Libri > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: MissAdler    15/04/2020    5 recensioni
[Il Rilegatore]
Una scena del libro vista attraverso lo sguardo di Lucian. Cosa si prova quando la persona amata ti guarda senza sapere chi sei? Forse l'unica strada percorribile è sradicare i ricordi nello stesso modo, ma non subito, non ancora. Un ultimo sguardo prima di dimenticare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
THE LAST GOODBYE
 


Una folata gelida ti lambisce la schiena, percepisci la camicia appiccicata alla pelle, i pantaloni troppo larghi sulle cosce, i piedi intirizziti dentro gli stivali di cuoio.
Ti avvicini al vetro senza respirare, sapendo già che ciò che vedrai probabilmente ti ucciderà.
È stata Alta a dirti dove trovarlo, dopo averti sputato in faccia tutto il suo disprezzo, guardandoti con un odio di cui non la credevi capace. Hai cavalcato col cuore in gola, senza sosta, spronando impietoso la tua giumenta saura mentre gli occhi ti si velavano di panico, incrostandosi di brina.
Ti mordi l’interno delle guance e muovi un altro passo strascicato. Un dolore sotto le costole ti rammenta all’improvviso la cinghia di tuo padre, vi premi la mano e solo allora ti accorgi che stai tremando.
Lui è lì, chino su un mucchio di scampoli, maneggiando strumenti di cui ignori l’utilità, concentrato, quasi assente.
Resti immobile e segui con lo sguardo la linea delle sue spalle: ampie, forti, sinuose come le colline su cui correvate nel crepuscolo di fine estate, in un giorno perfetto che è come l'ieri di un’altra vita. Per un istante ti convinci che non è vero, che lei deve averti sadicamente mentito, che lui non può averlo fatto sul serio. Busserai su quel vetro appannato, si volterà, ti chiamerà per nome e correrà fuori di lì per fuggire con te.


Emmett.


Lo soffi tra i denti e si perde in un’effimera, impalpabile nuvola bianca. Fa male, come se non avessi più nessun diritto di pronunciare quel nome e il tuo stesso corpo volesse punirti.
Quando finalmente ti decidi a bussare è lui è precederti, a voltarsi con quello sguardo ancora assente, velato, quasi infastidito.
Non ha idea di chi tu sia.
È una consapevolezza che ti squarcia il cuore, che ti fa crollare addosso quel cielo piatto e incolore, rendendo ogni tuo ricordo uno spillo nelle tempie. Ora sei l’unico a custodire la memoria di ciò che è stato, di ciò che eravate, di ciò che non sarete più.


Quando la porta si apre davanti a te sono passati ormai diversi minuti, tanti che avevi quasi perso le speranze, mentre lo spiavi e lui ti ignorava di proposito, sperando solo che sparissi, come se averti già cancellato completamente non fosse abbastanza.
“Cosa vuoi?” chiede, ma suona più come “vai al diavolo”.


Cosa vuoi Lucian?


Per un attimo stai quasi per dirglielo, che sei lì per lui, che lui è ciò che vuoi... Ma non rispondi, non subito.
Quando si fa da parte per permetterti di entrare hai quasi paura a passargli vicino. Il suo profumo ti colpisce in faccia come uno schiaffo. Ti mordi la lingua e balbetti qualcosa, forse una o due sillabe, poi ti rendi conto di non riuscire a sostenere il suo sguardo indifferente.
Tutto, ma non l’indifferenza, non in quegli occhi color miele in cui non riesci più a scorgere il tuo riflesso. Non puoi sopportarlo, fa così male da essere intollerabile.
“Sono venuto per vedere la rilegatrice.”
Lo dici con una voce che non è nemmeno più la tua, mentre provi inutilmente a issare fumose pareti grigie attorno alla tua anima.
La sua impazienza ti fa pensare ai primi tempi, a quando a malapena tollerava la tua presenza, a quando sembrava odiarti, ma forse aveva solo paura.
Lo segui nel laboratorio e lo guardi riprendere in mano il lavoro abbandonato poco prima sul tavolo. I capelli arruffati sulla fronte, la camicia arrotolata fin sotto i gomiti, le vene che si diramano verdastre sugli avambracci, come sottili viali erbosi. Ripensi al tocco di quelle mani sulla tua pelle, alla loro ruvida fermezza, ai sospiri che ti hanno strappato e a quelli che tu hai strappato a lui, tra fili d’erba e campanule, protetti dall’abbraccio solido e discreto delle vecchie rovine abbandonate.


