Non sapevo chi fossi, da dove venissi o come fossi arrivato lì. Lupa ha lasciato che seguissi lei e il suo branco per alcune settimane, e mi ha insegnato tutto quello che sapeva. Mi ha detto che ero un semidio, un figlio del dio del mare, e che mi attendeva un lungo viaggio. Poi mi ha indicato la via per arrivare qui, al Campo Giove, dove disse che avrei trovato una legione da servire. –
Raccontò delle gorgoni, di come Giunone gli avesse chiesto di portarla in braccio fino a lì.
Mentre parlava, il ragazzo si ritrovò a riflettere sul fatto che quei mesi di viaggio fossero stati orribilmente simili ad un periodo della sua vita che avrebbe tanto voluto dimenticare.
Quando a sette anni era rimasto solo in mezzo ad una strada.
E negli ultimi due mesi, si era ricordato come ci si sentisse ad essere completamente da solo, a rubare per non patire la fame o il freddo, ad essere inseguiti costantemente da creature che saltavano fuori dal buio pronte ad ucciderlo.
Era stato difficile, ritornare a vivere in quel modo. Solamente che stavolta, non c'era più nulla del mondo mortale che potesse spaventarlo.
Quando finì di raccontare, ci fu un secondo di silenzio.
Reyna non aveva mai smesso di guardarlo.
-La tua memoria è cancellata del tutto?  - chiese lei.
-Mi rimangono pochi frammenti. – rispose lui incerto. -Ma sembrano non avere mai significato.-
I levrieri rimasero immobili. I loro occhi brillavano, ma non si mossero.
Percy pensò che forse gli dei lo stavano davvero aiutando, o che forse era stata pura fortuna. Suonava incredibile in entrambi i casi.
Reyna lo guardò per un secondo: -Gran parte di quello che dici è comune per un semidio. Ad un certo punto della nostra vita troviamo Lupa, che ci addestra e mette alla prova, e se decide che siamo degni del posto ci manda al Campo Giove per entrare nella legione. –
Percy annuì, senza mai distogliere lo sguardo dalla ragazza.
Reyna abbassò gli occhi: -Sei vecchio per essere una recluta. Ed è sospetto che un figlio di Nettuno con un’aura così potente sopravviva per tutti questi anni da solo e senza addestramento. –
Percy sorrise spontaneamente: -Già, dicono che puzzo. – rispose, strappando un lieve e breve sorriso alla ragazza dai capelli neri.
-Beh, i cani non ti hanno attaccato, perciò crederò alla tua storia. –
-Fantastico. – rispose lui con entusiasmo, ma Hazel gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
Reyna riportò i suoi occhi di ossidiana su di lui: -Ma non posso ignorare che il tuo arrivo mi preoccupi. Un figlio di Nettuno che arriva ai nostri cancelli con la Regina degli Dei tra le braccia, e che uccide le sorelle di medusa con preoccupante facilità mi suona sospetto e pericoloso. I Lari poi ti chiamano graecus, e indossi strani simboli. Ad esempio, che significato ha quella collana che porti? – concluse.
Percy abbassò lo sguardo sulla collana che portava al collo. Una fitta di nostalgia gli trapassò il cuore, e non poté impedirsi di sfiorare il medaglione con la punta delle dita. Le perline di marmo tintinnarono lievemente al tocco.
-Non lo so. – mentì.
-E la tua spada? – aggiunse Reyna.
Percy la guardò con sorpresa, e sospetto. Non aveva mai tirato fuori la spada da quando era arrivato al Campo Giove.
Ma lo sguardo inflessibile della ragazza lo convinse a non opporre resistenza, e tirò fuori la penna dalla tasca dei jeans neri.
Tolse il tappo, e Vortice si spiegò magnifica e splendente, ed Hazel al suo fianco trasalì meravigliata.
Reyna invece la osservò cupamente, mentre si alzava e gli si avvicinava con cautela. I levrieri si rizzarono sulle quattro zampe, ringhiando.
Quando gli fu di fronte, Reyna tese le mani verso di lui, e Percy lasciò che reggesse la spada.
L’elsa era di un bronzo celeste più scuro ed opaco di quello che componeva la lama, la guardia era corta e l’impugnatura ad una mano e mezza scintillava tenuamente alla luce del sole. La lama a doppio taglio era invece liscia e vitrea, dalla forma a foglia di salice e di un bronzo celeste chiaro e quasi trasparente, che risplendeva come se emanasse luce propria.
-È un’arma stupenda. – mormorò Hazel. -Non avevo mai visto nulla del genere. –
-Io sì. – disse Reyna. – È antica, un modello greco. Questo metallo si chiama bronzo celeste.– aggiunse, tracciando con un dito il piatto della lama. – Per i mostri è mortale quanto il nostro oro imperiale, ma è perfino più raro. –
Percy lanciò uno sguardo al pugnale che Reyna aveva lasciato sul tavolo. La lama era d’oro.
Reyna distolse gli occhi dall’arma del ragazzo. -Quest’arma non appartiene a Roma. Come te del resto, anche perché sul tuo braccio… -
Percy aggrottò le sopracciglia, ma quando Reyna sollevò l’avambraccio lui ricordò.
Ricordò di aver intravisto il tatuaggio quando Jason era arrivato al Campo Mezzosangue, e di avergli chiesto di mostrarglielo. Come lui, Reyna aveva tatuate le lettere SPQR, ma invece di un’aquila aveva il simbolo di una spada e una torcia incrociate con sotto quattro linee parallele.
Percy rivolse il suo sguardo ad Hazel.
-Ce l’abbiamo tutti. – disse lei, mostrando il suo. -Tutti i membri a pieno titolo della legione ne hanno uno. –
Quindi era questa la storia di Jason. Lui era stato per anni un membro del Campo Giove.
Reyna gli ridiede la spada: -Ma tu invece no. Significa che non sei mai stato un membro di una legione. –
Percy annuì distrattamente, ma non poté ignorare come gli occhi di Hazel si fossero spalancati alle parole di Reyna.
-Se ha viaggiato per così tanto, forse ha visto Jason! – esclamò lei, prima di voltarsi verso Percy. -Hai mai incontrato nessuno come noi? Un ragazzo con la maglietta viola e… -
Percy si irrigidì appena, colto alla sprovvista, ma cercò di nasconderlo quanto meglio potesse.
-No, io… non ho mai incontrato nessuno come voi. Chi è Jason? – chiese.
Reyna in risposta rivolse un’occhiataccia alla più piccola.
-Jason è stato il mio collega, finché non è scomparso lo scorso ottobre. I pretori in una legione sono sempre due. –
Il figlio di Poseidone si ritrovò a provare compassione per lei. Guardava Reyna, e vedeva una ragazza sfinita e sola sotto il peso di un compito pensato per due. Si sentiva in colpa per aver nascosto ciò che lui sapeva su Jason, ma non poteva compromettere la sua posizione. Aveva una missione, e una volta compiuta il figlio di Giove sarebbe potuto tornare a casa.
-Era ha parlato di una battaglia imminente, e che per vincerla dovremo liberare la Morte. Reyna, significa che… - provò ad avvertirla lui, ma la ragazza lo fermò.
