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Autore: eternalflame_    14/04/2020    0 recensioni
[Mitologia & Storia.]
Quella di 𝕬𝖗𝖙𝖊𝖒𝖎𝖉𝖊 è certamente una divinità antica, giusta, descritta come rigida, distaccata e di molte qualità forti. Qui, al contempo l'ho immaginata incompleta. Non esiste divinità perfetta e vi sono leggende che narrano dell'amore fra la dea ed un essere umano in tempi antichi e, dunque, ho immaginato che talvolta la stessa possa ritrovare nel proprio vuoto e fallimento, la necessità di colmarlo dando protezione alla fragile fisicità e mente umana. E' inoltre un personaggio ambiguo, in questo contesto soprattutto, considerando che l'ambientazione è quella medievale, con il progredire ed il dominare della religione cristiana pressoché in gran parte d'Europa.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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       𝕱𝖎𝖋𝖊, 𝕾𝖈𝖔𝖟𝖎𝖆. 𝕬𝖓𝖓𝖔 𝟏𝟐𝟖𝟔. 
    
              –
 
    ‹‹ 𝕰' 𝖘𝖙𝖆𝖙𝖆 𝖚𝖓𝖆 𝖇𝖗𝖚𝖙𝖙𝖆 𝖓𝖔𝖙𝖙𝖊.. ››
   
 Pare contrastare quella quieta notte, la voce del miserabile che ella riesce ad udire sin a lunga distanza in quei tempi meno oro, ma pur sempre ancora favorevoli. Una sera di pioggia, tarda, volubile alla manifestazione orchestrale della natura. Una musica pacata, in una sera dal chiacchiericcio sussurrato, da versi d'animale nella selva, mescolato al tuono, unito al battito irregolare d'un uomo folle, che di ragione persa muore. Il blu della notte non conosce sonno, così come l'essere umano.
     
 Affanna. Sussurra. Le pare di sentire. Ma non dice niente. Non esce niente. Prende ancora faticoso fiato lui, miserabile in vesta preziose, di fronte la sua visione sempre giovane; e lo osserva lei, seppure non con la medesima devozione, lo sguardo ed il corpo chino i quali si riserverebbero ad un Re. Non l'ha mai guardato così, in privato.
 Lo accarezza, con tenerezza. Non si vergogna d'avvicinarsi ad un sovrano. Non manifesta ossequi e lui non li richiede, lui uomo mai libero ed animo profondo. Non pensa alla vena di gelosia che potrebbe intrappolarne la consorte in vani tentativi poi di lederla. Vuole proteggerlo, lo protegge, ancora. Dal conte di Menteith, dal Giudice di Scozia, da Enrico III d'Inghilterra e da altri, – chissà, – che non fanno altro che bramare quella notte e tramare il male in quel buio.
 Dunque rinuncia alla sua divinità, s'abbandona alla profana tentazione della cute fragile, alla poesia, ai vani sentimenti d'amore, alla crudeltà umana, alla vita in quel circo. Rinuncia. In quel tempo dalla durata contata, in un conto alla rovescia verso la parola fine.
    
 Rinuncia all'argento, rinuncia all'oro. Rinuncia a quel ventaglio di luce che s'è calato sul suo cuore sin dall'esordio della materia che genera nascita. Quel contrasto di giorno e notte, rinuncia a dissolvere la propria incompletezza, per accorgersi di quella di lui e diradare quella di lui, per renderlo un uomo libero. Finalmente, un uomo libero.
 
 Ma ha lo sguardo disperato, Alessandro. Gli occhi consunti, le pupille velate da lacrime febbrili, iridi d'argento sbiadito, opaco, iridi stanche. Libero ancora non lo è ed, ancora, non dice nulla.
 Lei ne sposta qualche ciocca dal viso, riordina il suo crino ancora dorato nella speranza di giungere fino ai pensieri. Lo tranquillizza, lo assiste. Resta accanto ad al Re di un ampio popolo, che però muore in solitudine.
   
 
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