“Emmett?”
L’hai detto a voce alta stavolta, senza neanche rendertene conto. E sei sollevato quando lo vedi rivoltare uno scampolo di pelle su cui ha appena impresso il suo nome, convinto che tu l’abbia letto lì sopra.
Non riesci a trattenere un sorriso, perché ami la sua scontrosa diffidenza, l’hai amata subito, come l’avresti amata in un cavallo selvaggio che non ti avrebbe permesso di domarlo tanto facilmente.
“Non so se la rilegatrice prenda commesse al momento.”
“Da quanto tempo sei qui?” gli chiedi, perché del resto non ti importa. Non ora. Non ancora.
Solo un altro minuto, prometti a te stesso, un minuto in cui posso ancora riconoscere il suo nome, il colore dei suoi occhi, la curva della sua bocca, quella piccola cicatrice sul labbro superiore. Un minuto, prima di strapparmi il cuore dal petto per schiacciarlo fra le pagine di un libro come un fiore pressato e rinsecchito.
Vi scambiate poche frasi insignificanti, inorridisci al pensiero di doverlo abbandonare lì, in quel tugurio tra le paludi gelide, con una vecchia strega che colleziona vite umane.
“Emmett” ripeti. Ti giri il suo nome sulla lingua, pensando distrattamente alla sua. Vorresti morire lì, davanti a lui, solo perché così sarebbe costretto a raccoglierti, a tenerti tra le braccia…
“Devo andare avanti con questo lavoro” dice.
“Mi dispiace” ribatti. Ma non ti riferisci al disturbo, né all'averlo irritato. Ti dispiace di averlo condotto a questo, di esserci costretto tu stesso, adesso, per mera codardia, quella che proprio non riesci a vincere.
“Vuoi che vada a chiamare Sere… la rilegatrice?”
“Io… non ancora. Non subito.”
Ancora un attimo. Se ti guardo per qualche secondo di più forse il tuo viso resterà impresso su una pagina nascosta da qualche parte nella memoria…
Blateri di tuo padre, di una punizione che non pensi arriverà, stavolta. Ti lasci sfuggire parole che non dovresti pronunciare ma che colano dalle tue labbra al posto delle lacrime che trattieni ostinatamente.
“Ho pensato di venire e… ma non pensavo di volere… finché non ti ho visto là…”
“Me?” chiede lui confuso, un lampo d’incertezza negli occhi.
“Non ti importa, vero? E perché dovrebbe? Non hai la minima idea di chi sono io.”
Retorico, Lucian. Sai già cosa risponderà, sai bene che ti spezzerà il cuore udirlo dalla tua bocca.
“No, infatti.”
Non ce la fai. Fa troppo male e non puoi resistere un altro secondo senza tentare l’impossibile.
“Emmett… Ti prego, guardami, solo per un secondo, ti prego.” Ricacci indietro le lacrime e deglutisci un groppo che sa di sangue, ferro e disperazione.
“Io non capisco… Emmett… sono io… sono Lucian! Non… ti supplico, cerca di ricordare! Dov’è l’anello che ti ho regalato? Ti prego… ti prego non farmelo fare… come puoi aver dimenticato ogni cosa?”
Ma lui pare non sentirti nemmeno. O forse non capisce, come se stessi parlando una lingua che non conosce.
“Cosa sta succedendo?”
La voce della vecchia ti ha fatto sobbalzare, infrangendo anche le tue ultime speranze. Quasi ne senti il frastuono sul pavimento di legno: pezzi del tuo cuore, di un futuro che non si realizzerà mai, tutto andato in pezzi.
Dev’essere opera sua, la rilegatura di Emmett. Lei sa. Ne hai la certezza quando pronunci il tuo nome e lei si irrigidisce.
“Bene, Signor Darnay, venite con me.”
Ma non riesci a staccare i piedi da dove sono ora, come se pesassero tonnellate.
Un brivido di morte ti fa tremare sotto la camicia zuppa di sudore. Vorresti che fosse la sua. Vorresti poter tenere qualcosa di suo, come un talismano, un pegno, un residuo di qualcosa che presto non ci sarà più.
“Venite” insiste lei spazientita, ansiosa, quasi preoccupata.
Solo un ultimo istante, un ultimo sguardo prima di uccidermi, di ucciderlo, di lasciarmi a una vita in cui il suo nome mi sarà estraneo, così come la sua voce, i suoi occhi, il suo profumo...
Respiri forte per cercarlo nell’aria, forse ne afferri un alito vago ed effimero…
Muovi un passo, poi un altro, come un condannato a morte di fronte all’unica persona al mondo che potrebbe salvargli la vita, consapevole che egli, in qualche modo, è anche il suo carnefice.


“Emmett Farmer… le rovine, il valzer, la capanna del custode… Spot…” mormori quando siedi di fronte alla vecchia.
Ti balena dietro le palpebre il ricordo di un bacio che, soltanto ora te ne rendi conto, è stato l’ultimo.
Basta un tocco di quella mano artritica e il mondo si capovolge, il tempo si accartoccia, il buio ti circonda.
Poi più nulla.



 


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Eccomi per la prima volta a scrivere di questi due ragazzi meravigliosi, Emmett e Lucian, una ship finalmente canon che è già tra le mie OTP. Questo libro mi ha stregato. Chi mi conosce al di fuori dei Efp lo sa bene, l'ho amato e mi ha lasciato addosso qualcosa che non riesco a scrollare via. Volevo scriverci su e l'ho fatto, di getto e senza rifletterci troppo. Nulla di impegnativo, un momento del libro visto da una prospettiva diversa, una sorta di missing moment. Non ho molta confidenza con questi personaggi, sono fuori dalla mia zona di comfort e spero di aver fatto un buon lavoro. Probabilmente questa storia avrà pochissimi riscontri, visto che è un fandom un po' di nicchia, ma non ha importanza, io sono felicissima di aver lasciato un piccolo segno.
Probabilmente questa storia si trasformerà in una raccolta, che aggiornero quando e se mi verrà l'ispirazione, nel frattempo spero che questa piccola cosa vi sia piaviuta.
Grazie a chi ha letto fin qui!
MissAdler
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Altro / Vai alla pagina dell'autore: MissAdler