-So benissimo cosa ha detto la dea Giunone. – disse, precisando il nome latino della Regina degli Dei. -E non permetterò che altro panico si scateni nel campo, non appena dopo che un figlio di Nettuno è arrivato ai nostri cancelli. Perciò, non fatene parola. –
-Cosa importa che io sia un figlio di Nettuno? – chiese indignato il ragazzo.
-Hazel. – lo ignorò Reyna. -Portalo sulla Collina dei Templi, trova Ottaviano, e spiega a Percy del campo. –
-Si Reyna. – rispose Hazel, prima di avviarsi verso l’uscita.
Percy guardò Reyna per un'istante, ma decise di voltarsi e seguire Hazel senza aggiungere altro. Andandosene, sentì Reyna rilassarsi notevolmente alle sue spalle.
-Ah, Hazel. – la richiamò Reyna con gentilezza. -Tuo fratello è arrivato poco fa. Magari dopo vorrai andare a salutarlo.–
Alla più giovane si illuminarono gli occhi, e rivolse alla più grande uno splendido sorriso prima di uscire dal tempio quasi saltellando dalla gioia.
Percy ridacchiò alla vista.
Dopo il suo breve giro dell’accampamento e la vista della città poco lontano da loro, Percy si sentì meglio.
Pensò che dopotutto iniziasse ad apprezzare sinceramente il Campo Giove.
Almeno finché non conobbe Ottaviano.
 
Quando uscirono dal tempio di Giove dove Ottaviano li aveva accolti, Hazel era furiosa.
Ottaviano era una delle persone più ripugnanti e arroganti che lei avesse mai conosciuto, e nonostante avesse accettato Percy nella legione il suo poco velato ricatto l’aveva lasciata indignata.
Percy la seguì in silenzio, aspettando che le sue imprecazioni in latino cessassero.
-Quel tipo non diventerà davvero pretore, vero? – chiese il ragazzo.
-Chi può dirlo. È un discendente di Apollo apparentemente senza talento, eppure ha molti amici potenti, non conosce scrupoli ed è pericolosamente manipolativo. – ribatté velenosa.
Percy annuì al suo fianco, e Hazel si voltò a guardarlo.
Quel ragazzo emanava un’aura di potere impossibile da ignorare, e che nemmeno vicino a semidei come Jason o suo fratello aveva mai percepito. Eppure, ora, mentre camminava rilassato al suo fianco, Percy si comportava con umiltà e gentilezza.
Era un ragazzo buffo, curioso e piacevole.
Ed era indubbiamente anche incredibilmente bello, come un dio romano. Era alto, col viso dai bei lineamenti, aveva degli indomabili capelli neri, gli occhi verdi come il mare e un fisico asciutto e muscoloso che conservava però una piacevole eleganza. Hazel pensò anche che quel ragazzo dovesse aver passato anni a combattere. Lo provavano i pallidi e profondi segni che gli marchiavano la pelle in molti punti sul corpo.
E insieme a quelli, il figlio di Nettuno aveva una cicatrice sull’occhio sinistro, più evidente e profonda delle altre.
Gli attraversava la pelle dal sopracciglio fino a sotto lo zigomo senza intaccare l’iride, e nonostante fosse incredibilmente sottile risaltava incredibilmente sulla sua pelle bronzea.
Stava per chiedergli come se la fosse procurata, ma si trattenne appena in tempo.
-Quindi ora che sono stato approvato dal panda di pezza squarciato, che succede? –
Hazel rise: -Beh, stasera verrai annunciato come recluta, e verrai assegnato ad una delle Coorti. –
-Chiaro. E tu a quale appartieni? –
La domanda fece sorridere amaramente la ragazza: -Alla Quinta. Purtroppo, non è il posto migliore dove trovarsi. – rispose Hazel.
Percy aggrottò le sopracciglia: -Perché? –
-Godiamo di una pessima reputazione, e sembriamo perseguitati dalla sfortuna. Jason era riuscito a migliorare la nostra posizione, ma da quando è scomparso siamo precipitati di nuovo nell’ombra. – spiegò tristemente la ragazza.
-Capisco. È un peccato. – commentò il ragazzo sorridendole gentile.
Era un sorriso così sincero e dolce che Hazel non poté non fare lo stesso.
-Poi potremo andare a dormire? – chiese speranzoso Percy.
Hazel scosse divertita la testa: -Temo di no. Stasera ci saranno i ludi di guerra. – spiegò lei.
Il ragazzo la guardò confuso, perciò Hazel continuò: -Sono delle simulazioni di assedio, per allenarci a combattere in vere battaglie. –
Percy ridacchiò.
-Fantastico. – rispose. -Quindi adesso andiamo da tuo fratello? –
-Si! – rispose Hazel con entusiasmo. -È un po’ riservato, ma è fantastico una volta che lo conosci. –
 
Nico non aveva idea di quello che stava per succedergli.
Era di fronte al tempio di Plutone ad aspettare che Hazel arrivasse. Aveva la spada nera al fianco, e si godeva gli ultimi e caldi raggi di sole che gli scaldavano il viso. Era più alto, l’estate gli aveva fatto tornare il tono olivastro che aveva sempre avuto da bambino, i suoi folti capelli neri erano cresciuti e i suoi lineamenti erano maturati ancora.
Aveva un lieve sorriso dipinto sul viso.
-Ehi Nico! – si sentì chiamare da una voce familiare. -Ho portato un amico. –
Nico si voltò, il sorriso si fece ancora più grande, ma quando alzò lo sguardo quello gli morì sul viso, lasciando spazio all’incredulo panico che gli si dipinse negli occhi.
Accanto a sua sorella, bello come un dio e dallo sguardo timido, c’era Percy Jackson.
Nico ammutolì, incapace di contenere la sua sorpresa.
E questo ad Hazel non sfuggì:
-Nico… questo è Percy. È appena arrivato. – incominciò, stranita.
Percy sorrise verso di lui, lo sguardo curioso che lo studiava come se lo vedesse per la prima volta.
Nico si sentì la terra mancare sotto i piedi.
Che cosa gli era successo?
Hazel dal canto suo stava fissando Nico con preoccupazione, e probabilmente la ragazza decise di dover aggiungere qualcosa.
-Percy ha… perso la memoria, e pensavo che magari lo conoscessi. – spiegò lei, insicura, prima di voltarsi verso il figlio di Nettuno. -Percy, lui è mio fratello, Nico di Angelo. –
Nico cercò di ricomporsi, e tese la mano verso il ragazzo come avrebbe fatto con qualunque sconosciuto che gli veniva presentato.
-No, temo di non averti mai incontrato. Ma è un piacere conoscerti, Percy. – disse, fingendo una calma che non aveva.
Percy era sparito da mesi. E ora era arrivato nell’unico posto in cui non avrebbe mai dovuto mettere piede, e senza memoria.
Il figlio di Nettuno gli sorrise: -Il piacere è mio. – rispose, facendo un passo avanti e stringendogli la mano.
Un attimo dopo però, la sua espressione cambiò completamente.
Percy lo guardò con malizioso divertimento, l’angolo della bocca teso in un ghigno.
E gli fece l’occhiolino.
Nico sussultò, guardandolo basito.
Ma Percy semplicemente fece un passo indietro, il suo sorriso tornò timido e cordiale.
Nico sentì il cuore soffocargli nel petto, ma dovette nascondere quando sconcertato fosse. Quel gesto poteva significare qualcosa, oppure nulla.
Stava di fatto che se Percy avesse fatto un singolo passo falso, la sua vita avrebbe potuto essere in pericolo. E quella di Nico con la sua.
Non poteva permettersi un rischio simile.
-Mi... mi hanno raccontato che sei arrivato con Giunone in braccio. – disse Nico. -E mi hanno anche detto che vi ha avvisato dell’arrivo dell’esercito di Gea. –
Percy annuì: -Già. È per caso una qualche divinità super-potente che viene a cercare vendetta? –
Nico guardò il figlio di Nettuno dritto negli occhi: quel ragazzo era un attore straordinario.
-Sì. – rispose Hazel. -È rimasta assopita per anni, ma sconfiggere i Titani e far scomparire Saturno sembra averla risvegliata. Lei e i suoi figli, i Giganti, vogliono tornare a governare. E la sua vendetta si scaglierà su di noi e sugli dei.–
Nico non si rese conto dell'errore di Hazel in tempo per fermarla.
Quando la ragazza smise di parlare, Percy la guardò con pura indignazione:
-Sconfiggere i Titani? Far scomparire Saturno?! – chiese con sarcasmo, e Nico ne fu certo.
Percy non aveva perso la memoria. Il figlio di Poseidone ricordava bene quanto gli fosse costato uccidere Crono, e quello che Hazel aveva detto non poteva che sembrargli un'insulto. Ma chiaramente sapeva anche che se voleva rimanere al Campo Giove il suo passato doveva restare un segreto.
Perchè sei qui?
Hazel guardò Percy quasi con timore, e Nico non poteva biasimarla.
-Sì... insomma, l’estate scorsa abbiamo marciato sul monte Otri, e Jason ha sconfitto il Titano Crio, e Saturno si è poi ritirato di conseguenza. – disse la più giovane.
Percy sembrò rendersi conto dell’effetto che il suo sguardo stava avendo su Hazel, perché cercò di ammorbidirlo.
-Capisco. – disse lui.
-Ad ogni modo. – intervenne Nico. -Gea si sta risvegliando. Ma temo non sia il problema più grande. –
Percy lo guardò.
-Ti riferisci a quello che ha detto Era...cioè Giunone, riguardo alla Morte? –
Hazel annuì in risposta: -Sì. Ha detto che la Morte deve essere liberata, perché altrimenti… -
Ma non finì mai di parlare.
Perchè Frank li raggiunse correndo.
-Ehi ragazzi! – li salutò con un sorriso, prima di voltarsi verso il figlio di Ade con timidezza, ma senza timore. -Ciao Nico. –
-Ciao Frank. – lo salutò lui con un sorriso di cortesia.
-Reyna mi ha detto di venire a prendere Percy. – spiegò il ragazzone. -Ottaviano ti ha accettato? –
Il figlio di Poseidone annuì: -Sì. Ha sventrato il mio panda di peluche. –
Frank ridacchiò: -Ah sì, mi dispiace, lo fa con tutti. Comunque è fantastico, sei uno di noi ora! Vieni avanti, dobbiamo ripulirti prima di cena. –
Frank diede una pacca sulla spalla di Percy, pronto a guidarlo verso il campo.
Ma Nico si fece avanti:
-Ehi Frank, che ne dici se lo accompagno io alle terme? Vorrei fargli delle domande, forse riesco a rinfrescargli la memoria. – disse con un sorriso nervoso, a suo malgrado, prima di voltarsi verso Hazel. -Ci raggiungete tra mezz’ora? Così Frank accompagna Percy all’adunata e io e te parliamo? –
Hazel lo guardò stupita, ma annuì riuscendo a sorridere con dolcezza.
Nico rivolse ad entrambi i ragazzi un sorriso, prima di stringere la spalla di Percy e spingerlo a seguirlo verso le terme.
Camminò velocemente, senza guardare il figlio di Poseidone, ma sapeva benissimo che stava ghignando compiaciuto al suo fianco.
Poco lontano dalle terme, prese il ragazzo per il braccio e lo trascinò in un stretto vicolo a lato della strada.
Percy lo guardò, e aveva di nuovo quell’aria inconsapevole dipinta in faccia.
-Che diavolo ci fai qui?! – sibilò il figlio di Ade.
-Non so di cosa parli, ci conosciamo? – replicò il più grande, trattenendo a stento un sorriso.
Nico stesso fece fatica a mantenere la serietà, ma non permise al suo volto di ammorbidirsi.
-Non prenderti gioco di me Perseus Jackson, rispondimi. –
Lo sguardo di Percy si tinse di malizia.
-Potrei farti la stessa domanda, Nico. –
-No, tu non capisci. – replicò il figlio di Ade. -Scompari dalla faccia della terra di punto in bianco, e dopo sei mesi ti becco a zonzo per un campo di cui non dovresti nemmeno conoscere l’esistenza a raccontare di aver perso la memoria.–
-Sono un attore nato eh? –
-Percy! –
-Va bene, va bene. – rispose l’altro. -È stata Era a mandarmi qui. Sei mesi fa ha turbato la mia fragile tranquillità per dirmi di partire senza che nessuno lo sapesse, e di cercare Lupa così che mi guidasse qui. –
Nico lo guardò con crescente comprensione, il suo sguardo si fece più dolce.
-Questo perchè... –
-Per unire i due campi. Ha cancellato la memoria a Jason prima di spedirlo al Campo Mezzosangue, e ora il grande onore tocca a me.  –
Nico corrugò le sopracciglia: -Ma perché non cancellare anche a te la memoria? Perché stai solo fingendo di averla persa? –
-Lo sai perché, Nico.– rispose Percy guardandolo dritto negli occhi.
Nico annuì, abbassando lo sguardo con le guance lievemente arrossate.
Percy era il semidio più potente che avesse mai conosciuto, forse persino il più potente mai esistito. E anche il più pericoloso.
-Ora. – disse Percy, incrociando le braccia al petto. -Dove sei stato tu per tutto questo tempo? Dopo il mio compleanno, quando sei scomparso, ti ho cercato per…-
-Per due settimane. – lo interruppe Nico sorridendo lievemente. -Lo so. Me lo ha detto mio padre, dopo che ha dovuto minacciarti di incenerirti pur di impedirti di venirmi a cercare negli Inferi. –
Percy non disse nulla, continuando a guardarlo in attesa.
Il figlio di Ade sospirò: -Mi spiace Percy. Io… avevo bisogno di stare da solo, di viaggiare. –
Il più grande lo studiò attentamente, rimanendo in silenzio per un secondo.
-Ed è viaggiando che hai trovato questo posto? –
Nico lo guardò negli occhi, e per un secondo si perse a guardarlo.
-No. – disse infine. -Io so del Campo Giove grazie a mio padre. Me lo ha mostrato perché io potessi accompagnarci Hazel. Lui voleva che lei arrivasse qui e che venisse accettata, e nominandomi Ambasciatore di Plutone io avrei potuto garantirle l’accesso. –
-Ambasciatore di Plutone! – ripetè il figlio di Poseidone con un sorrisone. -Complimenti Nico. -
Il ragazzino sorrise divertito, prima di alzare lo sguardo, e si sentì la persona più felice del mondo nel vedere l'espressione di dolce divertimento del più grande.
-Mi sei mancato Nico. – gli disse Percy, abbracciandolo di slancio e con forza.
Nico spalancò gli occhi dalla sorpresa, ma sorrise ancora di più: -Anche tu Percy… -

Frank aspettò Percy fuori dalle terme.
Il ragazzo ne uscì con addosso una maglietta viola del campo e dei jeans neri, aveva i capelli ancora umidi e un gran sorriso sulle labbra.
Frank gli sorrise divertito: - Meglio? –
-Non ne hai idea. – rise Percy, camminandogli a fianco.
Frank annuì con un sorriso.
-Nico è riuscito ad aiutarti con la tua memoria? – gli chiese poi incuriosito.
Percy scosse la testa, ma non disse nulla.
Frank immaginò quanto dovesse essere difficile per lui, non sapere nemmeno chi fosse.
-Nico ha accennato qualcosa sul fatto che lui ed Hazel non piacciono agli altri… - chiese invece Percy.
Frank sospirò: -Non è che non piacciono. Solo che essendo figli di Plutone rendono nervosi un po’ tutti, soprattutto Nico. Però io penso che Plutone non sia male. Insomma, ai tempi dell’Antica Grecia, quando era conosciuto come Ade, era il dio della morte in assoluto e perciò spaventava le persone. Ma come dio romano, si è fatto più rispettabile, diventando il dio delle ricchezze della terra e di tutto ciò che ne esiste al di sotto. –
Percy abbassò lo sguardo pensieroso: -Ma non mi dire… - mormorò. -Senti, ma come fa un dio a diventare romano? –
Frank ci pensò per qualche secondo. -Per come la vedevano loro, i Romani hanno preso le cose migliori dei Greci e le hanno perfezionate. –
Quando guardò Percy, lo vide sorridere con amaro divertimento.
-Serve molta presunzione per pensarla così. – commentò, ma non aggiunse altro.
Frank annuì: -Senza dubbio. Ad ogni modo, alcuni credono che l’influenza greca esista ancora, come se fosse parte degli dei. – concluse.
-Capisco. – rispose il figlio di Nettuno.
Frank si mise le mani in tasca, e sobbalzò quando toccò le fialette fredde che ci teneva dentro. Osservò Percy, e prese un grosso respiro.
Dopotutto, quel ragazzo gli aveva salvato la vita, giù al fiume.
-Ho trovato due fialette nel fiume, dopo che hai ucciso le gorgoni. – incominciò, tirandole fuori dalla tasca. -Sono un bottino di guerra, e di conseguenza ti appartengono di diritto. – concluse porgendogliele.
Percy le guardò con particolare attenzione: -Il sangue delle gorgoni. Una fiala cura ogni male, l’altra è un veleno mortale. – mormorò.
Frank rimase quasi sorpreso che il semidio sapesse cose fossero, ma annuì.
Il figlio di Nettuno alzò gli occhi su Frank, e il ragazzo si ritrovò in soggezione sotto al suo sguardo così intenso.
-Tienile Frank. Tu o altri potreste averne più bisogno di me in futuro. – rispose con piccolo sorriso.
-Ma potresti recuperare i tuoi ricordi se riuscissimo a distinguerle! – ribatté Frank.
Percy scosse la testa: -Sarebbbe un motivo misero per usare una fiala che potrebbe salvare la vita di qualcuno nella battaglia che sta per arrivare. –
Frank lo guardò incredulo. Quel ragazzo aveva la possibilità di recuperare la sua memoria, ma sceglieva di lasciare la cura a lui per qualcuno che ne avrebbe avuto bisogno in futuro.
-Quindi non ricordi nulla? – gli chiese. -I tuoi amici, o la tua famiglia? –
Lo vide giocherellare involontariamente con la collana che portava al collo.
-Solo dei ricordi vaghi e immagini confuse. – rispose Percy.
-E la tua famiglia? Tua madre è una mortale? – chiese ancora.
Lo sguardo del figlio di Nettuno si fece scuro come un abisso.
- Mia madre è morta. – disse. -L’ha uccisa il mio patrigno quando avevo sette anni. –
Frank ammutolì.
Lo sguardo del ragazzo lo aveva spaventato.
-A-anche mia madre è morta. – rispose solo.
Ricordò il sorriso di sua madre, la casa dove viveva insieme a lei e sua nonna. Erano stati i giorni più felici della sua vita. Finché lei non era morta, e sua nonna gli aveva messo in mano il pezzo di legno su cui dipendeva la sua intera vita. Gli aveva detto che se quel pezzo avesse bruciato completamente lui sarebbe morto, e da allora si portava quella maledizione in tasca pregando gli dei che la fine dei suoi giorni non arrivasse presto quanto temeva.
Percy si voltò a guardarlo.
La sua espressione era mutata in pochi istanti, ed in quel momento esprimeva compassione, rispetto persino.
-Com’è successo? – chiese Percy.
-In guerra. – rispose Frank. -In Afghanistan. Era nell’esercito canadese. –
Percy annuì, e non fece altre domande, qualcosa per cui Frank gli fu grato.
Poi il figlio di Nettuno sorrise, un sorriso così radioso e contagioso da essere irresistibile.
-Adesso andiamo a mangiare? –
 
Dopo l’adunata, l’assegnazione di Percy alla Quinta Coorte e la cena, Frank stava marciando verso i ludi di guerra insieme ad Hazel e il figlio di Nettuno.
Avanzarono verso nord, al Campo Marzio, la porzione più ampia della vallata. Il terreno era irregolare, cosparso di crateri e vecchie trincee. All’estremità settentrionale del campo si stagliava il loro obiettivo. Gli ingegneri avevano costruito un forte in pietra con un portone in ferro a saracinesca, delle torri di guardia, baliste e cannoni ad acqua.
-Stavolta hanno fatto un buon lavoro. – borbottò Hazel. -Peggio per noi. –
-Scusa?! – sussurrò Percy. -Vorresti dirmi che hanno costruito quel forte soltanto oggi? –
Hazel rise. -I legionari sono addestrati, in caso di necessità, a ricostruire l’intero campo in pochi giorni. –
-E ogni sera attaccate un forte diverso? – chiese ancora il ragazzo.
-Non ogni sera. – disse Frank. -È solo uno dei diversi esercizi di addestramento. Abbiamo anche le corse con bighe, o le simulazioni di guerra con armi a proiettili avvelenati o con palle di fuoco. –
Hazel indicò il forte. -Lì dentro, la Prima e la Seconda Coorte tengono le loro insegne. Dobbiamo riuscire ad entrare e prenderle senza morire, e abbiamo vinto. –
Lo sguardo di Percy si illuminò. -Penso che mi piacerà. –
Frank sorrise al ragazzo. -Purtroppo, è più difficile di quello che sembra. Dobbiamo superare le baliste e i cannoni ad acqua sulle mura, affrontare i nemici all’interno, trovare le insegne e sconfiggere le guardie che le proteggono, il tutto senza dimenticarci delle nostre di insegne. E la nostra coorte è in competizione con le altre due coorti in attacco, dato che la coorte che cattura le insegne nemiche è quella che vince. –
Arrivarono al centro del Campo Marzio, e le tre coorti in attacco si disposero in altrettante fila. Frank alzò lo sguardo, vedendo Reyna in groppa al suo pegaso che volava sopra di loro.
Poi si voltò verso Percy per controllargli l’armatura, ma rimase stupito: ogni pezzo, fibbia e cinghia erano stati collocati nel punto giusto.
-Sei stato bravo. – commentò.
Percy lo guardò incerto: -Grazie… - disse, come se fosse sorpreso lui stesso.
Frank guardò poi la spada del ragazzo. Il figlio di Nettuno aveva legato la cinghia del fodero diagonalmente lungo la schiena, e nella guaina giaceva la sua spada di bronzo lucente. Nonostante la lama fosse celata dal fodero, persino l’elsa brillava tenue nel buio della notte
Percy lo guardò curioso: -Non possiamo usare armi vere? –
Frank si riscosse: -Certo, sì. Solo, non avevo mai visto una spada come la tua. –
Gwen e Dakota, i due centurioni della Quinta Coorte, richiamarono la loro attenzione. Spiegarono velocemente i compiti di ognuno, prima che Gwen si voltasse verso Frank ed Hazel.
-Frank, Hazel e Percy, fate quello che volete. Spiegate a Percy come funziona, e cercate di non farlo morire. – concluse, e Frank vide il ghigno che si formò sul viso di Percy.
Poi la ragazza si rivolse all’intero gruppo: -Vittoria alla Quinta! –
I ragazzi della corte le fecero eco senza entusiasmo, prima di rompere le fila.
Percy si voltò verso di loro: -Ci ha appena detto di fare quello che vogliamo? –
Hazel sospirò, ma non ne sembrava così felice:
-Un grande onore. –
-Approfittiamone! – le rispose il ragazzo con entusiasmo. -Ho un piano. –
Frank lo guardò incerto, e seguì col lo sguardo il dito che Percy puntò verso il forte.
-Avete parlato di cannoni ad acqua. Posso farli esplodere, e distruggere le mura. – spiegò, e a Frank si illuminarono gli occhi. -Se riusciamo ad arrivare abbastanza vicino, posso farlo e garantirci l’accesso prima di tutti gli altri. –
-Sarebbe incredibile… – sussurrò Frank, gli occhi che luccicavano di rinnovato interesse. -Il punto è arrivare sotto le mura senza essere fermati… -
Il ragazzo si voltò verso di Hazel con un enorme sorriso: -Tu puoi aiutarci Hazel! Puoi condurci sottoterra e trovare una strada per farci arrivare là! –
Hazel gli diede un debole schiaffo sul braccio: -Doveva essere un segreto Frank. – lo rimproverò, ma senza rabbia.
Lui la guardò con improvviso dispiacere, ma la ragazza sospirò sorridendogli, quel tipo di sorriso che sua madre gli rivolgeva quando faceva qualche pasticcio.
Percy li guardava confuso, e Hazel si voltò verso di lui.
-Quello di cui parla. – spiegò la ragazza a Percy. -È che sotto al Campo è pieno di vecchie trincee e tunnel segreti. Con i miei poteri posso trovarli, e condurci fin sotto le mura. –
Il ragazzo sorrise: -È fantastico! – disse guardando con entusiasmo in direzione del forte . -Allora facci strada. –
 
Frank non si era mai sentito così sicuro di sé in vita sua.
Hazel li condusse senza problemi attraverso i numerosi tunnel scavati nella terra, persino creandone alcuni quando si trovavano il passaggio sbarrato.
Percy aveva sguainato la spada, che gli illuminava il passaggio con la sua calda luce bronzea.
Hazel si fermò, girandosi verso di loro: -C’è un’apertura davanti a noi. Saremo a tre metri dalle mura. –
Percy la guardò ammirato: -È incredibile il dono che hai. – le disse, facendola arrossire.
Pochi secondi dopo sbucarono da una fossa, esattamente di fronte alle mura del forte. Frank si voltò, osservando con rabbia la Terza e la Quarta Coorte che rimanevano nelle retrovie ridendo della Quinta, che avanzava faticosamente in formazione.
Quando si voltò verso gli altri, vide gli occhi di Percy brillare irosi quanto i suoi.
-Vigliacchi. – sibilò il figlio di Nettuno, prima di puntare lo sguardo sui cannoni. -State pronti. Quando li farò esplodere crolleranno le mura orientali. Entrate voi per primi. –
Poi alzò una mano, e Frank sentì alcune sentinelle ridere sopra di loro.
-Con entrambe le braccia, idiota! –
Frank vide gli occhi di Percy brillare quando un sorriso sinistro si dipinse sulle sue labbra.
E i cannoni esplosero.
L’acqua scaraventò i difensori oltre le merlature, e l’esplosione si diramò tra le tubature che attraversavano le mura, distruggendole completamente. L’acqua si schiantò con forza innaturale contro le baliste e si insinuò nelle crepe tra le mura, facendole crollare.
Frank osservò sbalordito le mura distrutte a pochi metri da loro, come fecero tutte le altre coorti in attacco.
Ma si riprese velocemente, incoccando una freccia più pesante delle altre, pronto a lanciarla oltre le mura.
-Andate! – urlò ad Hazel e Percy.
Percy gli sorrise, la stretta sulla spada che si rafforzava. -Vai tu. È la tua festa, bello. –
Frank ricambiò il sorriso, e si fece strada oltre le macerie per poter entrare nel varco tra le mura.
Sentì dietro di lui Percy urlare alle Coorti: -Allora? Attaccate! –
Frank, girandosi, lo vide sollevare la spada, che brillò nel buio della notte.
Un grido di esultanza si levò dal campo di battaglia. Sentì l’elefante Annibale barrire, e il momento di gioia gli diede una determinazione che mai aveva sentito.
Saltò dentro al forte, e immediatamente si fece strada tra i difensori usando il suo pilum. Per la prima volta combatteva con tutta la determinazione e forza che aveva. Nessuno rimaneva in piedi a lungo dopo che aveva cercato di fermarlo.
Improvvisamente, Hazel gli comparve al fianco, così come Percy.
Si mossero come una squadra, quasi combattessero insieme da anni, con Annibale alle spalle e la Quinta Coorte che si riversò nel forte seguendo l’elefante, e in breve tempo tutti i difensori furono annientati.
Frank si voltò e vide la Terza e Quarta Coorte entrare nella breccia che Percy aveva creato.
-Non possiamo permettere che prendano le insegne. – urlò Frank.
Percy ghignò: -No. Sono nostre. –
Frank, Hazel e Percy continuarono ad avanzare, facendosi strada tra i nemici che cercavano invano di bloccarli.
Frank si fermò per un secondo, guardando sconcertato il figlio di Nettuno.
Il suo modo di combattere era completamente fuori dagli schemi, danzava intorno ai suoi nemici micidiale e veloce come nessun'altro che Frank avesse mai visto. Era inarrestabile, un demone della battaglia.
I suoi muscoli erano forti e fatti per resistere a lungo sotto sforzo, il suo corpo era veloce ed agile in ogni movimento, e i suoi occhi brillavano come se combattere lo eccitasse più di ogni altra cosa.
Ma poi, Frank sussultò, quando troppo tardi vide la freccia che uno dei soldati aveva scoccato contro Percy.
-Percy, attento! -
Ma il ragazzo non fece nulla per fermare la freccia.
La punta affilata si infranse contro il petto del ragazzo, spezzandosi e cadendo a terra senza ferirlo.
Percy sorrise quasi con sfida in direzione dell'arciere, che dall'alto delle mura sembrava impietrito, gli occhi spalancati e le dita tremanti sull'arco.
Frank era sconcertato, ma vide un ragazzo corrergli incontro con la spada alzata, e dovette concentrarsi su quello.
Continuò a correre ed avanzare verso il cuore della base.
Una volta che lui, Hazel e Percy entrarono, seppero di aver già vinto.
I difensori erano stati così sicuri di non vedere mai nessuno oltrepassare le mura che sedevano a terra, giocando a carte. Prendere i vessilli fu facile, e i tre salirono in groppa ad Annibale marciando fuori dal forte reggendo con orgoglio le insegne.
Arrivarono fino al centro del Campo Marzio, prima di smontare dall’animale ed essere circondati dalla Quinta Coorte che gridava esultante
Reyna atterrò con il pegaso in mezzo a loro. - Abbiamo un vincitore! — urlò, un sincero sorriso sul volto. -Adunata! Rendiamo gli onori! –
Ma i festeggiamenti non durarono a lungo.
-Aiuto! – gridò un ragazzo, e quando Frank si voltò vide che un soldato trasportava insieme ad un compagno una barella. Sopra, distesa su un fianco, c’era Gwen.
-Dei del cielo… - sussurrò, avvicinandosi e inginocchiandosi accanto a lei.
Aveva una lancia conficcata nella schiena, la cui punta spuntava dal suo petto attraverso l’armatura. Un medico corse verso di loro, e posò velocemente due dita sul collo della giovane. Alla fine, sollevò lo sguardo su Reyna e scosse la testa.
Reyna mantenne lo sguardo su Gwen, ma i suoi occhi tremavano irosi. - Ci sarà un’inchiesta. Chiunque sia stato, ha ucciso una nostra compagna con vigliaccheria. E questo non lo tollererò. –
Frank non capì subito cosa intendesse dire. Poi notò i segni incisi sull’asta di legno della lancia: COHORS I LEGIO XII. L’arma apparteneva alla Prima Coorte. E Gwen era stata colpita di spalle.
Con lo sguardo, Frank cercò Ottaviano. Quando lo trovò, vide che non aveva la lancia con sé. Stava per alzarsi e fare qualcosa di cui si sarebbe pentito, ma in quell’attimo Gwen sussultò al suo fianco.
Frank sobbalzò, il cuore che minacciava di uscirgli dal petto dallo spavento.
Tutti si fecero indietro tra urla e mormorii increduli.
Gwen aprì gli occhi, e le tornò il colore sul viso.
-Che c’è? —disse strizzando gli occhi. -Perché mi state guardando tutti? –
Alle spalle di Frank, il medico trasalì: -Impossibile. Era morta. –
Gwen cercò di mettersi a sedere, ma non ci riuscì. -Ero vicina ad un fiume, e un uomo che mi ha chiesto una moneta. Ma dietro di me c’era una porta aperta, e… me ne sono andata. Non capisco, io… -
Frank si voltò, e dietro di sé tutti quanti la osservavano inorriditi.
-Gwen…  - la richiamò Frank. -Non muoverti. Chiuderesti gli occhi? -
-Perché? Frank cosa…? –
-Andrà tutto bene. Solo, fidati di me. – mormorò cercando di controllare la voce tremante.
Gwen fece come le aveva chiesto.
Frank afferrò l’asta della lancia sotto la punta, ma sentiva di poter svenire: -Percy, Hazel, aiutatemi… -
Uno dei medici capì cosa stesse per fare. -Non farlo! - esclamò. -Potresti… -
-Cosa? - ribatté Hazel duramente. -Peggiorare le cose? –
Frank trasse un respiro profondo. -Tenetela ferma. Uno, due, tre! – disse, e con uno strattone, estrasse la lancia.
Gwen non ebbe alcuna reazione. Il sangue si fermò in fretta, e la ferita si rimarginò da sola.
Hazel guardò la scena con orrore: -Non è possibile… -
-Mi sento bene ragazzi, calma. - esclamò Gwen. -Non c’è bisogno di agitarsi tanto. –
Con l’aiuto di Frank e Percy, si rialzò. Frank vide Percy guardare Ottaviano dritto negli occhi, e con tanta rabbia da farlo arretrare.
-Gwen… - cominciò Hazel in tono gentile. -Non so come dirtelo, ma eri morta. -
-Scusa?! - La ragazza barcollò, appoggiandosi a Frank. Cercò lo squarcio nell’armatura, trasalendo. -Come posso essere qui…-
-Ottima domanda. — Reyna si voltò verso Nico, che osservava cupo la scena.
Nico alzò lo sguardo sulla ragazza, cogliendo la muta domanda che gli rivolse.
-Non so darti una risposta. Plutone non permette a nessuno di tornare dal suo regno. – rispose.
Reyna sembrava sul punto di ribattere.
Ma poi, si sentì un tuono scuotere il cielo, e la terra tremò sotto ai loro piedi.
Una voce si propagò per la valle come un tuono:
-La Morte sta perdendo il controllo. E questo è solo l’inizio… -
Percy al fianco di Frank si irrigidì: -Ares… - mormorò, ma Frank non ebbe tempo di chiedergli nulla.
Una colonna di fuoco si eresse di fronte a loro sprigionando un calore ustionante e accecando l’intera legione.
Quando tutti riuscirono ad aprire gli occhi abbagliati dalla luce improvvisa, videro un enorme soldato in uniforme mimetica di fronte a loro. Aveva i capelli nerissimi e molto corti, la cintura legata al fianco reggeva una quantità spaventosa di armi di ogni genere. I suoi occhi erano rossi come fuoco, senza pupille.
Tutti si fecero indietro, lasciando al cospetto del dio solamente Frank, Hazel e Percy. Frank avrebbe voluto arretrare insieme agli altri, ma una forza che non poteva contrastare lo bloccava sul posto.
E quella stessa forza lo fece inginocchiare, come tutti intorno a lui. Vide Percy accanto a lui guardare il dio con aria torva, prima di inginocchiarsi riluttante.
-Bravissimi. – commentò il dio. -Era da tempo non venivo al Campo Giove… - aggiunse assorto.
-Ad ogni modo! – tuonò poi sollevando le braccia. -Io sono Marte, protettore dell’impero e padre di Romolo e Remo. Vengo dall’Olimpo con un messaggio. Questa notte, una dei vostri centurioni è stata uccisa, ma è presto tornata in vita. Come lei, i mostri che ucciderete non faranno più ritorno al Tartaro. Questo, perché Thanatos è stato imprigionato, e le Porte della Morte sono state aperte ora che nessuno le governa più. Gea permette ai nostri nemici di entrare nel nostro mondo, e i Giganti, suoi figli, stanno guidando un esercito contro di voi, e che non potrete sconfiggere. Solo se libererete Thanatos dalle catene potrete sperare di vincere. –
Nessuno fiatò, nemmeno quando il dio smise di parlare.
Marte si guardò intorno. — Oh, potete alzarvi, adesso. Domande? – aggiunse.
Reyna si alzò incerta. Ottaviano la seguì strisciando penosamente nel tentativo di rimanere inchinato al cospetto del dio.
-Divino Marte, siamo onorati della vostra visita - esordì Reyna.
-Sbrigati ragazza, non ho molto tempo. - sbottò Marte.
-Lei sta dicendo che finché Thanatos sarà in catene nessuno potrà morire, nemmeno i nostri nemici? - chiese Reyna.
-Non tutti, non da subito — chiarì Marte. -Ma col tempo le barriere si indeboliranno ancora di più, e qualunque creatura ne prenderà vantaggio per tornare dal regno dei morti. I mostri diventeranno impossibili da uccidere, e perfino i mortali riusciranno a scampare alla morte. -
Ottaviano alzò la testa sfoggiando un orripilante sorriso di reverenza. -Mi scusi, divino e magnifico Marte, ma non sarebbe vantaggioso non poter più morire? –
-Non dire idiozie ragazzo! - tuonò Marte. -Massacri e carneficine senza fine e senza gloria? Nemici impossibili da uccidere? Ripugnante. -
-Ipocrita. – borbottò Percy.
Frank si voltò di scatto a guardarlo, temendo sinceramente che il ragazzo avesse perso il lume della ragione.
E quando la luce di fuoco negli occhi di Marte brillò con più forza, Frank temette anche per la vita di Percy.
-Il pivello! – urlò Marte con entusiasmo. -Attento Percy Jackson, ho già risparmiato la tua insolenza troppe volte perché tu possa permetterti quest’arroganza. -
Frank guardò Percy stranito, ma il viso del figlio di Nettuno era una maschera illeggibile.
-Non so di cosa parla. – rispose Percy velenosamente.
Marte lo guardò, prima di ridacchiare come se trovasse il figlio di Nettuno molto divertente: -Ah giusto, sei diventato lo smemorato del campo, che piacevoli circostanze. – disse ridendo.
-Lieto di causarle tanta ilarità. – rispose Percy, e Frank fu sicuro che stavolta il dio lo avrebbe fulminato.
Invece Marte sorrise, come se lui e Percy fossero due vecchi amici che si prendevano a male parole per scherzo.
-Ordino una grande ed eroica impresa! - annunciò il dio. -Tre di voi andranno a nord a cercare Thanatos, nella terra oltre gli dei. Lo libererete e il piano dei giganti andrà in fumo! Ma sappiate che Gea farà tutto ciò che è in suo potere per sbarrarvi il cammino, perciò dovrete aspettarvi un viaggio difficile. –
Ottaviano osò alzare lo sguardo sul dio. — Ehm… divino Marte, sono confuso. Un’impresa eroica necessita di una profezia, una poesia che ci guidi attraverso il viaggio… -
-Tu sei l’augure? - lo interruppe il dio.
-S-sì, mio signore. -
Marte si sfilò un foglio accartocciato dalla cintura. — Qualcuno ha una penna? – chiese, ma nessuno rispose.
Marte sbuffò: -Incredibile, duecento romani e nessuno ha una penna! Jackson, dammi la tua. – disse, e Frank si chiese come facesse a sapere della penna a sfera del figlio di Nettuno.
Percy toccò la punta della spada, e mentre si trasformava di nuovo in una penna la porse al dio.
-Ecco qua! — Marte finì di scrivere e lanciò il foglio ad Ottaviano. -Tieni la tua profezia. Facci quello che ti pare. – concluse, buttando Vortice verso Percy.
L’augure lesse il messaggio. — “Andate in Alaska. Trovate Thanatos e liberatelo. Tornate entro il tramonto del 24 giugno o morirete.”
-Precisamente. – dichiarò il dio. -Ora. Mio figlio, è stato il primo a superare le mura, e mi aspetto che riceva molte onorificenze. Hai fatto un ottimo lavoro ragazzo. – concluse puntando il dito su Frank.
Frank spalancò gli occhi.
Si sentì sul punto di svenire.
Era quello il dio di cui era figlio. Marte, il dio della guerra.
-Hai bisogno di un’arma migliore però. Buon compleanno figliolo, anche se in ritardo. – disse, prima di lanciargli uno degli enormi fucili che teneva alla cintura.
Frank temette di morire sotto il peso di quell’arma, ma quando gli cadde davanti ai piedi si trasformò in una lancia d’oro imperiale con la punta d’avorio.
Frank la prese tremando visibilmente, quasi aspettandosi che gli esplodesse tra le mani.
-Perfetto. Mio figlio, Frank Zhang, condurrà l’impresa. E con lui andranno il pivello, e la figlia di Plutone. – disse, indicando Hazel e Percy al suo fianco. -E non accetterò obiezioni su questo punto. –
Il cielo tuonò, e Marte alzò lo sguardo verso il cielo: -Bene, il mio tempo qui è terminato. Buona fortuna Romani. – disse, prima di svanire in una fiammata accecante.
Frank era incredulo, e terrorizzato, ma presto venne riportato alla realtà dagli insistenti mormorii che si sollevarono alle sue spalle.
Si voltò immediatamente verso Reyna, che lo guardò con fredda sorpresa: -Ave, Frank Zhang, figlio di Marte. – disse, alzando il braccio nel saluto romano.
L’intera legione seguì il suo esempio, ma lui voleva solo scomparire.
Si voltò verso Percy ed Hazel, ed entrambi cercarono di sorridergli con appoggio. Ma lui lesse l'ansia nei loro sguardi.
Suo padre lo stava mandando in Alaska. E Frank sapeva che questo equivaleva ad una condanna a morte.
 
Quando Percy uscì dal Senato la mattina dopo, aveva uno dei mal di testa più lancinanti degli ultimi mesi. E quando si sentì chiamare da Ottaviano dietro di sé, seppe che sarebbe peggiorato.
-Che altro vuoi da me Ottaviano? – chiese al limite dell’esasperazione.
L’augure ghignò: -Reyna ti vuole parlare ai Principia prima che partiate, e senza i tuoi due lacchè. –
-E come mai, di grazia? –
-Temo di non saperlo. Ma c’è una cosa che so. –rispose il ragazzo, avvicinandoglisi. -Che nessun greco o spia nemica sono mai sopravvissuti a lungo una volta messo piede a Roma. -
Percy nascose dietro una maschera impassibile quanto quelle parole lo avessero colpito.
-È stranamente coraggioso da parte tua insinuare una cosa simile su di me, dopo che hai quasi ucciso un centurione colpendolo alle spalle. – sibilò il figlio di Nettuno.
Ottaviano deglutì pesantemente, incapace di reggere lo sguardo del ragazzo:
-Attento Jackson, posso essere un nemico più pericoloso di quello che pensi. –
Percy ghignò facendo un passo verso di lui. Lo guardò con tutta la cattiveria di cui era capace.
-Oh, ma anche io posso. –
Non aggiunse altro, e si voltò verso i Principia.
Più camminava e più la rabbia gli faceva prudere le mani, e una volta arrivato al palazzo entrò come una furia.
Reyna era già lì, e lo guardò attentamente mentre il ragazzo si sedeva sullo sgabello dal lato opposto del tavolo rispetto a lei.
-Ottaviano ha detto qualcosa? – chiese la ragazza, inarcando un sopracciglio alla vista della malamente contenuta rabbia del ragazzo.
Percy cercò di tranquillizzarsi, ma quando parlò le sue parole erano cariche di odio: -Mi ha apertamente accusato di essere una spia greca. –
Reyna sorrise senza divertimento.
-Già. Lui crede che esistano ancora semidei figli degli dei greci, e che tu sia uno di loro mandato qui per spiarci. –
Percy la guardò: -E tu, cosa credi? –
-Credo che tu sia diverso da qualunque altro semidio io abbia mai incontrato, e che il tuo passato nasconda dei segreti che devono rimanere tali, almeno per il momento. –
Percy non riuscì ad impedirsi di giocherellare con la penna che celava la sua spada.
-E nonostante questo ti fidi di me? –
-Sei stato mandato da Giunone per salvarci. Io mi fido degli dei. –
Percy sorrise con amarezza, ma non aggiunse altro. Lui aveva smesso di fidarsi degli dei tanto tempo prima.
-Il campo è in grave pericolo. So che la vostra missione è già un grande fardello, ma ho un favore da chiederti per aiutarmi a salvarlo. – disse Reyna, sfilandosi l’anello che portava al dito e porgendolo al ragazzo. Era una fascia d’argento a forma di torcia e spada incrociate, lo stesso simbolo che portava sul braccio marchiato. -Sai che cos’è? –
Percy lo guardò incerto: -Il simbolo di tua...madre? La dea della… -
-Guerra, sì. Si chiama Bellona. – concluse Reyna. -Non ricordi di aver visto questo anello prima d’ora? Davvero non ricordi di mia sorella Hylla? –
Percy la guardò negli occhi di ossidiana con stupore.
Allora era vero, lui aveva già incontrato Reyna. Ma non riusciva a ricordare quando.
-No, io… - provò a dire.
-È successo quattro anni fa. – incominciò Reyna.
-Poco prima che arrivassi al campo. – disse Percy, e allo sguardo accigliato della ragazza indicò il suo braccio. -Hai quattro linee tatuate sul... –
Poi spalancò gli occhi. Quattro anni prima era partito per il Mare dei Mostri. Ricordò di essere approdato su una bellissima isola. Ricordò l'inebriante e ipnotica magia che impregnava l'aria, ricordò quando bella fosse Annabeth quel giorno. Ricordò tante ragazze vestite in abiti bianchi e con i capelli intrecciati di fili dorati, e ricordò una maga dall'abito celeste.
-L’isola di Circe. – mormorò, senza riuscire a frenarsi. -Io… - disse, ma finse di non ricordare altro. Non poteva permettersi un simile passo falso.
Reyna aspettò pochi istanti, come se sperasse che ricordasse altro, ma poi annuì: -Esatto. Io ero solo una bambina, ma so che parlasti con mia sorella. Prima che tu e la ragazza con cui eri arrivato, Annabeth, distruggeste la città. –
Percy la guardò. Spesso dimenticava della distruzione che si era lasciato alle spalle nella sua vita. Reyna era stata una delle tante vittime dei suoi trionfi.
-Mi dispiace Reyna. Non riesco a ricordarlo, ma se vi ho fatto del male, ti chiedo scusa. – mormorò, lo sguardo sinceramente colpevole.
-Non serve. Hai distrutto la mia casa una volta, è vero, ma quello che ora ti chiedo è di aiutarmi a salvarla. –
Percy annuì: -Cosa devo fare? –
-Sulla strada verso l’Alaska, vai a Seattle. Mia sorella vive lì, come regina delle Amazzoni. – incominciò Reyna. -Lei ti odia ancora, ma ti prego di tentare di convincerla a venire qui per aiutarci nella battaglia che ci aspetta. Se le amazzoni si unissero a noi potremmo sperare di vincere. – concluse, porgendo al ragazzo l’anello d’oro.
Percy lo prese, e lo infilò nella catenella che portava al collo: -La troverò. Farò il possibile per convincerla a sostenerci. – rispose con sicurezza.
Reyna annuì: -Vorrei discutere di un’ultima cosa. –
Percy la guardò in attesa, lo sguardo attento.
-Io temo molto Ottaviano, e adesso che Jason è scomparso ho paura che sarà facile per lui diventare pretore. Immagino tu capisca perchè questa possibilità mi terrorizzi. –
Percy la guardò mesto: -Tu sei una guerriera. Ma lui è l’oratore, e in politica è una qualità più potente di ogni altra cosa. Ti schiaccerebbe. –
Reyna lo guardò stupita.
-Hai ragione. Come avrai notato, Ottaviano è una persona avida e spregevole, e al comando io non riuscirei a fermarlo.–
Percy aggrottò le sopracciglia: -E io come rientro in tutto questo? –
-Ti ho osservato. Sei un figlio di Nettuno, e questo ha sempre spaventato noi Romani, ma hai lo sguardo e le cicatrici di un veterano esperto. Ho visto quanto pericoloso tu possa essere per i tuoi nemici, ma hai anche dimostrato di essere un grande guerriero, astuto e di buon animo, e questo ti renderebbe perfetto per governare al mio fianco. –
Percy sgranò gli occhi. Nonostante non avesse mai cercato il potere, sapeva di essere spesso stato la forza e la guida dei suoi compagni, soprattutto in battaglia. Non poteva negare di essere nato per quello.
E ancora una volta, gli veniva offerto quel ruolo.
Ma lui non apparteneva a quel luogo. Lui non poteva prendersi quella responsabilità. Non aveva il diritto di prendere il posto di Jason.
-Ma, Reyna... sono appena arrivato. Ci sono Frank ed Hazel che sono qui da molto più tempo, e probabilmente potresti trovare decine di migliori candidati rispetto a me. E Jason potrebbe essere ancora vivo. – provò a dirle.
Reyna scosse la testa: - Una figlia di Plutone così giovane non è adatta al ruolo, e Frank è troppo buono ed ingenuo. Ma se tornaste vincitori dalla tua missione potremmo salvare il campo. Tu saresti il capo ideale. Insieme, io e te, potremmo espandere i poteri di Roma. Potremmo radunare un esercito e trovare le Porte della Morte, e vincere contro Gea. In me troverai il sostegno di una compagna leale e affidabile. –
Percy si ritrovò ad arrossire.
Non era mai stato uno ingenuo, e colse il significato di compagna che Reyna intendeva dal modo in cui lo pronunciò suadente e con lo sguardo che luccicava.
-Sono lusingato dalla tua proposta Reyna. Ma ho già una ragazza. E non desidero diventare pretore. – disse con gentilezza.
Si aspettò il peggio.
Ma nonostante tutto, Reyna sorrise divertita: -Non credevo potesse esistere un romano capace di rifiutare una posizione di potere. Ma per quanto mi costi ammetterlo, sono disperata. Ottaviano sarebbe più un nemico che un compagno al comando, e non potrò guidare un’intera legione da sola ancora a lungo. – concluse con un velo di tristezza.
Percy la guardò, e provò compassione per lei. Lui era di natura una persona estremamente generosa e altruista, e quando guardava Reyna vedeva una persona con un disperato bisogno di aiuto. Non poteva ignorarlo.
-Posso prometterti che ci penserò Reyna. Davvero. –
Poi si alzò, seguito immediatamente dalla ragazza. Le sorrise incoraggiante, e tese una mano verso di lei:
-Farò tutto ciò che è in mio potere per salvarvi. E troverò tua sorella. Augurami buona fortuna. –
La ragazza sorrise in risposta, stringendogli la mano: -Buona fortuna, Percy Jackson. – gli rispose. -E grazie. -
   
 
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